Cassazione sez. III penale del 2.2.2006 n. 4317 Terremoto, ristrutturazioni, immobili, verifiche, responsabilità, proprietario (2009-04-17)

Composta dagli Ill.mi Sigg.:

Dott. Claudio Vitalone

1.Dott.Ciro Petti

2.Dott.Carlo Grillo

3.Dott.Alfredo Maria Lombardi

4.Dott.Antonio Ianniello

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da … …, nato a …, avverso la sentenza del tribunale di Gela;

udita la relazione svolta dal consigliere dott. Ciro Petti;

sentito il sostituto procuratore generale nella persona del dott. Francesco Salzano, il quale ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente all’omessa concessione dei benefici di legge;

letti il ricorso e la sentenza denunciata, osserva quanto segue

IN FATTO

Con sentenza del 3 febbraio del 2005, il tribunale di Gela condannava … … alla pena di € 2000,00 di ammenda quale responsabile del reato ci cui all’art 20 della legge n 64 del 1974 perché, nella qualità di proprietario dell’immobile sito in Gela, aveva realizzato la costruzione di una tettoia ad una falda con pilastri in quadratini di ferro saldati a piastre di ferro infisse al massetto di calpestio,senza la preventiva autorizzazione del genio civile in una zona dichiarata sismica.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del suo difensore denunciando:

– la violazione della norma incriminatrice perché la tettoia, peraltro allo stato grezzo, non integra il concetto di costruzione richiesto per l’applicabilità della legge n. 64 del 1974 trattandosi di una semplice struttura d’appoggio;

– l’illogicità e contraddittorietà della motivazione poiché non si era accertata la natura dell’opera e più precisamente non si era accertato se le travi fossero o no saldate a piastre di ferro infisse al suolo; inoltre in base alla deposizione del teste Lombardo, il tribunale avrebbe dovuto considerare l’opera una pertinenza;

– l’omessa motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

IN DIRITTO

Il ricorso è fondato solo con riferimento al terzo motivo.

Infondati sono invece i primi due motivi.

In proposito, premesso che la legge n. 64 del 1974 non è stata esplicitamente abrogata dall’articolo 136 del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. dell’edilizia), anzi si è precisato, con l’articolo 137, che essa resta in vigore per tutti i campi di applicazione originariamente previsti dal testo normativo e non applicabili alla parte prima del testo unico, si osserva che l’articolo 95 del testo unico, che riproduce integralmente il contenuto del previgente articolo 20 della legge n. 64 del 1974, punisce chiunque violi le disposizioni contenute nel presente capo (si tratta del capo IV del testo unico) e nei decreti interministeriali di cui agli artt 52 ed 83 del T.U. con l’ammenda da 206 euro a 10.329 euro.

Gli articoli 93 e 94 del testo unico sull’edilizia mantengono inalterata la distinzione tipica della legge n. 64 del 1974 tra attività di denuncia di lavori nelle zone sismiche e inizio dei lavori nelle medesime zone in assenza di autorizzazione la distinta incriminazione trova piena giustificazione nell’interesse alla sicurezza statica degli edifici costruiti in zone sismiche e nella conseguente necessità di una doppia forma di controllo: la prima pertinente alla fase di progettazione e la seconda a quella di esecuzione. A tal fine l’articolo 93 del testo unico approvato con D.P.R. n. 380 del 2001, imponendo l’obbligo positivo della preventiva denuncia dell’ opera, sanziona l’impossibilità dell’amministrazione di controllare la costruzione antisismica nel momento della sua progettazione mentre l’articolo 94, sanzionando l’inizio dei lavori senza autorizzazione, garantisce il controllo amministrativo nella fase esecutiva del manufatto.

L’articolo 93 del Testo unico, che riproduce sostanzialmente l’articolo 17 della legge n. 64 del 1974, dispone che nelle zone sismiche chiunque intenda procedere a costruzioni, sopraelevazioni o riparazioni è tenuto a darne preavviso scritto allo sportello unico, che provvede a trasmetterne copia al competente ufficio tecnico della regione. La normativa in questione è rivolta principalmente alla sicurezza delle abitazioni situate in zone sismiche ed è pertanto finalizzata, a salvaguardare l’incolumità pubblica. Essa non distingue tra opere interne ed opere esterne, ma prescrive il controllo di qualsiasi costruzione, riparazione o sopraelevazione La giurisprudenza di questa corte nel concetto di costruzione, sotto il vigore della disciplina previgente, faceva rientrare qualsiasi opera a prescindere dal titolo abilitativo richiesto (concessione o autorizzazione) e dalle sue caratteristiche o dimensioni e ciò al fine di consentire il controllo preventivo e documentale dell’attività edile eseguita in zone sismiche (Cass n. 10640 del 1985; 21 luglio 1992 n. 8140; Cass. Sez III n. 7353 del 1995;2 giugno n. 1999 n. 6923).

La vigilanza sull’attività edilizia nei comuni considerati sismici si affianca a quella ordinaria basata sul rilascio di un titolo abilitativo conforme alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie. Nelle zone sismiche l’attività edilizia è quindi soggetta ad un duplice controllo: a quello operato dall’ufficio tecnico regionale, riguardante la sicurezza delle costruzioni rispetto ai fenomeni sismici, ed a quello dell’autorità comunale, attinente all’osservanza degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi. Quindi, sia in base alla disciplina attuale, che a quella previgente, qualsiasi intervento edilizio, fatta eccezione per quello di semplice manutenzione ordinaria, se eseguito in zona sismica, deve essere preventivamente denunciato all’ufficio tecnico, al fine di consentire i dovuti controlli in merito al rispetto della disciplina vigente in materia di costruzione in zone sismiche. Questa stessa sezione ha già avuto occasione di statuire in generale che anche la costruzione di una struttura di piccole dimensioni, purché costituente manufatto in muratura, ancorché soggetta dal punto di vista della disciplina urbanistica alla sola autorizzazione, deve essere preventivamente denunciata al Genio Civile (Cass n. 11328 del 1995) precisando altresì che sono soggetti a tale preavviso anche i lavori di ristrutturazione (Cass 6993 del 1999).

Fondato, come già accennato, è invece il terzo motivo poiché la parte aveva chiesto i benefici di legge e sul punto è mancata qualsiasi pronuncia da parte del giudice.

La sentenza va annullata con rinvio limitatamente a tale punto essendo compito precipuo del giudice di merito verificare se il prevenuto sia o no meritevole dei benefici (Così Cass. 11237 del 1991). La contraria opinione espressa da Cass. n 21049 del 2004, secondo la quale i benefici potrebbero essere concessi anche da questa corte, non è condivisibile giacché la valutazione prognostica posta a base della concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna costituisce un tipico giudizio di merito.

Per il principio della formazione progressiva del giudicato, per quanto concerne l’affermazione della responsabilità e l’entità della pena, la sentenza si deve ritenere passata in giudicato

P.Q.M.

LA CORTE

Letto l’articolo 623 c.p.p.

Annulla

La sentenza impugnata limitatamente all’omessa statuizione sull’ istanza di concessione dei benefici di legge con rinvio al tribunale di Gela.

Rigetta nel resto.

Così deciso in Roma il 20 dicembre del 2005

Cassazione Sez. III penale, 21/01/2008 Sentenza n. 3069 Terremoto, immobili, denuncia dei lavori, decreto penale, notifica, civile, reato permanente, reato istantaneo, prescrizione (2009-04-17)

SENTENZA

omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con sentenza del 27.2.2007 il tribunale monocratico di Cosenza, in seguito a opposizione a decreto penale del 4.10.2005, ha condannato … … alla pena di 600 euro di ammenda, siccome colpevole dei seguenti reati:

a) artt. 93 e 95 D.P.R. 380/2001 per aver costruito in zona sismica tre muri di contenimento a gradoni senza darne il prescritto preavviso scritto al competente sportello unico per l’edilizia;

b) artt. 94 e 95 D.P.R. 380/2001 per aver costruito i muri predetti senza la preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione;

(accertati in Colosimi il 26.4.2005).

In particolare, il tribunale ha osservato che il … aveva ottenuto in data 28.9.2005 permesso di costruzione in sanatoria; che dalle risultanze fotografiche e dal compendio testimoniale doveva desumersi che le contravvenzioni contestate erano state commesse in epoca anteriore e prossima a quella del sopralluogo (avvenuto il 26.4.2005); che pertanto non era ancora maturata la prescrizione.

2 – Il difensore del … ha proposto ricorso per cassazione, deducendo in sostanza quattro motivi.

In particolare, lamenta:

2.1 – violazione delle norme processuali che disciplinano la capacità del giudice (art. 33 c.p.p.), laddove il tribunale monocratico, alla udienza dell’8.6.2006, nel provvedere su apposita eccezione del difensore, dopo aver dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio immediato, per inosservanza del termine a comparire, aveva dato mandato alla cancelleria per nuova notificazione del decreto, e aveva inoltre disposto che questo fosse completo di tutte le imputazioni, avendo rilevato che nella copia già notificata mancava il capo b) delle imputazioni contestate nel decreto penale;

2.2 – violazione degli artt. 157, 158 e 160 c.p., nonché dell’art. 192 c.p.p.. Sostiene al riguardo che i reati contestati hanno natura istantanea e si consumano all’inizio dei lavori eseguiti in zona sismica, sicché a nulla rilevava l’accertamento della ultimazione o della permanenza dei lavori stessi. Aggiunge che illegittimamente il giudice di merito ha svalutato come inattendibili e compiacenti le deposizioni dei testi a difesa Colosimo e Muraca, in ordine al tempo di esecuzione dei lavori;

2.3 – ancora violazione dell’art. 192 c.p.p., laddove il tribunale ha soggettivamente interpretatato la deposizione testimoniale resa 1’11.1.2007 dal vicino di casa Mazzei, laddove questi aveva precisato che la costruzione risaliva allo scorso anno (inteso dal giudice come anno 2005);

2.4 – contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione laddove la sentenza impugnata ha valutato il compendio probatorio in ordine al tempus commissi delitti.

Motivi della decisione

3 – Va anzitutto disattesa l’eccezione processuale sollevata col primo motivo di ricorso (n. 2.1).

Con essa, in sostanza, il difensore sostiene che il giudice dibattimentale investito dell’opposizione al decreto penale, una volta rilevata la nullità del decreto dispositivo del giudizio per inosservanza del termine a comparire, doveva rimettere gli atti al g.i.p. per la rinnovazione del decreto, ma non poteva disporre direttamente la rinnovazione della notifica e tanto meno la integrazione del decreto con l’indicazione del capo b) dell’imputazione: non aveva questa capacità ai sensi dell’art. 33 c.p.p.

La doglianza è del tutto infondata.

In caso di nullità della notificazione del decreto dispositivo del giudizio o di inosservanza del termine per comparire, infatti, spetta al giudice del dibattimento disporre la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 143 disp. att. c.p.p., che trova applicazione anche nel processo davanti al giudice monocratico (v. per la stessa ratio decidendi Cass. Sez. Un. n. 28807 del 26.7.2002, Manca, rv. 221999, Cass. Sez. Un. n. 8 del 5.7.1995, P.M. in proc. Cirulli, rv. 201544).

Diverso sarebbe il caso in cui il decreto dispositivo del giudizio o il decreto di citazione diretta a giudizio fosse nullo per un vizio attinente alla formulazione dell’imputazione, come una difettosa enunciazione del fatto contestato e delle norme di legge violate, giacché in tal caso gli atti devono essere restituiti al pubblico ministero, affinché, quale organo dell’azione penale e dominus dell’imputazione, provveda a una corretta enunciazione del fatto reato e delle norme di legge relative.

Questa diversità di cadenze e competenze processuali dipende dalla diverse conseguenze che nei due casi ha l’applicazione del principio stabilito nell’art. 185, comma 3, c.p.p., secondo cui la dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato e al grado in cui è stato compiuto l’atto nullo.

E’ chiaro che nel secondo caso ad essere dichiarato nullo è rispettivamente il decreto dispositivo del giudizio (con conseguente regressione degli atti alla udienza preliminare, dove il pubblico ministero può correggere il capo di imputazione ex art. 423 c.p.p. e il giudice può emettere un nuovo decreto dispositivo del giudizio ex art. 429 c.p.p., contenente l’imputazione corretta); ovvero il decreto di citazione a diretta a giudizio (con conseguente regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari, nella quale il pubblico ministero potrà rinnovare e correggere il decreto di citazione diretta). In altri termini, qui la nullità investe l’esercizio dell’azione penale e impedisce un valido passaggio dalla fase delle indagini preliminari o della udienza preliminare alla fase del giudizio (v. Cass. Sez. Un. n. 17 del 10.12.1997, Di Battista).

Nel primo caso invece la nullità colpisce propriamente, non il contenuto del decreto, ma la notificazione del decreto stesso, o per violazione delle norme dettate nella soggetta materia (v. art. 171 c.p.p.), o perché tra la data della notifica e quella fissata per la udienza di trattazione del giudizio non intercorre quel tempo minimo di comparizione stabilito dalla legge a tutela dell’imputato: con la conseguenza che la rinnovazione della notificazione può essere disposta dal giudice del dibattimento, senza regressione alla fase procedimentale precedente. In altri termini, qui la nullità, investendo solo la notificazione della vocatio in jus, non impedisce il valido passaggio del procedimento alla fase del giudizio.

3.1 – Così chiarito che nel caso di specie spettava al giudice del dibattimento disporre la rinnovazione della notificazione, va in secondo luogo precisato che lo stesso giudice non ha provveduto ad alcuna abnorme integrazione della imputazione. Sembra infatti (per quanto risulta dagli atti a disposizione di questa corte) che il capo b) della imputazione mancasse soltanto nella copia del decreto dispositivo del giudizio notificata all’imputato. Sicché, disponendo l’integrazione della imputazione, il giudice non si è indebitamente arrogato il poteri del pubblico ministero, ma è rimasto nei limiti del suo potere-dovere di intervenire nell’ambito delle notificazioni, correggendone i vizi e rimediando alle loro irregolarità e disfunzioni.

Ma se anche si volesse ipotizzare che la mancanza del capo b) della imputazione inficiasse non solo la copia notificata, ma anche l’originale del decreto dispositivo del giudizio (circostanza il cui onere probatorio incomberebbe peraltro sul difensore ricorrente), potrebbe agevolmente replicarsi che nel rito monitorio il decreto dispositivo del giudizio ha carattere totalmente

Giudice di Pace di Siracusa – 3.10.2008 – dott.ssa Licia Fantastico Proponibilità dell’azione contro l’assicuratrice – facoltatività del risarcimento per indennizzo diretto (2009-04-17)

SENTENZA NON DEFINITIVA

nella causa civile iscritta al O 699/2008 R.G. e promossa da:

… … nato … elettivamente domiciliato in Siracusa in viali Santa Panagia n. 81/E presso lo studio dell’avv. Francesco Adamo,che lo rappresenta e difende come da procura in atti – attore-

contro

… … residente in … – convenuta contumace

Alfa s.r.1. in persona del legale Rappresentante p.t con sede in Roma via G.G.Viola n°74, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto Improda ed Alessandro Boccadifuoco, elettivamente domiciliata in Siracusa presso lo studio di quest’ultimo in Siracusa viale Santa Panagia n.90, come d procura in atti – convenuta costituita-

… ASSICURAZIONI s.p.a in persona del legale Rappresentante p.t., con sede in S.Donato Milanese (lviii) via Unione Europea 3/B rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto Improda ed Alessandro Boccadifuoco, elettivamente domiciliata in Siracusa presso lo studio di quest’ultimo in Siracusa viale Santa Panagia n.90, come da procura in atti – convenuta costituita-

Oggetto: risarcimento danni da circolazione stradale

Conclusioni: all’odierna udienza del 03/10/2008 sono state precisate le conclusioni, come da dichiarazioni formalizzate nel verbale d’udienza in pan data e che in questa sede si intendono integralmente richiamate e trascritte.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato nelle forme di legge, … … conveniva davanti a questo Giudice di Pace la sig.ra … …, 1’ Alfa Italiana s.r.1. in persona del legale rappresentante p.t. e la … Assicurazioni s.p.a, in persona del

Tale norma non prevede condizioni di sorta, addirittura aggiunge al comma 2 che “per l‘intero massimale di polizza l’impresa di assicurazione non può opporre ai danneggiato eccezioni derivanti dal contratto, né clausole che prevedano l’eventuale contributo dell ‘assicurato ai risarcimento del danno… “. ed al comma 3 “nel giudizio promosso contro l’impresa di assicurazione è chiamato anche il responsabile del danno “.

Alla luce delle richiamate e riportate disposizioni di legge, l’azione nei confronti della compagnia assicuratrice del mezzo utìlizzato prevista dall’ art, 149 avrebbe carattere facoltativo [ “] disciplinata comunque dal Legislatore per l’encomiabile

motivazione di cercare di evitare lungaggini, di snellire le procedure con l’obiettivo di cui all’art. 14 del Regolamento recante la disciplina del risarcimento diretto approvato con D.P.R. 18/7/2006 N che così recita: ‘ Il sistema del risarcimento diretto dovrà consentire effettivi benefici per gli assicurati, attraverso l’ottimizzazione della gestione, il controllo dei costi e l’innovazione dei contratti che potranno contemplare i ‘impiego di clausole che prevedano il risarcimento del danno informa spec con contestuale riduzione del premìo per l’assicurato”

2. L’azione aquiliana cx art. 2054 c.c. nei confronti del responsabile civile non è stata abrogata.

La vigenza ditale norma trova conferma esplicita nel riferimento ad essa contenuto nell’art. 122 del cod. ass. che così dispone: “I veicoli a motore senza guida di rotaie… non possono essere posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equ se non siano coperti dall ‘assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi prevista dall’art. 2054 del codice civile

Ne trova conferma ulteriore il fatto che la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che nel caso di azione risarcitoria promossa a sensi dell’art. 2054 cc. nei confronti del proprietario e del conducente, il Giudice possa ordinare cx art. 107 c p.c. l’intervento dell’ impresa assicuratrice che copre la responsabilità dell’autore dell’illecito (Cass. 13955/2007) legale Rappresentante p.t., per ottenere condanna al risarcimento dei danni subiti nei sinistro del …/2007 alle ore 13,10.

All’uopo esponeva:

1. che quei giorno ed a quell’ora, giunto alla guida del proprio ciclomotore all’intersezione tra il viale … con la via …, veniva investito da un …, di proprietà della Alfa Italiana s.r.l. e condotto dalla sig.ra … …, per non essersi quest’ultima fermata al segnale di STOP;

2. che rovinando a terra riportava danni sia materiali al mezzo che alla persona;

3. che sul posto sono intervenuti i Vigili Urbani della Polizia Municipale di Siracusa;

4. che sebbene avesse richiesto il risarcimento dei danni, ai sensi e per gli effetti degli artt.li 145 e 148 del C.d.A, alla … Assicurazioni s.p.a, non aveva ottenuto da questa alcun riscontro,

All’udienza fissata per la comparizione delle parti:

– non era presente la sig.ra … …, pur ritualmente citata a comparire;

ne veniva,pertanto, dichiarata la contumacia.

-Erano presenti, a mezzo dei loro difensori, i convenuti Alfa Italiana s.r. 1. e … Ass.ni s.p.a., che insistevano in tutto quanto richiesto, dedotto d eccepito nella comparsa di costituzione e di risposta depositata in Cancelleria in data 05/03/2008

In particolare, nel fare presente:

5. che il veicolo … targato … era un’autoambulanza;

6. che, al momento dell’impatto per cui è causa, l’autoambulanza aveva il dispositivo acustico e luminoso attivato, dovendo trasportare un malato nel locale nosocomio;

7. che la conducente di detta autoambulanza, giunta all’intersezione tra via … e viale … aveva comunque rallentato la propria corsa in ottemperanza al segnale di STOP e aveva ripreso la marcia, una volta accertatasi che tutti i mezzi in prossimità dell’intersezjone si erano arrestati o disimpegnato l’incrocio;

8. che il …, noncurante di tutto questo, aveva superato i mezzi fermi andando a collidere con il …;

9. che non risultava essere stata formalizzata alla Compagnia ass,ce del … alcuna richiesta di risarcimento;

10. che non era stata allegata alla richiesta- irritualmente rivolta all’…- nessuna certificazione o documentazione, attestante la sussistenza dei pretesi danni fisici per i quali si richiedeva il ristoro;

diiedevano:

– in via preliminare

3. Con ordinanza 13 giugno 2008 n.205 la Corte Costituzionale ha preso in

esame le prime eccezioni di incostituzionalità sollevate in merito all’art. 141, 143,

144,148, 149. 150 del D.Lgs 209/2005..

Il giudizio della Corte è in realtà un giudizio di inammissibilità delle eccezioni sollevate dai Giudici di Pace di Pavullo del Frignano e di Montepulciano. Tale inammissibilità deriverebbe dal fatto che quei Giudici di Merito non avrebbero ricercato una “interpretazione costituzionalmente orientata” delle norme impugnate. Secondo la Corte Costituzionale tale interpretazione costituzionalmente orientata dovrebbe partire dal presupposto fondamentale che le nonne del codice delle

assicurazioni sono intese a rafforzare la posizione del danneggiato, in Quanto soggetto più debole,legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della compagnia ass.ce del veicolo “senza peraltro togliergli la possibilità di far valere i diritti derivanti dal rapporto obb1i nato dalla responsabilità civile dell’autore del fatto dannoso “.

Ad avviso di questo Decidente, nell’ effettuare un’ interpretazione costituzionalmente orientata, il Giudice di merito non può non tenere conto delle direttive della Comunità Europea in particolare dell’ultima Direttiva 2005/14/CE del Parlamento e del Consiglio, dell’il maggio 2005, che all’art. 4 quinquies obbliga gli Stati membri a provvedere affinché le persone lese da un sinistro, causato da un veicolo assicurato, possano avvalersi di un’azione diretta nei confronti dell’impresa che assicura contro la responsabilità civile la persona responsabile del sinistro.

Il principio generale desumibile dalle citate Direttive, vigenti al tempo della codificazione, è che l’azione diretta contro l’assicuratore del responsabile civile è a litisconsorzio integro nel senso che prendono parte al giudizio tutti i soggetti

interessati in relazione al fatto illecito, da accertarsi in comunanza di causa.

Orbene, la procedura disciplinata dall’ art. 149 del Codice delle Assicurazioni, non è a litisconsorzio integro, perché esclude una delle imprese interessate e comunque il responsabile civile ed il conducente antagonista.

4. Da ultimo non appare ultroneo porre in evidenza il fatto che molti Giudici di merito si sono orientati nel v&utare come facoltativa la procedura di risarcimento diretto disciplinata dall’art. 149 del nuovo codice delle assicurazioni: cfr. Giudice di

11. venisse disposta la conversione del rito da ordinario in quello speciale del lavoro ex art. 3 della legge 102/2006;

12. venisse dichiarata la carenza di legittimazione passiva, posto che, secondo la vigente normativa in fatto di c.d. “risarcimento diretto”, la domanda del … andava ritualmente proposta alla propria Compagnia assicurativa (“SAI”) e non a quella della controparte;

– nel merito

13. venisse rigettata la domanda attrice, per essere il … venuto meno agli obblighi previsti dalla vigente normativa, con condanna cx art.96 c.p.c.;

14. venisse dichiarata l’inammissibilità della pretesa risarcitoria in ordine ai quantwn, per essere i danni lamentati descritti e motivati solo vagamente;

in via istruttoria:

15. venisse ammessa prova per testi con la persona della sig.ra … … di – – Siracusa.

‘Disposta la conversione dei rito, da quello ordinario a quello speciale del lavoro, poiché da parte convenuta si insisteva perché venisse decisa l’eccezione di carenza di legittimazione passiva a suo tempo formalizzata, prima che venissero prese in considerazione le richieste istruttorie formalizzate dall’istante, all’odierna udienza, precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta a decisione sul punto, dando pubblica lettura del dispositivo della sentenza emessa.

Motivi della decisione

1. il nuovo Codice delle assicurazioni private, approvato con D.Lg.vo 7/09/2005 n.

209 ed entrato in vigore dal 1° gennaio 2006, prevede all’art. 149 comma 6 :“In caso di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto ovvero nel caso di mancata comunicazione di offerta o di diniego di offerta entro i termini previsti dall’art. 148 o di mancato accordo, il danneggiato può proporre l’azione diretta di cui all ‘art. 145 comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione”

Mentre l’art. 144 stesso codice così recita: “Il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante, per i quali vi è l’obbligo dell’assicurazione, ha azione diretta per il ri del danno nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata I ‘assicurazione “.

ottobre 2007; cfr. Giudice di Pace di Torino 19.11.2007 n° 10623; cfr. Giudice di Pace di Sorrento 19/12/2007; cfr. Giudice di Pace di Torino 28/11/ 2007 11011700/07). Si condivide tale orientamento alla luce delle argomentazioni innanzi riportate, avendo come obiettivo quello di garantire un maggior approfondimento della vicenda e verosimilimente un esito più corretto della controversia.

P.Q.M.

11 Giudice di Pace, definitivamente pronunciando:

1. dichiara la proponibilità dell’azione promossa da … … con l’atto introduttivo del presente giudizio e, per l’effetto, rigetta l’eccezione preliminare formulata dalle convenute Alfa s.r.l. ed … Assicurazioni s.p.a;

2. rimette sul ruolo la causa, e dispone per il proseguo come da ordinanza separata in pari data;

3. dispone che a cura della Cancelleria la presente sentenza non definitiva sia notificata alla parte non costituita sig.ra … ….

Siracusa 03 ottobre 2008

Il Giudice di Pace

dott.ssa Fantastico Licia

Cassazione III civile n. 22658 del 9.9.2008 Avvocati, furto, detenzione , deposito di cortesia, gratuita’, liberalità, responsabilità (2009-04-20)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 6 agosto – 9 settembre, n. 22658

(Presidente Fantacchiotti – Relatore Talevi)

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

GA. GI., elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. MORPURGO 31, presso lo studio dell’avvocato BOFFA FRANCO, che lo difende unitamente all’avvocato MARCO COMPORTI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SA. LU., SA. CA., elettivamente domiciliati in ROMA VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PANARITI BENITO, che le difende unitamente all’avvocato TINO GOGLINO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

SA. AN., SA. AN. MA., MA. AN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 423/03 della Corte d’Appello di TORINO, sezione quarta civile emessa il 6/2/2003, depositata il 09/04/03; RG. 1019/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/06/08 dal Consigliere Dott. Alberto TALEVI;

udito l’Avvocato COMPORTI MARCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo che ha concluso il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.

“Con atto di citazione notificato in data 15/9/1987, i fratelli C., L., A. e P. S. evocavano in giudizio l’avv. G.G. davanti al Tribunale di Torino, esponendo di aver affidato a tale legale la gestione di una controversia ereditaria insorta tra di essi e la sorella L.; che, a seguito di accordi raggiunti fra gli eredi, il 24/4/1986 l’avv. G. riscuoteva le somme esistenti presso due istituti bancari di Torino e, convertitane una parte in assegno circolare, si avviava verso il suo studio; che nel tragitto fra la banca e lo studio il legale subiva il furto della borsa contenente l’assegno circolare di cui sopra e la somma di lire 26.500.000 in denaro contante. Ritenendo che il professionista non avesse usato la necessaria diligenza nella custodia del denaro, gli attori chiedevano che egli venisse condannato a rimborsar loro la somma di lire 26.500 000, oltre rivalutazione ed interessi.

Costituitosi in giudizio, il convenuto affermava di non aver tenuto un comportamento negligente che potesse costituire colpa del depositario, in quanto la perdita del denaro era seguita ad un furto con effrazione del finestrino dell’auto, ferma al semaforo.

All’esito della compiuta istruttoria, il Tribunale, con sentenza 11/12/1992, accoglieva la domanda attorea, condannando il convenuto alla corresponsione della somma rivalutata agli attori, nonché alla rifusione delle spese. Il Tribunale rilevava infatti nel contratto a causa mista intercorso fra il legale e gli attori (prestazione d’opera intellettuale e deposito) la violazione da parte del depositario dell’obbligo di custodire la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia (la borsa sarebbe infatti stata meglio custodita all’interno del baule oppure sul sedile accanto al conducente); escludeva la ricorrenza del fatto fortuito, trattandosi di furto non accompagnato da violenza o minaccia alle persone; negava che fosse provata la gratuità del deposito: stante il collegamento fra il deposito ed il contratto di prestazione d’opera intellettuale, escludeva che operasse la presunzione di gratuità di cui all’art. 1767 cod. civ..

Avverso la sentenza proponeva appello l’avv. G., sostenendo che ricorreva il caso del deposito a titolo di cortesia o, a tutto concedere, del deposito gratuito, per il quale valeva la presunzione di cui all’art. 1767 cod. civ.; sosteneva l’inesistenza di un nesso di interdipendenza volontaria o funzionale tra il rapporto professionale e quello di deposito; invocava il minor rigore con cui andava valutata la colpa nel deposito gratuito; sosteneva l’assoluta imprevedibilità ed inevitabilità dell’accaduto e la diligenza del proprio comportamento; lamentava che sulla somma rivalutata fossero stati calcolati anche gli interessi legali.

Gli appellati, costituitisi, chiedevano la conferma della decisione impugnata. Con sentenza 27/10/1995 la Corte riformava la sentenza di primo grado, assolvendo l’appellante dalle domande contro di lui proposte, e condannando gli appellati alla rifusione di due terzi delle spese legali dei due gradi di giudizio.

Scaturiva tale decisione dalla ritenuta occasionalità del deposito; dalla conseguente presunzione di gratuità dello stesso; dalla ritenuta diligenza ordinaria tenuta dal depositario nella custodia della cosa; dalla ritenuta inimputabilità al depositario della perdita della cosa.

Avverso la sentenza proponevano ricorso per Cassazione L., C., A. .S., nonché A.M. e S.A.M., queste ultime quali eredi di P.S..

Con sentenza 3/11/1999 – 2/6/2000 la Suprema Corte ha deciso la causa, accogliendo il ricorso e rinviando la causa per la decisione ad altra sezione della Corte d’Appello.

Riteneva infatti la Suprema Corte: che la qualificazione giuridica del rapporto, data dal giudice d’appello, rimanesse incerta, nonostante la sua essenzialità ai fini del decidere; quanto alla presunta gratuità del deposito, che la Corte d’Appello l’avesse fatta derivare esclusivamente dalla ritenuta mancanza di prova che la custodia fosse compresa nelle prestazioni professionali dell’avvocato, ma non si era dato conto delle eventuali altre circostanze che ex art. 1767 cod. civ. possono far desumere l’onerosità del rapporto; che la motivazione era contraddittoria laddove aveva escluso la responsabilità dell’avvocato, riconoscendo che egli aveva agito con la diligenza del buon padre di famiglia laddove aveva collocato la borsa contenente il denaro senza particolari cautele all’interno della propria autovettura, omettendo di considerare che il depositario anche in ipotesi di deposito gratuito deve provare l’imprevedibilità ed inevitabilità della perdita della cosa, mentre tali elementi non erano stati valutati nella sentenza impugnata; che il giudice d’appello non aveva neppure valutato che anche il deposito di cortesia è soggetto ai principi della responsabilità ex recepto, e non aveva motivato sul punto.

Con atto di citazione in riassunzione notificato al G. in data 29/5/2001 S.L., S.C. quale unica erede del defunto S.C., e S.A. hanno riassunto il giudizio, proponendo le conclusioni di cui in epigrafe, asserendo la fondatezza delle rispettive domande, a loro dire fondata sui principi di diritto affermati dalla Suprema Corte nella propria sentenza. Per le attrici in riassunzione il deposito è oneroso, è provata la colpa del depositario, e comunque, anche in ipotesi di qualificazione del deposito come gratuito, il depositario non ha fornito prova tale da liberarlo dalla propria responsabilità.

Si è costituito in giudizio il convenuto, contestando sia che la Suprema Corte abbia affermato i principi di diritto sostenuti dalle attrici, sia le affermazioni di queste circa la natura del deposito, la propria colpa, le conseguenze che le attrici ne ricavano, e chiedendo quindi di essere assolto da ogni domanda.

Il Consigliere istruttore ha disposto l’integrazione del contraddittorio nel confronti delle eredi di S.P.: queste si sono costituite, assumendo le conclusioni di cui in epigrafe.

Sulle conclusioni riportate in epigrafe la causa è stata assegnata a decisione”.

Con sentenza decisa il 6.2.03 e depositata il 9.4.2003 la Corte d’Appello di Torino decideva come segue:

“…definitivamente decidendo in sede di rinvio, nel contraddittorio delle parti e disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione; in parziale riforma della sentenza impugnata condanna l’avv. G.G. a versare agli attori S.L., S.C. quale erede di S.C., S.A., S.A.M. e M.A., queste ultime quali eredi di S.P., in solido fra loro, la somma complessiva di euro 13.686,11, oltre agli interessi legali sulla stessa dalla data della domanda al saldo; condanna l’avv. G..G. a restituire a S.L. la somma di euro 3.060,27, oltre agli interessi legali sulla stessa dalla data del 25/3/1997 al saldo;

condanna l’avv. G.G. a rifondere agli attori in solido l’80% delle spese processuali sostenute, 80% che liquida per il primo grado in euro 1,362,62 per diritti ed onorari, per il secondo grado in euro 26,57 per esposti ed in euro 1.446,08 per diritti ed onorari, per il grado di cassazione in euro 67,10 per esposti ed in euro 1652,66 per diritti ed onorari, e per il grado di rinvio in euro 600,00 per esposti ed in euro 1.652,66 per diritti ed onorari: il tutto, oltre accessori di legge (di cui IVA sulle somme imponibili, se non detraibile dalla parte vittoriosa)”.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione G.G..

Hanno resistito con controricorso L.S. e S.C..

Le ulteriori parti intimate A.S., A.M.S. ed A.M. (queste ultime citate quali eredi di S.P.) non hanno svolto attività difensiva.

G.G. ha depositato memoria.

Motivi della decisione

I primi due motivi vanno esaminati insieme in quanto connessi.

Con il primo motivo il ricorrente G..G. denuncia “violazione o falsa applicazione dei principip in tema di deposito di cortesia – insufficienza, erroneità ed illogicità della motivazione su punto decisivo della causa (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)” esponendo doglianze che vanno riassunte come segue. Sulla natura del rapporto di deposito per cui è causa il ricorrente avv. G. aveva dedotto quanto segue. La riunione dei S. presso la Cassa di Risparmio di Torino la mattina del 2.4.19.. aveva lo scopo sia di estinguere i libretti colà esistenti, sia di ripartire le somme e definire la pratica.

Doveva dunque trattarsi di una riunione definitiva. L’incontro nel primo pomeriggio allo studio legale dell’avv. G. nello stesso giorno 2.4.19.. non era stato da alcuno previsto e fu giocoforza stabilito alla fine della mattina, sia perché alla riunione presso la C.R.T. non erano intervenuti tutti i sigg.ri S., sia perché erano improvvisamente ricomparse questioni e discussione interne. La richiesta di tenere il denaro da parte dei sigg.ri S. all’avv. G. avvenne in via del tutto occasionale e di cortesia. Infatti, sia l’incarico fiduciario di deposito, sia l’incontro allo studio legale del pomeriggio non erano né previsti né programmati e costituirono fatti del tutto estemporanei ed eccezionali. Non si tratta della conservazione di somme nell’ambito di un rapporto professionale di curatela fallimentare, di eredità giacente, di interdizione, inabilitazione, ecc.; o nell’ambito di un particolare incarico di amministrazione di beni. La Corte di appello di Torino, nella impugnata sentenza 423/03, ha invece ritenuto il collegamento fra il mandato professionale stragiudiziale conferito all’avvocato di risolvere le questioni insorte fra i coeredi sulla misura del rispettivo diritto, ed il deposito della somma da suddividersi. Ha anche affermato che il deposito de quo era oneroso perché “la relativa prestazione sarebbe stata compensata unitamente alla complessiva prestazione professionale”; che l’attività di assistenza stragiudiziale nella risoluzione di controversie ereditarie, può ricomprendere “ogni attività connessa, quale la materiale detenzione, ove necessario dei beni da dividersi”. La Corte di appello di Torino sembra aver travisato i rapporti e le questioni. Non si trattò di attività tipica dell’avvocato. Infatti, altro era l’incarico professionale di risolvere la controversia ereditaria insorta tra i 4 figli della sig.ra A.G. ved. S. da un lato e l’altra figlia L. dall’altro lato, ed altro e ben diverso l’incarico spontaneo ed eccezionale degli eredi presenti in banca (A. e C. S.) di affidare le somme riscosse all’avv. G. per il convegno di tutte le parti allo studio del legale poco tempo dopo per la definitiva chiusura della pratica. Erroneo è anche l’affermato collegamento negoziale tra i due rapporti. Nella specie i rapporti sono stati diversi sia soggettivamente (l’incarico professionale era intercorso fra i detti 4 fratelli S. e l’avv. G., mentre solo alcuni di essi e cioè quelli presenti in banca, cioè S.A. e C., avevano richiesto all’avv. G. la cortesia di tenere la somma prelevata), sia cronologicamente, sia nelle cause e nel contenuto. I due rapporti mantengono dunque l’individualità e le caratteristiche proprie di ciascun tipo negoziale in cui essi si inquadrano; in detti rapporti non è ravvisabile, inoltre, né un negozio misto, né un negozio complesso. Del tutto erronea, illogica ed insufficientemente motivata è poi l’affermazione apodittica contenuta nella sentenza, secondo cui il rapporto de quo “non muterebbe la sua natura neppure qualora, come sostiene l’avv. G., fosse stato conferito sul posto, quella stessa mattina, a seguito di divergenze improvvisamente insorte e, quanto alla custodia della somma, solo da parte di alcuni dei coeredi”. Possono rientrare nel mandato professionale solo le attività accessorie che siano specifiche e tipiche dell’attività professionale oggetto del mandato. Ogni professionista può intrattenere con il cliente rapporti diversi e tutti tali rapporti non necessariamente rientrano nel mandato professionale. Se il medico accompagna il paziente all’Ospedale, se l’ingegnere porta con sé il committente sul cantiere; se l’avvocato trasporta il cliente al Palazzo di Giustizia o lo accompagna per altre varie attività, non si potrà negare che trattasi di rapporti di cortesia.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1768, 2° comma c.c. e della tariffa forense approvata con D.M. 5.10.1994 – insufficiente, erronea, illogica motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.)” esponendo censure che possono essere riassunte nel modo seguente. Dopo aver affermato che la detenzione del denaro da parte dell’avv. G. avveniva nell’adempimento del mandato professionale, la Corte di appello di Torino afferma anche che “risulta chiaramente superata la presunzione di gratuità del deposito, in quanto la relativa prestazione sarebbe stata compensata unitamente alla complessiva prestazione professionale”. Né avrebbe rilievo, al riguardo, l’inesistenza di una specifica voce di tariffa, trattandosi di un accessorio di un’attività prevista quale l’attività di amministrazione e gestione. Al contrario di quanto asserito nella sentenza impugnata, non esiste nelle tariffe forensi approvate con D.M. 5.10.1994 n. 585, la voce “attività di amministrazione e gestione”, ma la ben diversa voce “prestazioni di gestione amministrativa in adempimento di incarichi giudiziari” (n. 6 degli “Onorari e indennità in materia stragiudiziale civile”), voce che è differente da quella indicata in sentenza, avendo essa riguardo ad incarichi di curatore, custode, esecutore testamentario, ecc.. Erronea è anche l’affermazione della sentenza secondo cui costituirebbe un argomento capzioso il dato formale della inesistenza di una specifica voce detta tariffa professionale. La sentenza impugnata ha dedotto l’onerosità del deposito solo in quanto esso era collegato al mandato professionale. Ma, in ipotesi, poteva ben trattarsi di attività accessoria a quella professionale ma del tutto gratuita perché sia in base allo svolgimento dei fatti, sia in base alle voci della tariffa forense era assolutamente inammissibile ed impossibile che l’avv. G. ottenesse un compenso per la sua attività di custodia. Trattandosi di deposito almeno gratuito, doveva essere applicata la norma dell’art. 1768, 2° comma, c.c..

I primi due motivi non possono essere accolti.

Infatti la Corte di Appello di Torino ha esposto una motivazione che si sottrae al sindacato di legittimità in quanto sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.

In particolare va rilevato quanto segue: A) la Corte di merito, in realtà, non ha negato la distinzione tra il deposito ed il mandato; ma ha invece parlato di “…collegamento tra il mandato professionale stragiudiziale ed il deposito della somma…” (v. a pag. 8) ed ha affermato che “…la detenzione del denaro da parte del legale fosse assolutamente funzionale all’incarico che gli era stato affidato…”; insomma ha evidentemente ritenuto che il deposito della somma ed il mandato professionale fossero due negozi giuridici diversi ma strettamente collegati nel senso che il primo era strumentale (v. la significativa espressione: “…accessorio…”; alla ventiduesima riga di pag. 10 della sentenza) rispetto al secondo; e cioè nel senso che serviva a meglio e più completamente soddisfare gli interessi e le aspettative dei clienti del professionista; perseguendo a tal fine gli scopi indicati nella prima metà della pag. 9 del ricorso. Se qualche espressione contenuta in sentenza appare (a prima vista) contrastare con tale ricostruzione dei fatti, la cosa deve dunque essere attribuita a mero lapsus calami; B) una volta chiarito ciò appare evidentemente priva dei vizi denunciati ogni argomentazione della Corte fondata sulla compatibilità del suo assunto anche con l’eventuale occasionalità dell’incarico a causa di “…divergenze improvvisamente insorte…” la stessa mattina in questione; ovvero fondata sul rilievo che “…la relativa prestazione sarebbe stata compensata unitamente alla complessiva prestazione professionale…” (si badi bene: detto Giudice ha scritto: “unitamente alla…” e non ha invece usato l’espressione “…nell’ambito della…”, o similari); infatti la Corte ha evidentemente ritenuto che si trattasse di compenso ulteriore (ed in relazione ad un incarico ulteriore) rispetto a quello (strettamente e tipicamente) professionale; il che (va ribadito) priva di base (“a monte”) tutte le doglianze fondate sulla asserita non inquadrabilità del deposito suddetto nella tariffa professionale (va rilevato a tal proposito che deve ritenersi esposta ad abundantiam – con conseguente inammissibilità delle doglianze che la riguardano; cfr. Cass. Sentenza n. 7074 del 28/03/2006 – l’argomentazione della Corte di merito concernente la possibilità di far rientrare l’attività in questione “…nel quadro…” della “…attività di assistenza stragiudiziale nella risoluzione di controversie ereditarie…”; v. a pag. 10 della sentenza); C) appare a questo punto immune dai vizi denunciati anche la tesi concernente la non gratuità del deposito; evidentemente (anche se implicitamente) collegata (dalla Corte) da un lato alla (ovvia) non gratuità dell’incarico strettamente professionale suddetto e dall’altro allo stretto collegamento funzionale tra le due attività; e cioè fondata – in sintesi – sull’implicito rilievo che il professionista eseguiva il compito (deposito) in questione per compiacere e appagare i suoi clienti (in quanto tali) e quindi in vista di una sua convenienza ed utilità (sempre nell’ambito dunque degli incarichi ricevuti; anche se non tutti rientranti tra le voci della tariffa professionale), e non per mera liberalità.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “violazione art. 1768, 1° comma, c.c., sulla diligenza nella custodia. Erronea ed illogica motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.)” esponendo doglianze che vanno riassunte come segue. La Corte di appello di Torino nella sentenza impugnata 423/2003 rileva addirittura che “il comportamento del legale appare non solo esente da colpa, ma anzi gravemente imprudente”, e sostiene che il legale doveva “o riporre la borsa nel baule dell’auto, chiuso a chiave” o “riporre il denaro, convenientemente racchiuso in buste, nelle tasche o nel cassetto interno dell’automobile”. La motivazione della sentenza impugnata appare però del tutto erronea, illogica, astratta e totalmente avulsa dalla realtà. Invero, se la borsa fosse stata posta nel baule dell’auto, essa sarebbe stata asportata con maggiore facilità dal malvivente, quando l’auto sostava al semaforo, perché è nota la facilità con cui i professionisti dei furti d’auto aprono portiere ed i bauli. Se poi la borsa fosse stata posta sul sedile anteriore, essa sarebbe stata più visibile e più facile preda da parte del ladro. Avendo i S. chiuso la somma in una grande busta incollata e controfirmata, l’avv. G. non avrebbe potuto rompere la busta chiusa ed i sigilli apposti dai S.. Era anche impossibile riporre il denaro, “racchiuso in buste” nelle proprie tasche, perché la somma di denaro liquido, di lire 26.500.000 era composta da biglietti da lire 100.000 e 50.000 e dunque si trattava di 30-35 pacchetti, che dovettero essere poi rinchiusi in una grande busta formato protocollo. In definitiva, l’avv. G. osservò una diligenza assolutamente normale.

Anche il terzo motivo non può essere accolto in quanto si è di fronte ad una tipica valutazione di merito che si sottrae al sindacato di legittimità in quanto immune dai vizi denunciati.

Va precisato che le doglianze in esame, nella misura in cui si basano su asserite circostanze di fatto (ad es. circa il numero e le caratteristiche dei pacchetti, e le dimensioni della busta sopra citati) diverse da quelle enunciate nell’impugnata decisione, ovvero in questa non adeguatamente considerate, debbono ritenersi inammissibili (prima ancora che prive di pregio) in quanto non citano adeguatamente le risultanze processuali su cui si basano, riportando inoltre ritualmente il loro contenuto; infatti, come questa Corte ha osservato più volte (cfr. tra le altre Cass. n. 4754 del 13/05/1999; Cass. n. 376 del 11/01/2005; Cass. n. 20321 del 20/10/2005; Cass. n. 1221 del 23/01/2006; Cass. n. 8960 del 18/04/2006; Cass. Sentenza n. 7767 del 29/03/2007; e Cass. Sentenza n. 6807 del 21/03/2007) ai fini della specificità del motivo di censura, sotto il profilo dell’autosufficienza dello stesso, il ricorrente per cassazione il quale deduca l’omessa o comunque viziata motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione di una risultanza processuale che asserisce decisiva, ha l’onere di indicare in modo adeguato e specifico la risultanza medesima, dato che per il principio dell’autosufficienza del ricorso per Cassazione il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia “omesso esame ed omessa motivazione della questione dell’accettazione del rischio da parte dei sig.ri S. (art. 360 n. 5 c.p.c.)” prospettando censure che debbono essere sintetizzate nel modo seguente. L’avv. G. aveva eccepito l’infondatezza della domanda risarcitoria proposta dai sig.ri S., sotto il profilo che, essi, presenti in banca nelle persone di A. e C., avevano presenziato a tutte le operazioni, ed anche a quella di collocamento del denaro in una grande busta incollata e controfirmata sistemata nella borsa professionale dell’avvocato, borsa che poi era stata posta dall’avvocato nella propria auto. In particolare, si chiedeva l’avv. G. cosa avessero potuto pretendere i S. sotto il profilo della sicurezza, quando era noto che “il professionista non ha scorte e né usa auto blindate”, e quando essi avevano senza contestazioni accettato quel tipo di trasporto del denaro dalla Banca allo studio legale; ed aveva affermato: “Non è lecito agli attori qualificare negligente una condotta che sarebbe stata quella identica che avrebbero essi stessi adottato – e così ogni altra persona – se avessero deciso di portarsi i soldi a casa invece di affidarli ad un terzo”. Ebbene, tale questione, decisiva per la risoluzione della causa, non è mai stata presa in esame dalla sentenza della Corte di appello di Torino cui si ricorre.

Anche il motivo in esame non può essere accolto. Infatti trattasi di circostanze palesemente prive del requisito della decisività, dato che l’eventualmente avvenuta assistenza all’immissione delle somme di denaro in una borsa non comporta di per sé che vi sia stata una accettazione (giuridicamente valida ed idonea a suffragare le conclusioni che ne trae il ricorrente) delle precauzioni adottate (o della carenza delle stesse) al momento dell’affermata immissione del denaro nella borsa; e ciò vale a maggior ragione con riferimento alla condotta successiva (e decisiva ai fini in questione); e cioè a quella seguita del professionista una volta venuta meno la presenza delle controparti.

Anche in tal caso le doglianze in esame, nella misura in cui si basano su asserite circostanze di fatto diverse da quelle enunciate nell’impugnata decisione, e non ritualmente riportate, debbono ritenersi inammissibili (prima ancora che prive di pregio) per violazione del sopra citato principio di autosufficienza del ricorso.

Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di Cassazione.