Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 84/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 63 del 2008 proposto da L’Abetaia di Barbetti Guglielmina in Mora S.a.s., rappresentata e difesa dall’avv. Gianpiero Luongo ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Trento, Via Serafini, 9

CONTRO

– il Comune di Monclassico (Trento), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Flavio Maria Bonazza ed elettivamente domiciliato lo studio dello stesso in Trento, piazza Mosna, 8;

– il Responsabile dell’Ufficio tecnico – Gestione associata – Bassa Val di Sole, non costituito in giudizio

per l’annullamento

1. del “provvedimento prot. n. 73/08 di data 7.1.2008, conosciuto in data 9.1.2008, di pretesa decadenza della concessione edilizia n. 060/04 di data 29.9.2005”;
2. della “comunicazione prot. n. 4137 di data 30.11.2007 di avvio del procedimento di decadenza della concessione edilizia e di ogni altro atto presupposto, consequenziale ed infraprocedimentale e, in particolare, del verbale di sopralluogo di data 29.11.2007, prot. n. 4130”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 12 marzo 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avv. Gianpiero Luongo per la parte ricorrente e l’avv. Flavio Maria Bonazza per l’Amministrazione comunale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. La ricorrente espone in fatto di essere proprietaria della p.f. 350 in località Novaline, C.C. Monclassico, il cui sottosuolo è attraversato dalla condotta idrica del Consorzio Acquedotto di Centonia. L’area è urbanisticamente ricompresa per la sua parte preponderante in zona residenziale di completamento e per la rimanente parte in area per parcheggi pubblici.

Ella assume, poi, che in data 29.9.2005 – prima dell’entrata in vigore della legge provinciale 11.11.2005, n. 16, che per la realizzazione di nuovi alloggi ha introdotto limitazioni in caso di loro destinazione per il tempo libero e vacanze – aveva ottenuto dall’Amministrazione comunale la concessione di edificare n. 060/2004 per eseguire i lavori di costruzione di due palazzine residenziali secondo il progetto allegato, parte integrante dell’atto. Il provvedimento è stato rilasciato con la seguente prescrizione “gli eventuali sottoservizi presenti nel lotto dovranno essere spostati previa autorizzazione dell’ente gestore a cura e a spese del concessionario”.

L’istante ha precisato che i lavori avrebbero avuto inizio il 27.9.2006, come da conforme dichiarazione depositata in Comune nello stesso giorno; che, successivamente, sarebbe stato apprestato il cantiere e che avrebbero avuto luogo i primi lavori di scavo; che avrebbe preso contatto il Presidente del Consorzio acquedotto di Centonia per concordare lo spostamento della diramazione dei sottoservizi.

Con nota datata 30.11.2007 l’Amministrazione ha comunicato l’avvio del procedimento per l’eventuale decadenza della concessione edilizia e in seguito, con il provvedimento del 7 gennaio 2008, ha statuito in tal senso sul presupposto che non vi sarebbe stato un effettivo inizio dei lavori per la realizzazione delle opere assentite nel termine prescritto per darvi inizio.

2. Con ricorso notificato in data 6.3.2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo giorno 21, la ricorrente ha impugnato il nominato provvedimento di decadenza, meglio specificato in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di diritto:

I – “violazione ed erronea applicazione dell’articolo 87 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22 – eccesso di potere per difetto di presupposti, per difetto di istruttoria, per travisamento dei fatti e per manifesta illogicità e grave contraddittorietà – omessa motivazione”. La deducente asserisce che la prescrizione apposta alla concessione costituirebbe una condizione sospensiva dell’efficacia del titolo abilitativo, sicché il termine di un anno prescritto per l’inizio dei lavori si sarebbe dovuto ritenere sospeso fino al conseguimento dell’autorizzazione allo spostamento della condotta interrata;

II – “violazione ed erronea applicazione dell’articolo 87, comma 6, della legge provinciale 5.9.1991, n. 22 – eccesso di potere per difetto di presupposti, per difetto di istruttoria, per travisamento dei fatti e per manifesta illogicità e grave contraddittorietà – omessa motivazione”, in quanto il Comune non avrebbe colto l’opportunità di concludere una convenzione perequativa per la realizzazione di un parcheggio pubblico di superficie sulla parte del fondo vincolata a tale scopo;

III – “violazione ed erronea applicazione dell’articolo 87 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22, in relazione agli articoli 10 e 10 bis della legge 7.8.1990, n. 241, e degli articoli 27 e 27 bis della legge provinciale 1992, n. 23, – sviamento ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, per manifesta illogicità ed ingiustizia, per aggravamento procedimentale e per violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa – omessa motivazione”, posto che l’Amministrazione avrebbe dovuto accertare la sussistenza dei fatti estranei alla volontà della titolare della concessione che fossero sopravventi a ritardare l’inizio dei lavori ed avrebbe dovuto altresì concedere la proroga richiesta per la presentazione delle controdeduzioni.

3. Nei termini di legge si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata, chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato nel merito.

4. In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno presentato memorie illustrative delle rispettive posizioni.

5. Alla pubblica udienza del 12 marzo 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

1. Con il ricorso in esame la società L’Abetaia di Barbetti Guglielmina ha impugnato il provvedimento del Comune di Monclassico con il quale è stata dichiarata la decadenza della concessione edilizia rilasciatale il 29 settembre 2005 per eseguire i lavori di costruzione di due palazzine residenziali sulla p.f. 350, nella parte che il piano regolatore ha classificato quale zona residenziale di completamento. Il provvedimento dichiarativo dell’intervenuta decadenza, del quale viene chiesto l’annullamento, è fondato sul presupposto che i lavori autorizzati non hanno avuto un effettivo inizio entro il prescritto termine di un anno dal rilascio del titolo concessorio.

2a. Con il primo motivo del ricorso la deducente afferma che il titolo abilitativo sarebbe stato sottoposto alla condizione sospensiva di efficacia dell’assenso da acquisire da parte di un terzo, sicché il termine di un anno per l’inizio dei lavori avrebbe dovuto decorrere soltanto dalla data dell’avvenuto conseguimento della necessaria autorizzazione da parte di quest’ultimo e, cioè, dal Consorzio Acquedotto di Centonia. Sul punto, in fatto, ella specifica che nel fondo di cui alla particella fondiaria interessata dal progettato intervento edilizio sono interrate le tubature della condotta idrica del ridetto Consorzio e che la concessione edilizia, su parere della Commissione edilizia comunale, conteneva la seguente prescrizione: “gli eventuali sottoservizi presenti nel lotto dovranno essere spostati previa autorizzazione dell’ente gestore a cura e spese del concessionario”. Si assume, inoltre, che l’Amministrazione comunale sarebbe stata a conoscenza dei contatti in corso con l’ente gestore dell’acquedotto, poi definitisi con il parere preventivo favorevole espresso dallo studio di ingegneria Betti & Vialli di data 22 novembre 2007 e inviato al Comune il successivo 26 novembre (cfr. documento n. 11 in atti di parte ricorrente).

2b. Il motivo è privo di pregio.

Osserva, in via preliminare, il Collegio che la tesi della ricorrente trova pacifica smentita nel fatto che essa ha dichiarato che i lavori avrebbero avuto inizio il 27.9.2006, come da comunicazione trasmessa all’ufficio tecnico del Comune lo stesso giorno.

Va in ogni caso premesso che il legislatore provinciale, che in materia gode di competenza esclusiva, ha previsto termini congrui per l’inizio e per la fine dei lavori, perseguendo l’evidente ratio di dare certezza ai tempi di svolgimento dell’attività edilizia.

La legge urbanistica provinciale 5.9.1991, n. 22, all’art. 87, ha, infatti, codificato, del tutto coerentemente con la legislazione nazionale, il termine per l’inizio del lavori, il quale deve “comunque avvenire entro un anno dal rilascio della concessione”, mentre il titolo ha durata di “tre anni dall’inizio del lavori”. Entrambi i termini presentano la stessa disciplina: possono essere prorogati, con provvedimento motivato, ma solo per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del concessionario e se, entro la scadenza degli stessi, i lavori non siano stati rispettivamente iniziati o ultimati occorre richiedere una nuova concessione. In tal senso, dunque, l’applicazione della proroga deve ritenersi di stretta interpretazione, derogando essa alla disciplina generale dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori assentiti dettata per assicurare tempi certi per l’attività di trasformazione del territorio.

Ne consegue che la decadenza del titolo è un effetto che discende direttamente dalla legge (ove si enuncia che, se i lavori non sono iniziati entro il termine, “il concessionario deve richiedere una nuova concessione”) e quindi dalla scadenza del relativo termine. In tal senso, questo Tribunale ha già escluso sia che la proroga possa essere richiesta dopo la scadenza del termine (cfr., T.R.G.A. Trento, 31.12.1996, n. 516), sia che sussista l’obbligo del Comune di adottare e comunicare all’interessato un provvedimento dichiarativo dell’avvenuta decadenza (cfr., T.R.G.A. Trento, 10.4.2006, n. 120), avendo quest’ultimo una valenza meramente dichiarativa di un effetto già costituitosi ope legis nell’ordinamento edilizio.

2c. Nel caso in esame, la concessione di edificare n. 060/2004 non era peraltro gravata da alcuna condizione sospensiva, essendo essa stata associata, in sede di rilascio, come da parere espresso dalla Commissione edilizia comunale, esclusivamente ad alcune prescrizioni di carattere sia esecutivo (la n. 1, riferita al manto di copertura e alla tinteggiatura) sia ricognitivo, usualmente impartite dall’Amministrazione nell’interesse del concessionario, quali precetti da osservare nell’espletamento dell’attività edificatoria. Fra queste ultime vi era quella che ricordava che la parte di area vincolata a parcheggio avrebbe dovuto mantenere le caratteristiche dimensionali previste nella cartografia del piano regolatore, ma anche quella che prescriveva che i sottoservizi dell’acquedotto consortile presenti sul lotto si sarebbero dovuti spostare prima di dar inizio alle opere edilizie, previa autorizzazione dell’ente gestore.

Proprio la natura di un tal genere di prescrizioni, volte alla puntualizzazione di alcune modalità con le quali l’attività edilizia si sarebbe dovuta svolgere, non può dunque incidere sulla decorrenza dei termini posti direttamente dalla legge per la durata dell’efficacia del titolo. Termini, peraltro, che sono stati anche declinati al punto 5 del provvedimento de quo, ove era testualmente prescritto che i lavori sarebbero dovuti iniziare entro il termine massimo di un anno dalla data del rilascio, ossia entro il 29.9.2006, e che si sarebbero dovuti concludere entro tre anni dall’inizio degli stessi. Il provvedimento puntualizzava poi, coerentemente con queste prescrizioni, che l’inosservanza dei termini avrebbe comportato la decadenza del titolo.

Il successivo comportamento inerte dei titolari della concessione ha pertanto determinato, ex lege, la decadenza della ridetta concessione.

Da un lato, infatti, risulta che l’attività posta in essere sul fondo non si sia concretizzata in un effettivo inizio dei lavori atto a precludere il costituirsi dell’effetto decadenziale. In tal senso, il comma 4 del già menzionato articolo 87 precisa che “per inizio dei lavori si intende la realizzazione di consistenti opere che non si riducano all’impianto del cantiere, all’esecuzione di scavi o di sistemazione del terreno o di singole opere di fondazione”; nel caso in questione emerge, infatti, con chiarezza dal sopralluogo effettuato da un tecnico dell’Amministrazione comunale in data 29 novembre 2007 (quindi dopo 2 anni e 2 mesi dal rilascio del titolo e dopo 1 anno e 2 mesi dalla comunicazione di inizio dei lavori), nonché dalla documentazione fotografica allegata, che il fondo di cui alla p.f. 350 era parzialmente recintato, che era stata ivi apposta la prescritta tabella di cantiere e che sul prato era in sosta un piccolo escavatore. Non era stato effettuato alcuno scavo né erano presenti in deposito materiali edili ed attrezzature di cantiere. Da ciò la conclusione che non c’era stato un effettivo intendimento della titolare della concessione volto a dare inizio con la suddetta attività alla costruzione assentita.

Da altro lato, è mancata una specifica istanza di proroga del termine di inizio lavori che la deducente avrebbe dovuto eventualmente presentare all’Amministrazione entro il 29 settembre 2006, allegando il verificarsi di fatti sopravvenuti estranei alla sua volontà che avrebbero ritardato l’inizio dell’attività edilizia. Infatti, in caso di presentazione di una domanda di proroga l’Amministrazione è tenuta a verificare e valutare l’esistenza di cause legittime di impedimento dedotte dall’interessato, restando comunque irrilevanti gli eventuali fattori soggettivi adotti a giustificazione del ritardo.

La completa inerzia mantenuta della titolare della concessione nell’anno successivo al suo rilascio è dunque conclamata, fatta salva, due giorni prima della scadenza di detto termine annuale, la presentazione della comunicazione di inizio lavori, peraltro dimostratasi non veritiera secondo le risultanze del sopralluogo avvenuto un anno e due mesi dopo. Anche per l’anno susseguente, tuttavia, detta carente volontà è dimostrata dalla circostanza che il progetto concernente un’ipotesi di spostamento delle tubature redatto dal tecnico di fiducia è stato inviato al Presidente dell’Acquedotto di Centonia solo in data 12.11.2007, ossia dopo più di 13 mesi dalla comunicazione di inizio dei lavori; e ciò senza che possa addebitasi alcun ritardo all’Amministrazione interpellata, la quale ha prontamente risposto il successivo giorno 22 novembre.

In definitiva, il motivo in esame deve essere respinto.

3. Con il secondo mezzo si afferma che l’Amministrazione comunale avrebbe manifestato l’intenzione di definire il contenuto di una convenzione perequativa avente ad oggetto la realizzazione di un parcheggio pubblico di superficie sulla restante parte della p.f. 350 vincolata a tale scopo: la Società ricorrente si sarebbe allora dichiarata disponibile a realizzare l’infrastruttura mantenendo però la proprietà del sottosuolo. Si denuncia, di conseguenza, che con l’avvio del procedimento di decadenza l’Amministrazione non avrebbe congruamente valutato l’elemento della necessità / opportunità di conseguire vantaggiosamente la nominata opera pubblica.

La doglianza è inammissibile e comunque infondata.

Invero, la difesa dell’Amministrazione comunale smentisce sia l’esistenza di un qualsiasi accordo in fieri strumentale al perfezionamento di una convenzione perequativa, così come di aver adottato provvedimenti che possano aver compresso le facoltà edificatorie assegnate alla ricorrente. E l’istante non ha fornito alcun riscontro probatorio a supporto sia delle argomentazioni svolte (tale infatti non può essere considerata la generica lettera pervenuta al Sindaco in data 2 ottobre 2007 nella quale il progettista ipotizzava la possibilità di realizzare un parcheggio interrato sottostante il parcheggio a raso), sia dell’esistenza di una necessaria interrelazione tra la messa in opera dell’autorizzato intervento edilizio sulla p.f. 350 e la realizzazione di un parcheggio pubblico sull’altra parte del terreno gravata dal relativo vincolo. Se la giurisprudenza amministrativa ha costantemente ribadito che il processo è informato dal principio acquisitivo, tale regola non trova applicazione nella presente sede di giurisdizione esclusiva, ove si controverte tra l’altro sulla persistente esistenza o meno dello ius aedificandi in capo alla deducente: dal che compete esclusivamente a quest’ultima provare i fatti o gli atti giuridici sui quali ella fonda la propria pretesa.

In ogni caso, vale sottolineare che, come puntualmente replica la difesa del resistente Comune, l’edificazione delle due palazzine residenziali in attuazione di una concessione edilizia regolarmente rilasciata non avrebbe potuto produrre alcun vincolo quanto alle future modalità di utilizzazione della parte di area vincolata a parcheggio pubblico.

4. Infine, con l’ultimo mezzo si deduce che il Comune avrebbe attivato il procedimento a seguito di una denuncia anonima e che il provvedimento conclusivo sarebbe fondato sulla situazione oggettiva esistente “al momento dell’attivazione” del procedimento medesimo, mentre non si sarebbero tenuti in considerazione gli elementi sopravvenuti idonei ad inibire l’effetto decadenziale. Inoltre, l’Amministrazione non avrebbe concesso la richiesta proroga al termine di trenta giorni assegnatole per la presentazione delle controdeduzioni.

Anche tale motivo non presenta alcun giuridico pregio.

Richiamate le argomentazioni sopra svolte che hanno portato a concludere come nella vicenda in esame non vi sia stato alcun elemento sopravvenuto idoneo ad incidere sull’obbligo legale di iniziare i lavori entro un anno dalla rilascio della concessione, il Collegio osserva che il provvedimento impugnato, preso atto del sopralluogo eseguito il 29 novembre 2007 che aveva riscontrato il dato obiettivo del mancato inizio dei lavori, si presenta come un atto dovuto, con effetti ex tunc, avente natura meramente ricognitiva di una realtà giuridica che era maturata ope legis per effetto del consumarsi dell’annualità dal rilascio della concessione edilizia senza un effettivo avvio delle opere.

Ciò è sufficiente a dimostrare l’infondatezza delle ulteriori censure, compresa quella riguardante la mancata concessione di una proroga al termine che il Comune aveva ritenuto di assegnare per la presentazione di eventuali controdeduzioni, la quale, in assenza di ogni allegazione in merito al diverso esito sul piano prognostico del rivendicato contraddittorio, presenta fondati profili di inammissibilità.

5. In conclusione, per le argomentazioni sopra esposte, il ricorso non è fondato e deve essere di conseguenza respinto.

Le spese del giudizio, in applicazione del principio della soccombenza, sono poste a carico della parte ricorrente e sono quantificate in dispositivo.

P. Q. M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 63 del 2008, lo respinge.

Condanna la società L’Abetaia di Barbetti Guglielmina in Mora al pagamento delle spese del giudizio che liquida in complessivi € 4.800,00 (quattromilaottocento) (di cui € 4.000 per onorari ed € 800 per diritti), oltre a I.V.A. e C.P.A. ed al 12,5% sull’importo degli onorari a titolo di spese generali.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 12 marzo 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 19 marzo 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 84/2009 Reg. Sent.

N. 63/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 82/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 265 del 2008 proposto dalla signora Mucaj Valbona, rappresentata e difesa dall’avv. Andrea Maria Valorzi ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Trento, via Calepina, 65

CONTRO

l’Amministrazione dell’Interno – Commissario del Governo per la Provincia di Trento, in persona del Ministro pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato di Trento, nei cui uffici in Largo Porta Nuova n. 9 è, per legge, domiciliata

per l’annullamento,

* del “decreto del Commissariato del Governo per la Provincia di Trento proc. W.A. N. 2008/1432 – Doc. N. 2008/16/20 di data 31.7.2008, pervenuto in data 2.8.2008, con cui è stata dichiarata l’istanza per la concessione della cittadinanza italiana presentata dalla ricorrente in data 5.2.2008”;
* di “ogni altro atto presupposto, infraprocedimentale e comunque connesso al suddetto decreto”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione statale intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 12 marzo 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avv. Andrea Maria Valorzi per la ricorrente e l’avvocato dello Stato Sarre Pirrone per l’Amministrazione resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. La ricorrente espone in fatto di essere cittadina albanese, di risiedere in Provincia di Trento dall’anno 1996 con dimora inizialmente presso il Comune di Trento, poi di Riva del Garda e quindi nuovamente di Trento, di essere in possesso dal 19.2.2003 della carta di soggiorno a tempo indeterminato e di svolgere una regolare occupazione come titolare del contratto per la conduzione della Buvette della Sala convegno unificata presso il Comando provinciale dei Carabinieri di Trento. Informa quindi che, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lettera f), della legge 5.2.1992, n. 91, in data 5.2.2008 ha presentato l’istanza per la concessione della cittadinanza italiana.

Con provvedimento proc. W.A. N. 2008/1432 – Doc. N. 2008/16/20 di data 31.7.2008, citato in epigrafe, il Commissario del Governo per la Provincia di Trento ha dichiarato detta istanza “improcedibile per difetto del requisito della residenza legale decennale”.

2. Con ricorso notificato in data 14 novembre 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo giorno 24, la ricorrente ha impugnato il provvedimento negativo, chiedendone l’annullamento e deducendo le seguenti censure in diritto:

I – “violazione e falsa applicazione dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992 – eccesso di potere per travisamento dei presupposti in relazione alla documentazione allegata alla domanda di cittadinanza comprovante la ininterrotta legale residenza decennale della ricorrente – in ogni caso difetto di istruttoria”. L’Amministrazione avrebbe ritenuto ostativo il fatto dell’avvenuta cancellazione del nominativo della ricorrente dal registro anagrafico del Comune di Trento per il periodo 28.5.2001 – 3.2.2003, in difformità dalla normativa richiamata la quale richiederebbe la dimostrazione della residenza legale e non della continuità dell’iscrizione anagrafica;

II – “in ogni caso, in relazione alla sussistenza della residenza anagrafica almeno decennale della ricorrente al momento del decreto di improcedibilità impugnato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992 e dell’articolo 1, comma 2, lettera a), del D.P.R. n. 572 del 1993 – eccesso di potere per travisamento dei presupposti e ingiustizia manifesta”, posto che sarebbe dimostrata la permanenza ininterrotta della dimora della ricorrente nel territorio nazionale anche nel periodo di temporanea, involontaria cancellazione della residenza anagrafica.

Con l’atto introduttivo è stata, altresì, presentata la richiesta di sospensione del provvedimento impugnato.

3. Nei termini di legge si è costituita in giudizio l’Amministrazione statale intimata chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato nel merito.

4. Con ordinanza n. 121/2008, adottata nella camera di consiglio del 4 dicembre 2008, la predetta domanda cautelare è stata accolta.

5. Alla pubblica udienza del 12 marzo 2009 la causa è stata trattenuta per la decisione.

D I R I T T O

1. La signora Valbona Mucaj, cittadina albanese, contesta la legittimità del provvedimento riportato in epigrafe con il quale il Commissario del Governo per la Provincia di Trento ha dichiarato “improcedibile” l’istanza per la concessione della cittadinanza italiana che aveva proposto in data 5.2.2008 ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lettera f), della legge 5.2.1992, n. 91.

Il provvedimento negativo impugnato prende atto dell’irreperibilità anagrafica della ricorrente nel periodo tra il 28 maggio 2001 e il 4 febbraio 2003 e, non ritenendo conseguentemente provata l’ininterrotta residenza dell’interessata in Italia, nega la sussistenza del presupposto previsto dalla normativa citata rappresentato dalla residenza legale da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. L’assunto difetto del requisito ha dunque indotto il Commissario del Governo ha dichiarare la domanda improcedibile.

2. Tanto premesso, il Collegio può ora passare alla definizione del merito del ricorso, che è fondato.

2a. Innanzitutto, è opportuno ricostruire sinteticamente il quadro delle norme che governano la materia.

L’art. 9 della legge 5.2.1992, n. 91, prevede che la cittadinanza italiana possa essere concessa allo straniero “che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica”. La norma primaria esprime dunque un concetto di che pare suscettibile di una lettura coincidente con quella di un’acclarata e legittima presenza sul territorio nazionale, escluso restando, per conseguenza, ogni potenziale rilievo sul piano temporale del più o meno lungo periodo che il cittadino extracomunitario possa avere trascorso nel Paese al di fuori di un titolo di soggiorno rilasciato dall’Autorità di pubblica sicurezza.

Tuttavia, il visto concetto di è stato successivamente integrato dall’art. 1 del regolamento di esecuzione della predetta legge (D.P.R. 12.10.1993, n. 572), ove è stabilito che si considera tale quello integrato dal soddisfacimento delle condizioni e degli adempimenti “previsti dalle norme in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri e da quelle in materia d’iscrizione anagrafica”.

Tale previsione regolamentare ha pertanto introdotto, accanto ai nominati presupposti del legittimo ingresso e del regolare soggiorno, quello della residenza attestata dai registri anagrafici.

In tal senso la circolare del Ministero dell’Interno (Direzione generale per l’amministrazione generale e per gli affari del personale – Servizio cittadinanza, affari speciali e patrimoniali – Divisione cittadinanza) n. 60.1 del 28.9.1993, visti i pareri del Consiglio di Stato n. 2482 del 1992 e n. 347 del 1993, ha ulteriormente specificato che per maturarsi la legale residenza è necessaria l’“ulteriore condizione” dell’iscrizione anagrafica, “in quanto quest’ultima conferisce alla residenza di fatto quei connotati di pubblicità e certezza (anche ai fini della prova della durata, quando necessaria) in mancanza dei quali non sembra potersi dire che uno straniero risieda legalmente”.

Secondo il Collegio, però, la previsione della residenza legale, così interpretata, seppure corrisponda all’id quod plerumque accidit, non può peraltro portare ad escludere che la prova di tale residenza possa essere attinta da attestazioni di altre Autorità statali, regionali, provinciali o comunali, posto che, in questa ipotesi, non si sottrarrebbe al dubbio della sua illegittimità, alla luce dell’indebita restrizione della potenziale diversa applicabilità del menzionato articolo 9 ogni volta che una siffatta dimostrazione possa siffattamente emergere.

2b. Nel caso di specie, dagli atti di causa emerge che la signora Mucaj ha fatto ingresso in Italia in data 1 settembre 1995, che è stata titolare di un regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato fin dal 27.12.1995 e che dal 19.2.2003 è titolare della carta di soggiorno, ora permesso di soggiorno CE.

Dal certificato anagrafico rilasciato dal Comune di Trento risulta che ella ha risieduto in detto Comune dal 16 luglio 1996 fino al 28.5.2001.

Successivamente la signora ha dimorato a Riva del Garda, come è provato dal fatto che in detta località ha prestato attività di lavoro dipendente stagionale dal 12.4.2001 al 14.11.2001, dal 9.4.2002 all’8.11.2002, dal 10.1.2003 all’11.6.2003 e dal 13/6/2003 al 14/11/2003. Ciò risulta sia dalla dichiarazione rilasciata dal ristorante presso cui l’interessata ha operato con mansioni di cameriera, sia dall’attestazione del competente Centro provinciale per l’impiego di Riva del Garda dell’Agenzia del lavoro della Provincia autonoma di Trento (cfr. documento 6, di data 15.1.2008, in atti di parte ricorrente). Avendo trovato lavoro a Riva del Garda, ed ivi dimorante, la ricorrente in data 28.5.2001 è stata cancellata dai registri anagrafici del Comune di Trento per irreperibilità. Ella però, presumibilmente ignorando la procedura, si è registrata presso l’anagrafe del nuovo Comune di dimora solo con decorrenza 3.2.2003. L’istante ha poi colà risieduto fino al 19.9.2005, data dalla quale ha fissato nuovamente la sua residenza a Trento (cfr. documento 4, certificato storico di residenza in atti di parte ricorrente).

Dalla documentazione versata risulta altresì che per tutto il periodo di dimora a Riva del Garda la ricorrente ha regolarmente presentato all’Agenzia delle Entrate i modelli 730 (per i redditi riferiti agli anni 2001 e 2002), nonché il modello CUD (per quanto concerne il reddito dell’anno 2003), come attestato da timbro di ricezione del C.A.F. ACLI della Provincia di Trento. Seppure le suddette dichiarazioni contributive rese tra gli anni 2001 e 2003 diano regolarmente conto di rapporti di lavoro a tempo determinato, come peraltro emerge anche dalla certificazione dell’Agenzia provinciale del Lavoro, il Collegio osserva le stesse rappresentano un indice (oltre che di un comportamento sociale corretto anche nei confronti dell’Erario) probatorio obiettivo di una persistente presenza della deducente sul territorio nazionale.

Dopo aver nuovamente fissato la sua residenza nella città di Trento, risulta che l’istante ha sempre prestato attività di lavoro dipendente (cfr. certificazione dell’Agenzia del lavoro) e che attualmente ella è titolare del contratto per la conduzione della Buvette della Sala convegno unificata presso il Comando provinciale dei Carabinieri di Trento, come da convenzione stipulata il 18.2.2008 con il Capo servizio amministrazione della Regione Carabinieri Trentino – Alto Adige. La richiesta di concessione della cittadinanza italiana si inserisce quindi coerentemente in un lineare e documentato percorso di emancipazione sociale e lavorativa che la affrancherebbe definitivamente dal suo attuale status di cittadina extracomunitaria legalmente residente sul territorio italiano.

2c. Ritiene pertanto il Collegio che la documentazione prodotta ed esaminata sia sufficientemente idonea sia a comprovare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la presenza in Italia della signora Mucaj, sia ad attestare la continuità di tale presenza anche nel lasso temporale intercorso dalla cancellazione della registrazione dall’anagrafe di Trento fino all’iscrizione a quella di Riva del Garda, quindi per il periodo 28.5.2001 – 3.2.2003: non appare, infatti, dubitabile che il C.A.F. abbia inoltrato alla competente Agenzia delle Entrate le ridette dichiarazioni compilate con la sua assistenza e che, inoltre, l’istante abbia prestato lavoro subordinato nei termini di cui alla certificazione proveniente da una pubblica fonte quale è l’Agenzia provinciale del Lavoro. In ogni caso, non è superfluo rammentare che ove fosse necessaria conferma dell’avvenuta presentazione delle menzionate dichiarazioni, ben potrà il Responsabile del procedimento provvedere a richiederne la conferma alla competente Agenzia delle Entrate ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 18, commi 2 e 3, della legge 7.8.1990, n. 241.

Pertanto, occorre concludere che la vista documentazione integra idoneamente la prova che, anche nel periodo in cui è mancata la mera registrazione anagrafica, la dimora in Italia è stata abituale, continua e rispettosa delle leggi in materia di ingresso, di soggiorno, ed anche fiscali. Ne consegue dunque che sono integrati i requisiti della continuità e del legittimo soggiorno in Italia nel prescritto decennio alla data di presentazione della domanda di concessione della cittadinanza italiana.

3. In definitiva, posto che la dichiarazione d’improcedibilità della prodotta domanda di concessione della cittadinanza italiana può essere assimilata al diniego del suo rilascio, segnando una soluzione di continuità rispetto all’evoluzione del procedimento con trasmissione della stessa al competente Ministero dell’Interno, previa acquisizione di ogni occorrente parere al riguardo, il provvedimento impugnato va quindi annullato ed il Commissariato del Governo per la Provincia di Trento dovrà riesaminare l’istanza tenendo conto delle statuizioni contenute nella presente sentenza.

Le spese, nella misura liquidata come da dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere accollate direttamente all’Amministrazione centrale dell’Interno in quanto essa, con la menzionata circolare del 28.9.1993, ha impartito agli uffici territoriali le disposizioni sull’applicazione della legge 5.2.1992, n. 91, non condivise da questo Tribunale.

P. Q. M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 265 del 2008, lo accoglie.

Condanna l’Amministrazione centrale dell’Interno al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 2.500,00 (duemilacinquecento) (di cui € 2.000 per onorari ed € 500 per diritti), oltre a I.V.A. e C.P.A. ed al 12,5% sull’importo degli onorari a titolo di spese generali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 12 marzo 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 18 marzo 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 82/2009 Reg. Sent.

N. 265/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 66/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 90 del 2007 proposto dal signor Clauser Gian Battista, rappresentato e difeso dall’avvocato Mauro Iob ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso in Trento, via dei Paradisi 15/2

CONTRO

– il Comune di Romallo (Trento), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Dalla Fior ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso in Trento, via Paradisi, 15/5

– la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio

E NEI CONFRONTI

– dei signori Fontana Daniel e Diego, rappresentati e difesi dall’avvocato Flavio Maria Bonazza ed elettivamente domiciliati presso lo studio dello stesso in Trento, Piazza Mosna, 8

– del signor Fontana Flavio, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

– quanto al ricorso principale:

* 1. della “deliberazione della Giunta provinciale di data 29.12.2006, n. 2882, pubblicata nel Bollettino ufficiale n.3/I-II del 16.1.2007, con la quale è stata approvata la variante al P.R.G. del Comune di Romallo adottato in via definitiva con deliberazione consiliare n. 33 di data 10.9.2004”;
* 2. della “deliberazione del Consiglio comunale n. 33 di data 10.9.2004 di definitiva adozione della variante al P.R.G.”;
* 3. di “ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale”;

– quanto al ricorso per motivi aggiunti:

* 4. della “deliberazione del Consiglio comunale n. 11/2007 di data 12.4.2007 di correzione della variante al P.R.G.”.

Visto il ricorso con i relativi allegati, nonché i suddetti motivi aggiunti;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata, anche con riferimento al ricorso per motivi aggiunti;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di due controinteressati intimati;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 12 febbraio 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avvocato Mauro Iob per il ricorrente, l’avvocato Marco Dalla Fior per l’Amministrazione comunale e l’avvocato Flavio Maria Bonazza per i controinteressati;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. Il ricorrente espone in fatto di essere proprietario della casa di abitazione di cui alla p.ed. 173, in C.C. Romallo, prospiciente a sud – est un’ampia zona coltivata a frutteto, la parte della quale antistante la detta abitazione è individuata dalla p.f. 609 di proprietà dei signori Fontana Daniel, Diego e Flavio, controinteressati.

2. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 33 del 10.9.2004 l’Amministrazione di Romallo ha adottato in via definitiva la variante generale al piano regolatore comunale, sulla quale la Commissione urbanistica provinciale ha espresso il proprio parere il 14.7.2005 con la deliberazione n. 36. Successivamente, in data 2.5.2006, il Comune ha trasmesso le proprie controdeduzioni alla Provincia, la quale ha approvato la variante con la deliberazione della Giunta provinciale n. 2882 del 29.12.2006.

Nel previgente piano regolatore l’ampia zona coltivata frontistante l’edificio del ricorrente era classificata nella parte a nord come area agricola di interesse primario e per la restante parte come area destinata a verde privato.

Con la variante de quo detta zona è stata ricompresa nel piano attuativo n. 3 come , per la quale sono stati previsti i parametri urbanistici per tre destinazioni di diversa natura: zona di espansione, zona a verde privato e zona agricola primaria.

Per quanto qui di interesse, nella cartografia allegata alla deliberazione di approvazione, la p.f. 609 risultava rappresentata per la parte a monte come zona residenziale di espansione e per la parte a valle come zona a verde privato. Nella allegata scheda di dettaglio la superficie della stessa particella era però suddivisa tra la destinazione residenziale e la destinazione agricola primaria.

Inoltre, altre due particelle rientranti nell’area del piano attuativo, la 612 e la 659, nella cartografia erano rappresentate con la parte più a monte in zona agricola primaria, mentre nella scheda di dettaglio la stessa superficie era indicata come verde privato.

3. Con ricorso notificato in data 17 marzo 2007 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo 16 aprile, il ricorrente ha impugnato le deliberazioni di adozione e di approvazione della variante al piano regolatore del Comune di Romallo, atti meglio specificati in epigrafe ai punti 1. e 2., chiedendone l’annullamento in parte qua, e deducendo i seguenti motivi di diritto:

I – “violazione di legge (articolo 19 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22) – eccesso di potere per contraddittorietà”, perché vi sarebbe stato un evidente contrasto tra la rappresentazione grafica e la scheda di dettaglio del piano attuativo n. 3;

II – “violazione di legge (articolo 19 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22) – eccesso di potere – violazione di legge per difetto di motivazione, motivazione carente e/o insufficiente”, in quanto il Piano urbanistico provinciale del 2003 avrebbe ricompreso parte dell’area della p.f. 609 nelle zone agricole primarie per le quali la possibilità di modificarne la destinazione sarebbe eccezionale e subordinata a specifica motivazione.

4. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 11 del 12.4.2007 l’Amministrazione di Romallo ha rettificato gli errori materiali riscontrati nella scheda di dettaglio del piano attuativo n. 3.

5. Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 21 giugno 2007 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo giorno 29, il ricorrente ha impugnato la deliberazione di rettifica, atto meglio specificato in epigrafe al punto 4., deducendo i seguenti, ulteriori motivi di diritto:

III – “eccesso di potere per travisamento dei fatti – violazione di legge / falsa applicazione di legge (articoli 42 e 42 bis della legge provinciale 5.9.1991, n. 22) – incompetenza – violazione di legge / falsa applicazione di legge (articolo 19 del Piano urbanistico provinciale)”;

IV – “eccesso di potere per contraddittorietà tra provvedimenti e travisamento dei fatti”, in quanto l’errore non sarebbe stato nella scheda di dettaglio ma nella cartografia e pertanto era tale documento che si sarebbe dovuto modificare;

V – “eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti”, posto che il Comune avrebbe dovuto segnalare l’errore alla Giunta provinciale. Inoltre, non essendovi garanzia sulla documentazione consultata dall’Esecutivo per l’istruttoria e l’approvazione della variante, ciò comporterebbe un vizio del provvedimento finale.

6. Nei termini di legge si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata chiedendo la reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti perché infondati nel merito.

7. Nei termini di legge si sono costituiti in giudizio anche due dei controinteressati, anch’essi argomentatamente richiedendo la reiezione nel merito del ricorso.

8. Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

1. Con il ricorso in esame il signor Gian Battista Clauser, proprietario di un edificio residenziale prospiciente a sud – est un’ampia zona coltivata a frutteto nel Comune di Romallo, ha impugnato la deliberazione del Consiglio comunale di adozione definitiva della variante al piano regolatore generale, nonché la deliberazione della Giunta provinciale di approvazione di detta variante, che ha modificato la destinazione urbanistica della zona in questione.

Tale zona, nel previgente piano regolatore, era classificata per la parte a nord come area agricola di interesse primario e per la restante parte, più a valle, come area destinata a verde privato.

Con la variante in esame l’area in questione è stata ricompresa nel piano attuativo n. 3 come , per la quale sono state previste, su rispettive porzioni, tre diverse destinazioni: zona di espansione, zona a verde privato e zona agricola primaria.

Fondamentalmente, pertanto, il signor Clauser contesta l’edificabilità riconosciuta alla parte di detta zona, antistante la sua abitazione, individuata più precisamente con la p.f. 609, di proprietà dei signori Fontana Daniel, Diego e Flavio, controinteressati, in quanto assume che la sua proprietà perderebbe valore per quanto riguarda il paesaggio ammirabile e l’amenità dei luoghi.

2a. Il ricorrente, innanzitutto, evidenzia la discrasia che ha riscontrato tra le prescrizioni grafiche e quelle normative della variante riferite al piano attuativo n. 3. Infatti, nella cartografia la p.f. 609 risultava rappresentata per la parte a monte come zona residenziale di espansione e per la parte a valle come zona a verde privato. Nell’allegata scheda di dettaglio la superficie della stessa particella era invece suddivisa tra la destinazione residenziale per mq. 1545 e la destinazione agricola primaria per mq. 1520.

Inoltre, altre due particelle rientranti nell’area del piano attuativo, la 612 e la 659, nella cartografia erano rappresentate con la parte più a monte in zona agricola primaria, mentre nella scheda di dettaglio la stessa superficie era indicata come verde privato.

Con la deliberazione n. 11 del 12 aprile 2007, il Consiglio comunale ha rettificato dette discrasie con il procedimento previsto dall’articolo 42 bis della legge provinciale in materia di urbanistica, assumendo che “per mero errore materiale in sede di predisposizione delle norme di attuazione … il tecnico incaricato ha erroneamente inserito” la superficie già individuata nella colonna sbagliata.

Sulla base di tali premesse in fatto, il Collegio procede quindi all’esame congiunto del primo mezzo del ricorso principale nonché del terzo e del quarto mezzo del ricorso per motivi aggiunti, che sono tra loro connessi.

2b. L’intervenuto provvedimento di rettifica di errore materiale, adottato successivamente alla notificazione all’Amministrazione comunale dell’atto introduttivo del presente giudizio, ha eliminato la discrasia evidenziata dal ricorrente, cosicché il primo motivo deve dichiararsi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

2c. Con il terzo motivo aggiunto il ricorrente lamenta che il provvedimento di rettifica è intervenuto allorquando il Comune era già a conoscenza dell’errore (ancora nel mese di luglio 2006) quando tale signor Lorenzo Paternoster lo aveva informato in merito con una lettera. Deduce, perciò, la violazione di legge con riferimento sia al procedimento posto in essere – che sarebbe ammissibile solo prima dell’adozione della variante – sia all’incompetenza del Comune ad operare tramite detta procedura una sostanziale modifica al piano regolatore.

Con il quarto motivo aggiunto il ricorrente contesta poi la legittimità del provvedimento comunale di rettifica di errore materiale assumendo che, viste le finalità delle schede di attuazione che avrebbero dovuto esplicare in modo dettagliato i parametri urbanistici ed i vincoli imposti, l’errore da correggere non sarebbe stato nella scheda di dettaglio ma nella cartografia.

I due motivi non sono fondati.

2c1. Quanto al procedimento posto in essere dal Comune, il Collegio osserva quanto segue.

L’articolo 42 bis della legge urbanistica provinciale 5.9.1991, n. 22, disciplina il procedimento di “rettifica delle previsioni del piano regolatore generale”, disponendo che sia competente all’approvazione il Consiglio comunale. La relativa deliberazione dev’essere trasmessa alla Provincia, la quale ne cura anche la pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione. Detto procedimento, per il quale è espressamente previsto che non è necessaria “la procedura di variante”, può essere posto in essere per la “correzione di errori materiali presenti nelle norme di attuazione, nelle rappresentazioni grafiche e negli altri elaborati del piano regolatore generale”, oltre che per gli “adeguamenti conseguenti alle correzioni allo scopo di eliminare previsioni contrastanti tra loro”.

Coerentemente, il Legislatore ha attribuito la competenza a rettificare i propri precedenti errori al Consiglio comunale che ha adottato il piano regolatore, quale interprete autentico, ed altrettanto coerentemente ha previsto la trasmissione di tale provvedimento alla Giunta provinciale. Quest’ultima non si limita alla mera pubblicazione ma verifica se si tratta effettivamente di un errore materiale, tanto che se dovesse riscontrare che è stata applicata la procedura di rettifica a situazioni che invece avrebbero richiesto l’adozione di una variante, sarebbe tenuta ad annullare il relativo provvedimento ai sensi dell’articolo 134 della stessa legge provinciale n. 22 del 1991 (cfr., in tal senso, la deliberazione della Giunta provinciale 25.5.2001, n. 1221).

Occorre anche aggiungere che detta procedura non è affatto prevista come un sub procedimento nell’approvazione di un piano o di una variante, il che esulerebbe dalle finalità che le sono proprie, dovendosi invece porre in essere dopo la loro approvazione quale strumento per assicurarne la certezza.

2c2. Per quanto concerne il merito dell’intervenuta rettifica dell’errore materiale, il Collegio osserva:

– per quanto riguarda la p. f. 609, quella antistante l’edificio del ricorrente, essa nella precedente cartografia risultava suddivisa in due destinazioni:

– a monte, un’area destinata ad uso residenziale, riportata nella scheda di dettaglio per la superficie totale di mq. 1545;

– a valle, un’area prevista a verde privato; quest’ultima zona è conformemente descritta nella scheda normativa all. 03b al piano attuativo n. 3, ove si legge che “l’area posta a ridosso della PA2 nella porzione a valle” viene mantenuta a verde privato, con la possibilità di realizzare parcheggi alberati nel limite del 30 % dell’area a verde: il che, inequivocabilmente, individua in cartografia la parte a sud della p.f. 609, unitamente alle limitrofe pp.ff. 610 e 611. Nella scheda di dettaglio, a sua volta allegata alla scheda normativa, la superficie di detta zona, per un totale di mq. 1520 è stata invece collocata nella colonna “destinazione agricola primaria”; successivamente, in sede di rettifica, la stessa superficie è stata spostata nella colonna accanto prevista per la “destinazione a verde privato”;

– per quanto riguarda le pp. ff. 612 e 659, la parte a nord delle stesse, unitamente alla stessa parte delle pp. ff. 611 e 610, era rappresentata in cartografia come zona agricola primaria, mentre nella scheda di dettaglio la superficie delle prime due particelle, rispettivamente di mq. 1570 e 231, è stata invece collocata nella colonna per la “destinazione a verde privato”; successivamente, in sede di rettifica, la stessa superficie è stata spostata nella colonna accanto, prevista per la “destinazione agricola primaria”, dove già erano collocate le superfici delle limitrofe aree aventi altresì la destinazione di zona agricola primaria.

2c3. Conclusivamente, il Collegio rileva che l’Amministrazione ha correttamente posto in essere la procedura di cui all’articolo 42 bis della legge urbanistica provinciale, essendosi all’evidenza trattato di un errore ostativo facilmente riconoscibile.

Ciò emerge dalla lettura combinata della cartografia con la scheda normativa, la quale aveva testualmente previsto che la zona a verde privato fosse mantenuta nell’area posta a ridosso della PA2, nonché dal dato della superficie di parte delle particelle rispetto alla diversa destinazione attribuita loro fin dall’adozione della variante.

Per la correzione dell’errore materiale, infatti, è stato sufficiente collocare l’area già individuata per il frazionamento delle tre particelle nella colonna vicina con la giusta intestazione.

Quanto al fatto che tale signor Lorenzo Paternoster avesse comunicato alle Amministrazioni, sia provinciale che comunale, la presenza della contestata discrasia ancora in data 14 luglio 2006, ovvero dopo che il Comune aveva trasmesso le proprie controdeduzioni e la variante era all’esame della Giunta provinciale, si è trattato di una lettera con la quale il nominato chiedeva principalmente una modifica alla viabilità della zona. In chiusura segnalava anche, genericamente, “che la scheda di dettaglio allegata alle norme del PRG non concorda con la cartografia in relazione alle destinazioni urbanistiche”.

Perciò, il Collegio ritiene che sia plausibile che entrambe le amministrazioni destinatarie non abbiano colto quel suggerimento, pienamente invece compreso al momento della ricezione della notifica dell’atto introduttivo del presente giudizio, il 19 marzo 2007, tanto che la deliberazione n. 11 è stata adottata il successivo 12 aprile.

I motivi di ricorso esaminati vanno perciò disattesi.

3. Con il secondo motivo dell’atto introduttivo il signor Clauser denuncia la violazione della legge provinciale 7.8.2003, n. 7, concernente la Variante 2000 al Piano urbanistico provinciale, ed in particolare dell’articolo 19 delle norme di attuazione che, all’epoca, disciplinava le aree agricole di interesse primario. In proposito l’istante assume che la possibilità di modificarne la destinazione è subordinata ad una specifica motivazione, della quale sarebbe invece priva la variante al piano regolatore del Comune di Romallo.

La difesa dell’Amministrazione ricorda che la Commissione urbanistica provinciale aveva valutato negativamente le numerose varianti introdotte con il provvedimento in esame, e che aveva espressamente richiesto lo stralcio di alcune di esse. Si trattava, in particolare, della nuova zona residenziale a monte del cimitero e a ridosso del centro storico e di quella verso sud, per evitare la saldatura con l’abitato di Revò, ma non della zona in controversia, per la quale non era stato formulato alcun rilievo.

La difesa dell’Amministrazione osserva altresì che “in termini generali” la Commissione provinciale aveva ritenuto accoglibile il completamento delle aree verso nord a monte della strada principale, purché a certe nominate condizioni (fra cui quella che ogni zona fosse sottoposta alla formazione di piani attuativi), successivamente poste in essere dall’Amministrazione comunale. Evidenzia, infine, che le aree agricole di interesse primario si collocavano pressoché in aderenza al centro abitato di Romallo, cosicché non vi sarebbe stato materialmente spazio per individuare nuove zone residenziali.

Sul punto, la difesa dei controinteressati informa che gli stessi hanno acquisito il terreno di cui alla p.f. 609 in forza di un atto di donazione del padre ed evidenzia che la destinazione residenziale di parte di esso sarebbe funzionale alla realizzazione dell’abitazione per i relativi nuclei familiari.

Tali argomentazioni, alcune emerse solo in sede difensiva, non convincono però il Collegio, che ritiene il motivo fondato.

L’invocato articolo 19 delle norme di attuazione della Variante 2000 al Piano urbanistico provinciale, vigente ratione temporis, individuava quali aree agricole di interesse primario quelle “dove per l’accertata qualità dei suoli, per le rese attuali o potenziali e per l’entità degli investimenti operati, il mantenimento e lo sviluppo dell’attività agricola vanno considerati come esigenza di rilievo provinciale, anche ai fini di tutela ambientale”. Dette aree erano individuate nella allegata cartografia, ma era data facoltà ai Comuni sia di modificarne la perimetrazione sia di ridurne l’estensione, “in via eccezionale” e per alcune individuate ipotesi, fra le quali rientrava anche la necessità di individuare “nuove aree a destinazione residenziale” se non era “conveniente, per motivi di tutela ambientale a paesaggistica, localizzarle in altre parti del territorio comunale”. In tali casi, però, la scelta doveva “essere supportata da un bilancio costi – benefici che evidenzi la convenienza ambientale ed infrastrutturale rispetto ad eventuali alternative”.

Nulla dispone in termini diversi, sulle zone agricole di interesse primario, l’articolo 40 delle norme di attuazione del piano regolatore di Romallo.

Solo per le aree agricole di interesse secondario (disciplinate dall’articolo 20 delle citate norme di attuazione provinciali), era prevista la possibilità che i piani regolatori comunali ne riducessero le superfici per reperire nuove aree da urbanizzare, in presenza di terreni contermini ai centri abitati e di fondi interclusi nell’ambito delle aree urbanizzate. Viceversa, la riduzione delle aree agricole primarie per la necessità di individuare nuove zone residenziali abbisognava non solo di un’apposita motivazione, ma anche di un’analisi sui costi e sui benefici dell’operazione che ne evidenziasse la convenienza rispetto ad altre eventuali alternative.

All’opposto, i provvedimenti concernenti la variante al piano regolatore del Comune di Romallo, sottoposti all’esame del Collegio, non sono suffragati da alcun elemento che dia riscontro della ricordata prescrizione legislativa. In essi, si afferma solo, e apoditticamente, che “per le mutate esigenze relative ad alcuni aspetti della gestione territoriale in ambito comunale” si è reso necessario “il cambio di destinazione urbanistica da aree diverse a zone residenziali”, oltre alla “modifica alla tavola del sistema ambientale con riperimetrazione del contorno della zona agricola primaria”. Nessun altra motivazione è rinvenibile che giustifichi sia la trasformazione di zone già residenziali in zone verdi, sia la riduzione delle zone agricole primarie per individuare nuove zone residenziali. E, nemmeno in termini generali, vi è alcuna considerazione sui fabbisogni – effettivi e teorici – prospettati dai residenti, oltre che sulla eventuale mancanza di altre aree idonee e comparabili nella restante parte del territorio.

Sul punto, la Commissione urbanistica provinciale aveva benevolmente evidenziato che “la relazione risulta scarsamente motivata presentando soltanto una dettagliata elencazione delle numerose modifiche cartografiche e regolamentari … risulta difficile giustificare alcune proposte che propongono nuove aree a scopo residenziale”. Successivamente, le controdeduzioni del Comune hanno in parte confermato le precedenti previsioni (per esempio, quando doveva trattarsi di “dare soluzione alla richiesta di prima casa per alcuni giovani residenti”) e, per altra parte, recepito le osservazioni della Commissione urbanistica provinciale. Neppure in tale fase, e con riguardo al terreno di cui alla presente vicenda, ossia per la variante denominata A4 per la quale è stato solo istituito l’obbligo di lottizzazione, si riscontra alcuna motivazione sulla necessità di eliminare una zona agricola primaria per soddisfare nuove esigenze residenziali e sulla convenienza di tale scelta rispetto a possibili diverse alternative.

In definitiva, nessuna comparazione dell’interesse pubblico alla conservazione di quella destinazione rispetto alla sua trasformazione in area residenziale è rinvenibile negli atti tutti relativi alla variante in esame, il che comporta la loro illegittimità per la dedotta violazione di legge.

Non ha rilevanza, infine, l’obiezione delle parti resistenti che nel nuovo Piano urbanistico provinciale la zona di cui trattasi non rivesta più la qualifica di “zona agricola di interesse primario”, poiché all’epoca di formazione dello strumento urbanistico impugnato il nuovo P.U.P. non era ancora vigente.

In conclusione, per le considerazioni sopra esposte, il ricorso deve essere per questa parte accolto, con l’assorbimento delle censure non specificatamente esaminate, e con il conseguente annullamento in parte qua – ossia per la parte in cui la p.f. 609, già classificata in area agricola di interesse primario, è stata inserita in zona residenziale di espansione – degli atti impugnati, citati in epigrafe.

4. Concorrono peraltro giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P. Q.M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 90 del 2007, lo accoglie e, per l’effetto, annulla in parte qua gli atti indicati in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 12 febbraio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dottor Lorenzo Stevanato – Presidente f.f.

dottoressa Alessandra Farina – Consigliere

dottoressa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 26 febbraio 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 66/2009 Reg. Sent.

N. 90/2007 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 65/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 46 del 2008 proposto dal signor Chiocchetti Claudio, rappresentato e difeso dagli avvocati Eugenio Traversa e Giada Nicolussi ed elettivamente domiciliato presso lo studio degli stessi in Trento, via Dordi 4

CONTRO

il Comune di Moena (Trento), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Roberta de Pretis ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa in Trento, via SS. Trinità, 14

CONTRO

la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

* della “deliberazione del Consiglio comunale di Moena n. 47 di data 26.11.2007, avente ad aggetto l’adozione definitiva della variante al piano regolatore generale”;
* della “deliberazione della Giunta provinciale della Provincia di Trento n. 2761 di data 7.12.2007, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione n. 51/I/II di data 18.12.2007, avente ad oggetto l’approvazione della variante al piano regolatore generale come sopra adottata”;
* di “ogni altro atto, parere e/o provvedimento ai precedenti connesso o richiamato o dai precedenti presupposto”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 12 febbraio 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avvocato Giada Nicolussi per il ricorrente e l’avvocato Roberta de Pretis per l’Amministrazione comunale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. Il ricorrente espone di essere proprietario dell’edificio di civile abitazione in cui risiede, di cui alla p.ed. 947 con la relativa pertinenza, corrispondente ad un giardino di circa 1.000 mq., il tutto ubicato nel Comune di Moena in Piaz de Navalge n. 6. Si tratta di una zona urbanisticamente classificata, fin dal primo piano regolatore approvato nel 1991, “aree per servizi ed attrezzature al coperto di livello locale”.

2. Con deliberazione n. 38/5 del 19.9.2007 l’Amministrazione comunale ha provveduto alla prima adozione di una variante al piano regolatore generale. Il ricorrente ha presentato in data 2.11.2007 un’osservazione di rito con la quale ha manifestato l’interesse sia a che l’abitazione fosse inserita in una zona residenziale, ad esempio nelle aree residenziali di completamento intensivo, sia che fossero definiti gli interventi ammissibili per la zona urbanistica 06.

Il Comune di Moena ha accolto solo parzialmente detta osservazione, ed ha quindi adottato in via definitiva la variante con la deliberazione n. 47/6 di data 26.11.2007, mentre la Giunta provinciale l’ha approvata in data 7.12.2007 con il provvedimento n. 2761.

3. Con ricorso notificato in data 15 febbraio 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo giorno 25, il ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento, i nominati provvedimenti di adozione e di approvazione della variante al piano regolatore, atti meglio specificati in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di diritto:

I – “eccesso di potere per contraddittorietà, disparità di trattamento, difetto di coerenza, illogicità, manifesta ingiustizia, difetto di istruttoria nei provvedimenti impugnati, sviamento di potere”;

II – “violazione falsa applicazione della norma di cui all’articolo 67 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22; violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 7 e 10 del regolamento del Consiglio comunale”. Assume il ricorrente che la zona ove è ubicata la sua proprietà (l’edificazione della quale risalirebbe agli anni 1949 – 1950) era stata individuata nel 1991 dall’Amministrazione per la realizzazione del centro polifunzionale Navalge, la costruzione del quale è già stata completata. La presenza di detto complesso non interferirebbe con la collocazione della sua abitazione, la quale rappresenterebbe invece l’unico caso di residenza collocata in una zona urbanisticamente non consona. Inoltre, sull’edificio sarebbero possibili solo interventi di manutenzione e non di ristrutturazione, per cui si evidenzia una disparità di trattamento.

Con separata censura, si contesta poi il mancato coinvolgimento a fini consultivi della Commissione urbanistica consiliare nella procedura di adozione della variante urbanistica.

4. Nei termini di legge si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato nel merito.

5. Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

1. Con il ricorso in esame il signor Claudio Chiocchetti, proprietario di un edificio di civile abitazione situato in località Navalge nel Comune di Moena, ha impugnato, chiedendone l’annullamento, la deliberazione del Consiglio comunale di adozione definitiva della variante al piano regolatore generale, nonché la deliberazione della Giunta provinciale di approvazione di detta variante che, per la parte di territorio dov’è ubicato tale edificio, ha confermato la destinazione già in atto, ossia “aree per servizi ed attrezzature al coperto di livello locale”, prevista fin dal 1991 con l’obiettivo di edificarvi un centro polifunzionale.

Assume il ricorrente che il centro polifunzionale Navalge è stato già realizzato e completato, che il nuovo edificio è stato inserito in cartografia e che la relazione illustrativa ha affermato che “i servizi aperti e quelli coperti esistenti sono adeguati e corrispondono abbondantemente a quanto previsto dal PUP”. Da ciò discenderebbe, a detta dell’istante, che la destinazione della zona avrebbe già assolto la sua funzione, tanto che la sua reiterazione si risolverebbe nell’imposizione di un vincolo non conforme a reali esigenze di pubblico interesse.

Rileva, poi, che nelle aree ove esistono particolari vincoli pubblicistici l’Amministrazione, nel definire i limiti degli interventi privati ammissibili, ha permesso la realizzazione di ampliamenti e di ristrutturazioni, salvo che per la zona urbanistica 06, ossia l’area di Navalge, ove sono consentiti solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Da ciò deduce disparità di trattamento.

Infine, dopo aver osservato che il diniego di una delle osservazioni presentate non sarebbe supportato da alcuna motivazione, rileva l’esistenza di un vizio procedimentale nell’adozione della variante, posto che le osservazioni non sarebbero state sottoposte all’esame della Commissione urbanistica comunale, costituita per l’esercizio di funzioni consultive sugli atti del Consiglio.

2a. Premesso che per costante giurisprudenza del giudice amministrativo “è rimesso alla discrezionalità dell’organo giudicante l’ordine con il quale intenda procedere all’esame delle questioni sottoposte al suo esame. In particolare, nel processo amministrativo di tipo impugnatorio, nell’affrontare le diverse questioni prospettate dal ricorrente, il giudice adito deve procedere, nell’ordine logico, preliminarmente all’esame di quelle questioni o di quei motivi che, evidenziando in astratto una più radicale illegittimità del provvedimento impugnato, appaiono idonei a soddisfarne pienamente ed efficacemente l’interesse sostanziale dedotto in giudizio …” (cfr., ex multis, C.d.S., sez. V, 5.9.2006, n. 5108), il Collegio prende dapprima in esame il secondo motivo di ricorso.

Con detto mezzo si denuncia un vizio nella procedura di adozione della variante, per il mancato rispetto da parte dell’Amministrazione di Moena delle norme regolamentari comunali, in quanto non è stata previamente convocata la Commissione urbanistica comunale per la valutazione delle osservazioni presentate.

La difesa dell’Amministrazione sostiene, al riguardo: a) che non sussisterebbe alcun obbligo di convocazione della Commissione urbanistica per l’espressione del parere sulle osservazioni; b) che detto organo sarebbe stato convocato nella precedente fase della procedura ma che il ridotto numero di osservazioni presentate e la loro sostanziale ininfluenza sull’impostazione del piano hanno reso superflua la sua convocazione.

Le obiezioni della difesa dell’Amministrazione però non sono convincenti, per le ragioni che seguono.

2b. Il Collegio ritiene utile premettere il quadro normativo di riferimento.

L’articolo 5 dello Statuto del Comune di Moena stabilisce i compiti del Consiglio comunale, disponendo che esso è l’organo di governo, di indirizzo e di controllo politico amministrativo, mentre l’articolo 10 disciplina le commissioni consultive che, oltre a quelle obbligatorie per legge o per regolamento, possono essere costituite dall’Assemblea per argomenti e questioni di particolare rilevanza. Riprendendo tali principi, il capo IV del regolamento interno del Consiglio comunale disciplina la costituzione e la composizione delle commissioni consiliari consultive, stabilendo che esse rimangono in carica per tutta la durata del consiglio comunale che le ha nominate e che hanno il compito di esaminare preliminarmente gli atti di competenza del Consiglio che sono loro assegnati dal Sindaco, dalla Giunta o dal Consiglio stesso.

Il Consiglio comunale di Moena in data 22 giugno 2006 ha nominato la Commissione in materia di urbanistica “con il compito di studiare le soluzioni da adottare per la modifica degli strumenti urbanistici di competenza comunale”. Essa, presieduta dal Sindaco, risulta formata da altri sei componenti: quattro designati dalla maggioranza e due dalla minoranza consiliare.

2c. Così ricostruiti i termini statutari e regolamentari di riferimento, il Collegio ritiene che la censura di mancata acquisizione del parere della Commissione urbanistica sulle osservazioni sia fondato.

Dall’interpretazione sistematica della normativa e della deliberazione sopra menzionata – anche alla luce del chiaro disposto dell’articolo 2 dello Statuto comunale ove, al comma 2 si legge che “il Comune rende effettiva la partecipazione all’azione politica e amministrativa comunale garantendo e valorizzando … ogni espressione della comunità locale … a concorrente allo svolgimento ed al controllo delle attività”, mentre al comma 15 si prescrive che l’attività amministrativa del Comune si ispiri a “criteri di pubblicità, trasparenza, partecipazione” – emerge che le commissioni consiliari consultive:

– sono organismi permanenti, posto che durano in carico quanto il Consiglio comunale,

– in esse sono rappresentate le minoranze consiliari;

– sono articolazioni interne dell’Amministrazione, perché si attivano sull’assegnazione di atti da parte del Sindaco, della Giunta o del Consiglio, e non di altri soggetti;

– hanno una propria autonomia, fatta di riserva di competenza nella materia loro attribuita;

– concorrono allo svolgimento e al controllo dell’attività amministrativa, in quanto la saliente disposizione statutaria di cui al comma 2 dell’articolo 2, sopra riportata, non può essere volta solo alla valorizzazione delle espressioni esterne all’Amministrazione e non anche di quelle interne.

La Commissione urbanistica consiliare è stata costituita con il lato compito di “studiare le soluzioni per la modifica degli strumenti urbanistici di competenza comunale”, ossia per esprimere pareri nel procedimento di pianificazione di competenza del Consiglio comunale, a cui solo normativamente compete l’adozione dello strumento urbanistico (e che può pertanto anche discostarsi da quanto proposto dalla Commissione).

Le funzioni della Commissione urbanistica sono, dunque, sia di elevare lo standard di trasparenza nell’attività di predisposizione degli strumenti urbanistici in un procedimento, quale quello di pianificazione del territorio, che per il suo elevatissimo grado di discrezionalità necessita del solido rispetto della procedura, sia di garanzia partecipativa, ossia di piena conoscenza delle problematiche (anche più minute, che inevitabilmente permette l’esame in sede di commissione rispetto a quello in sede di Consiglio comunale) da parte di un organismo che rappresenta i diversi orientamenti del plenum dell’Assemblea.

La norma che stabilisce l’attivazione di detti organismi solo a seguito di formale assegnazione ad essi di atti da parte degli organi comunali costituisce, invero, il corollario al carattere interno di tali organismi e non può affatto significare che rientri nella discrezionalità del Sindaco, della Giunta o del Consiglio l’attivazione della funzione consultiva. Il Collegio condivide sul punto quanto affermato dalla difesa del ricorrente la quale ha sostenuto che dopo aver costituito la Commissione “il parere consultivo diventa regola”.

In altri termini, l’Amministrazione comunale costituendo le commissioni consiliari si è vincolata nella scelta della procedura consultiva, in quanto garanzia di maggior conoscenza e partecipazione, e alla quale deve poi riferirsi nell’emanazione dei singoli atti.

Il Collegio osserva che la costituzione di dette commissioni da parte di molti Comuni, anche di non grandi dimensioni, si inquadra nel più ampio dibattito giuridico, ma anche politico, sul nuovo ruolo del Consiglio comunale e dei consiglieri, i soggetti privilegiati nel contatto continuo con i cittadini, il cui coinvolgimento permette la più ampia apertura dell’Amministrazione verso i censiti attraverso una maggiore informazione reciproca ed il sistematico dialogo con tutti gli attori del procedimento.

2d. Che anche l’Amministrazione di Moena abbia di norma agito in tal senso risulta peraltro pacificamente agli atti, posto che nella lettera datata 2.1.2008 indirizzata alla Provincia (cfr. documento in atti di entrambe le parti processuali) è lo stesso Sindaco di Moena ad affermare, dapprima in linea generale, che la Commissione urbanistica fin dal lontano 1988, anno in cui venne per la prima volta costituita, “è sempre stata convocata”.

In particolare, poi, nel complesso procedimento che ha caratterizzato l’adozione della variante in esame, essa è stata “costantemente e ripetutamente convocata”. Nella prima fase del procedimento (quella successivamente oggetto di revoca da parte del Consiglio comunale con il provvedimento n. 37/4 di data 11.9.2007), la Commissione si è “frequentemente riunita per esaminare le numerose osservazioni presentate dai cittadini”.

Ma, afferma ancora il Sindaco, nella riedizione del procedimento di adozione della variante “sono state presentate otto osservazioni” e la Commissione non ne è stata investita in quanto le stesse “sono state valutate dalla maggioranza e dall’ufficio tecnico urbanistico in collaborazione con il Sindaco” (cfr., risposta ad interrogazione consiliare di data 19.12.2007 – documento n. 11 in atti di parte ricorrente). Egli aggiunge pure che in tale occasione, viste le poche osservazioni pervenute, “non si è ritenuto di sottoporle all’attenzione della Commissione urbanistica” in quanto “tre costituiscono nuove domande” e “le altre non vanno ad inficiare la filosofia di base e le scelte strategiche della variante urbanistica”.

Da ciò risulta che la reale motivazione per la quale non è stata coinvolta nel procedimento di adozione della variante la Commissione urbanistica non risiederebbe nel carattere meramente facoltativo del relativo parere, ma solo nel numero contenuto delle osservazioni giunte all’Amministrazione oltre che nel loro contenuto.

Ma ciò significa che è stato adottato nell’assegnazione degli atti all’Organo consultivo un criterio erratico ed illogico (quale il numero delle osservazioni pervenute all’Amministrazione), con evidente contraddittorietà nell’operato dell’Amministrazione. Inoltre, si è scelto di non attivare il procedimento consultivo all’esito di una valutazione di merito, ossia con sostituzione procedimentale, con violazione di due garanzie: quella della competenza e quella della rappresentanza. Al precostituito organo consultivo è, infatti, riservato quel segmento procedimentale ed in esso è assicurata la partecipazione della minoranza consiliare, per quanto riguarda la composizione.

Dal mancato rispetto del chiaro disposto della normativa statutaria e regolamentare comunale, oltre che della prassi instauratasi, consegue che il procedimento di adozione della variante in questione, che non ha visto la prescritta partecipazione consultiva della Commissione urbanistica consiliare, risulta viziato e quindi deve essere annullato.

3. Pur se a seguito dell’accoglimento del motivo precedente l’impugnata variante va annullata, per esigenza di completezza del richiesto esame il Collegio non reputa di assorbire l’ulteriore mezzo dedotto, di carattere sostanziale.

Il ricorrente deduce, al proposito, che l’edificazione della sua abitazione risale agli anni 1949/1950 e tale circostanza è incontroversa agli atti processuali.

La collocazione in una zona urbanisticamente destinata ad “aree per servizi ed attrezzature al coperto di livello locale” è avvenuta nel 1991 in concomitanza con il progetto dell’Amministrazione comunale di realizzare nella zona denominata Navalge un centro polifunzionale. Negli anni successivi tale centro è stato edificato, ed è ora in funzione, tanto che nella relazione illustrativa della Variante è stato affermato che i servizi pubblici aperti e quelli coperti esistenti sono adeguati e corrispondono abbondantemente a quanto previsto dal Piano urbanistico provinciale.

Ciononostante, la zona dov’è ubicata la sua abitazione è stata mantenuta con detta destinazione, ormai non più funzionale alla realizzazione dei “servizi ed attrezzature al coperto”, e quindi asseritamente illogica.

Anche tale motivo è fondato.

Il Collegio, pur riconoscendo la valenza generale del principio secondo cui le scelte urbanistiche sono caratterizzate da un amplissimo margine di discrezionalità, osserva tuttavia che tale discrezionalità non è illimitata ma deve sottostare ai canoni di ragionevolezza e logicità.

Perciò, il Collegio conviene con la difesa dell’Amministrazione comunale, secondo cui “per consolidata giurisprudenza le scelte di politica urbanistica rientrano nella discrezionalità dell’Amministrazione con riguardo alla destinazione delle singole aree e costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, salvo che le stesse non siano inficiate da arbitrarietà, illogicità, irragionevolezza, ovvero da errori di fatto” (cfr., ex multis, C.d.S., sez. IV, 26.4.2006, n. 2315; 30.6.2004, n. 4804 e 24.2.2004, n. 737; T.R.G.A. Trento, 4.4.2005, n. 93; 26.5.2008, n. 117 e 23.10.2008, n. 266).

Ma, nel caso di specie l’operato dell’Amministrazione è sconfinato in un macroscopico ed immediatamente apprezzabile vizio di illogicità.

Nella vicenda all’esame, infatti, avuto riguardo alla obiettiva situazione dei luoghi, risulta evidente il vizio di illogicità oltre che di irrazionalità nella volontà di mantenere inutilmente una destinazione a servizi pubblici, già realizzata, su un’area in cui è ubicata un’abitazione. Oltretutto detta scelta non è accompagnata da alcuna plausibile motivazione.

L’interesse pubblico perseguito dall’Amministrazione fin dal 1991 con la realizzazione del centro Navalge ha richiesto ed imposto il sacrificio degli interessi dei privati coinvolti per la vicinanza delle loro proprietà con l’area individuata per la costruzione dell’opera pubblica. In tal senso, pertanto, è avvenuto il conseguente assoggettamento dell’area ove era già situata, in quanto preesistente, l’abitazione del signor Chiocchetti alla destinazione quale area per servizi pubblici.

In linea generale dunque l’imposizione di un tale sacrificio è stata legittima in quanto l’opera, così come ideata, progettata e quindi realizzata, è risultata coerente con le finalità alle quali l’Amministrazione ha dichiarato di ispirarsi. Nello stesso senso, però, il mantenimento di quel sacrificio richiede ugualmente la sopravvivenza di quelle stesse esigenze, che invece sono ormai inattuali.

In quest’ottica il giudice amministrativo non ha certo il potere di sindacare la valutazione dell’interesse pubblico, di pertinenza esclusiva dell’Amministrazione, ma può sempre verificare se, sulla base di quanto risulta dall’esame degli atti procedimentali, l’azione amministrativa sia coerente con il fine pubblico perseguito e, quindi, rispettosa dei principi di logica e razionalità che costituiscono i limiti di legittimità al suo esercizio.

Ora, risulta pacifico anche per l’Amministrazione resistente che lo strumento urbanistico non ha modificato la dotazione di servizi pubblici aperti e coperti in quanto gli esistenti sono stati valutati adeguati alle necessità. E dal costrutto motivazionale che accompagna la variante non risulta l’esplicitazione di alcuna esigenza di variazione o di ampliamento dell’area dedicata ai servizi.

Sulla base di queste sole considerazioni il Collegio osserva che appare del tutto illogico il mantenimento sulla proprietà dell’istante della destinazione denunciata.

A ciò si aggiunga che alcuna significativa rilevanza può riconoscersi alla conformazione complessiva dell’area, la quale sarebbe delimitata per un lato dal torrente Avisio e per altri due lati dalle strade provinciale e comunale. Se, in linea generale, tale caratteristica non può ritenersi affatto preclusiva rispetto ad altre scelte adeguatamente sorrette (ad esempio, quella di dotare la zona di ulteriori standard di servizi), risulta invece che proprio lungo i due lati confinanti con le strade esistono alcune zone appositamente delimitate, anche su tre lati, destinate ad attività alberghiere ma anche ad aree residenziali. Ed il tutto è compreso in un ambito territoriale alquanto contenuto che non giustifica, sotto alcun profilo, una assunta vicinanza “più prossima” rispetto alle altre localizzazioni per far sì che un solo edificio di civile abitazione sia mantenuto entro una localizzazione dedicata ai servizi pubblici. Anche la zona di interesse del ricorrente confina con un strada, seppure di minore importanza, la quale ne permette l’accesso, così come al centro Navalge, nel rispetto dell’autonoma collocazione delle due diverse realtà nella topografia del luogo.

Da tutto ciò consegue che il mantenimento sull’area di proprietà del signor Chiocchetti di una destinazione non consona all’originaria e costante residenzialità dell’edificio non appare né motivato, né razionale, né coerente con il tessuto circostante e, dunque, incorre nel dedotto vizio di eccesso di potere per illogicità ed irrazionalità, che costituisce il limite alla discrezionalità delle scelte di pianificazione urbanistica.

4. Sulla base delle argomentazioni svolte, e con conseguente assorbimento delle altre censure non esaminate, il ricorso deve essere accolto con il conseguente annullamento degli atti impugnati, nella parte che interessa il ricorrente.

Le spese seguono la soccombenza e sono accollate all’Amministrazione nella misura liquidata come da dispositivo.

P. Q. M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 46 del 2008, lo accoglie e, per l’effetto, annulla in parte qua gli atti indicati in epigrafe.

Condanna l’Amministrazione comunale di Moena al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 4.800,00 (quattromilaottocento) (di cui € 4.000 per onorari ed € 800 per diritti), oltre a I.V.A. e C.P.A. ed al 12,5% sull’importo degli onorari a titolo di spese generali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 12 febbraio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dottor Lorenzo Stevanato – Presidente f.f.

dottoressa Alessandra Farina – Consigliere

dottoressa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 26 febbraio 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 65/2009 Reg. Sent.

N. 46/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it