Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 76/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 50 del 2008 proposto dalla signora Lusa Miotto Dolores, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giacomo Quarneti e Roberta de Pretis ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima in Trento, via SS. Trinità, 14

CONTRO

– il Comune di Siror (Trento), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Dalla Fior e Andrea Lorenzi ed elettivamente domiciliato presso lo studio degli stessi in Trento, via Paradisi, 15/5

per l’annullamento

* del “provvedimento n. prot. 7583–S del 28 dicembre 2007 di diniego della concessione edilizia richiesta dalla ricorrente”;
* di “ogni provvedimento conseguente, connesso e presupposto, e specificatamente del parere negativo espresso dalla Commissione edilizia comunale nella seduta del 21 dicembre 2007”;
* e “per la condanna dell’intimata Amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimo operare amministrativo”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 26 febbraio 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avv. Giacomo Quarneti per la ricorrente e gli avv.ti Marco Dalla Fior e Andrea Lorenzi per l’Amministrazione comunale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. La ricorrente espone in fatto di essere proprietaria della p.ed 711, un edifico situato su di un terreno di estensione pari a 1620 mq. in C.C. Siror, nella frazione San Martino di Castrozza. Informa che, in data 1 luglio 2004, ha chiesto all’Amministrazione comunale il rilascio di una concessione ad edificare una nuova costruzione consistente nella realizzazione, previa demolizione del fabbricato esistente, di due edifici adibiti a residenza.

Con provvedimento datato 28 dicembre 2007 l’Amministrazione comunale ha denegato la richiesta concessione, rilevando che il progetto presentato non sarebbe conforme all’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore comunale, il quale disciplina gli insediamenti di edilizia mista, e in particolare al comma 5 che, per gli insediamenti esistenti, prevede che l’eventuale cubatura residua edificabile debba essere accorpata all’edificio esistente.

2. Con ricorso notificato in data 23 febbraio 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo giorno 29, la ricorrente ha impugnato il provvedimento di diniego, come indicato in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di diritto:

I – “violazione dell’articolo 27 bis della legge provinciale n. 23 del 1992 – eccesso di potere per difetto di istruttoria”, in quanto il provvedimento impugnato non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza;

II – “violazione dell’articolo 12 delle norme tecniche di attuazione – eccesso di potere per erroneità del presupposto, difetto di istruttoria e per insufficiente, errata e contraddittoria motivazione – violazione dell’articolo 4 della legge provinciale n. 23 del 1992”, posto che l’istante non avrebbe chiesto l’autorizzazione ad ampliare l’edificio esistente, ma a demolire lo stesso per costruire due nuovi fabbricati;

III – “violazione dell’articolo 42 della Costituzione e dell’articolo 12 (e della richiamata tabella C) del piano regolatore generale”, perché l’Amministrazione avrebbe limitato la potenziale capacità edificatoria dell’area comprimendo lo ius aedificandi garantito dalla Costituzione.

3. Con il ricorso è stata, altresì, presentata la domanda affinché il Tribunale disponga il risarcimento del danno sofferto dalla ricorrente per l’impossibilità di utilizzare l’immobile per il quale ha chiesto la concessione. Per la liquidazione del danno è stata invocata la procedura prevista dall’articolo 35 del D.Lgs. 31.3.1998, n. 80.

4. Nei termini di legge si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata eccependo l’inammissibilità del ricorso, del quale ha comunque chiesto la reiezione perché infondato nel merito.

5. Alla pubblica udienza del 26 febbraio 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

1. Con il ricorso in esame la signora Dolores Lusa Miotto ha impugnato il diniego dell’Amministrazione comunale di Siror alla richiesta di rilascio di una concessione di edificare sulla sua proprietà, consistente in un edificio tavolarmente individuato dalla p.ed 711 e situato su di un terreno di 1620 mq. nella località San Martino di Castrozza.

La prima domanda presentata dalla ricorrente all’Amministrazione comunale in data 1 luglio 2004 aveva per oggetto la realizzazione di due edifici con una capienza complessiva di 18 alloggi. Il successivo 22 luglio il Responsabile dell’ufficio urbanistica del Comune ha sospeso la procedura, informando l’istante della mancanza di parte della documentazione necessaria e di alcuni problemi che presentava il progetto depositato.

In data 11 dicembre 2007 l’interessata ha quindi presentato all’Amministrazione un nuovo progetto, alquanto ridotto rispetto al precedente e riguardante la realizzazione di 6 appartamenti di grandi dimensioni. Allo scopo era prevista la demolizione dell’edificio esistente e la costruzione di due immobili fuori terra, l’uno all’altro fronteggianti, uniti da un ampio interrato continuo e dotato di un accesso veicolare unico. Un edifico si sarebbe collocato sulla posizione dell’esistente, ma con diverse dimensioni, mentre l’altro si sarebbe trovato a regolare distanza dal primo. Ognuno avrebbe presentato tre piani per una cubatura rispettiva di mc. 1284,586 e di mc. 1297,090.

L’Amministrazione comunale, sentito in data 21.12.2007 il parere della Commissione edilizia, con il provvedimento impugnato datato 28.12.2007 ha negato il rilascio della richiesta concessione sul rilievo della motivata non conformità del progetto alla normativa urbanistica di zona.

2. Preliminarmente occorre prendere in esame le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa del resistente Comune, la quale ha dedotto la carenza di interesse della ricorrente, posto che la particella 711 è gravata da una servitù non aedificandi a favore della Provincia autonoma di Trento, oltre alla mancata notifica dell’atto introduttivo all’Ente titolare di detta servitù.

Dette eccezioni sono peraltro infondate.

2a. Per la prima di esse basti solo precisare che, in occasione dell’odierna discussione, il difensore della ricorrente ha depositato una nota datata 22.11.2006 con la quale il Dirigente del Servizio foreste della Provincia ha espresso parere favorevole alla richiesta, avanzata dalla ricorrente, di cancellazione a titolo oneroso delle servitù di “non sopraelevare ed ampliare l’edificio costruito (altius non tollendi)” e di “non costruire stabili” iscritte a favore della Provincia autonoma di Trento – Patrimonio indisponibile.

L’avvenuta presentazione della richiesta di cancellazione della servitù associata al suddetto parere, prova dunque, al di là di ogni altra argomentazione, la sussistenza dell’interesse della ricorrente a rimuovere le limitazioni all’edificazione sulla sua proprietà, attestando nel contempo l’insussistenza di quello della Provincia a mantenere le viste servitù.

2b. Con riferimento alla seconda eccezione – strettamente connessa alla precedente – occorre osservare che una tale servitù limita il diritto di proprietà della titolare anche in relazione alla pretesa edificatoria vantata nei confronti dell’Amministrazione alla quale, con il sistema della intavolazione delle realità vigente nel territorio provinciale, è permessa una rapida ed efficace verifica circa l’assetto dei diritti reali insistenti sull’immobile oggetto del richiesto intervento edilizio.

In tal senso si è espresso il Consiglio di Stato, il quale ha precisato che una concessione edilizia rilasciata in contrasto con i diritti di terzi non è di per sé illegittima a meno che non sia accertato il suo contrasto con elementi istruttori acquisiti nel corso del procedimento (in termini, C.d.S., sez. V, 8.4.1997, n. 329). Da altra decisione emerge, poi, che la concessione edilizia può essere rilasciata a chi ha un titolo idoneo per richiederla e che tale titolo non può essere subordinato alla sola dimostrazione della proprietà dell’area, occorrendo invece “l’esistenza di una situazione giuridica che abilita il titolare a sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria dell’immobile”. E la necessaria piena “disponibilità manca non solo quando il richiedente non è proprietario del terreno, ma anche nei casi in cui la proprietà è limitata da diritti reali di godimento che incidono proprio sulla possibilità di edificazione del suolo” (cfr., C.d.S., sez. V, 22.6.2000, n. 3525).

Orbene, dagli atti di causa è palesemente ricavabile che l’Amministrazione comunale di Siror era a conoscenza dell’esistenza della servitù non aedificandi iscritta, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera j), della legge provinciale 23.5.2007, n. 11, a carico della p.ed. 711 ed a favore delle foreste demaniali provinciali. Siffatto vincolo reale è, infatti, espressamente citato nella relazione illustrativa del progetto datata 20.10.2007 (cfr. documento n. 5 in atti di parte ricorrente) con la precisazione che esso sarà cancellato “immediatamente prima del rilascio della concessione edilizia”.

Ma il diniego impugnato è, tuttavia, fondato sull’applicazione di norme pubblicistiche senza attribuire alcun rilievo, almeno a questi fini ed in questa fase procedimentale, alla disciplina civilistica della proprietà quale concorrente ragione ostativa al richiesto rilascio.

Nei termini della vicenda così come sopra illustrati la Provincia di Trento, in qualità di proprietaria del fondo dominante, non riveste dunque la qualità di controinteressato in senso tecnico, che è “riconosciuta a coloro che da un lato siano portatori di un interesse qualificato alla conservazione del provvedimento impugnato, di natura eguale e contrario a quello del ricorrente (cosiddetto elemento sostanziale), e dall’altro siano nominativamente indicati nel provvedimento stesso o comunque siano agevolmente individuabili in base ad esso (cosiddetto elemento formale)” (cfr., T.A.R. Liguria, sez. I, 24.1.2002, n. 62). Nello stesso senso, nel disposto dell’art. 21, comma 1, della legge 6.12.1971, n. 1034, ove si impone la notifica dei ricorso ai controinteressati, è stata individuata una regola che “esprime il principio generale della necessaria instaurazione di un contraddittorio processuale integro, che comprenda, cioè, tutti i soggetti direttamente interessati dall’esito del ricorso, e che, quindi, l’onere con la stessa imposto deve intendersi applicabile a tutti i ricorsi … in cui risulti configurabile l’esistenza di soggetti titolari di un interesse contrario a quello di chi li propone e che potrebbero, pertanto, restare pregiudicati dall’adozione del provvedimento giurisdizionale invocato dal ricorrente” (cfr., C.d.S., sez. IV, 9.8.2005, n. 4231).

Occorre quindi concludere che il provvedimento in esame non è in grado di incidere sulla situazione giuridica di vantaggio di cui è titolare la Provincia autonoma di Trento, ossia sul diritto di proprietà della ricorrente, in quanto trattasi di un diritto soggettivo per il quale, peraltro, già consta il parere favorevole alla cancellazione delle suddette servitù.

3. Così definite le eccezioni preliminari, il Collegio può ora passare all’esame del ricorso nel merito.

Con il primo motivo si deduce la violazione della legge provinciale sul procedimento amministrativo 30.11.1992, n. 23, ed in particolare dell’art. 27 bis, in quanto l’impugnato diniego non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione all’interessata dei motivi ostativi all’accoglimento della sua istanza edificatoria.

Tale censura, in assenza di ogni allegazione in merito al diverso esito sul piano prognostico del rivendicato contraddittorio, non è ammissibile.

Va invero condivisa, al riguardo, la ricostruzione dell’istituto in esame operata dalla difesa del Comune resistente che, richiamando una recente decisione del Consiglio di Stato e, in particolare, quella della sez. VI, 29.7.2008, n. 3786, ha chiarito che la violazione della suddetta disposizione può portare all’annullamento dell’atto impugnato solo se con l’atto introduttivo l’istante abbia indicato gli elementi che, ove valutati nel corso del procedimento, avrebbero potuto essere idonei ad incidere sull’esito del procedimento. Sono anche condivisibili le sagaci argomentazioni svolte a sostegno di detta eccezione, soprattutto ove è stata puntualizzata l’esatta portata dell’articolo 21 octies, comma 2, della legge 7.8.1990, n. 241: “è vero, infatti, che tale norma pone in capo all’Amministrazione (e non del privato) l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione dell’avvio, che l’esito del procedimento non poteva essere diverso. E tuttavia, onde evitare di gravare la p.a. di una probatio diabolica (quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento), risulta preferibile interpretare la norma in esame nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, ma debba anche quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione (che la norma implicitamente pone a suo carico), la p.a. sarà gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato. Ne consegue che ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le circostanze che intendeva sottoporre all’Amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve ritenersi inammissibile”.

4. Con il secondo motivo, di carattere sostanziale, si lamenta che il diniego sarebbe fondato sul richiamo all’art. 12, comma 5, delle norme di attuazione al piano regolatore che disciplina gli interventi di ampliamento degli edifici esistenti, mentre la deducente non avrebbe chiesto l’autorizzazione ad ampliare il preesistente edificio, ma a demolire lo stesso per costruire due nuovi fabbricati. L’istante invoca quindi l’applicazione dell’articolo 6, comma 1, delle locali norme di attuazione, ove è prevista la “nuova costruzione di fabbricati su aree libere mediante la demolizione di strutture esistenti”.

Il motivo non è fondato.

Il Collegio osserva innanzitutto che il richiamato art. 6 è una norma di carattere generale volta a disciplinare le categorie degli interventi edilizi ammessi, che suddivide in tre fattispecie: le nuove costruzioni, la demolizione definitiva, il recupero del patrimonio edilizio esistente.

Al comma 1, ove sono disciplinati gli interventi di “nuova costruzione”, è effettivamente prescritto che rientri in tale fattispecie anche “la ricostruzione di fabbricati mediante la demolizione delle strutture esistenti” e che “ad esclusione dei fabbricati e dei manufatti vincolati … ogni fabbricato è suscettibile di demolizione e costruzione”. Ma, a tutto ciò, l’ultimo periodo del comma in esame aggiunge che “le nuove costruzioni e le ricostruzioni devono comunque rispettare le prescrizioni funzionali e tipologiche di zona ed i relativi parametri edificatori”.

In tal senso, occorre allora affermare che la proprietà della ricorrente è urbanisticamente classificata “insediamento di edilizia mista a bassa densità – esistente” che trova la sua disciplina nell’articolo 12, commi 1, 2 e 5, delle stesse norme di attuazione. Per tale zonizzazione le norme in esame prescrivono, in via generale, che “sono ammesse tutte le categorie di intervento purché si realizzino edifici conformi alle caratteristiche tipologiche di zona” e, in sede più specifica, quale insediamento “esistente”, prevedono un volume massimo di 1300 mc. e la concorrente prescrizione che “l’eventuale cubatura residua edificabile fuori terra” debba “essere accorpata all’edificio esistente”.

Dalla lettura del combinato disposto delle norme riportate si deve dunque concludere che l’edificio di proprietà della sig.ra Lusa sia suscettibile di un intervento volto all’ampliamento dello stesso fino ad una volumetria massima di 1300 mc. e che la volumetria aggiuntiva rispetto a quella esistente debba essere accorpata alla stessa così che permanga sull’area un unico fabbricato.

Il progetto presentato all’Amministrazione prevede invece la realizzazione di due edifici, rispettivamente con la cubatura di mc. 1284,586 e di mc. 1297,090.

Correttamente quindi il diniego ha affermato che “il progetto così come presentato non è conforme all’art. 12, comma 5, delle n.a. del PRG in quanto l’area a insediamenti di edilizia mista esistente ammette il solo accorpamento del volume residuo edificabile all’edificio esistente raggiungendo il Ve max di mc. 1300 in un unico corpo di fabbrica e non per ogni edificio in quanto non sarebbe più un accorpamento”.

Così accertata la legittimità del provvedimento di diniego, occorre aggiungere – con riferimento alle censure attinenti la motivazione dello stesso – che il relativo potere amministrativo era vincolato al rispetto dei vigenti strumenti di pianificazione generale ed attuativa, cosicché l’atto conclusivo del procedimento, alla luce della descritta normativa, si presenta congruamente motivato per un atto a contenuto strettamente vincolato.

Il secondo motivo di ricorso va perciò disatteso.

5. Con l’ultimo motivo si assume che l’interpretazione della normativa applicabile per gli “insediamenti di edilizia mista a bassa densità – esistenti” sostenuta dall’Amministrazione con l’adozione del provvedimento impugnato violerebbe lo stesso disposto della tabella C del citato articolo 12 (e specificatamente ove è previsto un indice di edificabilità pari a 2 mc./mq.), oltre a limitare lo ius aedificandi garantito dalla Costituzione.

Anche tale motivo è destituito di giuridico pregio.

La tabella C prevede, infatti, una serie di parametri edificatori valevoli, in generale, per gli “insediamenti misti a bassa densità”. L’art. 12 delle norme di attuazione distingue poi gli stessi tra “esistenti” e “di progetto”. Come già precisato più sopra, la proprietà della ricorrente è compresa nelle aree di edilizia mista a bassa densità “esistenti”, per le quali la disciplina primaria è rinvenibile nel già menzionato comma 5 dell’articolo 12. E la vista prescrizione è sufficientemente chiara nell’ammettere il solo intervento di accorpamento della cubatura residua all’edificio esistente fino al limite massimo consentito per esso dal parametro di zona, ossia 1300 mc. In altri termini, nelle zone “esistenti” non è ammessa l’edificazione di un nuovo edificio (sebbene anch’esso rispettoso del volume massimo consentito), ma il solo ampliamento di quello in essere.

A parere del Collegio tale normativa, che distingue fra zone esistenti e di progetto, non incorre nella contestata contrazione dello ius aedificandi che la Corte costituzionale ha ritenuto incorporato nel diritto di proprietà tutelato dell’articolo 42 della Costituzione, ma, all’opposto, si presenta con una logica unitaria, stabilendo restrizioni edificatorie uguali per gli appartenenti ad una prefissata classe (proprietari della zona omogenea) e determinando, poi, i parametri delle possibili costruzioni (e quindi anche di mercato connessi al valore dell’immobile realizzabile e pertanto pure dell’area) in relazione a quelle omogenee restrizioni. In altri termini, non costituisce restrizione al diritto di proprietà ed allo ius aedificandi l’obbligo conformativo che opera quale limite generale in aree insistenti in una zona omogenea.

Tale funzione dell’Amministrazione si esercita in attuazione del potere conformativo della proprietà riconosciuto al pianificatore comunale che, nel disciplinare le diverse zone del territorio, può conferire alle stesse connotati di sostanziale unitarietà a seconda della preesistenza o meno su di esse dell’edificazione, in applicazione del principio di omogeneità nella destinazione d’uso del territorio.

6. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, congiuntamente alla domanda di risarcimento del danno.

Le spese seguono la soccombenza e devono essere accollate alla parte ricorrente nella misura liquidata come da dispositivo.

P. Q. M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 50 del 2008, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 3.800,00 (tremilaottocento) (di cui € 3.000 per onorari ed € 800 per diritti), oltre a I.V.A. e C.P.A. ed al 12,5% sull’importo degli onorari a titolo di spese generali.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 26 febbraio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 11 marzo 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 76/2009 Reg. Sent.

N. 50/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 74/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 71 del 2007 proposto dal signor Grandi Domenico, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Maccaferri, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso in Trento, via Grazioli, 27

CONTRO

la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Nicolò Pedrazzoli, Maurizio Dalla Serra e Fernando Spinelli ed elettivamente domiciliata presso l’Avvocatura della Provincia in Trento, piazza Dante, 15

per l’annullamento

1. della “determinazione n. 523 di data 21.12.2006, comunicata con nota raccomandata a.r. prot. n. 168/5, di data 10.1.2007, pervenuta il 12.1.2007, con la quale il Dirigente del Servizio industria della Provincia autonoma di Trento ha deliberato: <1) di autorizzare, … tramite procedura espropriativa, il piano di acquisizione costituito dalle particelle fondiarie 1294/1, 1294/2 e 1294/6 in C.C. Tenno; 2) di dare atto che ai sensi dell’art. 26 della L.P. n. 6/1999 e s.m. l’adozione del piano di acquisizione di cui al precedente punto 1) equivale alla dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità degli interventi; 3) di dare atto che, ai sensi dell’art. 27 della L.P. n. 6/1999 e s.m., per l’acquisizione dell’area si applicano le norme di cui alla legge provinciale 19 febbraio 1993, n. 6, e s.m.; 4) di assumere l’impegno di spesa pari ad euro 326.339,16 sul capitolo del bilancio provinciale 610500 per l’esercizio finanziario 2006>”;
2. di “ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione provinciale intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 26 febbraio 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avv. Mario Maccaferri per il ricorrente e l’avv. Maurizio Dalla Serra per l’Amministrazione provinciale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. Il ricorrente espone in fatto di essere proprietario di un appezzamento di terreno coltivato a frutteto, tavolarmente individuato dalle pp.ff. 1294/1 e 1294/6, avente una superficie complessiva di mq. 1182 e situato nella zona industriale a nord dell’abitato di Tuenno, fronteggiante un fabbricato polifunzionale di proprietà della Provincia. Urbanisticamente le nominate particelle sono classificate in zona D1, produttiva di livello provinciale, disciplinata dall’articolo 36 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale intercomunale.

2. Con determinazione n. 523 del 21.12.2006 il Dirigente del Servizio industria della Provincia autonoma di Trento ha autorizzato il piano di acquisizione del terreno in questione tramite procedura espropriativa, contestualmente dichiarando l’intervento di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità.

3. Il ricorrente ha impugnato detto provvedimento, meglio specificato in epigrafe, ed a sostegno del ricorso ha presentato le seguenti censure in diritto:

I – “violazione ed erronea applicazione degli articoli 25, 26 e 27 della legge provinciale 13.12.1999, n. 6 – violazione dei principi in materia di espropriazione di pubblica utilità e, in particolare, degli articoli 8, 9, 10, 11 e 12 del D.P.R. 8.6.2001, n. 327 – eccesso di potere per difetto del presupposto e per sviamento, contraddittorietà, illogicità ed irragionevolezza – illegittimità costituzionale”, in quanto l’intervenuta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità difetterebbe di un previo vincolo preordinato all’esproprio. Sebbene l’area de quo sia urbanisticamente classificata in zona produttiva, ciò non sarebbe sufficiente, in assenza di una previsione di carattere attuativo, per attivare un procedimento espropriativo;

II – “violazione dell’articolo 4 della legge provinciale 30.11.1002, n. 23 – eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà, irragionevolezza e carenza di motivazione – mancata comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, travisamento della realtà, illogicità ed ingiustizia manifesta, sviamento di potere”. Si assume che le relazioni tecniche non fornirebbero alcuna dimostrazione circa l’effettiva necessità di acquisire ulteriori superfici per allocare nuovi stabilimenti industriali;

III – “ancora eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità manifeste – violazione dell’articolo 25 della legge provinciale n. 6 del 1999”. La contigua p.f. 1294/2, di altro proprietario, ma anch’essa interessata dal piano di acquisizione, per una parte risulterebbe urbanisticamente inserita in zona a viabilità: per detta parte non sussisterebbe, quindi, il presupposto della necessaria conformità urbanistica.

Con il ricorso è stata presentata istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato.

4. Nei termini di legge si è costituita in giudizio la Provincia intimata confutando le tesi sostenute nel ricorso e chiedendo la reiezione dello stesso perché infondato nel merito.

5. Con ordinanza n. 27, adottata nella camera di consiglio del 22.3.2007, la domanda incidentale di misura cautelare è stata disattesa.

6. In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno presentato memorie illustrative delle rispettive posizioni.

7. Alla pubblica udienza del 26 febbraio 2009 la causa è stata trattenuta per la decisione.

D I R I T T O

1a. Il signor Domenico Grandi, proprietario per l’intero della p.f. 1294/1 e per metà della p.f. 1294/6, un terreno di complessivi mq. 1182 situato nel territorio del Comune di Tuenno, ha impugnato, chiedendone l’annullamento, la determinazione del Dirigente del Servizio industria della Provincia autonoma di Trento 21.12.2006, n. 523, con la quale è stato autorizzato il piano di acquisizione delle due particelle, tramite procedura espropriativa, e dichiarato l’intervento di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità.

Il fondo in questione, coltivato a frutteto, urbanisticamente risulta così classificato:

* dalla Variante 2000 al Piano urbanistico provinciale, di cui alla L.p. 7.8.2003, n. 7, vigente ratione temporis, quale “area produttiva del settore secondario di livello provinciale”;
* dal piano regolatore generale intercomunale di Cles e Tuenno, approvato con la deliberazione della Giunta provinciale 29.10.2004, n. 2486, e in vigore dal 10.11.2004, in “zona D1 – produttiva a livello provinciale”, disciplinata dall’art. 36 delle norme di attuazione;
* dalla variante al piano regolatore generale riguardante il territorio di Tuenno, definitivamente adottata con la deliberazione del Consiglio comunale 16.11.2005, n. 52, quale “area produttiva di progetto”.

Successivamente alla proposizione dell’atto introduttivo del presente ricorso, il piano regolatore generale intercomunale di Cles e Tuenno è stato modificato con la variante per opere pubbliche approvata con deliberazione della Giunta provinciale 7.9.2007, n. 1930 e con quella successiva approvata con deliberazione della Giunta provinciale 14.11.2008, n. 3030. La destinazione dell’area de quo è rimasta invariata.

1b. L’esame del merito del ricorso conduce al suo accoglimento, peraltro non sulla base delle dedotte censure di violazione di legge (artt. 25, 26 e 27 della L.p. 13.12.1999, n. 6), bensì di quelle di difetto di istruttoria e di motivazione.

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione della normativa provinciale per il sostegno all’economia di cui alla già menzionata L.p. n. 6 del 1999, oltre che dei principi in materia di espropriazione per pubblica utilità. Al riguardo si assume che la procedura di acquisizione posta in essere dall’Amministrazione sarebbe illegittima in assenza di una valida previsione pianificatoria che avrebbe dovuto assoggettare il bene ad un vincolo preordinato all’esproprio. Ad avviso dell’istante non sarebbe sufficiente la circostanza che i terreni siano classificati nell’ambito delle zone produttive per addivenire al loro esproprio, in quanto tale operazione necessiterebbe dell’approvazione di uno strumento urbanistico attuativo.

La tesi del ricorrente non è fondata.

2a. Si deve innanzitutto richiamare la normativa urbanistica che trova applicazione quanto all’area in questione.

L’art. 16 (rubricato “Aree produttive del settore secondario di livello provinciale”) delle norme di attuazione della Variante 2000 del Piano urbanistico provinciale, di cui alla L.p. 7.8.2003, n. 7, elenca le attività che possono svolgersi in tali aree, le quali sono suddivise in tre distinte categorie: esistenti, quando risultano prevalentemente già utilizzate o già dotate di idonee opere di urbanizzazione; di progetto, quando si tratta di aree da urbanizzare o attrezzare ex novo o prevalentemente non utilizzate; di riserva, quando si tratta di aree di nuovo impianto la cui utilizzazione debba essere graduata nel tempo. L’art. 1, comma 5, della stessa legge stabilisce poi che le disposizioni contenute nell’art. 16 “vanno osservate anche in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore o soltanto adottati”.

Tale disposizione si coordina con quanto prescritto dall’art. 36 della legge urbanistica provinciale 5.9.1991, n. 22, il quale dispone che “l’entrata in vigore di un nuovo piano urbanistico provinciale, ovvero di sue varianti, sospende con effetto immediato l’applicazione delle prescrizioni contenute nei piani subordinati nonché nei piani provinciali di settore che siano divenute incompatibili”.

Infine, al comma 4 dell’art. 18 della legge provinciale in esame si legge che “il piano regolatore generale delimita le aree per le quali è necessaria una specifica disciplina da parte di piani attuativi ovvero per le quali deve essere predisposto un piano di lottizzazione, fissa i criteri, gli indirizzi e i parametri cui tali piani devono conformarsi e prevede le norme per l’eventuale utilizzazione in via temporanea delle medesime aree”.

Il piano regolatore del Comune di Tuenno aveva compreso il terreno del signor Grandi nelle aree produttive “di progetto” di livello provinciale e per detta zona – comprensiva della proprietà dell’istante e della limitrofa p.f. 1294/2 di mq. 1298 – non aveva previsto la necessità di una più specifica disciplina di dettaglio da stabilirsi con un piano attuativo. L’art. 36 delle norme di attuazione ha invece stabilito che il piano regolatore si attui “normalmente” mediante intervento diretto.

Per quanto concerne lo stato reale della zona in questione, e della più ampia area produttiva di cui fa parte, esso è descritto nel provvedimento impugnato, ove si legge che, alla fine degli anni settanta del secolo scorso, l’area per impianti produttivi nel Comune di Tuenno è stata espropriata e urbanizzata a cura del Servizio industria della Provincia, che ha effettuato i lavori di predisposizione dei lotti, realizzato la viabilità interna e migliorato quella di collegamento con il paese. Si precisa poi che le due particelle di proprietà del ricorrente e la vicina p.f. 1294/2 costituiscono l’ultima porzione ancora disponibile dell’area, per complessivi mq. 2480, e che era intenzione dell’Ente pubblico procedere al completamento del progetto con il piano di acquisizione in esame, il quale avrebbe comportato la sola spesa per l’acquisizione delle tre realità fondiarie, essendo la zona già adeguatamente infrastrutturata.

Ne consegue che il terreno de quo, in quanto modesta parte di una più ampia area prevalentemente già utilizzata e già dotata di idonee opere di urbanizzazione, è pacificamente ascrivibile alla categoria delle aree “esistenti” a vocazione produttiva del settore secondario e non a quelle di progetto. E per esso, come ricordato, il piano regolatore comunale non aveva stabilito la necessità della preventiva adozione di un piano attuativo in quanto, alla luce dei parametri urbanistici ed edilizi già stabiliti al comma 2 del citato art. 36, era data facoltà ai privati di edificare direttamente nel rispetto della destinazione produttiva impressa all’area in questione.

2b. Il ricorrente dubita, tuttavia, che un intervento pubblico possa essere attuato con il piano di acquisizione previsto dagli artt. 25, 26 e 27 della legge provinciale 13.12.1999, n. 6, che disciplina gli interventi della Provincia per il sostegno dell’economia.

Tale argomentazione, secondo il Collegio, è priva di pregio.

Occorre anzitutto porre in evidenza che il piano di acquisizione è uno strumento particolare utilizzato dalla Provincia per intervenire nell’economia, acquisendo aree – in via generale tramite lo strumento dell’espropriazione e, in via eccezionale, tramite l’acquisto a trattativa privata – per attrezzarle delle necessarie opere di urbanizzazione e porle quindi a disposizione delle imprese tramite gli strumenti della cessione della proprietà o della costituzione del diritto di superficie, con l’iscrizione tavolare del vincolo di destinazione di durata ventennale.

Come espressamente richiesto dal comma 1 dell’art. 25, e come già rilevato per il piano de quo, il piano di acquisizione deve essere “in armonia con gli strumenti urbanistici in vigore”. Ciò significa che presupposto per l’approvazione di un piano di acquisizione è che questo coinvolga aree destinate dal piano regolatore ad opere di carattere industriale, non già che insista su aree espressamente normate dallo strumento urbanistico generale come edificabili previa redazione di un piano attuativo. In altri termini, con la sua adozione non si esprime una nuova scelta urbanistica, ma esso si limita ad attuare quella conforme già in essere, che ne costituisce requisito di legittimità, assicurando un ordinato sviluppo della zona nella quale sorgeranno i nuovi stabilimenti produttivi o potranno trovare migliore allocazione quelli esistenti.

Il successivo art. 27 della L.p. n. 6 del 1999 in esame dispone poi che “per l’acquisizione delle aree” si applichi la legge provinciale 19.2.1993, n. 6 sugli espropri.

L’art. 4 di detta legge stabilisce che la procedura espropriativa abbia inizio con il deposito presso la segreteria del Comune, nel cui territorio sono compresi gli immobili da espropriare, del progetto (esecutivo o definitivo) dell’opera ovvero del piano urbanistico attuativo relativo all’intervento da realizzare.

In tal senso, emerge dagli atti versati dalle parti che il piano de quo è stato depositato presso la segreteria del Comune di Tuenno, che il ricorrente ne è stato informato con la nota del 6.4.2004 e che il successivo 3 maggio egli ha presentato alla Provincia le sue osservazioni. Su questo passaggio procedimentale si osserva che l’istituto della partecipazione è stato correttamente collocato in una fase precedente a quella di adozione del provvedimento, in quanto ciò consente all’Amministrazione di acquisire l’apporto dei privati in un momento ancora non irreversibile. Successivamente, il piano è stato approvato con il contestuale esame delle osservazioni pervenute all’Amministrazione e con la menzione che la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità di esso discende dalla norma di legge, ossia dal menzionato art. 26 della L.p. n. 6 del 1999.

Dalla combinata lettura delle due leggi provinciali sopra ricordate consegue che la disciplina sugli espropri debba ritenersi integrata dalla legge provinciale n. 6 del 1999, il che esige che il piano di acquisizione di aree per attività economiche adottato dalla Provincia (o da un comune) sia conforme allo strumento urbanistico in vigore il quale, per quelle aree, non deve richiedere l’approvazione di un piano attuativo per insediamenti produttivi.

Tale conclusione viene confermata dal fatto che, come sagacemente messo in rilievo dalla difesa dell’Amministrazione, solo l’approvazione da parte della Provincia o dei comuni – e, quindi, di soggetti titolari di funzioni e di poteri urbanistici – dei piani di acquisizione di aree (o dei progetti di opere) equivale a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dell’intervento.

Occorre conseguentemente concludere che il piano provinciale di acquisizione in esame ha la funzione:

* da un lato, di stimolo all’espansione economica, industriale ed artigianale del territorio comunale attraverso la cessione alle imprese dei terreni espropriati per l’ampliamento delle attività esistenti o l’insediamento di nuove iniziative produttive, ossia di strumento di politica economica e,
* da altro lato, di strumento attuativo volto ad assicurare, nell’ambito del vigente strumento urbanistico generale, un ordinato assetto urbanistico nella zona in cui dovranno inserirsi le ridette attività.

Di conseguenza non è pertinente la giurisprudenza citata dalla difesa di parte ricorrente (per tutte, T.A.R. Veneto, sez. I, 9.12.2004, n. 4280), in quanto riferita alla diversa fattispecie dell’acquisizione di immobili da parte del consiglio comunale per gli interventi di trasformazione curati dalle società di trasformazione urbana previste dall’articolo 120 del testo unico delle leggi sull’ordinamento sugli enti locali 18.8.2000, n. 267, posto che, nel caso deciso, era assente un piano o un progetto approvato al quale riferire la dichiarazione di pubblica utilità dell’intervento.

Il primo mezzo va dunque disatteso.

3. Con il secondo motivo si censura il difetto di istruttoria, oltre alla carenza di motivazione del provvedimento impugnato. Si assume che la genericità delle relazioni tecniche non fornirebbero elementi per la concreta e puntuale determinazione del preteso fabbisogno di aree, limitandosi invece ad indicare una indimostrata necessità di superfici finalizzate ad allocarvi nuovi insediamenti produttivi.

La difesa dell’Amministrazione, a tal proposito, asserisce che la determinazione in esame richiamerebbe sia l’istruttoria svolta che la necessità delle imprese di acquisire superfici produttive. Inoltre, tale strumento, ponendosi come fonte di nuove istanze imprenditoriali, difficilmente le potrebbe valutare ex ante.

Tali ultime argomentazioni non persuadono il Collegio.

In proposito, giova riscontrare l’anomala relazione tecnica del progetto di acquisizione, datata 18.3.2004 e depositata presso il Comune di Tuenno per la procedura partecipativa, la quale si è limitata ad affermare che “l’esigenza di acquisire le pp.ff. … nasce dalla necessità di avere aree disponibili alle richieste per insediamenti produttivi … le tre particelle, infatti, possono costituire due lotti edificatori destinati a nuovi insediamenti”.

Né, in seguito, la relazione tecnica datata 12.12.2006 e il provvedimento conclusivo in esame, che ha definito il terreno di cui si discute come “l’ultima porzione dell’area ancora disponibile”, hanno meglio rappresentato quale fosse l’effettiva necessità di ampliamento dell’area produttiva del Comune di Tuenno, limitandosi ad affermare che l’acquisizione della parte in discussione aveva “lo scopo di rilanciare l’attività produttiva e creare nuove opportunità di lavoro, soddisfacendo, almeno in parte, le necessità di crescita dell’imprenditoria locale”. Detta esigenza sarebbe confermata da una nota del Comune di Tuenno di data 12.12.2006 “nella quale si sono raccolte le richieste di nuovi spazi produttivi da parte delle imprese locali con la collaborazione dell’Associazione artigiani”. Tale nota, (documento n. 2 in atti di parte resistente), è peraltro un semplice elenco riportante la denominazione, il settore di attività, lo spazio coperto e l’andito scoperto richiesti da 15 ditte che avevano rivolto all’Amministrazione comunale “richieste di terreno per la zona artigianale”.

L’obbligo di un’istruttoria che approfondisse in termini reali ed effettivi la necessità di un’ulteriore area da aggregare a quella già esistente e compiutamente urbanizzata, ostendendo poi le ragioni a sostegno della successiva determinazione da adottare in tal senso, è, infatti, dimostrata, a parere del Collegio, dalla ratio della normativa provinciale sopra esaminata che pretende l’emersione delle sottese esigenze di pubblico interesse che subordinano l’interesse alla costruzione diretta da parte del proprietario, prevista dallo strumento urbanistico, al consolidamento e alla crescita del sistema economico, alla valorizzazione delle risorse locali, al perseguimento della qualità, all’integrazione settoriale o intersettoriale, alla nascita ed al potenziamento di nuova imprenditorialità con la conseguente creazione di nuovi posti di lavoro.

In altri termini, con l’adozione del piano di acquisizione doveva essere adeguatamente dimostrata la sua idoneità ad apportare un effettivo incremento di ricchezza per l’intero sistema economico locale e non solo per i singoli operatori che ne beneficiano acquisendo aree non sul mercato. Va dunque da sé che la relativa prova non potesse concretarsi nella semplice elencazione degli imprenditori disponibili ad acquisire la proprietà (o il diritto di superficie) di terreni già urbanizzati, incamerando la relativa rendita fondiaria che loro si trasferirebbe in danno dei proprietari.

In analoghe vicende la giurisprudenza amministrativa ha affermato che lo strumento espropriativo non può essere, infatti, utilizzato semplicemente per consentire a singoli imprenditori – più o meno individuati o individuabili al momento dell’adozione del piano – di ricavare maggiore profitti per i loro investimenti (cfr., in termini, T.A.R. Umbria, 20.4.2007, n. 331 e T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 25.1.2005, n. 95).

Né l’esiguità dello spazio ancora disponibile rispetto ad una pluralità di richieste, formalmente ed informalmente avanzate, avrebbe potuto esonerare l’Amministrazione da un’attenta disamina delle reali esigenze economiche e delle connesse e concrete prospettive di utilizzazione della zona a completamento del progetto originariamente intrapreso, ove si consideri che quell’area era suscettibile di un conforme uso da parte del suo proprietario.

In sostanza, con il piano di acquisizione ad opera della mano pubblica si “realizza un trasferimento di ricchezza dal proprietario espropriato all’assegnatario con il sacrificio del principio di eguaglianza, nonché del diritto di proprietà costituzionalmente tutelato, sacrificio che potrà essere imposto solo in nome di un interesse generale” che, ai sensi dell’articolo 42, terzo comma, della Costituzione, deve formare oggetto di una specifica istruttoria che ne provi la sussistenza. La giurisprudenza amministrativa ha richiesto che un tal genere di motivazione illustri in modo specifico “il contemperamento di due opposti interessi: da un lato quello dei proprietari, in considerazione delle gravi conseguenze derivanti dall’esproprio delle aree ricomprese nel piano; dall’altro quello della collettività, nel senso che lo strumento attuativo in questione dovrà apportare concreti benefici sociali ed economici. Solo ove un’adeguata istruttoria conduca ad affermare la prevalenza della seconda istanza sulla prima potrà affermarsi l’opportunità dello strumento nel senso della piena corrispondenza alla specifica funzione ad esso attribuita dalla legge” (cfr., C.d.S., sez. IV, 10.8.2004, n. 5501).

4. Sulla base delle argomentazioni svolte, e con conseguente assorbimento delle altre censure non esaminate, il ricorso deve essere accolto con il conseguente annullamento degli atti impugnati, nella parte che interessa il ricorrente.

Le spese seguono la soccombenza e sono accollate all’Amministrazione provinciale nella misura liquidata come da dispositivo.

P. Q. M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 71 del 2007, lo accoglie.

Condanna la Provincia autonoma di Trento al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 4.800,00 (quattromilaottocento) (di cui € 4.000 per onorari ed € 800 per diritti), oltre a I.V.A. e C.P.A. ed al 12,5% sull’importo degli onorari a titolo di spese generali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 26 febbraio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 9 marzo 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 74/2009 Reg. Sent.

N. 71/2007 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 78/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 130 del 2008 proposto da PEDRINI Luigino, rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Devigili ed elettivamente domiciliato nel suo studio in Trento, Via Oss Mazzurana n. 72, come da mandato a margine del ricorso;

CONTRO

il Comune di Dro, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Dalla Fior e Andrea Lorenzi ed elettivamente domiciliato presso lo studio degli stessi in Trento, via Paradisi n. 15/5;

e nei confronti

della Provincia Autonoma di Trento, in persona del Presidente della Giunta provinciale pro tempore, e del Commissario ad acta del Comune di Dro, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

in parte qua, della Deliberazione della Giunta provinciale di Trento n. 421 del 22 febbraio 2008 recante il titolo: “L.P. 05 settembre 1991 n. 22 e successive modificazioni ed integrazioni – Comune di Dro : “Variante al Piano Regolatore Generale – approvazione modifiche”, pubblicata nel supplemento n. 3 al Bollettino Ufficiale n. 10/I-II- del 4 marzo 2008”;

nonché degli atti connessi e presupposti, con particolare riferimento alla Deliberazione della Commissione Urbanistica Provinciale della Provincia di Trento sub. N. 1/2006 del 19.1.2006, al parere n. 716 V.P.C. del 6.11.2007 del Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio della P.A.T., alla “Richiesta di modifiche puntuali” – Variante C – di cui alle note integrative – Relazione Illustrativa dicembre 2007/gennaio 2008 a firma del Commissario ad acta.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale resistente;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 12 febbraio 2009 – relatore il consigliere Alessandra Farina – i difensori delle parti costituite come specificato nel verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Espone il ricorrente di essere divenuto proprietario di un compendio immobiliare sito in Comune di Dro, contraddistinto dalle particelle nn. 120, 620/1 e 619.

Con specifico riguardo alla particella n. 120, in sede di adozione definitiva della Variante Generale al P.R.G., intervenuta con delibera commissariale n. 1 del 26.9.2007, ai sensi degli artt. 41 e 42 della L.P. n. 22/1991, questa veniva inserita, con altre particelle fondiarie, in area denominata “di completamento A”. Tale destinazione, disciplinata dall’art. 42 delle disposizioni di attuazione, consentiva una certa edificabilità, pur se entro i limiti di altezza e densità edilizia ivi stabiliti.

A seguito della trasmissione all’Amministrazione provinciale degli atti relativi alla definitiva adozione della variante, il Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio formulava in data 6.11.2007 la valutazione tecnica n. 716 V.P.C., ai sensi dell’art. 41, comma 1, della L.P. n. 22/91.

In tale occasione veniva sollecitato al Comune un chiarimento in ordine alle osservazioni presentate in termini, con riguardo alle decisioni positive e negative assunte, e veniva richiesta la produzione di una documentazione di raffronto, con allegati i dati cartografici.

In risposta a tale richiesta il Commissario ad acta redigeva delle “Note integrative alla Relazione Illustrativa” ed introduceva una “Richiesta di modifiche puntuali”, per effetto della quale veniva inserita, sebbene fosse ormai intervenuta l’adozione definitiva, una variante cd. “C”. In virtù di quest’ultima, veniva apportata una modifica alla destinazione urbanistica dell’area di proprietà del ricorrente, che da residenziale di completamento “A” assumeva la destinazione a “verde privato”, ritenuta dallo stesso Commissario “maggiormente aderente al contesto urbano (segnalazioni dei proprietari)”.

Contro le determinazioni assunte successivamente alla delibera commissariale n. 1 del 26.9.2007, di adozione definitiva della variante, l’odierno istante con il ricorso in esame ha dedotto le seguenti doglianze:

* Carenza di potere. Violazione ed erronea applicazione ed interpretazione di legge, nonché difetto di procedimento (artt. 40, 41, 42 e 42 bis della L.P. n. 22/91 e succ. mod. int.);
* Eccesso di potere per erronea, contraddittoria, comunque difettosa ed insufficiente motivazione.

Secondo la legge provinciale n. 22/1991 le competenze del Comune si esauriscono una volta assunta la deliberazione di adozione definitiva della variante.

Da tale momento la procedura passa nell’ambito delle competenze della Provincia ed è rimessa alle valutazioni degli organi tecnici e consultivi della stessa.

A sua volta la Provincia può intervenire sulla delibera di adozione attraverso modifiche apportate d’ufficio, sempre nell’ambito delle ipotesi in cui ciò è consentito in base alla normativa provinciale.

Detta eventualità non si è verificata nel caso di specie ove, in assenza di specifici rilevi provinciali ed in assenza dei presupposti per l’introduzione di modifiche d’ufficio, il Commissario ad acta ha illegittimamente apportato ulteriori varianti alla delibera di adozione.

Né può giustificare il provvedimento impugnato, per quanto riguarda l’interesse di parte ricorrente, quanto dedotto dal Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio nel parere n. 716, in quanto in tale occasione l’organo consultivo ha solo rilevato l’insufficienza dell’articolazione e della documentazione relative alle osservazioni prodotte in termini, ritenendo necessaria una documentazione di raffronto.

Tale parere non poteva, quindi, giustificare una nuova valutazione da parte del Commissario, successiva alla intervenuta adozione definitiva della variante.

Né, infine, il richiamo alle osservazioni presentate sul punto dalla proprietà appare corretto, non avendo il ricorrente, attuale proprietario, presentato alcuna osservazione, mentre quelle provenienti dai precedenti proprietari erano tardive o, comunque, di segno opposto alle conclusioni cui è giunto il Commissario ad acta nelle note integrative alla relazione illustrativa dicembre 2007- gennaio 2008.

Il Comune di Dro si è costituito in giudizio, controdeducendo alle doglianze esposte in ricorso, evidenziando la legittimità della variante apportata, relativamente all’area di proprietà del ricorrente, giustificata da una diversa e successiva valutazione della rispondenza della vocazione inizialmente riconosciuta, espressione di una legittima collaborazione intercorsa fra organi comunali e provinciali.

La difesa comunale ha quindi concluso chiedendo la reiezione del ricorso.

La Provincia di Trento non si è costituita in giudizio.

All’udienza del 12 febbraio 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

Come riassunto nell’esposizione in fatto, l’area di proprietà dell’odierno ricorrente, identificata come particella n. 120, risultava originariamente compresa, secondo le previsioni del piano regolatore comunale approvato nel 2002, nell’ambito delle zone destinate a verde privato.

Con delibera commissariale n. 1 del 24.3.2005 è stata introdotta una variante generale che ha previsto una modifica della destinazione urbanistica dell’area de qua, includendola nell’ambito delle zone agricole secondarie.

Come ricordato dalla difesa comunale nella propria memoria di costituzione, al riguardo veniva presentata in data 6.5.2005 un’osservazione dai precedenti proprietari, nella quale veniva richiesto che all’area venisse impressa una destinazione di tipo residenziale.

Trasmessi gli atti alla CUP, ottenuto il relativo parere, il Commissario assumeva la deliberazione n. 1 del 26.9.2007, con la quale provvedeva alla definitiva adozione della variante, accogliendo contestualmente la richiesta di modifica del compendio di cui si discute, assegnando ad esso la destinazione residenziale (zona di completamento).

Intervenivano quindi le osservazioni da parte del Servizio Urbanistica della Provincia, espresse con parere n. 716 del 6.11.2007, con le quali l’organo consultivo svolgeva alcune considerazioni, in particolare riferite ad alcuni profili attinenti alla valutazione delle osservazioni prodotte in termini, la quale ad avviso del Servizio risultava “…insufficiente nella sua articolazione e documentazione, sia con riferimento alle decisioni positive quanto a quelle negative e con riguardo per queste ultime alle motivazioni non sempre significative e precise.”.

Da cui la necessità di “…una documentazione di raffronto che individui in via preliminare i contenuti delle osservazioni, la tavola di riferimento ed il raffronto cartografico nonché per quelle accolte, la coerenza con gli indirizzi caratterizzanti la variante adottata”.

A tale nota facevano quindi seguito le note integrative dicembre 2007 – gennaio 2008 alla relazione illustrativa alla variante 2004, con la quale il Commissario ad acta, in risposta alla nota del Servizio Provinciale, chiariva i profili evidenziati con una serie di valutazioni puntuali.

In tale contesto il Commissario riteneva di provvedere ad introdurre una serie di rettifiche, determinate dalla rilevazione di errori o di interpretazioni non corrette e, per quanto interessa il caso in esame, introduceva la “Var. C : rettifica della destinazione d’uso da residenziale di completamento A a verde privato, maggiormente aderente al contesto urbano (segnalazione dei proprietari)”.

La variante, così come modificata per quanto riguarda l’area del ricorrente, veniva quindi approvata con delibera della Giunta Provinciale n. 412/2008, la quale è stata impugnata con il gravame in oggetto.

Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato e meritevole di accoglimento.

Le censure esposte dalla difesa istante denunciano la violazione delle disposizioni contenute nella L.P. n. 22/1991 disciplinanti il procedimento di adozione/approvazione del piano regolatore o sue varianti, in quanto il potere esercitato dal Commissario si è risolto nell’ulteriore modifica delle previsioni contenute nella delibera di adozione definitiva. Esso, perciò, risulta essere stato esercitato in palese violazione delle disposizioni contenute negli artt. 40, 41 e 42 della legge provinciale.

Invero, la normativa richiamata prevede che il Comune, dopo la prima adozione, assuma la delibera di adozione definitiva della variante, una volta acquisito il parere della CUP ed una volta esaminate le osservazioni prevenute in termini, con eventuale modifica – in caso di loro accoglimento – delle determinazioni in precedenza assunte.

A quel punto il piano, così come definitivamente adottato, passa all’esame della Giunta Provinciale, per la relativa approvazione, supportata dal parere tecnico reso dal Servizio competente in materia di urbanistica e tutela del paesaggio.

Orbene, in tale fase, sia sulla base del parere espresso dalla CUP che dal Servizio Urbanistica, la Provincia può intervenire apportando modifiche d’ufficio, le quali tuttavia non debbono comportare sostanziali innovazioni. Le modifiche d’ufficio, quindi, non debbono assumere carattere rilevante rispetto all’impostazione ed agli obiettivi del piano, ovvero possono essere giustificate dalla necessità di assicurare il rispetto delle prescrizioni del piano urbanistico provinciale, dei superiori interessi sottesi alla tutela del paesaggio e dei complessi storici, nonché degli altri obiettivi elencati al comma 2 dell’art. 41 della L.P. 22/1991.

Ne deriva che, al di fuori delle ipotesi richiamate, in cui la delibera di adozione definitiva viene incisa dalle modifiche apportate, nei limiti sopra specificati, direttamente dalla Provincia, il Consiglio Comunale (o, nel caso in esame, il Commissario ad acta) esaurisce il potere esercitabile dal Comune in funzione dell’organizzazione urbanistica del proprio territorio, dopo che abbia deliberato l’adozione definitiva.

Escluso che nella fattispecie de qua la Provincia abbia inteso operare le integrazioni di cui al secondo comma dell’art. 41, testé richiamato, gli atti del procedimento culminato nella delibera di approvazione della variante sono stati caratterizzati dalle sole precisazioni richieste per effetto del parere reso dal Servizio Urbanistica. Tali precisazioni, come si legge testualmente nel suddetto parere n. 716, sono state determinate dall’esigenza di meglio articolare e documentare il capitolo relativo alla valutazione delle osservazioni prodotte tempestivamente, con la specificazione delle motivazioni assunte al riguardo, sia in termini positivi che negativi, e con il relativo supporto cartografico.

Entro questi limiti è stato quindi richiesto l’intervento di chiarimento e specificazione da parte del Commissario ad acta, il quale, quindi – si ribadisce – entro tali limiti, avrebbe dovuto apportare le necessarie correzioni e specificazioni.

Orbene, come correttamente rilevato dalla difesa istante, l’ambito di proprietà del ricorrente non risultava interessato dalle osservazioni e dai chiarimenti richiesti dal Servizio Urbanistica della Provincia, così come si rileva dalla lettura del parere n. 716.

Ciò non ostante, il Commissario ha ritenuto di utilizzare la nota integrativa alla relazione illustrativa, in risposta alle richieste dell’organo consultivo provinciale, per operare una nuova valutazione della scelta urbanistica precedentemente operata, ritenuta più coerente con la situazione dei luoghi e soprattutto con le richieste avanzate dalla proprietà (evidentemente, quella precedente).

Ne è scaturita l’introduzione della “Variante C”, per effetto della quale l’area del ricorrente è stata diversamente qualificata come verde privato, perdendo la precedente destinazione residenziale di completamento.

Tale determinazione assunta dal Commissario ad acta, successivamente avallata in sede di approvazione dalla Giunta Provinciale, è tuttavia illegittima proprio in quanto il Comune aveva ormai definitivamente esaurito il potere di adozione dello strumento urbanistico, potere esauritosi per quanto riguarda le competenze comunali con la delibera di adozione definitiva n. 1/2007.

Tale conclusione, che evidenzia l’illegittimità della variante così introdotta, non può essere superata con riferimento ai rapporti di collaborazione che possono intercorrere tra Comune e Provincia nell’ambito del procedimento di adozione/approvazione della variante.

Nulla quaestio in merito a tale possibilità, che infatti è stata esercitata anche nel caso di specie, ove il Commissario è stato sollecitato ad intervenire con i necessari aggiustamenti e chiarimenti, nonché correzioni, per effetto di quanto rilevato dal Servizio Urbanistica con il più volte richiamato parere n. 716.

Ciò che, invece, rende illegittima, in parte qua, la variante impugnata, è l’avvenuta introduzione di nuove e difformi scelte urbanistiche da parte del Comune dopo che era intervenuta la delibera di adozione definitiva della stessa, atto che come tale, per espressa previsione di legge, conclude ed esaurisce i poteri comunali.

La rilevata illegittimità degli atti impugnati discende proprio dalla constatazione che l’intervento operato dal Commissario, con l’introduzione della Variante C, reca una nuova previsione urbanistica, difforme da quella precedentemente deliberata, nonostante tale potere si fosse definitivamente esplicato ed esaurito con l’adozione della delibera n. 1/2007.

Con la nota integrativa contestata, in risposta alla richieste avanzate dall’organo consultivo provinciale, il Commissario ha quindi travalicato i limiti del potere attribuitogli dalla legge provinciale, intervenendo sulla variante già adottata in via definitiva con un’ulteriore modifica della destinazione urbanistica delle aree coinvolte.

Né, infine, l’operato del Commissario può essere giustificato con riguardo al riferimento alle osservazioni presentate dai proprietari dell’area.

Invero, escluso che tale riferimento riguardasse l’attuale proprietario, si tratterebbe in ogni caso o di osservazioni palesemente tardive (come tali, comunque, da trascurare anche secondo il parere del Servizio Urbanistico della Provincia) ovvero espresse in termini del tutto opposti (quali sono state quelle presentate nel maggio del 2005, che avevano richiesto che al compendio fosse impressa una destinazione di tipo residenziale).

In conclusione, attese le considerazioni sin qui svolte, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento in parte qua (cioè, limitatamente alla destinazione impressa all’area di proprietà del ricorrente), degli atti impugnati, tutti assunti successivamente alla delibera commissariale n. 1/2007, in modo particolare della delibera provinciale n. 412/2008 di approvazione della variante al P.R.G. del Comune intimato.

Le spese di giudizio sono liquidate, in ragione della soccombenza, nella misura indicata in dispositivo.

P. Q.M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 130 del 2008, lo accoglie e per l’effetto annulla in parte qua gli atti impugnati.

Condanna il Comune intimato al pagamento delle spese di giudizio, liquidandole a favore della parte ricorrente nella somma complessiva di € 5.000,00 (Euro cinquemila/00); compensa le spese con la Provincia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 12 febbraio 2009 , con l’intervento dei Magistrati:

dott. Lorenzo Stevanato – Presidente f.f.

dott.ssa Alessandra Farina – Consigliere, rel.

dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 12 marzo 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 78/2009 Reg. Sent.

N.130/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 77/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 58 del 2008 proposto da MATTE’ LORENZO, rappresentato e difeso dall’avv. Cinzia Marsili ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Vanni Ceola in Trento, via Cavour, n. 34

CONTRO

COMUNE DI VOLANO, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Dalla Fior e Andrea Lorenzi ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Trento, via Paradisi n. 15

e nei confronti

di CRISTALE FABRIZIO, non costituito in giudizio

per l’annullamento

– del provvedimento n. 9591 del 21.12.2007, notificato in data 22.12.2007, adottato dal Sindaco del Comune di Volano di diniego al rilascio della concessione in sanatoria dopo l’ingiunzione di rimessa in pristino prot. n. 5549 del 26.7.2007 per i lavori abusivi realizzati per la costruzione di un manufatto adibito a deposito – cantina in difformità parziale ex art. 121 comma 5, lettera b della L.p. 5.9.1991, n. 22, nonché per la costruzione di un vialetto e piscina in assenza di denuncia di inizio attività in Volano, località Fornaci;

– dell’ingiunzione di rimessa in pristino a firma del Vice Sindaco del Comune di Volano n. 5549 del 26.7.2007;

– di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e consequenziale ai precedenti, fra i quali in particolare: il parere sfavorevole di cui al verbale n. 340 di data 5.12.2007 della Commissione edilizia comunale e del verbale di accertamento del 14.6.2007 n. 4426 per opere abusive in località Fornaci n. 5 sulla p.f. 1658/2 CC. Volano a firma del Tecnico comunale e dell’agente di Polizia Municipale del Corpo intercomunale di Polizia municipale della Vallagarina.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla camera di consiglio del 15 gennaio 2009 – relatore il consigliere Fiorenzo Tomaselli – i difensori delle parti costituite come specificato nel verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Con atto notificato in data 20-22.2.2008 e depositato in Segreteria il 13.3.2008 il signor Mattè Lorenzo, quale proprietario in Volano, località Fornaci, della p.f. 1658/2 e della p.ed. 380, entrambe in C.C. Volano, ha impugnato, deducendo violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, il provvedimento sindacale n. 9591 del 21.12.2007 di diniego al rilascio della concessione in sanatoria, la pregressa ingiunzione di rimessa in pristino n. 5549 del 26.7.2007 per i lavori abusivamente realizzati (costruzione di un manufatto adibito a deposito – cantina, di un vialetto e di una piscina), nonché il parere n. 340 di data 5.12.2007 della Commissione edilizia comunale riscontrante l’allegato contrasto delle viste opere con le disposizioni dello strumento urbanistico comunale.

Avverso tali atti, il ricorrente ha formulato i seguenti motivi in diritto:

1) Violazione di legge (art. 13 della L.r. 31.7.1993, n. 13) ed eccesso di potere per omessa o carente e comunque contraddittoria motivazione anche in riferimento ad un provvedimento presupposto;

2) Violazione di legge (artt. 121 e 129 della L.p. 5.9.1991, n. 22, artt. 40 e 60 del P.R.G. del Comune di Volano) ed eccesso di potere per carente motivazione e contraddittorietà della motivazione con riferimento al necessario parere della Commissione Edilizia Comunale di cui al Verbale n. 340 del 5.12.2007;

3) Violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 837 c.c., artt. 43, comma 2, 28 comma 6 e art. 7 del P.R.G. e varianti I – IV adottate dal Comune di Volano in vigore dal 14.10.1998), eccesso di potere per carente, contraddittoria o comunque perplessa motivazione intrinseca all’atto, sviamento di potere per carenza e contraddittorietà della motivazione rispetto a quella di altro atto presupposto (diniego al condono n. 4858 del 27.6.2007), travisamento della realtà fattuale;

4) Violazione di legge (art. 121 della L.p. 22/1991), eccesso di potere per carenza e contraddittorietà della motivazione, eccesso di potere per carenza di istruttoria e per errata rappresentazione e/o travisamento dei fatti e dei presupposti, errata interpretazione dei documenti e fotografie aeree, sviamento di potere per comportamento contraddittorio del Comune;

5) Eccesso di potere per omessa e/o carente e/o contraddittoria motivazione, errata rappresentazione dei fatti, errata interpretazione delle risultanze documentali e fotografiche, contraddittorietà di motivazione in rapporto a diversi atti della stessa amministrazione e di comportamento in relazione a posizioni uguali, manifesta ineguaglianza ed irragionevolezza;

6) Violazione di legge (artt. 77 bis e 121 della L.p. 22/1991, art. 7, 44 e 60 del vigente P.R.G. di Volano aggiornato alla IV variante), eccesso di potere, carenza e contraddittorietà della motivazione, travisamento dei fatti e dei presupposti.

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, chiedendo una pronuncia di reiezione.

Alla pubblica udienza del 15 gennaio 2009 la causa è stata trattenuta in decisione

D I R I T T O

Il ricorso è meritevole di accoglimento.

1. Il ricorrente è proprietario di un compendio immobiliare ad uso residenziale e relativi spazi pertinenziali, su cui, a seguito di accertamenti in ordine a lavori già svolti sulla predetta realità, il Responsabile dell’Ufficio tecnico comunale verificava la sussistenza di opere abusive (costruzione di un manufatto adibito a deposito – cantina in difformità parziale, nonché di un vialetto e piscina in assenza di denuncia di inizio attività).

Conseguentemente, il Vice Sindaco del Comune con ordinanza n. 5549/2007 procedeva all’emissione di un’ingiunzione di ripristino, al quale ha fatto seguito l’attivazione da parte del signor Mattè di un procedimento di sanatoria edilizia finalizzato a legittimare le ridette opere abusive.

Il Sindaco, acquisito il parere non favorevole della C.e.c. ed a fronte della ritenuta non compatibilità urbanistica degli interventi, con provvedimento n. 9591/2007, negava la richiesta sanatoria e con la medesima ordinanza comunicava la successiva attivazione del procedimento sanzionatorio ex art. 121, comma 8 bis, L.p. n. 22/1991.

2. In merito al deposito – cantina, le censure del ricorrente appaiono fondate, laddove evidenziano una falsa rappresentazione della realtà fattuale ed una contraddittoria e perplessa motivazione sul punto.

Anzitutto, va osservato che, dalle tavole progettuali allegate alla richiesta di sanatoria, il deposito – cantina appare completamente interrato su tre lati.

Infatti, nel ridetto progetto viene proposta la demolizione della parte di edificio sporgente rispetto al terrapieno preesistente della p.ed. 380, in modo tale da ricondurre il manufatto ad interrato, con il terzo lato coincidente, come da situazione preesistente ai lavori, con il fronte del muro di contenimento posto sul confine fra la p.ed. 380 e la p.f. 1658/2 C.C. Volano, e pertanto ininfluente ai fini della normativa sulle distanze degli edifici dal confine.

Pertanto, la soluzione proposta con la richiesta di sanatoria appare adeguata al ripristino dello status quo ante all’abuso, non sussistendo, comunque, alcun problema relativo alle distanze, in quanto trattasi appunto di opere interrate: problema che si poteva porre nel solo caso – qui da escludersi – di costruzioni fuori terra.

Del resto, per giurisprudenza costante i locali interrati non sono computabili ai fini dell’applicazione delle norme sulle distanze in quanto le prescrizioni dettate dagli strumenti urbanistici in tema di altezza, distanze e volumetria degli edifici sono dirette a tutelare quegli specifici valori – aria, luce, vista – sui quali incidono tutti i volumi che, sporgendo al di sopra della linea naturale del terreno, modificano in maniera significativa la conformazione del suolo e dell’ambiente.

D’altra parte, quanto alla ridetta cantina – deposito, l’art. 60 delle N.A. del P.R.G. del Comune di Volano consente al comma 2 la possibilità di “aumenti del 10% del volume esistente per interventi di ristrutturazione”.

Nel caso concreto, trattasi certamente di intervento rientrante nell’ambito dell’art. 77 bis della L.p. 22/1991, che alle lett. e) ed f), così definisce le tipologie di ristrutturazione: “e) interventi di ristrutturazione edilizia, quelli rivolti ad adeguare l’edificio a nuove e diverse esigenze anche con cambio della destinazione d’uso. L’intervento comprende la possibilità di variare l’impianto strutturale interno e distributivo dell’edificio, modificandone l’aspetto architettonico, formale, i tipi ed il modo d’uso dei materiali, purché le murature perimetrali non vengano demolite; f) interventi di sostituzione edilizia e interventi rivolti alla demolizione e conseguente ricostruzione dell’edificio nel rispetto del sedime e della volumetria esistenti”.

Osserva, dunque, il Collegio che, dall’esame degli atti e degli elaborati tecnici prodotti a corredo della concessione edilizia in sanatoria, si ricava che, con l’esecuzione della soluzione ripristinatoria con demolizione della porzione di manufatto non interrata, si viene ad integrare la sostanziale compatibilità urbanistica dell’intervento di ristrutturazione concernente la realizzazione del deposito – cantina in questione.

3. Per quanto riguarda la vasca adibita a piscina, sono fondate le doglianze che denunciano difetto di istruttoria e di motivazione circa l’esatta individuazione della data di costruzione della ridetta vasca e della disciplina edificatoria applicabile alla fattispecie.

Il ricorrente ha introdotto in giudizio una serie di argomentazioni e principi di prova che l’Amministrazione non ha valutato in sede istruttoria mentre, in capo alla stessa, sussisteva l’obbligo di accertare i fatti e i presupposti del previsto intervento, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, per l’adeguato svolgimento dell’istruttoria stessa.

Anche la stessa esistenza delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio allegate e delle prove testimoniali offerte non avrebbe potuto essere trascurata dall’Amministrazione procedente, che può e deve acquisire, sempre in sede istruttoria, le spontanee dichiarazioni di persone terze e chiedere dalle stesse tutti i chiarimenti e le integrazioni necessarie qualora rilevi inesattezze e contraddittorietà.

D’altronde, non va trascurata la circostanza che può essere arduo assolvere l’onere della prova per fatti risalenti nel tempo; onere della prova che può quindi essere assolto anche attraverso indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti tra loro.

Per contro le argomentazioni del Comune, volte a dimostrare la necessità dei titoli edilizi ritenuti mancanti, non sono convincenti.

Al riguardo, il Collegio osserva che:

– trattasi di vasca con muri in cemento costruita presumibilmente nel 1966, in via contestuale ai lavori di ristrutturazione del fabbricato di cui alla p.ed. 380, ai fini della raccolta delle acque meteoriche e successivamente oggetto di intervento manutentorio per la predisposizione di uno scarico per il troppo pieno regolarmente autorizzato;

– le foto delle riprese aeree della zona in possesso e fornite dal Comune, a causa della scarsa chiarezza, non sono dirimenti sulla inesistenza della vasca alla data del rilievo aerofotogrammetrico del 1973;

– dalla documentazione fotografica versata in giudizio è pacificamente riscontrabile che la vasca – piscina non sporge affatto dal terreno, configurandosi quale manufatto sostanzialmente interrato;

– la richiesta di sanatoria dell’ottobre 2007 riguarda esclusivamente il rivestimento con piastrelle in gres della parte superiore del muro perimetrale della vasca.

Quanto, infine, al vialetto – rampa di accesso oggetto di sopraelevazione, il sig. Mattè ha provveduto alla remissione in pristino nei termini di cui alla ingiunzione, senza presentare sul punto sanatoria alcuna.

In definitiva, il Comune di Volano avrebbe dovuto svolgere una più approfondita istruttoria per accertare, da un lato, quale fosse l’effettiva data di realizzazione della vasca anche sulla base degli elementi offerti dagli interessati e, dall’altro, la disciplina urbanistica applicabile in tale momento.

E’ quindi da affermarsi che, a quanto si ricava dagli atti del giudizio, la concessione edilizia in sanatoria avrebbe potuto essere rilasciata all’interessato, trovando fondamento, sia nell’irrilevanza delle evocate difformità, sia nell’assoluta inconferenza del richiamo alle prescrizioni sulle distanze, il che vincolava strettamente l’Amministrazione al puntuale rispetto della disciplina del proprio strumento urbanistico generale.

4. Conclusivamente, il ricorso è dunque per quanto suesposto fondato, con assorbimento dei profili non riassumibili in quelli sopra definiti.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico dell’Amministrazione, potendo essere liquidate, tenuto conto del valore della causa e dell’entità dell’attività difensiva prestata, nella complessiva somma di € 3.700,00 (tremilasettecento), , di cui € 3.000,00 per onorari e € 700,00 per diritti , oltre ad I.V.A. ed a C.P.A. ed al 12,5% a titolo di spese forfetarie sull’onorario. oltre ad I.V.A. ed a C.P.A.

P.Q.M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 58/2008, lo accoglie.

Spese del giudizio a carico come da motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 15 gennaio 2009 , con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott. Fiorenzo Tomaselli – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 12 marzo 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 77/2009 Reg. Sent.

N. 58/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it