Teoria elaborata dall’economista R. Vernon e tesa a fornire una spiegazione delle variabili che influenzano il corso degli scambi internazionali.
La teoria del ciclo di vita del prodotto distingue le fasi attraverso le quali si realizza l’introduzione di un prodotto tecnologicamente nuovo sul mercato internazionale.
Nella fase introduttiva, in cui è ancora presente il supporto della ricerca e della sperimentazione, i costi unitari, e quindi il prezzo, sono piuttosto alti, anche a causa delle spese per la pubblicità.
Nella fase di sviluppo è realizzata la produzione standardizzata e la diffusione su larga scala, che portano alla diminuzione del prezzo del bene. In questo modo, aumenta la concorrenza e il produttore tende a cercare sbocchi sui mercati esteri, prima attraverso l’esportazione, poi, nel caso di imprese multinazionali (v.), installando all’estero le proprie fabbriche allo scopo di ridurre i costi di produzione.
Nella fase successiva, quella della maturità, il prodotto è ormai accessibile a tutti in quanto il processo produttivo è ormai completamente standardizzato; il produttore più competitivo sarà quello che riesce a produrre a costi unitari inferiori rispetto alle altre imprese del settore.
Nella fase del declino, il prodotto risulta tecnologicamente superato ed è difficilmente commerciabile nei paesi industrializzati; l’unico mercato di espansione è dato dalla diffusione del prodotto nei paesi in via di sviluppo.
L’analisi del ciclo di vita del prodotto è ampiamente utilizzata anche nel marketing aziendale come supporto per scelte strategiche in ordine ai prezzi, individuazione di nuove utilizzazioni del prodotto o di nuovi segmenti di mercato ecc.
Categoria: Glossario
Circolante
Insieme delle monete metalliche e della banconote in circolazione in un dato momento.
Il circolante non è da confondere con l’insieme dei mezzi monetari di pagamento, i quali includono anche i depositi bancari utilizzabili tramite assegni, fidi bancari ecc.
Clausola di salvaguardia
Clausola dei trattati commerciali internazionali che autorizza uno Stato contraente ad adottare un regime tariffario più oneroso o limitazioni quantitative nei confronti di quei prodotti di altri paesi la cui importazione potrebbe avere effetti negativi sulla produzione nazionale di merci similari.
Una specifica clausola di salvaguardia è prevista dall’articolo 19 del trattato istitutivo del GATT (v.) secondo il quale una nazione, in deroga al regime normalmente previsto, può introdurre misure restrittive temporanee sulle importazioni nel caso in cui vi sia un eccessivo disavanzo della bilancia dei pagamenti (v.) e tale disavanzo possa danneggiare la propria produzione nazionale.
Analoga deroga è prevista dall’articolo 115 del Trattato CE, previo ottenimento della necessaria autorizzazione da parte dei competenti organi comunitari. In tutti i casi è generalmente richiesto un presupposto di necessità, che viene definito in relazione a particolari difficoltà incontrate dal paese per quanto riguarda i movimenti di merci o di capitali o persistenti deficit della bilancia dei pagamenti. L’autorizzazione ad adottare una clausola di salvaguardia è normalmente richiesta per relazioni economiche con paesi terzi e, comunque, in quelle materie in cui non esista una politica comune da parte della Comunità Europea (v. CE).
L’espressione è, inoltre, riferita a quelle clausole che conviene apporre nei contratti con obbligazioni pecuniarie al fine di sfuggire la svalutazione monetaria del credito. Costituiscono esempi di clausola di salvaguardia la clausola oro (v.) e la clausola di indicizzazione (v
Code
Fenomeno legato all’incapacità di determinate imprese a soddisfare interamente il livello di domanda del servizio da esse erogate. Ciò provoca il formarsi di code o file d’attesa.
Il fenomeno in esame si presenta, particolarmente, per quei servizi la cui domanda è soggetta a forti fluttuazioni temporali. Si pensi ai trasporti pubblici nelle grandi città, affollatissimi nelle ore di punta, semivuoti in altri momenti della giornata.
L’erogatore si trova, quindi, a dover fronteggiare nel periodo di tempo preso in considerazione (giorno, mese, anno) diverse domande, che dovrà soddisfare determinando la capacità ottimale dell’impianto. Quest’ultima, se si tratta di un servizio gestito da un ente pubblico, dovrebbe essere individuata dall’uguaglianza tra beneficio marginale (v.) e costo marginale (v.).
Il problema è dato dal fatto che vi sono almeno due curve di domanda: una relativa ai periodi di punta, l’altra relative alla ore morte. La soluzione per assicurare il pareggio della gestione può consistere nel fissare due diversi prezzi:
— il primo, più basso, determinato dall’intersezione della domanda delle ore di stanca con la curva del solo costo variabile;
— il secondo, più alto, dato dall’intersezione fra la domanda di punta e il costo totale marginale di lungo periodo (o, addirittura, più alto).
Tale soluzione può essere giudicata accettabile se si considera che per soddisfare la domanda di punta occorre incrementare gli impianti (costi fissi): tale incremento di costi fissi non è però imputabile agli utenti delle ore morte, per cui essi pagheranno il solo costo variabile.
L’applicazione di tariffe differenziate è rinvenibile, ad esempio, nel caso dei servizi telefonici; a volte, invece, prevalgono considerazioni di natura sociale per cui la tariffa è unica: è il caso dei trasporti pubblici.