Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N.63/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 53 del 2008 proposto dalla società Centro Vacanze Veronza S.p.a., in persona del legale rappresentante signor Bortolo Dalle Nogare, rappresentata e difesa dall’avvocato Gianpiero Luongo ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Trento, via Serafini, 9

CONTRO

il Comune di Moena (Trento), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Roberta de Pretis ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa in Trento, via SS. Trinità, 14

CONTRO

la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

* della “deliberazione n. 2761 di data 7.12.2007, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione n. 51/I/II di data 18.12.2007, della Giunta provinciale di Trento, di approvazione della variante generale al piano regolatore generale di Moena”;
* della “deliberazione n. 47/06 di data 26.11.2007 del Consiglio comunale di Moena di adozione definitiva della variante generale al piano regolatore generale”;
* della “deliberazione n. 38/05 di data 19.9.2007 del Consiglio comunale di Moena di prima adozione della variante generale al piano regolatore generale”;
* nonché di “ogni altro atto presupposto, connesso, infraprocedimentale, consequenziale e successivo, ivi compresi i pareri resi dalla C.U.P. e dai Servizi provinciale competenti per materia”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 12 febbraio 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avvocato Gianpiero Luongo per la parte ricorrente e l’avvocato Roberta de Pretis per l’Amministrazione comunale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. La società ricorrente espone in fatto di essere proprietaria della p.ed. 929 e dei terreni tavolarmente individuati dalle pp.ff. 562, 564, 567/3, 563, 567/1, 565, 568/2, 568/3, 567/2 561, 560, 566/1, in C.C. Moena, ossia un edificio destinato ad attività alberghiera con le relative pertinenze, il tutto situato nel centro urbano di Moena.

Nel previgente strumento urbanistico comunale, approvato nel 1991, dette realità pertinenziali erano urbanisticamente destinate ad “aree per parcheggi pubblici”.

2. Con la deliberazione del 31.1.2005, n. 6/1 il Consiglio comunale di Moena ha adottato il documento preliminare per l’individuazione degli obiettivi da perseguire con la variante al piano regolatore.

Quindi, con provvedimento n. 19/3 del 24.3.2005, l’Amministrazione ha approvato la prima adozione della variante generale, in relazione alla quale la società ricorrente aveva presentato osservazioni, manifestando l’interesse a che la destinazione urbanistica fosse modificata in area destinata ad attività alberghiere e turistiche. Con provvedimento n. 15/2 del 29.5.2007 il Comune di Moena ha deliberato l’adozione definitiva della variante generale al piano regolatore. La vista osservazione della ricorrente non è stata accolta.

Successivamente, però, essendo emersa una possibile situazione di incompatibilità per alcuni consiglieri, il Consiglio comunale ha ravvisato l’opportunità di revocare le due deliberazioni per evitare eventuali impugnazioni che avrebbero potuto ritardare i tempi di attuazione delle nuove previsioni.

Di conseguenza, il Consiglio comunale con provvedimento n. 38/5 del 19.9.2007 ha nuovamente provveduto alla prima adozione della variante al piano regolatore generale e con deliberazione n. 47/6 alla adozione definitiva, con l’eliminazione delle situazioni di possibile incompatibilità.

La Giunta provinciale ha approvato la variante in questione con il provvedimento n. 2761 di data 7.12.2007.

3. Con ricorso notificato in data 15 febbraio 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo 4 marzo, la società ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento in parte qua, i nominati provvedimenti di adozione e di approvazione della variante al piano regolatore, atti meglio specificati in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di diritto:

I – “violazione degli articoli 39 bis, 40, 41 e 42 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22; eccesso di potere per carenza e sviamento di potere”. Si sostiene che il provvedimento di revoca avrebbe necessariamente comportato anche il venir meno dell’atto presupposto: la nuova adozione della variante difetterebbe, pertanto, del necessario documento preliminare programmatico;

II – “eccesso di potere per motivazione carente e/o contraddittoria anche in relazione ai principi contenuti nella sentenza n. 179 del 20.5.1999 della Corte costituzionale; violazione di legge per violazione dell’articolo 67 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22; eccesso di potere per difetto di istruttoria; eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità e per difetto di ponderazione”, posto che l’illegittima reiterazione del vincolo, avente natura espropriativa, sarebbe avvenuta in assenza di una motivazione specifica e puntuale;

III – “violazione di legge per violazione dell’articolo 39 del D.P.R. 8.6.2001, n. 327; violazione dei principi enunciati nella sentenza 20.5.1999, n. 179 della Corte costituzionale anche con riguardo all’articolo 42 della Costituzione; difetto di motivazione”, perché l’illegittima reiterazione del vincolo espropriativo sarebbe avvenuta senza la previsione dell’indennizzo;

IV – “eccesso di potere per motivazione insufficiente e/o contraddittoria; eccesso di potere per manifesta disparità di trattamento ed illogicità manifesta; difetto di istruttoria; violazione del decreto interministeriale 2.4.1968, n. 1444”. La società contesta il merito della scelta, sia affermando che un parcheggio pubblico vicino ad una struttura alberghiera avrebbe un effetto impattante, sia sostenendo che nei pressi vi sarebbero altre zone idonee alla realizzazione di parcheggi.

4. Nei termini di legge si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato nel merito.

5. Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

1. Con il ricorso in esame la società Centro vacanze Veronza ha impugnato le deliberazioni del Consiglio comunale di Moena di prima adozione e di adozione definitiva della variante al piano regolatore generale, nonché la deliberazione della Giunta provinciale di approvazione, chiedendone l’annullamento in parte qua. Viene contestata, in particolare, la conferma della destinazione ad “area per parcheggi pubblici” sui terreni di proprietà della ricorrente, situati nel centro abitato del Comune di Moena, prossimi all’edificio destinato a residenza turistico alberghiera ad essa appartenente.

2. Procedendo dal primo motivo di ricorso, con esso si deduce un vizio procedurale relativo all’iter di adozione dei provvedimenti impugnati.

Per la comprensione della censura, occorre premettere che – come già sinteticamente esposto in fatto – la variante urbanistica è stata adottata una prima volta dal Consiglio comunale di Moena con le deliberazioni n. 19/03 del 2005 e n. 15/2 del 2007. Successivamente, “considerato che la partecipazione dei consiglieri comunali alle sedute nelle quali sono stati adottati i due provvedimenti è stata condizionata dagli interessi diretti o di parenti”, l’Amministrazione, con la deliberazione n. 37/04 del 11.9.2007, ha “ravvisato l’opportunità di revocare le due deliberazioni, anche per evitare eventuali impugnazioni che potrebbero dilazionare notevolmente i tempi di effettiva attuazione delle previsioni urbanistiche”, oltre che per “garantire la più ampia partecipazione dei consiglieri comunali all’adozione della variante”.

Il procedimento di adozione, che era iniziato con l’emanazione dell’atto 31.1.2005, n. 6/1, ossia del documento preliminare previsto dall’articolo 39 bis della legge urbanistica provinciale 5.9.1991, n. 22, è stato riattivato, dopo l’anzidetta revoca delle deliberazioni di prima adozione e di adozione definitiva, con le rinnovate deliberazioni di adozione.

La ricorrente sostiene, dunque, che la disposta revoca avrebbe comportato “il venir meno” anche dell’atto presupposto, ossia del documento preliminare, cosicché le due nuove deliberazioni non sarebbero più sorrette dal necessario documento preliminare.

Il motivo è privo di giuridico pregio.

Invero, la citata deliberazione del consiglio comunale n. 37/04 del 11.9.2007 ha revocato le sole deliberazioni n. 19/3 e n. 15/2, per le motivazioni chiaramente esposte sull’incompatibilità di singoli consiglieri.

Ora, secondo i noti principi che disciplinano lo svolgersi del procedimento amministrativo, vanno distinti i vizi che colpiscono l’intero procedimento da quelli che riguardano solo determinate fasi dell’iter. In tale prospettiva, “il canone fondamentale è quello della conservazione degli atti giuridici, operante in tutti i settori dell’ordinamento giuridico, ma che, nel diritto amministrativo assume una valenza rafforzata, in relazione alle specifiche regole di economicità dell’azione amministrativa e del divieto di aggravamento del procedimento”. Da ciò si deduce che la concreta portata di un annullamento, o di una revoca, deve essere rigorosamente circoscritta soltanto agli atti effettivamente inficiati dai vizi accertati. “Di conseguenza, la rinnovazione del procedimento deve limitarsi solo alle fasi viziate ed a quelle successive, conservando l’efficacia dei precedenti atti legittimi del procedimento” (cfr., in termini: C.d.S., sez. V, 8.9.2008, n. 4269).

Nello stesso senso, occorre anche aggiungere che, in applicazione del principio “utile per inutile non vitiatur”, l’annullamento o la revoca si rivolgono agli atti viziati ed a quelli inscindibilmente connessi, ma non anche a quelli funzionalmente indipendenti. Ugualmente è a dirsi per le fasi del procedimento indipendenti da quelle travolte dagli atti di ritiro ed, in particolare, per quelle che le precedono.

Alla luce dei ricordati principi, appare innanzitutto corretto che l’intervenuta revoca, attesa la sua ragione, sia stata limitata alle sole deliberazioni di adozione e che non abbia interessato anche il documento preliminare di carattere programmatico. Con tale atto, infatti, l’Amministrazione si è limitata ad individuare gli obiettivi da perseguire per raggiungere le finalità dalla normativa urbanistica ed a definire le linee strategiche d’azione su cui poi sviluppare le scelte del piano regolatore generale. Trattasi, quindi, di un atto di indirizzo sulle scelte strategiche nella pianificazione del proprio territorio, in relazione al quale non sono emerse specifiche situazioni di incompatibilità di singoli consiglieri.

In secondo luogo, per gli stessi principi già esposti, vista l’autonomia delle manifestazioni di volontà espresse dapprima in sede di definizione delle strategie e successivamente come scelte operative, la fase della sequenza procedimentale precedente, esauritasi col documento programmatico, non è investita né pregiudicata dall’atto di ritiro ed è rimasta quindi immune dalla revoca.

Il primo motivo di ricorso va perciò disatteso.

3a. Con il secondo e con il terzo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente, la società istante deduce che, per le particelle fondiarie in questione, la variante al piano regolatore generale avrebbe reiterato il vincolo espropriativo di destinazione a parcheggio pubblico, in assenza sia di una puntuale motivazione sia della contestuale previsione di un indennizzo, in difformità dai principi indicati nella sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999.

Tali censure non sono fondate.

Va invero condivisa, al riguardo, la ricostruzione operata dalla difesa del Comune resistente che, richiamando recenti decisioni del Consiglio di Stato ed, in particolare, sez. IV, 1.10.2007, n. 5059, ha qualificato il controverso vincolo come “conformativo” e perciò (a differenza di quello preordinato all’esproprio) non soggetto a decadenza.

“Se è vero, infatti, che la previsione dell’indennizzo è doverosa non solo per i vincoli preordinati all’ablazione del suolo, ma anche per quelli (secondo la definizione di cui all’art. 39, comma 1, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), è anche vero che non possono essere annoverati in quest’ultima categoria di vincoli quelli derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato (come espressamente e puntualmente sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 20 maggio 1999, n. 179, e come ribadito dalla giurisprudenza di questo giudice” (cfr., ex multis, C.d.S., sez. IV, 1.10.2007, n. 5059 e 28.2.2005, n. 693).

Con la prima pronuncia menzionata il Giudice d’appello ha altresì precisato “che il vincolo, per essere qualificato sostanzialmente espropriativo, deve comportare l’azzeramento del contenuto economico del diritto di proprietà e che, di contro, la disciplina urbanistica che ammette la realizzazione di interventi edilizi da parte di privati, seppur conformati dal perseguimento del peculiare interesse pubblico che ha determinato il vincolo, non si risolve in una sostanziale espropriazione, ma solo in una limitazione, conforme ai principi che presiedono al corretto ed ordinario esercizio del potere pianificatorio, dell’attività edilizia realizzabile sul terreno”.

In altri termini, si ritiene che la destinazione a parcheggio pubblico attribuita dal piano regolatore ad una determinata area non si risolva necessariamente in un vincolo preordinato all’esproprio, dipendendo tale qualificazione, in concreto, dalla effettiva incidenza che la relativa previsione esplica sul contenuto del diritto di proprietà. Infatti, una tale destinazione, pur di carattere pubblicistico, non esclude necessariamente che essa possa essere realizzata e gestita anche dal privato, che in tal caso ne fa oggetto dell’esercizio di un’attività economica.

Anche il giudice di primo grado ha, nello stesso senso, considerato che “ove sia consentita, anche ad iniziativa del proprietario, la realizzazione di opere e strutture intese all’effettivo godimento del bene, è da escludere, ex se, la configurabilità di uno svuotamento incisivo del contenuto del diritto di proprietà, permanendo comunque la utilizzabilità dell’area rispetto alla sua destinazione naturale” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 26.4.2006, n. 1055).

Detto orientamento della giurisprudenza amministrativa è condiviso dal Collegio.

Per conseguenza, solo nel caso in cui la disciplina urbanistica escluda che nella zona destinata a parcheggio pubblico siano possibili, anche parzialmente, iniziative da parte del privato proprietario dell’area, detto vincolo potrà essere qualificato come preordinato all’espropriazione, o comunque tale da svuotare il contenuto del diritto di proprietà.

Nella fattispecie in esame, i terreni della società ricorrente erano e sono stati gravati dal vincolo “area per parcheggi – 22”, nel previgente ordinamento disciplinato dall’articolo 10, ed, ora, dall’articolo 53, delle norme tecniche di attuazione. La disposizione citata non è mutata e prevede innanzitutto che “le zone destinate a parcheggi pubblici … sono indicate … in adiacenza ad aree nelle quali le destinazioni d’uso previste richiedono spazi a ciò destinati”. Prosegue poi specificando che in dette aree “è consentita la realizzazione, senza limitazioni volumetriche, di parcheggi interrati”, con il solo vincolo della stipula di una convenzione registrata tra il Comune e il privato per “garantire la destinazione e l’utilizzo pubblico dell’area in superficie”, oltre che per “l’intavolazione della servitù di pubblico transito”.

Nella fattispecie, quindi, l’obiettivo di interesse generale (il parcheggio pubblico) è ritenuto realizzabile (e specificamente compreso come tale nella previsione pianificatoria) anche attraverso l’iniziativa economica privata, o promiscua pubblico-privata, che non comporta necessariamente l’espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e, quindi, è attuabile anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene, mediante forme di convenzionamento con l’ente pubblico.

In conclusione, la tesi dell’Amministrazione, secondo cui il vincolo sarebbe configurabile come conformativo e non come espropriativo, è condivisibile poiché esso non determina una situazione incompatibile col diritto di proprietà. Sussiste, infatti, la possibilità del privato proprietario di realizzare e/o di gestire la struttura, in modo economicamente rilevante, previa convenzione col Comune.

In ragione di quanto sopra la dedotta censura dev’essere disattesa.

3b. Circa l’asserita carenza di motivazione, occorre innanzitutto ricordare che le scelte urbanistiche, che inevitabilmente valorizzano alcune aree mortificando le prospettive di utilizzazione di altre, costituiscono per pacifica giurisprudenza apprezzamenti di merito, anche se ciò “non significa che esse siano sottratte al sindacato di legittimità, ma solo che quest’ultimo non può che essere limitato alle macroscopiche figure sintomatiche dell’eccesso di potere, dell’arbitrarietà, dell’irrazionalità o dell’irragionevolezza della scelta o del travisamento dei fatti in relazione alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare” (cfr., C.d.S., Ad. plen., 22.12.1999, n. 24; T.R.G.A., Trento, 6.6.2005, n. 170, e, da ultimo, C.d.S., sez. IV, 30.9.2008, n. 4712; sez. IV, 9.6.2008, n. 2837 e T.R.G.A. Trento, 9.9.2008, n. 227). E’ stato, altresì, chiarito che la destinazione data con lo strumento urbanistico ad un’area o ad una zona del territorio e le connesse valutazioni dell’Amministrazione non necessitano di apposita motivazione oltre a quella che si può evincere dai criteri generali di ordine tecnico – discrezionale seguiti dall’impostazione del Piano stesso, criteri che possono essere desunti anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano richiamati dal provvedimento conclusivo o dalla relazione di accompagnamento al progetto (cfr., ex multis, C.d.S., sez. IV, 11.10.2007, n. 5357).

In tal senso, sia nel documento preliminare che nella relazione di accompagnamento della variante si legge che “il problema della viabilità e dei parcheggi sono tra gli elementi maggiormente significativi per un recupero funzionale dell’abitato di Moena, per migliorare la qualità di vita dei cittadini e dei numerosi turisti che durante l’anno affollano la località”. E’ stato dunque “previsto l’incremento del numero dei parcheggi, dimensionati in rapporto alle necessità delle singole zone omogenee”.

Gli esposti principi in tema di motivazione degli strumenti urbanistici sono stati, del resto, ribaditi dall’art. 3, comma 2, della legge 7.8.1990, n. 241, e, per quanto riguarda la Provincia di Trento, dall’art. 4, comma 2, della legge provinciale 23.11.1992, n. 23. Essi subiscono dei parziali correttivi soltanto quando particolari situazioni abbiano creato “aspettative dei privati particolarmente qualificate, come quelle ingenerate da impegni già assunti dall’amministrazione mediante approvazione di piani attuativi o stipula di convenzioni” (cfr. C.d.S., n. 2837 del 2008 cit.) o “ingenerato affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni sono meritevoli di specifiche considerazioni … quali un giudicato di annullamento … la reiterazione di un vincolo scaduto” (cfr., ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 19.2.2007, n. 861), o quando si tratti di varianti specifiche, interessanti una porzione limitata di territorio che “perdono dunque la connotazione di atti a contenuto generale per essere, al contrario, dirette ad aree nonché a soggetti, aventi un collegamento stabile con le stesse aree, particolari” (cfr. T.A.R., Lombardia, Brescia, 23.4.2002, n. 800 e T.R.G.A., Trento, 24.1.2008, n. 13).

Nella vicenda all’esame non si sono, peraltro, costituiti in capo alla deducente né alcun affidamento né alcuna aspettativa qualificata ad una destinazione a parco, o a servizi comuni, od ancora a spazi destinati alla ricettività alberghiera, come richiesto con le osservazioni, manifestandosi invece la sola generica aspettativa ad una reformatio in melius del proprio terreno del tutto identica a quella di ogni altro proprietario che aspiri ad una utilizzazione edificatoria della propria area.

3c. Con l’ultima parte del secondo motivo si introduce la questione relativa all’obbligo della motivazione in relazione alle osservazioni presentate a seguito del deposito del progetto di variante. La società ricorrente che, come già ricordato, aveva presentato le osservazioni di rito, lamenta al riguardo l’assoluta assenza di motivazione circa il loro mancato accoglimento.

Il motivo è infondato, non essendovi alcun motivo per discostarsi dalla consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo che, anche recentemente, ha ribadito: “le osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano” (cfr., ex multis, C.d.S., sez. IV, 9.6.2008, n. 2837 e la giurisprudenza ivi richiamata).

4. Con l’ultimo motivo la società ricorrente contesta il merito della scelta di realizzare un parcheggio nei pressi dell’albergo di sua proprietà, evidenziando da un lato che l’Amministrazione non avrebbe considerato l’effettiva necessità di parcheggi pubblici, asseritamente già sovrabbondanti, e, d’altro lato, che una tale realizzazione avrebbe un effetto “impattante”, mentre più convenientemente si sarebbero potuti localizzare in un’altra zona idonea.

Inoltre, la ricorrente denuncia disparità di trattamento rispetto ad osservazioni presentate da altri titolari di alberghi, le quali sarebbero state accolte nel senso dell’ampliamento della destinazione urbanistica alberghiera.

Anche le riportate argomentazioni sono prive di giuridico pregio.

4a. Il Collegio ha già ricordato al punto 3b la posizione della giurisprudenza sia sulla motivazione che sulle scelte dell’Amministrazione pubblica in sede di pianificazione urbanistica. Basti aggiungere solo che “la variante generale al piano regolatore è atto di disciplina generale dell’assetto del territorio, in quanto atto generale non necessita di motivazione specifica e le scelte effettuate dall’amministrazione costituiscono apprezzamento di merito, sottratte al sindacato di legittimità” (cfr., C.d.S., sez. IV, 22.4.2000, n. 2934).

E’ già stato altresì ricordato che il sindacato del giudice amministrativo è limitato all’irrazionalità e all’irragionevolezza della scelta operata in sede pianificatoria, in relazione alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare.

Ciò posto, non si ravvisa l’esistenza di alcuno dei dedotti vizi macroscopici nella scelta di edificare un parcheggio pubblico nei pressi della residenza alberghiera di proprietà della ricorrente.

Al Collegio è nota la situazione della zona: il rinomato paese di Moena è gravato per molti mesi all’anno da un notevole flusso turistico ed “il problema della viabilità e dei parcheggi” è stato affrontato dalla variante in esame nel quadro degli “elementi maggiormente significativi per un recupero funzionale dell’abitato … per migliorare la qualità dei cittadini e dei numerosi turisti”.

4b. Giuridicamente infondata è poi la dedotta violazione del D.M. 2.4.1968, n. 1444. Questo Tribunale ha già avuto occasione di ricordare che nel territorio della Provincia di Trento la normativa di riferimento è contenuta nella legge provinciale 9.11.1987, n. 26, di approvazione del Piano urbanistico provinciale. Nella relazione illustrativa, approvata con l’articolo 1, comma 1, lettera b), si dispone che in Trentino occorre “elevare e articolare lo standard nazionale del D.M. del 1968”, di riferirlo anche all’utenza turistica e di calcolarlo per tenendo conto dell’”attrattività di ciascun centro per il traffico e la sosta ovvero delle concentrazioni di servizi e di attività commerciali e ricreative in genere che vi si possono trovare”. L’appendice H della relazione riporta per ogni Comune della Provincia il dimensionamento standard degli spazi da destinare a parcheggio, un dato ottenuto applicando il riportato e complesso calcolo. Giova a questo punto precisare che la Variante 2000 al Piano urbanistico provinciale, di cui alla legge provinciale 7.8.2003, n. 7, al paragrafo 10 della relazione illustrativa evidenzia la “presenza di un buon standard al livello della pianificazione subordinata, nel senso che i PRG hanno precisato in termini localizzativi, tipologici e quantitativi tutte le attrezzature di servizio che il PUP indica come mera quantità di spazi coperti, scoperti e parcheggi”. Dispone poi che, se saranno studiati nuovi parameri dimensionali, essi dovranno comunque essere “basati ancora sull’ nella sua accezione funzionale di bacino di utenza”. E tale è la normativa attualmente in vigore in base al disposto di cui al comma 6 dell’articolo 48 delle norme di attuazione della legge provinciale 27.5.2008, n. 5, concernente l’approvazione del nuovo Piano urbanistico provinciale (cfr., T.R.G.A. 23.10.2008, n. 266).

4c. Quanto, infine, alla denunciata disparità di trattamento, occorre osservare che le diverse situazioni richiamate dalla ricorrente non apportano alcun ausilio alle tesi dell’istante, posto che: – in ordine alla nuova e diversa destinazione attribuita ad un’area situata poco a nord della residenza turistico alberghiera, occorre osservare che trattasi di una zona perimetrata nel centro storico; – circa l’accoglimento delle osservazioni presentate dai proprietari di altri alberghi (Arnika, Foresta e Belvedere), trattasi di hotel collocati in altre zone del territorio comunale.

Perciò, è sufficiente richiamare quella consolidata giurisprudenza, secondo la quale “il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento presuppone non l’analogia, ma la identità oggettiva delle situazioni di fatto e di diritto. Di conseguenza il motivo volto a censurare la disparità di trattamento è ammissibile solo nel caso di assoluta e indiscutibile identità di situazioni, sì da comportare la totale, manifesta illogicità e irrazionalità” dell’operato della Pubblica amministrazione (cfr., T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 1.2.2008, n. 895, ma anche T.R.G.A., Trento, 6.11.2001, n. 628 e 20.8.2008, n. 220).

5. In definitiva, per le suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e devono essere accollate alla parte ricorrente nella misura liquidata nel dispositivo.

P. Q.M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 53 del 2008, lo respinge.

Condanna la società Centro Vacanze Veronza S.p.a. al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 4.800,00 (quattromilaottocento) di cui € 4.000 per onorari ed € 800 per diritti, oltre a I.V.A. e C.P.A. ed al 12,5% sull’importo degli onorari a titolo di spese generali.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 12 febbraio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dottor Lorenzo Stevanato – Presidente f.f.

dottoressa Alessandra Farina – Consigliere

dottoressa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 26 febbraio 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N.63/2009 Reg. Sent.

N. 53/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 62/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 52 del 2008 proposto dalla società Centro Vacanze Veronza S.p.a., in persona del legale rappresentante signor Bortolo Dalle Nogare, rappresentata e difesa dall’avvocato Gianpiero Luongo ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Trento, via Serafini, 9

CONTRO

il Comune di Moena (Trento), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Roberta de Pretis ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa in Trento, via SS. Trinità, 14

CONTRO

la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

* della “deliberazione n. 38/05 di data 19.9.2007 del Consiglio comunale di Moena di prima adozione della variante generale al piano regolatore generale”;
* della “deliberazione n. 47/06 di data 26.11.2007 del Consiglio comunale di Moena di adozione definitiva della variante generale al piano regolatore generale”;
* della “deliberazione n. 2761 di data 7.12.2007, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione n. 51/I/II di data 18.12.2007, della Giunta provinciale di Trento, di approvazione della variante generale al piano regolatore generale di Moena”;
* nonché di “ogni altro atto presupposto, infraprocedimentale e consequenziale”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 12 febbraio 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avvocato Gianpiero Luongo per la parte ricorrente e l’avvocato Roberta de Pretis per l’Amministrazione comunale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. La società ricorrente espone in fatto di essere proprietaria dell’edificio tavolarmente individuato dalla p.ed. 929, in C.C. Moena, originariamente costituente l’albergo Villa Emma. Con concessione ad edificare n. 04/73, del 16.8.2004, l’Amministrazione comunale ha autorizzato i lavori di demolizione con ricostruzione dell’immobile destinato ad essere trasformato in una “residenza turistico alberghiera”. I relativi lavori hanno avuto inizio in data 2.8.2005.

2. Con la deliberazione del 31.1.2005, n. 6/1, il Consiglio comunale di Moena ha adottato il documento preliminare per l’individuazione degli obiettivi da perseguire con la variante al piano regolatore.

Quindi, con provvedimenti n. 19/3 del 24.3.2005 di prima adozione, e n. 15/2 del 29.5.2007 di adozione definitiva, il Comune di Moena ha deliberato la variante generale al piano regolatore. Successivamente, però, essendo emersa una possibile situazione di incompatibilità di alcuni consiglieri, il Consiglio comunale ha ravvisato l’opportunità di revocare le due deliberazioni per evitare eventuali impugnazioni che avrebbero potuto ritardare i tempi di attuazione delle nuove previsioni.

Di conseguenza, l’Amministrazione comunale con provvedimento n. 38/5 del 19.9.2007 ha nuovamente provveduto alla prima adozione della variante al piano regolatore generale e con deliberazione n. 47/6 alla adozione definitiva, con l’eliminazione delle situazioni di possibile incompatibilità.

La Giunta provinciale ha approvato la variante in questione con il provvedimento n. 2761, di data 7.12.2007, che è dunque in vigore dal 19.12.2007.

L’articolo 40 delle nuove norme di attuazione disciplina le “zone ricettive – alberghiere” disponendo che trattasi di “aree destinate alla costruzione di attività alberghiere ad esclusione delle residenze turistico alberghiere …”.

3. Con ricorso notificato in data 15 febbraio 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo 4 marzo, la ricorrente ha impugnato i nominati provvedimenti di adozione e di approvazione della variante al piano regolatore, atti meglio specificati in epigrafe, chiedendone l’annullamento in parte qua con riferimento alla riportata disposizione dell’articolo 40, e deducendo i seguenti motivi di diritto:

I – “violazione degli articoli 39 bis, 40, 41 e 42 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22; eccesso di potere per carenza e sviamento di potere”. Si ritiene che il provvedimento di revoca avrebbe necessariamente comportato anche il venir meno dell’atto presupposto: la nuova adozione della variante mancherebbe pertanto del necessario documento preliminare programmatico;

II – “eccesso di potere per manifesta contraddittorietà, per sviamento di potere, per omessa e comunque carente istruttoria, per difetto di motivazione; eccesso di potere per manifesta illogicità anche in relazione alla legge provinciale 15.5.2002, n. 7”. La ricorrente lamenta che l’articolo 40 delle norme di attuazione abbia escluso dalle attività ammesse nelle zone alberghiere le residenze turistico alberghiere che rientrerebbero, da ogni punto di vista, nella tipologia degli esercizi alberghieri;

III – “eccesso di potere per difetto, sotto ulteriore profilo, di motivazione; eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà manifeste”, in quanto i provvedimenti impugnati sarebbero privi di alcuna motivazione sul merito della contestata scelta;

IV- “violazione degli articoli 41 e 42 della Costituzione, anche in relazione alla legge provinciale 15.5.2002, n. 7; eccesso di potere per sviamento di potere e per manifesta illogicità”, perché la normativa impugnata comporterebbe un’irragionevole limitazione alla libertà di iniziativa economica privata.

4. Nei termini di legge si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato nel merito.

5. Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

1. Con il ricorso in esame la società Centro vacanze Veronza ha impugnato le deliberazioni del Consiglio comunale di Moena di prima adozione e di adozione definitiva della variante al piano regolatore generale, nonché la deliberazione della Giunta provinciale di approvazione di detta variante, chiedendone l’annullamento in parte qua. Viene contestata, in particolare, la nuova formulazione dell’articolo 40 delle n.t.a. del piano regolatore ove, per le aree destinate alla costruzione di attività alberghiere ed attrezzature turistiche, è stata esclusa la possibilità di realizzare residenze turistico alberghiere.

2. Procedendo dal primo motivo di ricorso, con esso si deduce un vizio procedurale relativo all’iter di adozione dei provvedimenti impugnati.

Per la comprensione della censura, occorre premettere che – come già sinteticamente esposto in fatto – la variante urbanistica è stata adottata una prima volta dal Consiglio comunale di Moena con le deliberazioni n. 19/03 del 2005 e n. 15/2 del 2007. Successivamente, “considerato che la partecipazione dei consiglieri comunali alle sedute nelle quali sono stati adottati i due provvedimenti è stata condizionata dagli interessi diretti o di parenti”, l’Amministrazione, con la deliberazione n. 37/04 del 11.9.2007, ha “ravvisato l’opportunità di revocare le due deliberazioni, anche per evitare eventuali impugnazioni che potrebbero dilazionare notevolmente i tempi di effettiva attuazione delle previsioni urbanistiche”, oltre che per “garantire la più ampia partecipazione dei consiglieri comunali all’adozione della variante”.

Il procedimento di adozione, che era iniziato con l’emanazione dell’atto 31.1.2005, n. 6/1, ossia del documento preliminare previsto dall’articolo 39 bis della legge urbanistica provinciale 5.9.1991, n. 22, è stato riattivato, dopo l’anzidetta revoca delle deliberazioni di prima adozione e di adozione definitiva, con le rinnovate deliberazioni di adozione.

La ricorrente sostiene, dunque, che la disposta revoca avrebbe comportato “il venir meno” anche dell’atto presupposto, ossia del documento preliminare, cosicché le due nuove deliberazioni non sarebbero più sorrette dal necessario documento preliminare.

Il motivo è privo di giuridico pregio.

Invero, la citata deliberazione del consiglio comunale n. 37/04 del 11.9.2007 ha revocato le sole deliberazioni n. 19/3 e n. 15/2, per le motivazioni chiaramente esposte sull’incompatibilità di singoli consiglieri.

Ora, secondo i noti principi che disciplinano lo svolgersi del procedimento amministrativo, vanno distinti i vizi che colpiscono l’intero procedimento da quelli che riguardano solo determinate fasi dell’iter. In tale prospettiva, “il canone fondamentale è quello della conservazione degli atti giuridici, operante in tutti i settori dell’ordinamento giuridico, ma che, nel diritto amministrativo assume una valenza rafforzata, in relazione alle specifiche regole di economicità dell’azione amministrativa e del divieto di aggravamento del procedimento”. Da ciò si deduce che la concreta portata di un annullamento, o di una revoca, deve essere rigorosamente circoscritta soltanto agli atti effettivamente inficiati dai vizi accertati. “Di conseguenza, la rinnovazione del procedimento deve limitarsi solo alle fasi viziate ed a quelle successive, conservando l’efficacia dei precedenti atti legittimi del procedimento” (cfr., in termini: C.d.S., sez. V, 8.9.2008, n. 4269).

Nello stesso senso, occorre anche aggiungere che, in applicazione del principio “utile per inutile non vitiatur”, l’annullamento o la revoca si rivolgono agli atti viziati ed a quelli inscindibilmente connessi, ma non anche a quelli funzionalmente indipendenti. Ugualmente è a dirsi per le fasi del procedimento indipendenti da quelle travolte dagli atti di ritiro ed, in particolare, per quelle che le precedono.

Alla luce dei ricordati principi, appare innanzitutto corretto che l’intervenuta revoca, attesa la sua ragione, sia stata limitata alle sole deliberazioni di adozione e che non abbia interessato anche il documento preliminare di carattere programmatico. Con tale atto, infatti, l’Amministrazione si è limitata ad individuare gli obiettivi da perseguire per raggiungere le finalità dalla normativa urbanistica ed a definire le linee strategiche d’azione su cui poi sviluppare le scelte del piano regolatore generale. Trattasi, quindi, di un atto di indirizzo sulle scelte strategiche nella pianificazione del proprio territorio, in relazione al quale non sono emerse specifiche situazioni di incompatibilità di singoli consiglieri.

In secondo luogo, per gli stessi principi già esposti, vista l’autonomia delle manifestazioni di volontà espresse dapprima in sede di definizione delle strategie e successivamente come scelte operative, la fase della sequenza procedimentale precedente, esauritasi col documento programmatico, non è investita né pregiudicata dall’atto di ritiro ed è rimasta quindi immune dalla revoca.

Il primo motivo di ricorso va perciò disatteso.

3a. Con il secondo e con il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, la società ricorrente censura l’intervenuta modifica dell’articolo 40 delle n.t.a. del piano regolatore, e precisamente nella parte in cui si esclude che, nelle aree destinate alle attività alberghiere ed alle attrezzature turistiche, si possano realizzare residenze turistico alberghiere. Al proposito, l’istante deduce sia che la fattispecie esclusa rientra nella tipologia degli esercizi alberghieri (secondo la legislazione provinciale in materia di turismo, di cui alla legge provinciale 15.5.2002, n. 7), sia che non si comprenderebbero le ragioni della scelta compiuta dal pianificatore di Moena.

3b. Il Collegio ritiene opportuno premettere che sulla base della normativa previgente, e precipuamente dell’articolo 12 delle norme tecniche, nell’anno 2004 la società ricorrente ha ottenuto la concessione ad edificare n. 04/73 per realizzare una residenza turistico alberghiera sul sedime dell’edificio ex albergo Villa Emma. Questo è stato completamente demolito per edificare un nuovo fabbricato articolato in cinque livelli fuori terra destinati a 23 unità abitative. Ogni alloggio è composto da soggiorno, cucina, due camere da letto e servizi igienici, per una superficie minima di 65 mq.

Così esplicitata la situazione della ricorrente, essa assume che la nuova versione del citato articolo 40 – lesiva dei propri interessi, anche futuri, essendo già proprietaria di un immobile destinato a residenza turistico alberghiera – sarebbe illogica e immotivata, posto che le residenze turistico alberghiere rientrano a tutti gli effetti nella tipologia degli esercizi alberghieri.

Tali censure non possono essere condivise.

3c. Osserva innanzitutto il Collegio che le scelte urbanistiche, che inevitabilmente valorizzano alcune aree mortificando le prospettive di utilizzazione di altre, costituiscono apprezzamenti di merito, anche se ciò “non significa che esse siano sottratte al sindacato di legittimità, ma solo che quest’ultimo non può che essere limitato alle macroscopiche figure sintomatiche dell’eccesso di potere, dell’arbitrarietà, dell’irrazionalità o dell’irragionevolezza della scelta o del travisamento dei fatti in relazione alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare” (cfr., C.d.S., Ad. plen., 22.12.1999, n. 24; T.R.G.A., Trento, 6.6.2005, n. 170, e, da ultimo, C.d.S., sez. IV, 30.9.2008, n. 4712; sez. IV, 9.6.2008, n. 2837 e T.R.G.A. Trento, 9.9.2008, n. 227).

E’ stato poi anche chiarito che la destinazione data con lo strumento urbanistico ad una zona del territorio, e le connesse valutazioni dell’Amministrazione, non necessitano di apposita motivazione oltre a quella che si può evincere dai criteri generali di ordine tecnico – discrezionale seguiti dall’impostazione del Piano stesso, criteri che possono essere desunti anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano richiamati dal provvedimento conclusivo o dalla relazione di accompagnamento al progetto (cfr., ex multis, C.d.S., sez. IV, 11.10.2007, n. 5357).

3d. Così definiti in termini generali i limiti entro cui possono essere sindacate le scelte pianificatorie, va ora precisato che la classificazione delle tipologie degli esercizi alberghieri, disposta dall’articolo 5 della legge provinciale 15.5.2002, n. 7, è stata adottata nell’esercizio della competenza legislativa primaria in materia di turismo e industria alberghiera (articolo 8, primo comma, n. 20) dello Statuto speciale d’autonomia) e dunque al “fine di promuovere la qualificazione del turismo trentino e di garantire al consumatore l’effettivo rispetto del livello dei servizi offerti” (cfr. articolo 1). A tali fini la citata normativa ha introdotto sia un nuovo sistema di classificazione che un sistema di certificazione di qualità aziendale, tra loro complementari.

I generi di esercizi alberghieri individuati dal Legislatore provinciale per le riportate finalità non possono però precostiture un automatico vincolo per il pianificatore territoriale i cui autonomi poteri di scelta, anche nel definire le tipologie degli insediamenti che possono essere realizzati in determinate aree, godono invece dell’ampia discrezionalità sopra ricordata, salvo che non risultino incoerenti con l’impostazione di fondo della pianificazione o non siano manifestamente incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio.

Nello stesso senso, è già stato affermato dal giudice amministrativo che “è legittima la variante al Prg che distingue, nel prevedere gli interventi edificatori ammessi in una certa zona, tra strutture alberghiere e residences, in quanto la l. 17 maggio 1983 n. 217 (ora abrogata dall’art. 11 comma 6, l. 29 marzo 2001 n. 135), che qualificava come strutture ricettive sia gli alberghi che le residenze turistico alberghiere, aveva finalità legate allo sviluppo turistico ed era quindi irrilevante sotto il profilo urbanistico, come analoga irrilevanza sotto il profilo delle scelte urbanistiche del Comune ha la definizione unitaria delle due strutture operata dalla l. reg. Lombardia 28 aprile 1997, n. 12” (cfr., T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 8.10.2004, n. 5497).

3e. Occorre a questo punto osservare che la contestata limitazione, secondo il Collegio, non appare in contrasto con le scelte strategiche poste a fondamento della variante generale in esame, dato che nel Documento preliminare di carattere programmatico si legge che era intenzione del pianificatore recuperare il patrimonio alberghiero dismesso e riqualificare l’esistente e si afferma che “l’obiettivo è quello di evitare il ricorso alla speculazione immobiliare e l’aumento indiscriminato delle seconde case che andrebbero ulteriormente a sbilanciare il già compromesso equilibrio tra posti letto alberghieri ed extralberghieri”.

Nello stesso Documento si riscontra, altresì, che il rapporto residenti / turisti, che dovrebbe essere 1 a 3, a Moena è di 1 abitante ogni 4 turisti, e che la consistenza dei posti letto extralberghieri è doppia rispetto ai letti alberghieri.

Nella relazione illustrativa alla variante, oltre alla ripresa degli stessi concetti (cfr. pag. 7), si legge anche che si intendevano effettuare interventi per “consentire uno sviluppo turistico alberghiero di livello elevato” (cfr. pag. 28).

3f. Collocata in tale quadro, la scelta pianificatoria contestata non appare né incoerente né illogica, posto che gli alberghi residenziali sono strutture particolari rispetto all’albergo tradizionale in quanto prevedono la possibilità di preparare in autonomia i pasti in appositi spazi cucina, o in zone all’uopo dedicate, per ogni singola unità abitativa. In merito, il Collegio condivide quanto controdedotto dall’Amministrazione, la quale ritiene che per tale peculiare tipologia sia prevalente il servizio della residenzialità rispetto a quanto offerto dalle classiche strutture alberghiere.

E’ altresì evidente che le strutture turistico alberghiere comportano un carico urbanistico diverso dalle strutture alberghiere, potendo favorire insediamenti stabili, anche di tipo familiare, con le esigenze infrastrutturali che ne derivano, ad esempio in materia di parcheggi (cfr., in termini, T.A.R. Lombardia, Milano, n. 5497 del 2004, cit.).

E’ infine necessario segnalare che il Legislatore provinciale, per far sì che in tali strutture il carattere della residenzialità rimanga comunque limitato, con l’articolo 18 della legge 11.3.2005, n. 3, ha introdotto, nella già citata legge n. 7 del 2002, l’articolo 13 bis con il quale ha imposto il divieto di frazionamento della proprietà delle residenze turistico alberghiere (per il periodo di permanenza del vincolo urbanistico di destinazione alberghiera dell’area interessata) per impedire l’alienabilità delle singole unità abitative.

Anche tali motivi non possono dunque essere condivisi.

4. Con l’ultimo motivo la società ricorrente denuncia la violazione degli articoli 41 e 42 della Costituzione perché la scelta pianificatoria contestata, incidendo sulle astratte potenzialità delle aree urbanisticamente dedicate allo sviluppo ricettivo alberghiero, costituirebbe un’irragionevole limitazione alla libertà di iniziativa economica oltre che alla proprietà privata.

Il motivo è privo di pregio.

Va ricordato che per la giurisprudenza amministrativa l’introduzione da parte del Legislatore del vincolo alberghiero trova la sua giustificazione negli articoli 41, terzo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, i quali, rispettivamente, consentono alla legge di “funzionalizzare” ai fini sociali sia la libera attività economica sia la proprietà privata (cfr., C.d.S., sez. V, 15.5.2006, n. 2696). Di conseguenza, il Collegio ritiene che la normativa in esame – ove il pianificatore comunale esclude che nelle zone alberghiere si possa realizzare una sola, e particolarissima, tipologia di esercizi – rientri nel relativo potere conformativo. Essa costituisce una chiara applicazione dei principi posti dai richiamati articoli costituzionali per il perseguimento dei dichiarati (e sopra riportati al punto 3e.) interessi prioritari di natura sociale, al fine di favorire uno sviluppo equilibrato della relazione tra residenzialità e turismo, anche nell’ottica del ripensamento del loro rapporto.

In tal senso, il Collegio ritiene non pertinente la giurisprudenza citata dalla difesa di parte ricorrente (C.d.S., sez. V, 2.5.1996, n. 4497), posto che, in questo caso, l’Amministrazione non ha introdotto un generale divieto di cambio di destinazione d’uso nel passaggio da uno all’altro dei tipi di alberghi previsti. Essa ha solo imposto un contenuto sacrificio – nella forma del divieto di realizzare una sola tipologia fra tutte le altre esistenti – sorretto dalla riportata motivazione che dà sufficientemente conto della ragionevolezza della scelta in attuazione degli interessi esplicitati dal pianificatore comunale nell’esercizio della sua discrezionalità, il cui confine insuperabile risiede proprio nella sua intrinseca logicità.

5. In conclusione, per le argomentazioni sopra esposte, il ricorso deve essere respinto.

Le spese del giudizio, in applicazione del principio della soccombenza, sono poste a carico della parte ricorrente e sono quantificate in dispositivo.

P. Q. M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 52 del 2008, lo respinge.

Condanna la società Centro Vacanze Veronza S.p.a. al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 4.800,00 (quattromilaottocento) (di cui € 4.000 per onorari ed € 800 per diritti), oltre a I.V.A. e C.P.A. ed al 12,5% sull’importo degli onorari a titolo di spese generali.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 12 febbraio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dottor Lorenzo Stevanato – Presidente f.f.

dottoressa Alessandra Farina – Consigliere

dottoressa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 26 febbraio 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 62/2009 Reg. Sent.

N. 52/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento 68/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 34 del 2008 proposto da TOPALLI ARDIT, rappresentato e difeso dall’avv. Michele Busetti ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso in Trento, Via Belenzani, 46

CONTRO

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento nei cui uffici in Largo Porta Nuova n. 9 è, per legge, domiciliato

per l’annullamento

del decreto del Questore della Provincia di Trento CAT. A.11.2007/59/Imm. di data 24.10.2007, con il quale è stata respinta l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 15 gennaio 2009 – relatore il consigliere Fiorenzo Tomaselli – i difensori delle parti costituite come specificato nel verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Con ricorso notificato il 17-21.1.2008 e depositato il successivo 7.2 viene impugnato il provvedimento del Questore di Trento assunto in data 24.10.2007, con cui è stata respinta la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno presentata dal ricorrente a motivo delle riportate condanne penali per reati inerenti al traffico di stupefacenti.

Avverso tale provvedimento, l’interessato ha formulato la seguenti censure in diritto:

1) Illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286, come modificato dall’art. 4, comma 1, della L. 30.7.2002, n. 189 e dell’art. 5, comma 5, dello stesso D.Lgs. n. 286/98 per violazione degli artt. 3, 27 e 113 della Costituzione;

2) Violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 4, comma 3, 5, comma 5 e 13 del D.Lgs. n. 286/98.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, contestando il fondamento del ricorso.

Alla camera di consiglio del 14 febbraio 2008 è stata respinta la domanda di sospensione degli effetti dell’atto impugnato.

All’udienza del 15 gennaio 2009, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

E’ stato in questa sede impugnato il provvedimento con cui il Questore ha respinto la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno del ricorrente, condannato per reati inerenti agli stupefacenti.

Il ricorso non è fondato.

1. Nel primo motivo vengono sollevate questioni di illegittimità costituzionale degli artt. 4 e 5 del D.Lgs. n. 286/98.

Con riferimento alla presunta irragionevolezza della contestata disposizione normativa, si censura l’automatismo tra sentenza di condanna per determinati reati e il diniego del titolo di soggiorno, in quanto ciò escluderebbe la possibilità di operare un giudizio sull’effettiva pericolosità sociale dello straniero nei casi in cui la condanna sia stata pronunciata per fatti di lieve entità.

In relazione a questi ultimi non si giustificherebbe – secondo la tesi del deducente – l’adozione di misure restrittive di diritti costituzionalmente garantiti.

L’avversato automatismo impedirebbe, inoltre, di tener conto dei sopraggiunti elementi nuovi, cui attribuisce rilievo l’art. 5, comma 5, del D.Lgs n. 286/98.

L’illegittimità costituzionale viene denunciata anche con riferimento alla presunta violazione dell’art. 27 Cost., sull’assunto che il rilevato binomio condanna – diniego del permesso di soggiorno, avrebbe, in sostanza, introdotto una vera e propria pena accessoria al reato, avente carattere automatico ed indefettibile e, perciò, incompatibile con i precetti della personalità e della funzione sociale ed educativa della sanzione penale.

Un’ultima questione di incostituzionalità si riferisce alla presunta violazione dell’art. 113 della Costituzione, dato che il diniego automatico e necessitato del titolo di soggiorno priverebbe il cittadino straniero di qualsiasi tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A.

Osserva, al riguardo, il Collegio che la Corte costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi più volte in materia (da ultimo con la recentissima decisione 16.5.2008, n. 148), fornendo una serie di coordinate interpretative univoche, alla luce delle quali è manifesta l’infondatezza delle suddette deduzioni.

Occorre anzitutto evidenziare che l’impugnato diniego di rinnovo del permesso di soggiorno è stato adottato, in applicazione dell’art. 5, comma 5, e dell’art. 4, comma 3 del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286, sul rilievo che nei confronti dell’interessato il Tribunale di Piacenza ha pronunciato in data 25.1.2006 una non lieve condanna, con sentenza divenuta irrevocabile in data 10.3.2006, per il delitto di cui all’art. 73 del D.P.R. 309/90, cioè per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.

Ora, l’art. 4 comma 3 prevede che: “non è ammesso in Italia lo straniero …..che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite”.

A sua volta l’art. 5, comma 5 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, prevede che “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato”.

Per questo aspetto va ricordato che questo Tribunale ha già avuto modo di rilevare (cfr. sent. 19.2.2007. n. 25) che l’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998 (come modificato dall’art. 4 comma 1, lett. b della legge 30.7.2002, n. 189), nel prevedere la preclusione per la prosecuzione del soggiorno in Italia per quei cittadini extracomunitari che siano stati condannati per determinate categorie di reati, quali lo spaccio di sostanze stupefacenti, e che comunque destano particolare allarme sociale, introduce un tratto di attività amministrativa strettamente vincolata che opera nel caso in cui la responsabilità del cittadino straniero sia stata previamente accertata dall’Autorità Giudiziaria a seguito di procedimento penale e successiva sentenza di condanna nei suoi confronti.

In altri termini, il citato art. 4 del D.Lgs, n. 286/98 individua una serie di condotte, quelle integratrici delle fattispecie criminali, e le considera come oggettivi indici di pericolosità sociale. Esse vengono considerate dalla legge quali presupposti in fatto ostativi alla permanenza dello straniero nella comunità nazionale.

Nella specie, dunque, la condanna, prevista nell’art. 4, comma 3, del T.U. n. 286/1998, costituisce motivo di per sé preclusivo al rinnovo del permesso di soggiorno e, di conseguenza, l’Amministrazione legittimamente può limitarsi al richiamo della sussistenza di tale presupposto per negare il richiesto rinnovo, perché la valutazione della pericolosità sociale è stata fatta direttamente ed insindacabilmente dal Legislatore.

D’altronde, non va neppure trascurato il fatto che la recente sentenza di condanna dell’istante ex art. 444 c.p.p. ad anni tre, mesi sei, giorni venti di reclusione ed € 12.000,00 di multa per detenzione e spaccio di droga consegue alla evidente gravità dei fatti ascritti al ricorrente, la cui criminosa condotta sta chiaramente alla base della severa pena patteggiata avanti al Giudice penale.

In casi del genere, il diniego di rinnovo avrebbe dunque carattere vincolato anche se non fosse vigente la norma sopra richiamata, reputata legittima da parte della Corte costituzionale: non può, infatti, essere consentita la permanenza sul territorio nazionale di stranieri, per i quali la pericolosità sociale sia palese anche per condanne per reati diversi da quelli tassativamente previsti dalla legge oppure per la riconosciuta colpevolezza, in sede penale, per detti, nominati reati.

Quanto sopra è, del resto, coerente con la necessità di disciplinare il fenomeno immigratorio con la salvaguardia dell’incolumità della popolazione e dell’ordine pubblico.

Può quindi affermarsi che nel caso in esame la vista preclusione al rilascio del richiesto titolo non costituisce un effetto penale, ovvero una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto che la legislazione pertinente il soggiorno in Italia di cittadini extracomunitar fa derivare dal fatto storico consistente nell’avere riportato una condanna per determinati e gravi reati, come è stato di recente confermato con la menzionata pronuncia della Corte costituzionale n. 148/2008, nella cui motivazione è stato precisato che il ridetto automatismo espulsivo “non è che un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce, anche per gli stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell’autorità amministrativa”.

Le sollevate questioni di incostituzionalità appaiono quindi manifestamente infondate.

2. Priva di pregio è anche la doglianza rivolta nei confronti dell’impugnato provvedimento, con la quale il ricorrente censura la supposta violazione di legge in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione nel valutare circostanze che escludano pregressi fattori di allarme sociale.

Al riguardo, ritiene il Collegio che la circostanza che il giudice penale abbia riconosciuto all’imputato le attenuanti generiche non sminuisce certamente la gravità del reato, come reso evidente dall’entità della pena irrogata, nonostante la riduzione derivante dalla scelta del rito premiale.

Irrilevante si palesa, poi, il richiamo al comportamento successivo, essendo sufficiente a sorreggere il provvedimento impugnato l’esistenza della condanna riportata nel 2006. Quest’ultima è univocamente indicativa del mancato inserimento sociale del ricorrente, in quanto dimostra perseveranza in condotte criminose ed esclude sopravvenienze favorevoli all’instante.

3. Conclusivamente, il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno disposto nei confronti del ricorrente è legittimo ed il ricorso deve essere respinto.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 34/2008, lo respinge.

Spese del giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 15 gennaio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott. Fiorenzo Tomaselli – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 4 marzo 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 68/2009 Reg. Sent.

N. 34/2008 Reg. Ric.

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento 69/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 125 del 2004 proposto da GJERGAJ RUDIN e BROZI ALTIN, rappresentati e difesi dall’avv. Michele Busetti ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Trento, Via Belenzani, n. 46

CONTRO

il MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSARIATO DEL GOVERNO PER LA PROVINCIA DI TRENTO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento, nei cui uffici in Largo Porta Nuova, n. 9, è per legge domiciliata

per l’annullamento

del decreto di data 8.8.2003 prot. n. SP/817/PRT/806/2003, con il quale il Commissario del Governo di Trento ha respinto l’istanza presentata dal sig. Gjergaj Rudin per la regolarizzazione del cittadino extracomunitario Brozi Altin.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 29 gennaio 2009 – relatore il consigliere Fiorenzo Tomaselli – i difensori delle parti costituite come specificato nel verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Con atto notificato il 20.4.2004, tempestivamente depositato il 28.4 successivo, i ricorrenti hanno impugnato il provvedimento commissariale, con cui è stata respinta l’istanza presentata da Gjergaj Rudin per la regolarizzazione del cittadino albanese Brozi Altin, motivato in riferimento al mancato rilascio del nulla – osta della Questura, in quanto lo straniero era stato “precedentemente espulso ed accompagnato alla frontiera” ed alla disposizione del D.L. 9.9.2002, n. 195 convertito nella L. 9.10.2002, n. 222, che preclude in tale ipotesi di procedere alla regolarizzazione.

I ricorrenti denunciano violazione di legge, sostenendo che il sig. Brozi sarebbe ben inserito nella realtà sociale trentina e che il provvedimento di espulsione potrebbe essere revocato, non ostandovi la circostanza che essa sia avvenuta con accompagnamento alla frontiera, atteso che questa si è verificata prima dell’entrata in vigore del D.L. 9.9.2002, n. 195, convertito con modificazioni nella L. 9.10.2002, n. 222. Allegano i ricorrenti che detta normativa prevedrebbe che il provvedimento di espulsione mediante accompagnamento impedirebbe la revoca dello stesso solamente nel caso in cui, al momento del procedimento di regolarizzazione, il cittadino extracomunitario si trovi soggetto ad un provvedimento di espulsione, ma non nel caso in cui lo stesso sia stato eseguito in epoca risalente nel tempo; altrimenti opinando, soggiungono, si porrebbero seri dubbi d’incostituzionalità della norma per irragionevole disparità di trattamento tra cittadini extracomunitari materialmente accompagnati alla frontiera ed altri, che siano stati egualmente destinatari di un provvedimento di espulsione peraltro non eseguita, ad esempio per non rintracciabilità dell’interessato, che potrebbero – a differenza dai primi – beneficiare della regolarizzazione.

L’Amministrazione intimata resiste all’impugnativa, sottolineando il carattere tassativo della normativa applicata e così la natura di atto vincolato del provvedimento impugnato.

Nelle more del giudizio è intervenuta la sentenza n. 206/2006 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato in parte inammissibili ed in parte infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 8, lett. a) del D.L. 195/2002 (sollevate anche da questo Tribunale).

Con ordinanza 6.7.2006, n. 76 è stata definitivamente respinta – dopo averla in primis provvisoriamente accolta in pendenza del giudizio di costituzionalità in ordine alla richiamata norma – l’istanza cautelare proposta dal ricorrente;

Con ordinanza istruttoria 4.10.2007, n. 44, è stata disposta l’acquisizione della copia integrale del decreto di espulsione di data 3.3.2000 emesso dalla Questura di Novara nei confronti di Brozi Altin, cui è seguito il relativo adempimento dell’Amministrazione;

All’udienza del 29 gennaio 2009, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

Il ricorso è fondato.

1. Occorre, innanzitutto, premettere che la procedura di regolarizzazione introdotta dal D.L. n. 195/2002 prevede che l’istanza di emersione sia presentata dal datore di lavoro in relazione ad un cittadino straniero concretamente occupato alle sue dipendenze in periodo antecedente l’entrata in vigore della predetta legge.

La vista normativa, intendendo ammettere, in via eccezionale, la sanatoria delle situazioni di cittadini stranieri entrati nel territorio dello Stato in modo illegale, ha peraltro dettato alcuni presupposti inerenti alle condizioni soggettive degli istanti.

Nel caso in esame la precedente espulsione dal territorio nazionale e l’accompagnamento alla frontiera sono stati considerati dall’Autorità governativa elementi ostativi al rilascio del richiesto titolo legalizzante.

2. Ciò premesso, Il Collegio rileva che l’art. 1, comma 8, lettera a), del citato D.L. 9.9.2002, n. 195 (recante “Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari”) convertito, con modificazioni, dalla L. 9.10.2002, n. 222, esclude dalla possibilità della legalizzazione del lavoro irregolare i lavoratori extracomunitari nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno, salvo che sussistano