Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza n.14466/2009 Espropriazione, penale, richiesta documenti, dipendente, impiegato, pubblica amministrazione (2009-04-13)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione Sesta Penale

composta dai Signori:

dott. Giovanni De Roberto – Presidente

dott. Francesco Serpico – Consigliere

dott. Nicola Milo – Consigliere

dott. Luigi Lanza – Consigliere Relatore

dott. Anna Maria Fazio – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

su ricorso proposto da […]

avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo 21 marzo 2006 che ha confermato la decisione di condanna 18 gennaio 2005 del Tribunale di Marsala per il reato di cui all’art.328 Cod. Pen..

Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.

Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Luigi Lanza.

Udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Eugenio Selvaggi che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Considerato in fatto e in diritto

1) la sentenza di condanna del Tribunale di Marsala

Con sentenza 18 gennaio 2005 del Tribunale di Marsala (…) ingegnere, è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 328 c.p. [1], perché, in qualità di funzionario responsabile del settore dei servizi tecnici del Comune di Castelvetrano, in ordine alla formale richiesta di (…) destinataria di provvedimento dì espropriazione, di avere conoscenza dell’atto di cessione, al Comune di Castelvetrano, da parte della Regione Sicilia, di aree destinate alla realizzazione di un parcheggio, nonché dei verbali di consistenza delle stesse, non compiva, nei trenta giorni, l’atto del suo ufficio, ovvero non rispondeva per esporre le ragioni del ritardo, a fronte di una specifica richiesta inoltrata in data 13.04.2000, ed ulteriore sollecito e richiesta (pervenuta al protocollo del suo ufficio in data 7.07.2000), nonché della nota prot. 17948 del 13.06.2000 con la quale veniva fissata la competenza del suo ufficio, in merito all’istanza stessa. In Castelvetrano fino al giugno 2002.

Il primo giudice fondava il giudizio di penale responsabilità sulle risultanze delle dichiarazioni rese dalla (…) e dalla documentazione acquisita, relativa alla vicenda della mancata retrocessione dell’area, sita in Marinella di Selinunte (censita alle partt. 428, 429 e 430 del fg. 176 C.t. di Castelvetrano, già di proprietà della donna), in precedenza espropriatale dalla Regione Siciliana per la realizzazione di opere pubbliche e, successivamente, destinata dal Comune di Castelvetrano, secondo le previsioni del nuovo P.R.G., alla realizzazione di un parcheggio pubblico.

La sentenza di I grado ha desunto la dimostrazione dell’omissione da parte dell’imputato, funzionario competente in quanto dirigente dei servizi tecnici del Comune, dell’atto d’ufficio, consistente nella risposta alla richiesta, avanzata dalla (…) in data 3.07.2000, di rilascio di copia dell’atto di cessione in comodato dell’area al Comune di Castelvetrano e dei verbali di consistenza delle aree, utilizzate o meno, per la realizzazione del parcheggio, richiesta da intendersi quale diffida ad adempiere e costituzione in mora, stante l’infruttuosità della precedente istanza del 13.04.2000.

2) le argomentazioni della sentenza di condanna della Corte di appello di Palermo

Su appello dello (…) la Corte di appello con sentenza ha confermato integralmente la decisione del Tribunale, rigettando i punti di criticità ed invalidità dedotti nell’atto di gravame predetto.

In particolare, sul punto dell’interesse della (…), la Corte distrettuale:

a) ha ribadito l’interesse, giuridicamente qualificato, della (…), ad avere conoscenza dello stato di fatto e legale dell’area che avrebbe potuto ritornare nella sua proprietà, ed, in ogni caso, delle modalità del suo utilizzo, totale e parziale, da parte del Comune, nonché del titolo che assisteva la sua destinazione materiale;

b) ha precisato che tali informazioni avrebbero consentito alla donna di valutare l’opportunità di intraprendere nuove iniziative legali, per ottenere il risarcimento dei danni, oppure accedere alla retrocessione, oppure ancora di rinunciare,

Cassazione Sezione Terza Civile sentenza n.7875/2009 Procedura civile, quesiti, formulazione, Cassazione, fumo, danno morale, risarcimento, locale pubblico, fumo passivo, salute (2009-04-14)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLO VITTORIA – Presidente

Dott. MAURIZIO MASSERA – Rel. Consigliere

Dott. ANTONIO SEGRETO – Consigliere

Dott. ROBERTA VIVALDI – Consigliere

Dott. RAFFAELE FRASCA – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso proposto da […] contro […]

avverso la sentenza n.1211/2007 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE del 10/07/07, depositata il 12/09/2007 […]

La Corte

Letti gli atti depositati

osserva

È stata depositata la seguente relazione:

1- Con ricorso notificato il 14 gennaio 2008 […] di Napoli […] ha chiesto la cassazione della sentenza, notificata il 14 novembre 2007, depositata in data 12 settembre 2007 dalla Corte di Appello di Firenze che, in riforma della sentenza del Tribunale, l’aveva condannata al pagamento in favore di […] e […] della complessiva somma di € 10.000,00 a titolo di risarcimento dei danni esistenziali determinati da immissioni moleste di fumo di sigarette.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

2- Ai ricorsi proposti contro la sentenze pubblicate a partire dal 2.3.2006, data di entrata in vigore del D. Lgs. 15 febbraio 2006, n.40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I.

Secondo l’art. 366 – bis c.p.c. – introdotto dall’art.6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art.360, n.1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art.360, primo comma, n.5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

3. – I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poiché la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art.366 – bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art.366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che, per ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art.360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n.19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art.366 bis c.p.c., introdotto dall’art.6 del D. Lgs. N.40 del 2006, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e

Cassazione Terza Civile 03.04.2009, n. 8137 Animali, randagi, asl, responsabilità, danni, risarcimento, equità, quantificazione del danno (2009-04-15)

CORTE DI CASSAZIONE

Sentenza n. 8137/2009

Corte di Cassazione – Sezione Terza – Sentenza del 03.04.2009, n. 8137

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con sentenza in data 25-3/30-5-2005, il giudice di pace di Pozzuoli – decidendo sulla domanda proposta da V. D. L. e M. A. per il risarcimento dei danni subiti dal figlio minore A. D. L. a seguito del morso di un cane randagio, avvenuto in data omissis in una strada del comune di POZZUOLI (Na) – dichiarava la responsabilità in solido dei convenuti Comune di POZZUOLI e ASL NA2 distretto 54 in ordine alla causazione dell’evento dannoso in oggetto e, a titolo di risarcimento danni, li condannava, con riparto nella misura del 50% ciascuno, manlevando ASL NA2 per il titolo di garanzia prestato dalla R.A.S. s.p.a., a pagare in favore di V. D. L. e M. A., nella qualità di esercenti la potestà genitoriale, la somma di euro 1.500,00 oltre interessi legali dall’evento al soddisfo, nonché al rimborso delle spese del giudizio.

Per quanto qui interessa il giudice di pace motivava il proprio convincimento sulla base delle seguenti considerazioni:nella specie ricorreva una situazione di randagismo, regolata dalla legge n. 281 del 14 agosto 1991 che demanda alle regioni di emanare proprie leggi per l’istituzione dell’anagrafe canina, per il risanamento dei canili comunali e per l’adozione di un programma per il randagismo; in particolare preposto alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente era il Servizio Sanitario delle USL, oggi ASL; le ASL, dopo il riordino della disciplina in materia sanitaria, erano diventate soggetti giuridici autonomi, inseriti nell’organizzazione sanitaria regionale, pur non avendo completamente reciso i legami con l’ente territoriale nel cui ambito operavano; infatti residuavano in capo al comune, ai sensi dell’art. 3 comma 14 del decreto_legislativo_502_1992, la definizione delle linee di indirizzo nell’ambito della programmazione regionale e la verifica dell’andamento generale dell’attività di vigilanza da parte del sindaco, il quale operava come rappresentante dell’organo territoriale e non quale ufficiale del governo; di modo che andava affermata la responsabilità del Comune di Pozzuoli accanto a quello della ASL NA2 distretto 54, nel cui ambito territoriale si era svolto l’evento dannoso.

1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di POZZUOLI svolgendo due motivi. Si è costituita la R.A.S., depositando controricorso, peraltro notificato tardivamente.Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli altri intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del controricorso della R.A.S..

Invero il ricorso introduttivo risulta notificato all’intimata compagnia di assicurazione presso il difensore costituito nel giudizio di merito (avv. Giovanni Feola) in data 13-7-2006 ed è pertanto da questa data che decorre il termine di cui all’art. 370 c. 1 c.p.c. Risulta, invece, che il controricorso è stato consegnato per la notifica all’ufficiale giudiziario in data 19-10-2006 e, quindi, successivamente alla scadenza di detto termine, pur avuto riguardo alla sospensione per il periodo feriale.Tuttavia la resistente ha partecipato alla discussione orale in udienza.

3.1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6 della legge regionale della Campania n. 16 del 24-11-2001 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione e falsa applicazione della legge n. 281 del 14-8-1991 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.. In particolare il ricorrente Comune rileva la propria carenza di legittimazione rispetto all’azione risarcitoria, atteso che, in base alla normativa regionale della Campania, il controllo del randagismo è affidato ai servizi veterinari della ASL competente per territorio; lamenta, quindi, che la statuizione, oltre a presentare una motivazione assolutamente insufficiente, sia del tutto errata.

2.2.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c..

A tal riguardo il ricorrente lamenta che la decisione impugnata abbia deciso ultra petita, dal momento che nell’atto introduttivo del giudizio la domanda risultava limitata alla somma di euro 1.032,21 e, comunque, «secondo il prudente ed equitativo apprezzamento del sign. Giudice di Pace adito ai sensi dell’art. 113 c.p.c. II comma».

4.1. Va preliminarmente esaminato il secondo motivo di ricorso, giacché esso propone una questione che si rivela strettamente connessa alla preliminare verifica dell’ammissibilità dell’impugnazione e dei limiti del sindacato consentito in questa sede. Invero – per quanto la condanna sia stata pronunciata per l’importo di euro 1.500,00 oltre interessi legali dall’evento al soddisfo – nella specie si versa in ipotesi di giudizio secondo equità pronunciato dal giudice di pace a norma dell’art. 113 co. 2 c.p.c.. Si rammenta, in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa S.C., che per determinare il valore di una causa incardinata dinanzi al giudice di pace, al fine di stabilire se debba essere decisa secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., in quanto non eccedente l’importo di euro 1.100,00 (in precedenza, lire 2.000.000), occorre avere riguardo alle norme che disciplinano la competenza per valore contenute negli articoli da 10 a 14 e 16, 17 c.p.c. (ex plurimis, Cass. civ., Sez. II, 28/08/2000, n. 11203; Cass. civ., Sez. III, 22/01/2003, n. 968).Orbene, nel caso di specie, non solo il petitum originario (cui ex art. 5 c.p.c. occorre fare riferimento ai fini della determinazione della competenza) risultava espressamente limitato alla somma di euro 1.032,21 e, comunque, alla somma da determinarsi «secondo il prudente ed equitativo apprezzamento del sign. Giudice di Pace adito ai sensi dell’art. 113 c.p.c. II comma», ma anche le conclusioni finali – come riportate nell’epigrafe della impugnata sentenza – confermano che la domanda era circoscritta entro il limite normativamente affidato al criterio equitativo del giudice di pace, stante l’espressa richiesta di «pagamento della somma di euro 1.100,00» e dovendo la richiesta alternativa di «quell’altra (somma) ritenuta di giustizia» intendersi riferita all’importo inferiore, altrimenti ritenuto di spettanza. Da tale premessa deriva un duplice ordine di conseguenze. Invero – trattandosi di sentenza pronunciata prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 2-2-2006 n. 40 su una domanda espressamente contenuta entro il limite di valore di cui all’art. 113 co. 2 c.p.c. – da un lato, l’unico mezzo ordinario di impugnazione è il ricorso per cassazione, oltre che per i motivi previsti dai numeri uno e due dell’art. 360 c.p.c., anche (con riferimento al n. 3 dello stesso articolo) per violazioni della Costituzione, delle norme comunitarie di rango superiore, dei principi generali dell’ordinamento e della legge processuale (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4), nonché, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 206 del 2004, dei principi informatori della materia (Cass. civ., Sez. Unite, 16/03/2007, n. 6074); dall’altro lato, essendo stata la stessa sentenza emessa per un importo eccedente tale limite, avuto riguardo all’importo della sorte capitale e al cumulo degli interessi ante causam, risulta ammissibile e fondato il motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di ultrapetizione.Valga considerare che il giudizio di equità attiene alle regole sostanziali da applicare alla controversia, restando, invece, fermo l’obbligo di osservanza delle norme processuali. In particolare costituisce ius receptum che il giudizio di equità ex art. 113 co. 2 c.p.c. non può sottrarsi all’osservanza del principio di carattere processuale espresso dall’art. 112 c.p.c. non solo con riferimento alla domanda, ma anche alle eccezioni sulle quali il giudice non può pronunciarsi d’ufficio qualora si tratti di eccezioni in senso proprio. Pertanto l’inosservanza da parte del detto giudice del principio procedimentale di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.) integra un vizio della sentenza denunciabile con il ricorso per cassazione (Cass. civ., Sez. III, 03/09/1998, n. 8762; conf., con riguardo al giudizio di equità del conciliatore, Cass. 4 maggio 1992 n. 5240).Nella specie risulta da quanto sopra esposto che il giudice di pace ha violato la indicata regola procedimentale, non essendosi mantenuto nell’ambito della precisa richiesta della parte.

L’esposto motivo va, pertanto, accolto.

2.2. Le considerazioni che precedono – siccome limitate al profilo della quantificazione del danno -non esonerano dall’esame dell’altro motivo di ricorso: questo, infatti, seppure inammissibile per la parte che denuncia l’insufficienza della motivazione, può e, anzi, deve trovare ingresso in questa sede, nella misura in cui – attraverso la formale deduzione della violazione della normativa in materia di randagismo – pone in discussione, non tanto l’imputabilità concreta del fatto dedotto in giudizio, quanto piuttosto la sussistenza di una condizione, per così dire «a monte», rispetto alla trattazione del merito della causa, attinente alla legitimatio ad causam.Si rammenta che, mentre il difetto (o la sussistenza) di effettiva titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale non può essere dedotto come motivo di ricorso per cassazione contro le sentenze emesse dal giudice di pace ai sensi dell’art. 113 co. 2 c.p.c., comportando una disamina ed una decisione attinente al merito della controversia, il controllo circa la legitimatio ad causam, esercitabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, si risolve nell’accertare se, secondo la prospettazione del rapporto controverso data dall’attore, questi ed il convenuto assumano, rispettivamente, la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla, onde il relativo difetto (di legitimatio ad causam appunto) è deducibile come motivo di ricorso per cassazione avverso le sentenze emesse secondo equità dal giudice di pace, risultando detto giudice tenuto (come detto) all’osservanza delle norme processuali ed alla verifica in specie della regolare costituzione del relativo rapporto (cfr. Cass. civ., Sez. I, 20/11/2003, n. 17606; Cass. civ., Sez. III, 01/03/2004, n. 4121).Ciò posto, si osserva che, nella specie, si verte, secondo la prospettazione attorea, in un’ipotesi di risarcimento danni conseguente ad un fenomeno di randagismo. Trattasi di materia regolata nell’ambito della legge-quadro 14 agosto 1991, n. 28 (come, peraltro, evidenziato nella stessa sentenza impugnata) da leggi regionali; in particolare la legge 24 novembre 2001, n. 16 della regione Campania ha affidato le relative competenze ai servizi veterinari delle A.S.L. (che, a mente dell’art. 5 lett. c) della legge regionale, «attivano il servizio di accalappiamento dei cani vaganti ed il loro trasferimento presso i canili pubblici»).

Va aggiunto che l’impugnata sentenza non ha individuato una specifica responsabilità del Comune di Pozzuoli in relazione al fatto concreto, ma, piuttosto, ha fatto discendere la legittimazione del medesimo comune da un generico «legame» con la ASL operante nel territorio, desumendolo dai compiti assegnati al sindaco ex art. 3, co. 14 del d.lgs. n. 502 del 1992 «al fine di corrispondere alle esigenze sanitarie della popolazione» di definizione, nell’ambito della programmazione regionale, delle linee di indirizzo per l’impostazione programmatica e di verifica dell’andamento generale dell’attività.Senonché, in seguito al riordino del servizio sanitario conseguente al d.lgs. n. 502 del 1992, risulta reciso il «cordone ombelicale» fra Comuni e USL (così Corte cost., 24/06/2003, n. 220) con la trasformazione delle unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali e con il mutamento della configurazione giuridica di queste ultime, non più strutture operative dei comuni, ma aziende dipendenti dalla regione, strumentali per l’erogazione dei servizi sanitari di competenza regionale. Ne consegue che la locale azienda sanitaria doveva essere considerata soggetto giuridico autonomo rispetto al Comune di Pozzuoli.

In tale prospettiva questa stessa sezione – con riferimento ad una controversia di risarcimento danni verificatisi successivamente alla soppressione delle USL e fondata sull’omessa vigilanza sui cani randagi, affidata dall’art. 6 della L.R. 3 aprile 1985, n. 12, regione Puglia alla competenza dei servizi sanitari delle unità sanitarie locali – ha già avuto modo di affermare (con sentenza in data 7 dicembre 2005, n. 27001) il principio, applicabile mutatis mutandis anche al caso all’esame, secondo cui la legittimazione passiva spetta alla locale azienda sanitaria, succeduta alla USL, e non al Comune, sul quale, perciò, non può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dal suddetto evento.L’accoglimento anche del primo motivo e, quindi, dell’intero ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza e il rinvio della causa ad altro giudice di pace di Pozzuoli, che provvederà anche sulle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione ad altro giudice di pace di Pozzuoli.

Decreto Corte di Appello di Roma I civile volontaria giurisdizione dep. 4 febbraio 2009 Amministratore di sostegno, amministrazione di sostegno, trascrizione (2009-04-16)

L A CORTE DI APPELLO DI ROMA

SEZIONE PRIMA CIVILE

VOLONTARIA GIURISDIZIONE

così composta:

Dott. Riccardo Redivo, Presidente

Dott. Massimo Crescenzi, Consigliere

Dott. Gerardo Sabeone, Consigliere Relatore;

riunita in camera di consiglio ha emesso il seguente

DECRETO

nel procedimento iscritto al n.10668 del ruolo generale per gli affari da trattarsi in Camera di Consiglio dell’anno 2008 e vertente

TRA

… GIUSEPPE, quale amministratore di sostegno provvisorio di M.A.

elettivamente domiciliato in Roma, alla via Teodosio Macrobio n.3, presso il proprio studio e rappresentato e difeso da se medesimo,

reclamante

E

AGENZIA DEL TERRITORIO,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n.12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende per legge,

resistente

E

M.P., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Girolamo da Carpi n.6, presso il proprio studio e rappresentata e difesa da se medesima

resistente

E

A.R., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Euclide Turba n.1, presso lo studio dell’avvocato Andreina d’Altilia che la rappresenta e difende in uno con l’avvocato Carlo Martuccelli per delega in calce alla comparsa di costituzione e di risposta,

resistente

E

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA

interveniente

OGGETTO: reclamo ex articolo 113 ter, terzo comma, disp. att. c.c.

CONSIDERATO IN FATTO

Con decreto, depositato il … il Giudice Tutelare presso il Tribunale di Roma, nel dichiarare l’apertura della procedura di amministrazione di sostegno di M.A. ha disposto l’interdizione del compimento degli atti di straordinaria amministrazione, e più in particolare, del compimento di atti di disposizione della proprietà dell’immobile sito in Roma, alla via … adibito ad abitazione dell’amministrata stessa.

L’amministratore di sostegno provvisorio ha, pertanto, richiesto al Conservatore dei Registri Immobiliari di Roma 1 la trascrizione del suddetto decreto, che è stata effettuata, però con riserva in data 2 aprile 2008 (n. reg. part. … e n. reg. gen. …).

Con ricorso del 16 aprile 2008 l’amministratore di sostegno provvisorio ha, di conseguenza, proposto reclamo al Tribunale di Roma, ai sensi degli articoli 2674 bis c.c. e 113 ter disp. att. c.c., per ottenere la chiesta trascrizione senza riserva alcuna.

Con il decreto, depositato l’8 settembre 2008 sulla resistenza dell’Amministrazione convenuta, di A.R. e di M.P. rispettivamente madre e sorella dell’amministrata, il Tribunale di Roma ha, però, rigettato il ricorso ed ha compensato le spese del procedimento.

Con reclamo, depositato l’8 ottobre 2008, l’amministratore di sostegno provvisorio ha impugnato il provvedimento di prime cure, ribadendo il proprio buon diritto all’accoglimento della domanda di trascrizione senza riserva del decreto del Giudice Tutelare.

Nel costituirsi, l’Agenzia del Territorio richiamandosi alle difese esperite nel precedente grado, ha sostanzialmente rimesso a questa corte la valutazione della fondatezza o meno del reclamo.

Nel costituirsi, a loro volta, A.R. e M.P. hanno aderito in toto alla richiesta della parte reclamante.

Lo stesso Procuratore Generale, con parere depositato il 2 gennaio 2009, ha richiesto l’accoglimento del reclamo.

Alla udienza del 12 gennaio 2009 la Corte, dopo la rituale discussione orale ad opera delle parti, ha riservato la propria decisione.

RITENUTO IN DIRITTO

La Corte considera il reclamo meritevole di accoglimento.

Giova permettere, invero, come in generale il sistema codicistico non possa essere considerato non suscettibile di qualsiasi adeguamento, per volontà dello stesso legislatore ovvero per l’opera d’interpretazione evolutiva della giurisprudenza, al c.d. diritto vivente, nel senso indicato dal Giudice delle leggi.

Si pensi, per l’appunto, all’istituto dell’amministrazione di sostegno, introdotto dalla legge 9 gennaio 2004 n. 6, che ha affiancato, alle tradizionali figure di assistenza dell’incapace quali l’interdizione e l’inabilitazione caratterizzate, però, dalla spiccata formalità della procedura e dalla rigidità dell’assistenza stessa, la nuova figura dell’amministratore di sostegno, con caratteristiche di maggior snellezza nel procedimento e di elasticità nell’amministrazione del soggetto incapace di provvedere, anche temporaneamente ovvero parzialmente, ai propri interessi.

Nell’ottica del suddetto intervento evolutivo del legislatore non sembra a questa Corte che possa negarsi, con particolare riferimento alla tutela dell’incapace temporaneo o parziale, la volontà di affiancare al tradizionale sistema c.d. patologico ed esperibile ex post anche una forma di tutela fisiologica e preventiva.

In altri termini, se da un lato non può negarsi, sia per gli atti compiuti dall’interdetto o dall’inabilitato (articolo 427 c.c.) che dall’amministrato (articolo 412 c.c.), il normale potere di esperire l’azione di annullamento nei confronti di quegli atti commessi in violazione dei limiti propri della capacità è, dall’altra parte, indubitabile come lo stesso legislatore, con la ulteriore novella di cui al decreto legge 30 dicembre 2005 n.273 convertito nella legge 23 febbraio 2006 n.51, abbia voluto indicare una nuova forma di tutela dell’incapace, per così dire, fisiologica e preventiva.

La Corte accoglie, quindi, con favore il suggerimento della parte reclamante consistente nell’estrapolare, dal contesto normativo in subiecta materia, la volontà del legislatore di consentire, in via preventiva ed ordinariamente, che chiunque possa e debba avere contezza dell’esistenza di limitazioni alla circolazione di beni immobili per la temporanea ovvero parziale diminuita capacità del titolare del relativo diritto dominicale.

L’articolo 2645 ter c.c., infatti, consente la trascrizione, al fine di rendere opponibili ai terzi il vincolo di destinazione, degli atti in forma pubblica con cui beni immobili siano destinati, per un certo periodo di tempo, alla realizzazione d’interessi meritevoli di tutela riferibili, tra l’altro, a persone con disabilità.

Questa Corte è consapevole che la norma, interpretata in senso stretto, abbia come precipui destinatari i c.d. trust (sebbene la rubrica abbia una portata più generale) e cioè, quei patrimoni vincolati per un lasso di tempo alla realizzazione d’interessi superiori a vantaggio di particolari soggetti, persone fisiche con disabilità o persone giuridiche private e pubbliche.

D’altra parte, però, il decreto di un Giudice Tutelare, che abbia ad oggetto l’indisponibilità di un bene immobile di proprietà dell’incapace sottoposto all’amministrazione di sostegno non sembra discostarsi dai requisiti per l’applicabilità dell’indicato articolo 2645 ter c.c. (atto in forma pubblica, beni immobili destinati alla realizzazione d’interessi meritevoli di tutela, vantaggio per persone con disabilità).

Le previste forme di pubblicità, quali l’annotazione a cura del cancelliere in apposito registro nonché l’annotazione a cura dell’ufficiale dello stato civile a margine dell’atto di nascita, non sembrano, in ogni caso, pienamente idonee alla effettiva tutela dell’amministrato: la consultazione di tali annotazioni non risulta essere compiuta, di regola, nella preparazione degli atti pubblici di trasferimento della proprietà di immobili.

A ciò si aggiunga come, da un lato, l’Amministrazione si sia rimessa alle determinazioni dei giudicanti mentre, d’altra parte, il Procuratore Generale, come in primo grado il Procuratore della Repubblica, abbiano espresso parere favorevole alla possibilità di trascrizione.

Non evidenziandosi, dunque, né essendo state aliunde prospettate valide motivazioni, in fatto o in diritto, che impediscano una positiva valutazione della richiesta ecco che appare conforme a giustizia l’accoglimento del proposto reclamo, con tutte le conseguenze in ordine all’effettiva trascrizione.

Le spese del presente procedimento, per concludere, possono essere compensate tra le parti a cagione della particolare natura della controversia.

PTM

La Corte di appello di Roma, Sezione Prima Civile, così provvede:

a)accoglie il reclamo e per l’effetto ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari di Roma 1, con esonero da ogni responsabilità, la trascrizione a favore e contro M.A. del decreto 20 marzo 2008 del Giudice Tutelare presso il Tribunale di Roma con riferimento all’immobile sito alla via …;

b)dichiara le spese del procedimento interamente compensate tra le parti.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 gennaio 2009.

depositato il 4 febbraio 2009

parere del P.M.:

Il P.G. esprime parere favorevole all’accoglimento del reclamo, potendo il provvedimento del Giudice Tutelare (di inibizione all’amministrata di atti di disposizione della proprietà dell’immobile di via …) essere, pur in mancanza di esplicito riferimento, interpretato quale atto finalizzato alla realizzazione di interessi riferibili a persona disabile, ed in particolare alla conservazione della destinazione dell’immobile, per la durata della vita dell’amministranda, ad abitazione della medesima.

Roma 2.1.2009.

Il Sostituto Procuratore Generale Marcazzan