Cassazione Sezione 3 Civile Sentenza n. 11059 del 13 maggio 2009 Danno, patrimoniale, non patrimoniale, morale, inquinamento ambientale, seveso, risarcimento (2009-07-08)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Nel luglio del 1995 An.An. ed altre 85 persone residenti in prossimita’ dell’impianto produttivo dell’ IC. s.p.a. di (OMESSO) dal quale, in data (OMESSO), era fuoriuscita una nube tossica composta da diossina, convennero in giudizio la predetta societa’ in liquidazione chiedendone la condanna – per quanto in questa sede interessa – al risarcimento del danno morale.

La convenuta resistette.

Con sentenza n. 7825/03 l’adito tribunale di Milano rilevo’ tra l’altro che era intervenuta condanna per il reato di disastro ambientale di cui all’articolo 449 c.p., nei confronti di soggetti del cui fatto la convenuta era civilmente responsabile e la condanno’ a pagare a ciascuno degli attori la somma di euro 5.000,00, liquidata all’attualita’, compensando le spese.

2.- La societa’ soccombente propose appello, dolendosi che la domanda fosse stata accolta nonostante la mancanza di prova circa la sussistenza di un danno effettivo, in subordine sostenendo che la liquidazione era stata eccessiva.

Il gravame, cui avevano resistito gli attori, e’ stato respinto dalla corte d’appello di Milano con sentenza n. 2829 del 2005, che ha anche condannato l’appellante alle spese del grado.

3.- Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la IC. s.p.a. in liquidazione sulla base di sette motivi, illustrati anche da memoria, cui resistono con unico controricorso Ca.Sa. , Do. Gi. e Do.Ma. , i quali hanno rilasciato procura speciale in calce al controricorso.

Gli altri 77 intimati indicati non hanno svolto attivita’ difensiva, non essendo valida la procura richiamata in controricorso, rilasciata per il giudizio di merito e dunque priva del requisito di specialita’.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i sette motivi di ricorso la sentenza e’ rispettivamente censurata:

a) per violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2729 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., laddove aveva posto a base della decisione un’inesatta nozione di fatto notorio, violando anche le norme sulle presunzioni semplici e finendo col considerare notorio il danno stesso, che era invece il fatto da provare;

b) per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2729 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ per omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo nella parte in cui aveva ritenuto che dal fatto notorio della sottoposizione dei residenti nell’area contaminata a controlli sanitari ed a prescrizioni di comportamento potesse

Cassazione II Civile Sentenza n. 13126/2009 Identificazione conducente, circolazione stradale, contravvenzioni, multe (2009-07-08)

FATTO E DIRITTO

Il giudice di pace di Parma con sentenza del … 2005 accoglieva l’opposizione proposta da C. & P. …. srl di ….in persona del legale rappresentante, avverso il comune di Parma, per l’annullamento del verbale di contestazione n. .. con il quale le era stata contestata la violazione dell’art. 126 bis C.d.S. e art. 180 C.d.S., comma 8 per omessa comunicazione delle generalità del conducente del veicolo con il quale era stata commessa la violazione.

Rilevava che la opponente aveva tempestivamente comunicato di non essere in grado di indicare il nominativo del conducente dell’autoveicolo, poichè lo stesso veniva usato da tutto il personale della ditta; aggiungeva che non esisteva, a carico del proprietario dei veicoli con i quali era stata commessa infrazione stradale, l’obbligo giuridico di conoscere e comunicare il nome del conducente.

Il comune di Parma ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 12 luglio 2006.

Parte opponente è rimasta intimata.

Avviata la trattazione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, il procuratore generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso perchè manifestamente fondato. E’ stata depositata memoria.

Con l’unico motivo di doglianza, il comune lamenta violazione dell’art. 126 bis C.d.S. e art. 180 C.d.S., comma 8 e contraddittorietà della motivazione. L’accoglimento del ricorso scaturisce agevolmente dal progressivo consolidarsi della giurisprudenza di questa Corte in ordine alla sussistenza, allorquando venga accertata infrazione stradale, dell’obbligo dei proprietari degli autoveicoli di fornire all’autorità procedente le generalità dei conducenti alla guida.

La S. C. ritenuto che

Cassazione civile sez. lav 12 maggio 2009 n. 10860 Lavoro, invalidità civile, indennizzo, assegno (2009-07-08)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Guglielmo SCIARELLI – Presidente –

Dott. Pietro CUOCO – Rel. Consigliere –

Dott. Stefano MONACI – Consigliere –

Dott. Vincenzo DI NUBILA – Consigliere –

Dott. Antonio IANNIELLO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 14164-2006 proposto da:

D. G., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Delle Milizie 38, presso lo studio dell’avvocato Angelozzi Giovanni, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Signore Italo , giusta mandato a margine del ricorso;

• ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

I.N.P.S. Istituto Nazionale Della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Della Frezza 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati, Riccio Alessandro, Valente Nicola, Giannico Giuseppina, giusta delega in calce al controricorso;

• controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2782/2005 della Corte d’Appello di Lecce , depositata il 30/12/2005; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/01/2009 dal Consigliere Dott. Pietro Cuoco; udito l’Avvocato Angelozzi;

udito il P.M. In persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Marco Pivetti, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 12 ottobre 2004 G. D. propose appello avverso la sentenza con cui il Tribunale di Lecce aveva respinto la sua domanda diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto all’assegno d’invalidità civile.

Con sentenza del 30 dicembre 2005 la Corte d’Appello di Lecce , espletata una nuova consulenza tecnica d’ufficio, respinse l’impugnazione. Il giudicante aderisce al parere del consulente tecnico d’ufficio, che ritiene fondato su corretto accertamento ed adeguata valutazione; e non ritiene fondate le critiche a questa consulenza proposte con consulenza tecnica di parte.

Per la cassazione di questa sentenza G. D. propone ricorso, articolato in due motivi; il Ministero delle Finanze e l’Inps resistono con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, denunciando per l’art. 360 n. 3 cod. proc. Civ. Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della Legge 30 marzo 1971 n. 118 e degli artt. 1 comma 3 e 2 comma 2 del Decreto legge 23 novembre 1989 n. 509, la ricorrente sostiene che le infermità non erano state adeguatamente valutate; in particolare,

1.a. In relazione all’altezza di 161 cm ed al peso di Kg 110, la ben rilevante obesità doveva essere valutata non in base alle tabelle ma in relazione all’effettivo grado di invalidità, ed in relazione all’incidenza che il fatto aveva sulle altre infermità;

1.b. La steno – insufficienza aortica e l’insufficienza mitralica lieve nonché l’ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro erano qualificabili come scompenso cardio – circolatorio, e non come diversamente ritenuto dal CTU di secondo grado (lieve rigurgito mitro – aortico);

1.c. ”il pannicolo adiposo e le gravi disfunzioni alla colonna non consentono alla Deta di flettersi sul tronco”;

1.d. Poiché la ricorrente aveva precedentemente subito interventi di safenectomia, le varici ed il linfoedema agli arti inferiori con lesioni ulcerative delineavano un quadro “di estrema gravità”, assimilabile alla rigidità o lassità del ginocchio superiore al 50%;

1.e. La pur qualificata sindrome ansioso – depressiva era stata erroneamente valutata con il ben diverso parametro della più lieve nevrosi ansiosa.

2. Con il secondo motivo, denunciando per l’art. 360 n. 5 cod. proc. Civ., omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente sostiene che

2.a. Alla luce dei principi degli artt. 1 e 38 Cost., il lavoro da considerare ai fini dell’assegno previsto per gli invalidi civili é da intendersi come quello “espletabile proficuamente, nell’ambito del rispetto della dignità del soggetto”; l’espressione normativa “non é preclusiva di un’interpretazione estensiva, in quanto la capacità lavorativa deve essere intesa….. come quella espletabile remunerativamente”;

2.b. Il giudicante avrebbe dovuto accertare se la Deta “si trovi nella condizione di svolgere una qualsiasi attività lavorativa proficuamente idonea ad assicurarle, in relazione al parametro di cui all’art. 36 Cost., una remunerazione sufficiente a garantirle un’esistenza libera e dignitosa”.

3. Il primo motivo é infondato. Come ripetutamente affermato da questa Corte, il difetto di motivazione in ordine ad aspetti sanitari sussiste solo ove vi sia palese devianza dalle correnti nozioni della scienza medica od omissione degli accertamenti strumentali necessari alla formulazione di una corretta diagnosi; al di fuori di tale ambito, la censura costituisce mero dissenso, non attinente a vizi del processo logico formale, e si traduce nell’irrilevante critica del convincimento del giudice (e plurimis, Cass. 21 gennaio 1998 n. 530).

Tale è la censura, nel caso in esame. La ricorrerete, pur analiticamente esaminando le lamentate infermità, contestando la valutazione del consulente d’ufficio, si limita a propone una propria valutazione.

4. In ordine alla censura proposta con il secondo motivo, è da affermare quanto segue.

Poiché il lavoratore ha diritto ad una retribuzione in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.), l’idoneità ad assicurare a sé ed alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa è qualità propria di ogni lavoro.

La capacità lavorativa è pertanto capacità di espletare attività che ha tale idoneità.

La normativa fissazione della riduzione (di capacità), indennizzabile con l’assegno di invalidità, presuppone che la residua capacità lavorativa:

a. di per sé sola non sia sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa è qualità propria di ogni lavoro;

b. conservi tuttavia la potenzialità per conseguire una parte di questa retribuzione;

c. esiga, nella misura della propria insufficienza, l’integrazione.

L’assegno ha questa funzione integrativa, come copertura dell’accertata incapacità.

In tal modo (e quale algebrica negazione di quanto la ricorrente deduce), il riconoscimento dell’assegno è normativa qualificazione della residua capacità lavorativa come insufficiente a far conseguire al lavoratore una retribuzione che assicuri un’esistenza libera e dignitosa.

5. Il ricorso deve essere respinto. In applicazione dell’art. 152 disp. Att. Cod. proc. Civ., nulla è da disporre in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; nulla dispone in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2009.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 12 MAGGIO 2009.

Modifica alla legge 22 novembre 1988, n. 516, recante approvazione dell’intesa tra il Governo della Repubblica italiana e l’Unione Italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, in attuazione dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione.

Legge n. 67 dell’8 Giugno 2009, G.U. n. 140 del 19 Giugno 2009
Errata corrige G.U. n. 147 del 27 Giugno 2009

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 140 del 19 giugno 2009
(Rettifica G.U. n. 147 del 27 giugno 2009)

Art. 1.

(Approvazione dell’intesa tra il Governo della Repubblica italiana e l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7o giorno).

1. È approvata l’allegata intesa firmata il 4 aprile 2007 tra il Governo della Repubblica italiana e l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7o giorno, che modifica l’intesa del 29 dicembre 1986, approvata con legge 22 novembre 1988, n. 516, ai sensi dell’articolo 37, terzo comma, della citata intesa.

Art. 2.

(Modifica della legge 22 novembre 1988, n. 516).

1. Il comma 1 dell’articolo 14 della legge 22 novembre 1988, n. 516, è sostituito dal seguente:

«1. Sono riconosciuti, ai sensi della normativa vigente, le lauree in teologia ed i diplomi in teologia e in cultura biblica, rilasciati dall’Istituto avventista di cultura biblica a studenti in possesso del titolo di studio di scuola secondaria superiore».

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