Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce 99/2009

composto dai Signori Magistrati :

Aldo Ravalli PRESIDENTE

Ettore Manca COMPONENTE

Carlo Dibello COMPONENTE rel.

ha pronunziato la seguente :

SENTENZA

su ricorso n. 629/2006 presentato da :

PAGANO GIUSEPPE, PAGANO VINCENZO, PAGANO CARMINE, tutti rappresentati e difesi dal Prof Avv. Ernesto Sticchi Damiani, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore in Lecce, via 95° Rgt Fanteria , 9;

contro

COMUNE DI SQUINZANO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Angelo Vantaggiato ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Lecce, via Zanardelli, 7;

per l’annullamento

-della delibera del Consiglio Comunale di Squinzano n.2 del 27.1.2006( pubblicata nel B.U.R.P. n.21 del 16.2.2006) recante “approvazione piano urbanistico generale”;

-di ogni altro atto presupposto,connesso e/o consequenziale e, in particolare,ove occorra, di tutti gli atti inerenti la procedura di adozione e approvazione del nuovo P.U.G. del Comune di Squinzano;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Squinzano ;

Viste le memorie prodotte dalle parti;

Designato alla pubblica udienza del 21 novembre 2007 quale relatore il referendario dr. Carlo Dibello, e udito l’Avv. Ernesto Sticchi Damiani per i ricorrenti e l’Avv. Angelo Vantaggiato per il Comune di Squinzano;

FATTO

I ricorrenti sono proprietari di alcuni lotti di terreno inizialmente ricadenti in agro del comune di Trepuzzi, poi acquisiti al demanio comunale del comune di Squinzano , ubicati alla contrada Imbrogni, e distinti nel N.C.T. al foglio 42, mapp.99,327,340,344 e 345 .

Dopo l’effettuazione di alcuni importanti interventi di urbanizzazione aventi ad oggetto i suoli in questione, peraltro già ricompresi nell’ambito di una lottizzazione approvata dal comune di Trepuzzi, l’amministrazione comunale di Squinzano ha avviato l’iter per il varo del nuovo strumento urbanistico generale.

Nonostante la protesta , sollevata in sede di osservazioni al Pug adottato dalla madre dei ricorrenti , di una errata rappresentazione dello stato dei luoghi , determinata dalla omessa inclusione nelle tavole cartografiche allegate al Pug della intera sede stradale denominata via Sindaco L.Frassaniti, e malgrado lo stesso Consiglio Comunale di Squinzano avesse accolto alla unanimità la osservazione predetta , l’organo assembleare dell’ente civico ha approvato , con la delibera impugnata, uno strumento urbanistico che tipizza in termini deteriori la proprietà dei ricorrenti con ciò ritenendo di adeguarsi ari rilievi formulati dalla Giunta Regionale in punto di riconsiderazione del dimensionamento del settore residenziale.

I ricorrenti sono insorti avverso la delibera di approvazione del Pug che ritengono affetta dai seguenti profili di illegittimità:

I- violazione, falsa ed erronea interpretazione ed applicazione dell’art 2 del d.m. 2.4.1968, n.1444. Eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto. Difetto di istruttoria .Disparità di trattamento .Eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza dell’azione amministrativa .

Si è costituito in giudizio il Comune di Squinzano che ha affidato ad una memoria la richiesta di respingimento del ricorso

La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 21 novembre 2007

DIRITTO

Il ricorso è fondato .

Il Collegio non ignora certamente l’orientamento giurisprudenziale che accorda ampia discrezionalità valutativa non solo alla amministrazione comunale ma anche a quella regionale quando esse sono chiamate ad esprimersi, ognuna per la parte di sua specifica competenza, in sede di pianificazione del territorio e di conseguente approvazione di uno strumento urbanistico generale.

Né disconosce la tesi, largamente maggioritaria presso i Tribunali amministrativi, in forza della quale il varo di uno strumento urbanistico generale, essendo destinato a soddisfare interessi pubblici preponderanti come quello del corretto uso del territorio, non può risultare recessivo rispetto agli interessi pretensivi di matrice edificatoria del privato proprietario di un suolo.

Ciò osservato in linea di principio occorre, però, evidenziare che la tipizzazione di un suolo deve essere frutto di una adeguata istruttoria al fine di scongiurare il rischio di imprimere al suolo medesimo una destinazione urbanistica incongrua fino al limite di un regime urbanistico iniquo, ossia indicativo di una arbitraria disparità di trattamento tra privati.

La fattispecie posta al vaglio del Collegio racchiude in sé le caratteristiche di un processo di pianificazione urbanistica che, per la parte relativa ai suoli dei ricorrenti , appare inficiato da errata rappresentazione dello stato dei luoghi e, per ciò stesso, rivela una non appropriata istruttoria.

E’ sufficiente, a tal riguardo, evidenziare che l’omessa inclusione nella tavola cartografica 10.1 di zonizzazione del territorio comunale, allegata al Pug, della intera sede stradale denominata via Sindaco Frassaniti ha prodotto una significativa alterazione dello stato dei luoghi.

Detta alterazione dello stato dei luoghi ha , in un primo tempo, condizionato la scelta di tipizzazione dei suoli dei ricorrenti nel contesto della zona residenziale C, e non nell’ambito della zona residenziale di tipo B, più coerentemente con le caratteristiche della maglia urbanistica esaminata.

Significativo appare, in questo ordine di idee, l’accoglimento all’unanimità delle osservazioni formulate dalla madre dei ricorrenti, dante causa dei ricorrenti , in sede di adozione del P.U.G., segno evidente del riconoscimento di un livello di urbanizzazione e di una edificazione raggiunta nella zona decisamente meritevoli di classificazione urbanistica conforme alle aspettative dei ricorrenti medesimi.

Anche la fase successiva di approvazione del Pug appare, pertanto, frutto del reiterato errore nella rappresentazione della reale condizione urbanistica della zona all’interno della quale ricadono i suoli dei ricorrenti .

La riproposizione dell’errore risulta, del resto, finanche evidenziata nell’ambito del dibattito consiliare prodromico alla messa in votazione della delibera di approvazione del Pug, qui censurata, allorquando il consigliere Giordano ha segnalato che “il tratto di strada tra via Marinelli e via Marco Polo non è riportato sulle tavole con la conseguenza che lo stato fisico dei luoghi non corrisponde a quello rappresentato sulle tavole” .

Del resto, la difesa della amministrazione comunale si limita a porre in risalto la necessaria compartecipazione dell’ente regione alla pianificazione comunale in oggetto, propugnando la tesi del doveroso adeguamento ai rilievi che la regione ha mosso soprattutto sotto il profilo del dimensionamento del settore residenziale.

Resta, però, oggettivamente accertato che la tipizzazione impressa ai suoli di proprietà dei ricorrenti è senz’altro inficiata da omessa allegazione del reale stato dei luoghi relativo alla contrada Imbrogni.

In questo senso il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento della delibera impugnata.

Le spese di lite possono essere interamente compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la delibera impugnata.

Compensa interamente tra le parti le spese, i diritti e gli onorari di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 21 novembre 2007

Aldo Ravalli – Presidente

Carlo Dibello -Estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 28 gennaio 2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce 55/2009

Composto dai Signori Magistrati:

Aldo Ravalli Presidente

Ettore Manca Primo Referendario

Massimo Santini Referendario est.

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso n. 1187/2008 presentato dalla Sunex 2 s.r.l., in persona del legale rappresentante sig. Federico Domenico Bursi, rappresentata e difesa dall’Avv. Piergiuseppe Otranto ed elettivamente domiciliata in Lecce al Vico Storto Carità Vecchia n. 3 presso lo studio dell’Avv. Daniele Montinaro;

contro

il Comune di Campi Salentina, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;

per l’annullamento

1. della determinazione n. 9575 in data 17 giugno 2008 del Comune di Campi Salentina con cui si comunica parere contrario alla realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza inferiore ad 1 MW;
2. della comunicazione n. 7908 in data 19 maggio 2008 con cui si comunicano i motivi ostativi al predetto intervento;
3. di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale;

nonché, con atto di motivi aggiunti

4. della nota n. 11619 del 17 luglio 2008 con cui si comunica l’intenzione di riesaminare la pratica DIA alla luce delle delibere consiliari n. 13 e n. 14 del 19 giugno 2008;
5. della deliberazione del Consiglio comunale n. 13 del 19 giugno 2008, avente ad oggetto variante al PdF;
6. della deliberazione del Consiglio comunale n. 14 del 19 giugno 2008, avente ad oggetto schema di convenzione per la realizzazione di impiani fotovoltaici.

Visti il ricorso e l’atto di motivi aggiunti con i relativi allegati;

Visti tutti gli atti di causa;

Designato alla pubblica udienza del 3 dicembre 2008 il relatore Massimo Santini, referendario, presente altresì l’Avv. Bello per il ricorrente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente ha presentato in data 30 aprile 2008 denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 e della legge Regione Puglia n. 1 del 2008, per la realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza inferiore ad 1 MW.

In data 19 maggio 2008 il Comune di Campi Salentina inviava comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, in quanto era stato affidato l’incarico per la redazione del piano regolatore degli impianti eolici (PRIE) per la individuazione delle aree a tal fine compatibili.

La comunicazione veniva riscontrata con nota della società in data 27 maggio 2008 con la quale veniva prospettata, in particolare, l’inammissibilità dello strumento del PRIE, che si riferisce agli impianti eolici e non a quelli fotovoltaici, nonché l’inapplicabilità alla DIA dell’istituto del preavviso di rigetto.

Il Comune adottava allora la nota n. 9575 del 17 giugno 2008 con la quale si comunicava parere contrario alla realizzazione del suddetto impianto, in quanto era stata nel frattempo predisposta una proposta di deliberazione da parte del Consiglio comunale avente ad oggetto una variante urbanistica al PdF, diretta alla disciplina sulla realizzazione degli impianti in questione. Non potendo fornire indicazioni circa la realizzazione di tali impianti, si rinviava ogni decisione a seguito degli indirizzi adottati.

La società interponeva dunque ricorso giurisdizionale per i seguenti motivi:

1. Violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, nella parte in cui l’amministrazione comunale ha ritenuto di applicare alla DIA l’istituto del preavviso di rigetto;
2. Violazione del principio di legalità, considerato che: a) la normativa sulla DIA assegna al Comune solo un potere di verifica dei presupposti e, in loro assenza, di inibizione dell’intervento, non anche un potere soprassessorio, qui concretizzatosi mediante la sospensione della pratica DIA assessorile; b) l’intervento inibitorio è peraltro esercitabile sulla base della normativa vigente (alla scadenza del termine di trenta giorni), e non di quella che ancora deve essere adottata.
3. Conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del DPR n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia), in quanto il provvedimento inibitorio del 17 giugno 2008, considerata la previa illegittimità della comunicazione in data 19 maggio 2008, è stato adottato oltre il termine perentorio di trenta giorni previsto dalla indicata disposizione affinché si formi validamente il titolo edilizio;
4. in ogni caso, difetto di motivazione in ordine al mancato accoglimento delle osservazioni formulate;
5. Violazione dei principi di semplificazione, razionalizzazione ed accelerazione delle procedure amministrative, le quali per gli impianti inferiori ad 1 MW non prevedono un regime autorizzatorio come quello che il Comune intenderebbe applicare.

Con atto di motivi aggiunti venivano poi impugnati: a) la nota n. 11619 del 17 luglio 2008 del Comune di Manduria, con la quale si invitava la società, onde poter riesaminare la pratica, a conformarsi ad una serie di adempimenti tra cui anche l’osservanza delle delibere n. 13 e n. 14 del 19 giugno 2008; b) le citate delibere n. 13 e n. 14, rispettivamente preordinate alla adozione della variante al piano di fabbricazione ed alla approvazione dello schema di convenzione per la realizzazione dei suddetti impianti fotovoltaici (in particolare mediante versamento di un contributo ambientale). Al riguardo sono state proposte le seguenti ulteriori censure:

6. Violazione dell’art. 23 del DPR n. 380 del 2001, in quanto si pretende di applicare alla fattispecie una normativa (delibere C.C. n. 13 e n. 14 del 19 giugno 2008) che, alla scadenza dei trenta giorni previsti per il formarsi del titolo edilizio (30 maggio 2008), non era ancora entrata in vigore;
7. In via subordinata, violazione di legge, e in particolare della legge n. 239 del 2004, nella parte in cui prevede misure di compensazione ambientale disposte direttamente dal Comune, laddove la normativa di settore ascrive siffatta competenza esclusivamente in capo a Stato e regioni, peraltro per esigenze legate all’elevato impatto territoriale ed ambientale prodotto dai suddetti impianti. Viene altresì contestato il quantum (20.000 euro annue) del predetto contributo;
8. Eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza nella parte in cui la stessa convenzione impone particolari livelli occupazionali.

Alla udienza del 3 dicembre 2008 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

01. Il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

1. Con il primo motivo di ricorso si contesta l’utilizzo del preavviso di rigetto in ordine alla DIA.

Il Collegio ritiene di aderire alla giurisprudenza amministrativa che considera non applicabile alla denuncia di inizio attività il preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della legge n. 241/90.

In questa direzione, la DIA c.d. “edilizia” non dà infatti inizio ad un procedimento ad istanza di parte in quanto essa rimane ancora un atto del privato non soggetto alle regole tipiche del procedimento amministrativo.

Conseguentemente, l’ordine-diffida di non iniziare i lavori non corrisponde all’atto di diniego di una istanza di parte di provvedimento favorevole e quindi non deve essere preceduto da preavviso di rigetto.

È dunque inapplicabile alla Dia l’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, atteso che si tratta di provvedimento (implicito) di tipo favorevole al privato, mentre è negativo (ma non è a rigore un rigetto della istanza) il successivo atto di diffida a non agire; inoltre, il preavviso per l’ordine di non eseguire costituirebbe una non giustificata duplicazione del medesimo, incompatibile con il termine ristretto entro il quale l’amministrazione deve provvedere, non essendo fra l’altro previste parentesi procedimentali – pena la vanificazione della ratio di accelerazione e semplificazione – produttive di sospensione del termine stesso.

In conclusione, l’istituto del preavviso di rigetto trova applicazione solo nell’ipotesi di adozione di un provvedimento negativo sull’istanza (di provvedimento positivo) presentata dal privato e non nel caso di presentazione di denunzia di inizio di attività e successivo ordine o diffida a non iniziare i lavori.

La prima censura merita dunque accoglimento, esimendo peraltro il collegio dall’esame della doglianza relativa alla omessa motivazione circa le osservazioni svolte dal privato.

2. Di conseguenza la comunicazione del 19 maggio 2008 deve essere riqualificata, in termini sostanziali e dunque prescindendo dal nomen iuris attribuito ad essa, come “ordine di non effettuare i lavori”. Ordine motivato, nello specifico, dall’esigenza di predisporre – prima di ogni valutazione circa la realizzazione dell’impianto – il regolamento comunale (sotto forma, in prima battuta, di piano regolatore degli impianti eolici e, in seconda battuta, di variante al PdF) per la individuazione delle aree idonee ad ospitare siffatte strutture.

2.1. Ora, secondo lo schema delineato dall’art. 23 TUED non è consentita la inibitoria dell’intervento che si intende realizzare se non per la riscontrata assenza di una o più delle condizioni stabilite dalla normativa vigente al momento della scadenza dei termini previsti per la formazione del titolo edilizio, senza poter mai invocare al medesimo fine atti regolamentari che allo stato risultano solo in corso di predisposizione.

2.2. Peraltro, un simile potere soprassessorio (sospensione della pratica DIA in attesa della adozione del regolamento di settore) non appare altrimenti contemplato dalla normativa di riferimento (d.lgs. n. 387 del 2003 e DPR n. 380 del 2001). Infatti, in applicazione del principio di legalità dell’azione amministrativa ciascuna amministrazione può esercitare soltanto i poteri espressamente previsti dalla legge e secondo le modalità da questa previste. E ciò tanto più ove si tratti – come nella specie – di incidere su attività economiche: a) in via di principio soggette a (parziale) liberalizzazione (citato art. 1 della legge n. 239 del 2004); b) ritenute fondamentali per il raggiungimento di obiettivi di politica ambientale fissati a livello comunitario (direttiva 2001/77/CE, la quale prevede inoltre la riduzione di qualsivoglia ostacolo normativo) e ancor prima a livello internazionale (v. Protocollo di Kyoto).

In questa prospettiva, il provvedimento inibitorio si appalesa anzi oltremodo posto in violazione di principi fondamentali di semplificazione stabiliti dalla legislazione statale in materia di energia (d.lgs. n. 387 del 2003), la quale prevede termini perentori (in particolare, 180 gg. per gli impianti superiori ad 1 MW e 30 gg. per quelli di potenza inferiore) per la conclusione dei relativi procedimenti amministrativi, sì da non tollerare una loro sospensione non solo ad tempus (cfr. Corte cost., sent. n. 364 del 2006) ma anche, ed anzi a maggior ragione, sine die (visto che nella specie non viene indicato un termine entro il quale adottare l’atto regolamentare).

La specifica censura deve quindi essere accolta, anche con riferimento alla lamentata violazione dei principi di semplificazione imposti dalla legislazione di settore.

3. Da tale accoglimento discende l’illegittimità della nota in data 19 maggio 2008, con la quale si inibisce in sostanza l’intervento, e della successiva nota del 17 giugno 2008, con la quale si conferma – sempre nella sostanza – tale inibitoria; con la ulteriore conseguenza che, per effetto della rimozione dei predetti atti, ossia della loro eliminazione dal mondo giuridico con effetti ex tunc, deve ritenersi che, alla scadenza del termine di trenta giorni decorrente dalla presentazione della DIA (30 maggio 2008), il relativo titolo edilizio doveva ormai considerarsi già validamente formato. Ciò in quanto, al di là della pronunzia meramente soprassessoria come detto illegittima, la PA, nella due note citate, non ha riscontrato ulteriori fattori ostativi alla realizzazione dell’intervento, sulla base della normativa vigente alla data indicata (30 maggio 2008).

Pertanto, la nota del 17 luglio 2008, con la quale si invita la società ricorrente a presentare ulteriore documentazione, nonché a conformarsi alla delibere n. 13 e n. 14 del 19 giugno 2008, deve essere ritenuta anch’essa illegittima in quanto intempestiva (ossia intervenuta a titolo ormai formato) e comunque non adottata in forma di autotutela, come richiesto espressamente dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990.

Al riguardo, il termine di 30 giorni entro il quale l’amministrazione comunale può esercitare il potere inibitorio in relazione alla denuncia di inizio attività ex art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 è da ritenersi perentorio, sia per la certezza dei rapporti giuridici, sia perché la norma introduce nella peculiare fattispecie normativa (realizzazione di impianti di energia rinnovabile) una duplice limitazione temporanea: da un lato, allo jus aedificandi, che è facoltà attinente al diritto di proprietà; dall’altro lato, alla libera iniziativa privata in materia di attività energetica (art. 1, comma 2, legge n. 239 del 2004).

Prima la giurisprudenza e poi il legislatore (legge n. 80 del 2005) hanno inoltre stabilito che, una volta decorsi i termini previsti dall’art. 23 TUED, all’amministrazione residua unicamente l’attivazione del procedimento di autotutela secondo i criteri ed i parametri stabiliti al riguardo dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990.

Circa l’esercizio di siffatto potere non v’è tuttavia traccia nei provvedimenti qui impugnati: avuto riguardo al loro specifico contenuto è infatti evidente come il Comune abbia tardivamente esercitato proprio quel controllo sul progetto che l’ordinamento colloca – come già detto – perentoriamente in una fase precedente alla formazione del titolo edilizio.

In altre parole, la rappresentazione delle ulteriori cause ostative, formulate in data 17 luglio 2008, è stata intempestivamente posta in essere solo dopo la chiusura per silentium della fase istruttoria, ossia allorquando il titolo edilizio doveva ritenersi già positivamente assentito.

Alla luce di quanto appena affermato, le censura in esame deve essere accolta, conseguendone la illegittimità della nota in data 17 luglio 2008, nella parte in cui richiede la produzione di ulteriori certificazioni e nulla osta, nonché il rispetto delle due delibere comunali concernenti, peraltro, il versamento del contributo ambientale.

4. Valutata in questi termini l’illegittimità dei provvedimenti in data 19 maggio 2008, 17 giugno 2008 e, soprattutto, della nota in data 17 luglio 2008, ed essendo il titolo edilizio – come ampiamente detto – già validamente formatosi al momento della adozione delle due delibere comunali n. 13 e n. 14 del 19 giugno 2008, ne deriva che, in ossequio al principio tempus regit actum, le medesime delibere non possono ritenersi applicabili al caso di specie. E ciò a tacere della sicura illegittimità della previsione di una forma di ristoro ambientale unilateralmente e indiscriminatamente disposta dall’amministrazione comunale, laddove la legge n. 239 del 2004, nel collocare tale competenza unicamente in capo a Stato e Regioni, subordina l’adozione di tali misure al ricorrere di determinati presupposti, dati dalla presenza di concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale ed ambientale (cfr. Cons. Stato, sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2849).

4. Per tutte le considerazioni esposte il ricorso è fondato e deve essere accolto. Per l’effetto, debbono essere annullate la comunicazione n. 7908 del 19 maggio 2008, la determinazione n. 9575 del 17 giugno 2008 e la nota n. 11619 del 17 luglio 2008.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1187/2008, lo accoglie e per l’effetto annulla:

1. la comunicazione n. 7908 del 19 maggio 2008;
2. la determinazione n. 9575 del 17 giugno 2008;
3. la nota n. 11619 del 17 luglio 2008.

Liquida le spese del presente giudizio in euro 2.500 (duemilacinquecento), oltre IVA e CPA, da porre integralmente a carico dell’amministrazione soccombente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 3 dicembre 2008.

Aldo Ravalli – Presidente

Massimo Santini – Estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 15 gennaio 2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce 54/2009

Composto dai Signori Magistrati:

Aldo Ravalli Presidente

Ettore Manca Primo Referendario

Massimo Santini Referendario est.

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso n. 1252/2008 presentato dalla sig.ra Alessia Crespi, rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Gabellone presso il cui studio in Lecce alla Corte dei Lubelli n. 1 è elettivamente domiciliata;

contro

il Comune di Matino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. M. Alberto Grimaldi presso il cui studio in Lecce alla via G. Oberdan n. 43 è elettivamente domiciliato;

per l’annullamento

della nota n. 7986 in data 19 maggio 2008 del Comune di Matino con cui si ordina di non effettuare l’intervento diretto alla realizzazione di un aerogeneratore di potenza inferiore ad 1 MW.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale, resistente;

Visti tutti gli atti di causa;

Designato alla pubblica udienza del 3 dicembre 2008 il relatore Massimo Santini, referendario, uditi altresì De Pascalis, in sostituzione dell’Avv. Gabellone, per il ricorrente, e l’Avv. Grimaldi per il Comune resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente ha presentato in data 21 aprile 2008 denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 e della legge Regione Puglia n. 1 del 2008, per la realizzazione di un aerogeneratore di potenza pari a 900 KW.

In data 19 maggio 2008 il Comune di Matino comunicava l’ordine di non effettuare l’intervento in quanto per le edificazioni nella predetta area (zona omogenea E/4 semirurale estensiva) è necessario un piano esecutivo di secondo grado ai sensi del programma di fabbricazione. Inoltre l’amministrazione è sprovvista di piano regolatore degli impianti eolici (c.d. PRIE) per l’individuazione delle aree ove collocare tali strutture.

La società interponeva dunque ricorso giurisdizionale per i seguenti motivi:

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del DPR n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia), in quanto il provvedimento inibitorio è stato notificato oltre il termine perentorio di trenta giorni previsto dalla indicata disposizione affinché si formi validamente il titolo edilizio;
2. Violazione dell’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 2003 e difetto di motivazione, in quanto la zonizzazione in area agricola di detti impianti è direttamente prevista dalla legislazione sia statale, sia regionale (art. 27 della legge regione Puglia n. 1 del 2008);
3. Violazione del regolamento regionale n. 16 del 2006, il quale non subordina la realizzazione di tali impianti alla adozione del PRIE.

Si è costituito in giudizio il Comune di Manduria eccependo, in particolare, che:

1. l’ordine di non effettuare l’intervento è stato tempestivamente adottato;
2. l’area non è propriamente qualificabile come agricola, essendo piuttosto destinata a residenze turistiche.

Alla udienza del 3 dicembre 2008 i rispettivi procuratori delle parti costituite rassegnavano le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

01. Il ricorso è infondato nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta che l’ordine di non effettuare l’intervento sia stato notificato tardivamente, oltre i trenta giorni previsti dall’art. 23 del DPR n. 380 del 2001, ossia allorquando il titolo edilizio doveva ritenersi già formato.

In particolare: la DIA è stata presentata il 21 aprile 2008; l’ordine di non effettuare l’intervento è stato adottato il 19 maggio 2008 (entro i trenta giorni); l’ordine è stato comunicato con protocollo di uscita del 21 maggio 2008 (ancora entro i trenta giorni); la notifica dell’ordine è infine avvenuta il 22 maggio 2008 (fuori i trenta giorni).

Occorre stabilire, al riguardo, se la scadenza del termine (perentorio) di trenta giorni previsti per l’eventuale intervento inibitorio della PA coincida con l’esito delle istruttoria (o meglio del processo decisionale) oppure con il momento in cui il relativo ordine sia effettivamente portato a conoscenza del privato istante: in altre parole, se il dies ad quem sia quello dell’adozione del provvedimento oppure l’altro della avvenuta notifica.

L’art. 23, comma 6, del DPR n. 380 del 2001, prevede che “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 (ndr: trenta giorni) sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento”.

Sul piano letterale, è agevole osservare come il termine di trenta giorni entro il quale la PA si deve perentoriamente attivare riguardi il momento della decisione (ossia quello in cui deve riscontrare l’eventuale assenza delle condizioni previste dalla normativa vigente) piuttosto che quello della notifica.

Allo stesso modo, anche sul piano logico e sistematico il collegio ritiene che alla PA, per ragioni di buon andamento, sia assegnato a tal fine (controllo dei requisiti di legge) un termine pieno, e non “monco” (ossia di fatto inferiore a trenta giorni) come quello che alla stessa sarebbe inevitabilmente riservato se, alla scadenza indicata dalla legge, si dovesse procedere sia alla istruttoria della pratica ed alla relativa (eventuale) decisione inibitoria, sia alla materiale notificazione della predetta decisione.

In questa direzione, è sufficiente che nel termine perentorio di trenta giorni l’ordine sia stato adottato e, tutt’al più, inviato, mentre la notifica (ossia la materiale conoscenza dell’ordine da parte del privato istante) può ragionevolmente avvenire, in considerazione degli ordinari tempi tecnici, anche successivamente a tale termine.

Tale impostazione è peraltro coerente con quanto stabilito dalla Corte costituzionale a proposito della notifica di atti giudiziari, ove si è affermato che

la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario anziché a quella, successiva, di ricezione dell’atto da parte del destinatario antecedente.

Sarebbe infatti palesemente irragionevole che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di un’attività riferibile non al notificante, ma a soggetti diversi (l’ufficiale giudiziario, l’agente postale oppure il messo comunale, come nella specie), e perciò del tutto estranea alla sfera di disponibilità del primo.

Gli effetti della notificazione (ritiene il collegio anche laddove si tratti di atti amministrativi con effetti restrittivi della sfera giuridica del destinatario) devono dunque essere ricollegati, per quanto riguarda il notificante, al solo compimento delle attività a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare al soggetto a ciò preposto (cfr. in termini, Corte cost., 26 novembre 2002, n. 477).

Alla luce di quanto testè affermato, l’ordine di non effettuare l’intervento deve dunque ritenersi tempestivamente adottato, atteso che la decisione è stata prima adottata il 19 maggio, e poi inviata il successivo 21 maggio, ossia entro i trenta giorni previsti dalla legge.

Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato.

02. In ordine ai due ulteriori motivi di ricorso, anche a voler ritenere fondato il motivo concernente l’assenza di obbligo, nel caso di specie, circa l’adozione del PRIE (l’art. 3, comma 1, del regolamento regionale n. 16 del 2006 prescrive, in effetti, che esso “si applica agli impianti eolici di potenza superiore a 60 kW, se costituiti da più di un aerogeneratore, e agli impianti eolici costituiti da un solo aerogeneratore di potenza superiore a 1 MW”), è in ogni caso condivisibile l’assunto dell’amministrazione comunale secondo il quale l’area non è da ritenersi propriamente agricola.

2. Si rammenta, al riguardo, che ai sensi dell’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 2003, nonché dell’art. 27, comma 2, della legge regionale n. 1 del 2008, ratione temporis applicabile, gli impianti di produzione di energia rinnovabile, tra cui anche le torri eoliche come quelle in esame, “possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici”.

In virtù di tale disposizione la ricorrente sostiene che, trattandosi di zona agricola (in particolare, zona omogenea E/4 semirurale estensiva), l’amministrazione non aveva motivo di opporre alcun ostacolo, ossia la necessaria attivazione della procedura di lottizzazione dell’area, rinvenendosi tale idoneità urbanistica direttamente dalla legge.

Occorre al riguardo stabilire se nella specie si tratti o meno di area effettivamente destinata ad attività agricole.

A ben vedere, si ritiene di condividere la tesi della difesa comunale secondo cui la necessità di approvare, preliminarmente alla realizzazione dell’impianto in questione, un piano esecutivo di secondo livello (piano particolareggiato), è dettata dalla peculiare destinazione urbanistica dell’area, finalizzata per lo più allo sviluppo turistico e dove già di fatto esiste un diffuso tessuto edilizio costituito da residenze estive.

Sussistono infatti una serie di elementi in base ai quali la suddetta area non può essere qualificata come zona agricola in senso proprio.

Al riguardo, l’art. 21 delle NTA definisce come zona agricola quella: a) formata dalle superfici residue a tutte le altre destinazioni indicate nel territorio; b) destinata alla pratica di colture produttive ed alla zootecnia; c) ove l’indice di fabbricabilità è pari a 0,03 mq/m2.

Al contrario l’art. 20 delle stesse NTA, applicabile all’area in questione (semirurale estensiva), prevede: a) l’assenza di residualità, in quanto la disciplina d’uso è puntuale e specifica; b) la possibilità di realizzare villette unifamiliari in modo del tutto scollegato dall’esercizio di attività agricole; c) un indice di fabbricabilità fondiario pari a 0,20 mq/m2, ossia sette volte superiore (0,03) rispetto a quello previsto dal DM 1444/1968 per le zone agricole propriamente dette.

In conclusione può ritenersi che l’area ha una destinazione residenziale del tutto svincolata dall’esercizio delle pratiche agricole, trattandosi in sostanza di zona destinata a residenze rurali ad espressa valenza turistica.

La specifica censura non può dunque trovare ingresso.

3. Per tutte le considerazioni esposte il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1252/2008, lo rigetta.

Liquida le spese di giudizio in euro 2.500 (duemilacinquecento), oltre IVA e CPA, da porre integralmente a carico della parte soccombente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 3 dicembre 2008.

Aldo Ravalli – Presidente

Massimo Santini – Estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 15 gennaio 2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia di Lecce 53/2009

composto dai Signori:

Aldo Ravalli Presidente

Luigi Viola Consigliere

Massimo Santini Referendario, relatore

ha pronunciato la presente
SENTENZA

Sul ricorso n. 804/2007 presentato dalla ITALMARE s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Italo Milelli, rappresentata e difesa dall’Avv. Bartolo Ravenna ed elettivamente domiciliata in Lecce alla via Augusto Imperatore n. 16 presso lo studio dell’Avv. Giovanni Pellegrino;

contro

il Comune di Gallipoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Francesca Traldi ed elettivamente domiciliato presso la segreteria di questo tribunale amministrativo,

per l’annullamento

1. della nota in data 19 aprile 2007, n. 19462, con cui il dirigente dell’UTC del Comune di Gallipoli ha rigettato l’istanza per ottenere il permesso di costruire una passerella di legno all’interno del porto di Gallipoli;
2. di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi ricompreso il preavviso di rigetto in data 20 marzo 2007;

nonché, con atto di motivi aggiunti

3. della nota n. 16482 in data 13 marzo 2008 con cui lo stesso dirigente conferma il predetto diniego;
4. del provvedimento interno di indirizzo in data 31 ottobre 2007;
5. della relazione dirigenziale in data 11 marzo 20008;
6. del preavviso di rigetto in data 7 gennaio 2008;

nonché, con ulteriori motivi aggiunti

7. della nota in data 28 aprile 2008, n. 24365 del medesimo dirigente con cui viene ulteriormente confermato il diniego di cui sopra;

Visti il ricorso e gli atti di motivi aggiunti con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale, resistente;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti di causa;

Designato alla pubblica udienza del 19 novembre 2008 il relatore Massimo Santini, referendario, e uditi altresì l’Avv. Ravenna per il ricorrente e l’Avv. Traldi per l’amministrazione resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO

La società ricorrente è una impresa nautica che intende ottenere la concessione demaniale di un tratto di banchina e antistante specchio acqueo, interno al porto di Gallipoli, per la costruzione di una passerella di 50 mt di lunghezza per 1,5 mt di larghezza, ove attraccare imbarcazioni realizzate dalla stessa e da mettere a disposizione, a scopo di collaudo, dei clienti che intendono acquistarle.

Il relativo iter veniva avviato, sin dal 2004, dalla competente Capitaneria di Porto, la quale acquisiva una serie di pareri favorevoli ad eccezione del Comune di Gallipoli, il quale con nota in data 1° settembre 2004, in presenza di molteplici richieste in tal senso, rinviava la questione ad una futura programmazione delle strutture da dedicare alla nautica.

Tale parere veniva confermato con nota del 2 settembre 2005.

Dopo avere acquisito anche il nulla osta paesaggistico da parte della competente Soprintendenza statale, la Capitaneria di Porto – ritenuti favorevoli i due pareri in precedenza espressi dal Comune di Gallipoli – sollecitava a quest’ultimo il rilascio del permesso di costruire, esprimendo al tempo stesso dichiarazione di disponibilità al rilascio della suddetta concessione.

Con nota in data 20 marzo 2007, il Comune di Gallipoli comunicava il preavviso di rigetto in quanto:

1. l’intervento non può qualificarsi come punto di ormeggio;
2. l’opera che si intende realizzare è in ogni caso contrastante con il PRG aapprovato sulla base delle prescrizioni regionali.

Dopo le osservazioni di parte, con nota in data 19 aprile 2007 il Comune di Gallipoli confermava il parere negativo.

La società ha interposto ricorso per i seguenti motivi:

1. Violazione del DPR n. 509 del 1997, nella parte in cui nega la qualificazione dell’intervento come “punto di ormeggio”;
2. Violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, nella parte in cui il provvedimento definitivo si è limitato a confermare le ragioni del diniego senza replicare alle osservazioni svolte dalla ricorrente nella propria memoria partecipativa;
3. Difetto di motivazione in ordine all’asserito contrasto con le norme di piano, anche in riferimento al parere contrario della Regione Puglia. Ed infatti, non viene puntualmente individuata la ragione di tale difformità, considerato peraltro che tale area è attualmente priva di normazione (la scadenza delle misure di salvaguardia e lo stralcio regionale del progetto dell’area come porto turistico assoggetterebbero la stessa alla disciplina delle c.d. “zone bianche”).

Questa sezione accoglieva l’istanza cautelare con ordinanza n. 536 in data 13 giugno 2007, ritenuto che l’intervento è da qualificare come punto di ormeggio e non approdo turistico.

Poiché il comune non ottemperava all’ordinanza, con successivo provvedimento n. 1129 del 21 novembre 2007 ne è stata ordinata l’esecuzione da parte di questo stesso TAR.

A fronte della persistente inerzia comunale, il ricorrente proponeva nuovo ricorso per l’esecuzione delle predette pronunzie cautelari. Questo Tribunale, considerato che con comunicazione in data 7 gennaio 2008 l’amministrazione comunale aveva riavviato il procedimento istruttorio diretto alla definizione della vicenda, ordinava al Comune di Gallipoli, con decisione n. 139 del 20 febbraio 2008, di fornire chiarimenti in merito agli adempimenti sino a quel momento posti in essere in attuazione delle predette ordinanze, assegnando a tal fine il termine di trenta (30) giorni.

Il Comune emanava allora un nuovo provvedimento negativo, in data 13 marzo 2008, in cui si evidenziava: a) l’esigenza di acquisire, prima del permesso di costruire, la concessione demaniale; b) l’inesistenza di una disciplina urbanistica dell’area in oggetto, sia per quanto riguarda il PRG vigente, sia in relazione a quello non ancora entrato in vigore; c) il parere regionale, in sede di approvazione del nuovo PRG, era risultato contrario alla realizzazione su quell’area di un porto turistico, in quanto non idonea alla realizzazione di strutture per la nautica; d) la necessità di una futura programmazione settoriale attraverso specifica pianificazione di secondo livello. Con la stessa nota si evidenziava che l’intervento poteva in effetti essere considerato come punto di ormeggio.

La società ricorrente proponeva nuovi motivi aggiunti avverso l’atto da ultimo richiamato, affermando in particolare che l’intervento non è ricollegabile alle strutture per la nautica da diporto, oggetto di esame da parte del parere regionale.

Si costituiva in giudizio il Comune di Gallipoli, la cui difesa poneva in evidenza che era in ogni caso necessario procedere, preliminarmente, alla approvazione del piano particolareggiato dedicato alle strutture per la nautica.

Questo Tribunale, con ordinanza n. 289 del 16 aprile 2008, accoglieva anche la ulteriore istanza cautelare sulla base delle seguenti considerazioni: a) la valutazione su quale tra i diversi usi del bene si presenti più proficuo e conforme all’interesse della collettività rientra, nel caso di specie, tra i poteri discrezionali attribuiti all’autorità marittima e non all’amministrazione comunale (la quale si esprime sui soli aspetti urbanistici). E ciò in quanto il trasferimento di competenze non era ancora avvenuto a quella data; b) la valutazione circa la compatibilità urbanistica dell’intervento è propedeutica rispetto all’eventuale rilascio della concessione demaniale, ragione per cui non appare fondata l’eccezione del Comune relativa alla previa necessità di procurarsi, anche a tale fine, il titolo concessorio; c) l’asserito contrasto dell’intervento proposto con i vigenti strumenti urbanistici non appare, allo stato, sorretto da adeguata e congrua motivazione, atteso che gli obiettivi perseguiti dalla società ricorrente sembrano direttamente connessi a finalità imprenditoriali piuttosto che turistiche. Nel sospendere il provvedimento impugnato, ordinava dunque all’amministrazione comunale di pronunziarsi con provvedimento espresso entro trenta giorni.

Con provvedimento in data 29 aprile 2008, il Comune confermava in sostanza la precedente posizione, rilevando in particolare che: a) la nota in data 3 maggio 2006 della Capitaneria di Porto riteneva erroneamente favorevole il parere di compatibilità urbanistica espresso dallo stesso comune tra il 2004 ed il 2005; b) il parere 9 ottobre 2007 della Regione Puglia avrebbe escluso la “realizzazione di strutture per la nautica”, senza distinguere tra finalità turistiche ed imprenditoriali.

Alla pubblica udienza del 19 novembre 2008 le parti rassegnavano le proprie conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Le questioni che il collegio è chiamato a risolvere sono le seguenti:

1. Definire il giusto rapporto tra parere di compatibilità urbanistica, concessione demaniale e permesso di costruire, anche alla luce degli atti adottati dalla Capitaneria di Porto e dal Comune di Gallipoli;

2. Valutare se l’intervento in parola è qualificabile o meno come punto di ormeggio;
3. Quali sia la portata del parere regionale in sede di approvazione del PRG del Comune di Gallipoli;
4. Quali siano le conseguenze della mancata normazione dell’area, nonché della mancata approvazione del piano particolareggiato;
5. Infine, se vi sia stato difetto di motivazione, soprattutto con riferimento alla violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990.

1. Sulla prima questione, relativa al rapporto tra concessione demaniale ed aspetti urbanistici, si osserva che, pur aderendo all’orientamento che distingue i due istituti amministrativi sul piano funzionale (concessione demaniale e licenza edilizia sono infatti autonomi e distinti, rispondendo a diverse e separate finalità pubblicistiche), sul piano procedimentale deve inevitabilmente sussistere, in ogni caso, una fase di stretto coordinamento nell’esercizio dei relativi poteri, in applicazione dei noti principi di economicità e concentrazione dell’azione amministrativa.

Si ritiene al riguardo che, qualora l’amministrazione deputata al rilascio della concessione demaniale – al momento della proposizione del ricorso, senz’altro, la Capitaneria di Porto – opti per un procedimento non sincronico (ossia in conferenza di servizi, ove si assiste alla contestuale valutazione e decisione sui diversi interessi pubblici coinvolti, ivi ricompresi quelli urbanistici e quelli demaniali) ma di tipo diacronico, le valutazioni circa la compatibilità urbanistica (e non il rilascio della licenza in senso formale, si intende) debbano in ogni caso essere acquisite prima della decisione sul rilascio della concessione demaniale (cfr. la richiamata ordinanza di questa sezione n. 289 del 16 aprile 2008).

Dette valutazioni si pongono infatti alla stregua degli altri pareri previsti dal regolamento di esecuzione del codice della navigazione (genio civile, dogane, finanze) e discendono, come affermato da parte della giurisprudenza (cfr. TAR Catania, 17 maggio 2007, n. 845), da quanto previsto dalla legge n. 765 del 1967, che sul punto aveva provveduto a modificare l’art. 31 della legge fondamentale urbanistica.

E ciò per consentire all’autorità marittima di provvedere sulla richiesta di concessione demaniale nella piena consapevolezza delle possibilità legali e dei vincoli eventualmente esistenti per la realizzazione delle opere da realizzare sul suolo demaniale.

D’altra parte, un provvedimento concessorio rilasciato in assenza di valutazioni (o meglio pareri) circa la conformità urbanistica degli interventi da realizzare, potrebbe configurarsi alla stregua di atto privo di un elemento essenziale, e in particolare della finalità in concreto perseguita (lo scopo ultimo, che nel caso di specie consiste per l’appunto nella realizzazione della passerella).

Diverso è il discorso per quanto riguarda la formalizzazione stricto sensu del permesso di costruire che, a norma dell’art. 11 del DPR n. 380 del 2001 (in cui è confluita la disposizione di cui all’art. 4 della legge n. 10 del 1977), postula la presenza di un titolo (altrettanto formale) da cui si evinca la disponibilità dell’area.

Salvo naturalmente, come già detto, non si sia fatto regolarmente ricorso alla conferenza di servizi, all’esito della quale il provvedimento è unico e comprende sia la concessione demaniale, sia il permesso di costruire.

Tanto premesso, si rileva come nella specie l’operato della Capitaneria di Porto, ed in particolare la nota in data 3 maggio 2006, denoti in effetti qualche ambiguità, atteso che da un lato ha erroneamente ritenuto favorevole il parere comunale reso il 1° settembre 2004 (poi confermato il 2 settembre 2005), che rivestiva al contrario natura meramente soprassessoria (si chiedeva infatti una programmazione di settore prima di procedere al rilascio delle varie licenze); dall’altro lato, ha preteso il titolo edilizio prima del rilascio della concessione demaniale.

Non potendo obliterare in questo modo il parere soprassessorio (dunque sicuramente non favorevole) del comune, la Capitaneria di Porto avrebbe dovuto quanto meno reiterare la richiesta di parere di compatibilità urbanistica, che è cosa ben diversa dal rilascio del titolo, oppure confutare motivatamente i medesimi pareri (come detto soprassessori) sino ad allora rilasciati dal comune stesso.

Ciò che nella specie non si è verificato: pertanto, occorre riqualificare in termini sostanziali l’attività amministrativa posta in essere dalla Capitaneria nel senso di considerare la citata nota del 3 maggio del 2006 alla stregua di richiesta di ulteriore “parere”, e non di rilascio del titolo edilizio.

In questa sede occorrerà allora valutare la legittimità degli ulteriori “pareri” (così come tali atti debbono essere riqualificati), rispettivamente adottati dal Comune in data 19 aprile 2007, 13 marzo 2008 e 28 aprile 2008, esclusivamente sul piano della compatibilità urbanistica dell’intervento.

E tanto in considerazione dell’autonoma capacità lesiva che tali pareri possono assumere, per la loro rilevanza, all’interno del richiamato procedimento concessorio.

2. Quanto al motivo di ricorso riguardante la qualificazione dell’intervento alla stregua di punto di ormeggio, l’amministrazione comunale ha già mostrato di condividere tale impostazione.

Qui ci si limita ad affermare che, come del resto evidenziato dal Ministero dei trasporti e della navigazione nella circolare n. 17 del 27 settembre 2000, né il criterio della localizzazione né quello della caratteristica tecnica delle opere sono sufficienti a distinguere l’approdo turistico dal punto d’ormeggio.

Da un lato, infatti, è ipotizzabile la realizzazione di un punto d’ormeggio all’interno di un ambito portuale; dall’altro lato, la tecnologia e la scienza delle costruzioni hanno raggiunto livelli di affinamento tali da rendere ipotizzabile la realizzazione di approdi turistici con il solo utilizzo di strutture di facile e pronta rimozione.

I due criteri sopra ricordati devono in realtà porsi a completamento e sussidio di quello che costituisce il vero criterio di differenziazione: si tratta di un criterio funzionale, che trova fondamento nell’art. 2, comma 1, del DPR n. 509 del 1997, laddove porti ed approdi turistici [lettere a) e b)] sono caratterizzati, da un lato, dall’apprestamento di servizi complementari rispetto al mero ormeggio e ricovero; dall’altro lato, i punti di ormeggio [lettera c)] sono invece destinati ai soli natanti ed alla piccole imbarcazioni che godono al contrario di servizi per così dire “minimi” (guardiania, ormeggio, acqua e luce).

In sostanza, gli approdi turistici, se normalmente comportano la realizzazione di impianti di difficile rimozione, nondimeno gli stessi possono essere realizzati con impianti amovibili (che sfruttino ad esempio la protezione offerta dalle opere marittime già esistenti). L’indice presuntivo di tale qualificazione sarà dunque dato non dalla amovibilità o meno degli impianti, bensì dalla presenza di servizi complementari alla nautica da diporto, quali assistenza tecnica, riparazione, esercizi commerciali, a servizio – in linea teorica – di qualunque categoria di unità di diporto.

Alla stregua di quanto sopra affermato, si deve così ritenere che nel caso di specie, trattandosi di aspetti meramente strumentali all’attività cantieristica esercitata dalla società ricorrente (collaudo imbarcazioni), l’intervento ipotizzato è senz’altro da annoverare quale punto di ormeggio, non essendo a tal fine previsti ulteriori servizi complementari quali quelli in precedenza enucleati.

Il motivo di ricorso deve dunque essere accolto per difetto di istruttoria ed erroneità dei presupposti.

3. Per quanto attiene all’asserita posizione negativa della Regione Puglia, l’amministrazione comunale sostiene che nell’atto di approvazione del PRG l’area in questione sarebbe stata ritenuta inidonea per la “realizzazione di strutture per la nautica”: di qui l’impossibilità di distinguere tra finalità turistica e imprenditoriale.

Tale assunto non trova tuttavia conferma nella richiamata deliberazione della giunta regionale 9 ottobre 2007, n. 1613, ove a ben vedere si fa esclusivo riferimento alla possibilità di localizzare, in quella stessa zona, un porto turistico; struttura questa che ovviamente possiede caratteristiche costruttive e finalità ben diverse da una passerella, qualificabile come visto alla stregua di punto di ormeggio.

Il porto turistico comporta infatti per la Regione deprecabili sbancamenti e massicci interventi, peraltro in una zona di notevole valore paesaggistico. Né è stato considerato, a tal fine, il complesso rapporto tra utenti e servizi portuali.

Stralciata l’ipotesi di porto turistico (in quanto massiccio ed invasivo), la posizione della Regione non sembra tuttavia implicare, altresì, l’intangibilità in assoluto dell’area: essa non sembra infatti escludere qualsivoglia altro intervento – di minore impatto, si intende – da realizzare su quella stessa area, compatibilmente con quei valori paesaggistici che nella specie risultano peraltro rispettati (si veda il parere positivo della Soprintendenza statale).

In questa prospettiva, l’intervento proposto (passerella) si distingue nettamente dal modello organizzativo e funzionale di porto turistico, sia per le sue minori dimensioni fisiche, sia per le esigenze ad esso sottese che non dipendono dalla consistenza dei flussi turistici quanto, piuttosto, dalla capacità imprenditoriale della società cantieristica, ossia dal flusso dei potenziali clienti.

A tale riguardo si consideri, infatti, la differenza che intercorre tra la finalità turistica della nautica da diporto e quella industriale della odierna ricorrente.

Seguendo l’impostazione del comune, invece, l’intervento suddetto continuerebbe ad essere in sostanza ritenuto alla stregua di porto turistico e non di semplice punto di ormeggio.

In conclusione lo specifico motivo di ricorso merita accoglimento stante l’erronea valutazione dei presupposti operata dall’amministrazione comunale.

4. In merito alla assenza di normazione dell’area interessata dall’intervento, e dunque sulla necessità di una previa programmazione delle strutture per la nautica, si rileva:

a) in primo luogo, che la mancanza di un piano particolareggiato o di altro strumento attuativo non può essere legittimamente invocata ad esclusivo fondamento di un eventuale diniego di concessione edilizia, potendosi giustificare la reiezione soltanto nel caso in cui la amministrazione possa dimostrare che di tali strumenti attuativi vi sia effettiva necessità a causa dello stato di insufficiente urbanizzazione primaria e secondaria della zona. Pertanto l’assenza di strumenti urbanistici attuativi non può costituire ragione idonea, da sola, a correggere il diniego al rilascio della concessione edilizia (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 29 gennaio 2000, n. 470);

b) in secondo luogo, che anche in assenza di strumenti urbanistici di primo livello non è vietato il rilascio di concessioni edilizie qualora l’intervento ipotizzato: da un lato, risulti compatibile con le caratteristiche della zona in cui esso si inserisce. Si consideri al riguardo che altri interventi similari, se non di dimensione più ampia, sono stati già assentiti (si veda la documentazione fotografica e di stampa in atti); dall’altro lato, garantisca il rispetto degli indici di cui all’art. 9 del DPR n. 380 del 2001 che nella specie, considerate le dimensioni della struttura, risultano peraltro adeguatamente rispettati.

Sembra dunque poter trovare applicazione, nella specie, la disciplina delle c.d. zone bianche, in merito alle quali – come correttamente evidenziato dalla difesa della ricorrente – è sufficiente operare un giudizio di compatibilità, piuttosto che di conformità in senso stretto.

Anche in merito a tali profili le censure sollevate sono meritevoli di accoglimento.

5. In ultimo non resta che evidenziare la violazione degli articoli 3 e 10-bis della legge n. 241 del 1990, atteso che in alcuno dei provvedimenti qui impugnati l’amministrazione comunale ha provveduto a controdedurre alle osservazioni formulate in data 28 marzo 2007, dall’odierna ricorrente, all’interno del procedimento amministrativo. Osservazioni che peraltro (punto di ormeggio, parere regionale sul PRG, assenza di formazione dell’area) coincidono in sostanza con quelle qui proposte e ritenute complessivamente fondate.

6. Per tutte le ragioni che precedono, il ricorso in epigrafe indicato deve essere accolto. Per l’effetto, vanno annullate le note n. 13163 del 20 marzo 2007, n. 19462 del 19 aprile 2007, n. 16482 del 13 marzo 2008 e n. 24365 del 28 aprile 2008.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 804/2007, lo accoglie e, per l’effetto, annulla le note:

1. n. 13163 del 20 marzo 2007;
2. n. 19462 del 19 aprile 2007;
3. n. 16482 del 13 marzo 2008;
4. n. 24365 del 28 aprile 2008.

Liquida le spese in euro 3.000 (tremila), oltre IVA e CPA, da porre a carico dell’amministrazione soccombente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del 19 novembre 2008.

Aldo Ravalli – Presidente

Massimo Santini – Estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 15 gennaio 2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it