DECRETO LEGISLATIVO 18 luglio 2011, n. 119 Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 173 del 27-7-2011

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Vista la legge 4 novembre 2010, n. 183, recante deleghe al Governo
in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di
congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di
servizi per l’impiego di incentivi all’occupazione, di apprendistato,
di occupazione femminile, nonche’ misure contro il lavoro sommerso e
disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro;
Visto in particolare l’articolo 23 della citata legge n. 183 del
2009 che conferisce delega al Governo ad adottare disposizioni
finalizzate al riordino della normativa vigente in materia di
congedi, aspettative e permessi, comunque denominati, fruibili dai
lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati;
Sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro
comparativamente piu’ rappresentative sul piano nazionale;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri,
adottata nella riunione del 7 aprile 2011, in attuazione di quanto
previsto dall’articolo 23, comma 2, della citata legge n. 183 del
2010;
Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo
8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni, espresso nella seduta del 5 maggio 2011;
Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del 9 giugno 2011;
Sulla proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e
l’innovazione e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di
concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e per le pari
opportunita’;

Emana

il seguente decreto legislativo:

Art. 1

Oggetto e finalita’

1. Le disposizioni del presente decreto legislativo, in attuazione
dell’articolo 23, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183,
recano modifiche in materia di congedi, aspettative e permessi, in
particolare ai sensi del citato comma 1, lettere c), d) ed e), al
fine di riordinare le tipologia dei permessi, ridefinire i
presupposti oggettivi e precisare i requisiti soggettivi, i criteri e
le modalita’ per la fruizione dei congedi, dei permessi e delle
aspettative, comunque denominati, nonche’ di razionalizzare e
semplificare i documenti da presentare ai fini dello loro fruizione.

Art. 2
Modifica all’articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151, in materia di flessibilita’ del congedo di maternita’

1. All’articolo 16 del testo unico delle disposizioni legislative
in materia di tutela e sostegno della maternita’ e della paternita’,
di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, dopo il comma 1
e’ aggiunto il seguente:
«1-bis. Nel caso di interruzione spontanea o terapeutica della
gravidanza successiva al 180° giorno dall’inizio della gestazione,
nonche’ in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il
congedo di maternita’, le lavoratrici hanno facolta’ di riprendere in
qualunque momento l’attivita’ lavorativa, con un preavviso di dieci
giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista
del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico
competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi
di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla
loro salute.».

Art. 3
Modifiche all’articolo 33, decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151,
in materia di congedo parentale

1. All’articolo 33 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 e’ sostituito dal seguente:
«1. Per ogni minore con handicap in situazione di gravita’
accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio
1992, n. 104, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore
padre, hanno diritto, entro il compimento dell’ottavo anno di vita
del bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in
misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo, comprensivo
dei periodi di cui all’articolo 32, non superiore a tre anni, a
condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso
istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai
sanitari la presenza del genitore.»;
b) al comma 4, il primo periodo e’ soppresso.

Art. 4
Modifiche all’articolo 42, decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151,
in materia di congedo per assistenza di soggetto portatore di
handicap grave

1. All’articolo 42 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 2 e’ sostituito dal seguente:
«2. Il diritto a fruire dei permessi di cui all’articolo 33,
comma 3, della legge 5 febbraio 1992 , n. 104, e successive
modificazioni, e’ riconosciuto, in alternativa alle misure di cui al
comma 1, ad entrambi i genitori, anche adottivi, del bambino con
handicap in situazione di gravita’, che possono fruirne
alternativamente, anche in maniera continuativa nell’ambito del
mese.»;
b) il comma 5 e’ sostituito dai seguenti:
«5. Il coniuge convivente di soggetto con handicap in
situazione di gravita’ accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1,
della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ha diritto a fruire del congedo
di cui al comma 2 dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53,
entro sessanta giorni dalla richiesta. In caso di mancanza, decesso o
in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha
diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in
caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del
padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo
uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza
di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire
del congedo uno dei fratelli o sorelle conviventi.
5-bis. Il congedo fruito ai sensi del comma 5 non puo’ superare
la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di
handicap e nell’arco della vita lavorativa. Il congedo e’ accordato a
condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo
pieno, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza
del soggetto che presta assistenza. Il congedo ed i permessi di cui
articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 non possono essere
riconosciuti a piu’ di un lavoratore per l’assistenza alla stessa
persona. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in
situazione di gravita’, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i
genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, ma
negli stessi giorni l’altro genitore non puo’ fruire dei benefici di
cui all’articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104,
e 33, comma 1, del presente decreto.
5-ter. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto
a percepire un’indennita’ corrispondente all’ultima retribuzione, con
riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, e il
periodo medesimo e’ coperto da contribuzione figurativa; l’indennita’
e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo
massimo di euro 43.579,06 annui per il congedo di durata annuale.
Detto importo e’ rivalutato annualmente, a decorrere dall’anno 2011,
sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo
per le famiglie di operai e impiegati. L’indennita’ e’ corrisposta
dal datore di lavoro secondo le modalita’ previste per la
corresponsione dei trattamenti economici di maternita’. I datori di
lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l’importo
dell’indennita’ dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti
all’ente previdenziale competente. Per i dipendenti dei predetti
datori di lavoro privati, compresi quelli per i quali non e’ prevista
l’assicurazione per le prestazioni di maternita’, l’indennita’ di cui
al presente comma e’ corrisposta con le modalita’ di cui all’articolo
1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con
modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33.
5-quater. I soggetti che usufruiscono dei congedi di cui al
comma 5 per un periodo continuativo non superiore a sei mesi hanno
diritto ad usufruire di permessi non retribuiti in misura pari al
numero dei giorni di congedo ordinario che avrebbero maturato nello
stesso arco di tempo lavorativo, senza riconoscimento del diritto a
contribuzione figurativa.
5-quinquies. Il periodo di cui al comma 5 non rileva ai fini
della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilita’ e del
trattamento di fine rapporto. Per quanto non espressamente previsto
dai commi 5, 5-bis, 5-ter e 5-quater si applicano le disposizioni
dell’articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53.».

Art. 5
Modifiche all’articolo 2 della legge 13 agosto 1984, n. 476, in
materia di aspettativa per dottorato di ricerca

1. All’articolo 2 della legge 13 agosto 1984, n. 476 sono apportate
le seguenti modificazioni:
a) il terzo periodo del primo comma e’ sostituito dal seguente:
«Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, cessi
il rapporto di lavoro o di impiego con qualsiasi amministrazione
pubblica per volonta’ del dipendente nei due anni successivi, e’
dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo
periodo.»;
b) dopo il primo comma e’ inserito il seguente:
«Le norme di cui al presente articolo si applicano anche al
personale dipendente dalla pubbliche amministrazioni disciplinato in
base all’articolo 2, commi 2 e 3, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, in riferimento all’aspettativa prevista dalla
contrattazione collettiva.».

Art. 6
Modifiche all’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in
materia di assistenza a soggetti portatori di handicap grave

1. All’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 3 e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo:
«Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti
di piu’ persone in situazione di handicap grave, a condizione che si
tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o
entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona
con handicap in situazione di gravita’ abbiano compiuto i 65 anni di
eta’ oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano
deceduti o mancanti.».
b) dopo il comma 3 e’ inserito il seguente:
«3-bis. Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al
comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave,
residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150
chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con
titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento
del luogo di residenza dell’assistito.».

Art. 7
Congedo per cure per gli invalidi

1. Salvo quanto previsto dall’articolo 3, comma 42, della legge 24
dicembre 1993, n.537, e successive modificazioni, i lavoratori
mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione
della capacita’ lavorativa superiore al cinquanta per cento possono
fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure
per un periodo non superiore a trenta giorni.
2. Il congedo di cui al comma 1 e’ accordato dal datore di lavoro a
seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata dalla
richiesta del medico convenzionato con il Servizio sanitario
nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla
quale risulti la necessita’ della cura in relazione all’infermita’
invalidante riconosciuta.
3. Durante il periodo di congedo, non rientrante nel periodo di
comporto, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento
calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Il
lavoratore e’ tenuto a documentare in maniera idonea l’avvenuta
sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a
trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell’assenza
puo’ essere prodotta anche attestazione cumulativa.
4. Sono abrogati l’articolo 26 della legge 30 marzo 1971, n. 118,
di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 30 gennaio 1971,
n. 5, e l’articolo 10 del decreto legislativo 23 novembre 1988, n.
509.

Art. 8
Modifiche all’articolo 45 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151, in materia di adozioni e affidamenti

1. All’articolo 45 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151
sono apportare le seguenti modificazioni:
a) al comma 1 le parole: «entro il primo anno di vita del
bambino» sono sostituite dalle seguenti : «entro il primo anno
dall’ingresso del minore nella famiglia»;
b) dopo il comma 2 e’ inserito il seguente: «2-bis. Le
disposizioni di cui all’articolo 42-bis si applicano, in caso di
adozione ed affidamento, entro i primi tre anni dall’ingresso del
minore nella famiglia, indipendentemente dall’eta’ del minore.».

Art. 9
Disposizioni finali

1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito
nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.
Dato a Roma, addi’ 18 luglio 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

LEGGE 12 luglio 2011, n. 135 Disposizioni in favore dei familiari delle vittime e in favore dei superstiti del disastro ferroviario della Val Venosta/Vinschgau.

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 185 del 10-8-2011

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno
approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulga

La seguente legge:

Art. 1

Interventi in favore dei familiari delle vittime e in favore dei
superstiti del disastro ferroviario della Val Venosta/Vinschgau

1. Al presidente della comunita’ comprensoriale della Val
Venosta/Vinschgau e’ assegnata la somma di 800.000 euro per l’anno
2011 e di 2.200.000 euro per l’anno 2012 per speciali elargizioni in
favore dei familiari delle vittime del disastro ferroviario della Val
Venosta/Vinschgau del 12 aprile 2010 e in favore di coloro che a
causa del disastro hanno riportato lesioni gravi o gravissime.

Art. 2 Individuazione dei beneficiari e criteri di assegnazione e corresponsione delle elargizioni 1. Il presidente della comunita’ comprensoriale della Val Venosta/Vinschgau, d’intesa con il presidente della provincia autonoma di Bolzano, individua i familiari delle vittime e i soggetti che hanno riportato lesioni gravi o gravissime e determina la somma spettante a ciascuno di essi nell’ambito dell’importo complessivo di cui all’articolo 1, secondo i criteri stabiliti nei commi 2 e 3 del presente articolo. 2. Le elargizioni di cui al comma 1 spettanti ai familiari delle vittime sono corrisposte secondo il seguente ordine, nella misura determinata in proporzione allo stato di effettiva necessita’ del beneficiario: a) al coniuge superstite, con esclusione del coniuge rispetto al quale e’ stata pronunciata sentenza, anche non definitiva, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e del coniuge a cui e’ stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, al convivente more uxorio e ai figli a carico; b) ai figli, in mancanza del coniuge superstite o nel caso di coniuge rispetto al quale e’ stata pronunciata sentenza, anche non definitiva, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di coniuge a cui e’ stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato; c) ai genitori; d) ai fratelli e alle sorelle se conviventi a carico; e) ai conviventi a carico negli ultimi tre anni precedenti l’evento. 3. Ai soggetti che hanno riportato lesioni gravi o gravissime e’ attribuita una somma determinata in proporzione alla gravita’ delle lesioni subite e allo stato di effettiva necessita’. All’attribuzione delle elargizioni di cui alla presente legge si provvede nei limiti dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1.

Art. 3 Procedure per l’assegnazione delle elargizioni 1. Le elargizioni di cui all’articolo 2 sono assegnate con provvedimento del presidente della comunita’ comprensoriale della Val Venosta/Vinschgau. 2. Le elargizioni di cui all’articolo 2 sono esenti da ogni imposta o tassa e sono assegnate in aggiunta a ogni altra somma cui i soggetti beneficiari abbiano diritto a qualsiasi titolo ai sensi della normativa vigente.

Art. 4

Copertura finanziaria

1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, pari a
800.000 euro per l’anno 2011 e a 2.200.000 euro per l’anno 2012, si
provvede, per l’anno 2011, mediante corrispondente riduzione
dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 5, comma 4, del
decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, come integrata dall’articolo 60,
comma 8, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e, per l’anno 2012,
mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per il medesimo
anno, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente
iscritto, ai fini del bilancio triennale 2011-2013, nell’ambito del
programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da
ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e
delle finanze per l’anno 2011, allo scopo parzialmente utilizzando
l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Il Ministro dell’economia e delle finanze e’ autorizzato ad
apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 5 Entrata in vigore 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara’ inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Roma, addi’ 12 luglio 2011 NAPOLITANO Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri Visto, il Guardasigilli: Alfano LAVORI PREPARATORI Camera dei deputati (atto n. 3403): Presentato dall’on. Karl Zeller, dall’on. Siegfried Brugger e dall’on. Roberto Rolando Nicco in data 16 aprile 2010. Assegnato alla IX commissione (trasporti, poste e telecomunicazioni), in sede referente, il 13 maggio 2010 con pareri delle commissioni I, II, V e VI. Esaminato dalla IX commissione, in sede referente, il 16 e 30 giugno 2010; il 1° febbraio 2011; il 9 e 15 marzo 2011. Assegnato nuovamente alla IX commissione (trasporti, poste e telecomunicazioni), in sede legislativa, il 14 aprile 2011 con pareri delle commissioni I, II, V e VI. Esaminato dalla commissione, in sede legislativa, ed approvato il 19 aprile 2011. Senato della Repubblica (atto n. 2697): Assegnato alla 8ª commissione (lavori pubblici, comunicazioni), in sede deliberante, il 6 maggio 2011 con pareri delle commissioni 1ª, 5ª, 6ª e Questioni regionali. Esaminato dalla 8ª commissione, in sede deliberante, il 18 maggio 2011; il 22 giugno 2011. Esaminato ed approvato dalla commissione, in sede deliberante, il 29 giugno 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO – SENTENZA 11 luglio 2011, n.15156 INALAZIONE DA POLVERE DI AMIANTO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Diritto

Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. dei due ricorsi perché proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo del ricorso principale la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli arti 100, 106, 112, 269, 420 co. 9, 343, 354 e 436 c.p.c.; omessa e insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio; in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto la inammissibilità della istanza, formulata in grado di appello dalla società appellata, per la chiamata in causa delle imprese terze (A. s.p.a. e M.) motivando tale statuizione sotto il profilo che la società predetta non aveva spiegato appello incidentale avverso il predetto capo della sentenza di primo grado, ma si era limitata a riproporre, ex art. 346 epe, la domanda in questione.

Osserva la ricorrente che tale decisione si fondava su un esame superficiale della memoria di costituzione in grado di appello, con la quale la società ricorrente aveva espressamente chiesto che la Corte volesse ‘riformare la sentenza autorizzando la ditta M. e S. B. s.p.a. alla chiamata in causa a propria manleva della A. e della M.’, disponendo ‘ex art. 354 cpc, la remissione della procedura al Tribunale competente’. E pertanto tale richiesta configurava una vera e propria impugnazione incidentale del giudicato di primo grado, omissivo sul punto, dato che ne ricorrevano i requisiti richiesti dalla legge, e particolarmente la domanda di riforma della sentenza ed i motivi di tale domanda (come dagli artt. 342 e 343 c.p.c.), non essendo per contro decisiva la qualificazione data dalla parte alla richiesta.

D’altronde la illegittimità del diniego frapposto dal giudice di primo grado appariva tanto più significativa, ove si osservi che il nuovo testo dell’art. 269 c.p.c, norma di carattere generale applicabile anche nel rito del lavoro e che condizionava la previsione di cui all’art. 420 c.p.c, toglieva ogni discrezionalità al giudice istruttore circa la chiamata del terzo, la cui iniziativa era rimessa ormai alla scelta della parte interessata.

Ed osserva altresì, ai fini della ammissibilità dell’impugnazione, che non poteva essere opposta la inosservanza dell’art. 436 epe, perché la memoria di costituzione dell’appellata era stata depositata nel termine previsto dalla legge, a nulla rilevando che la stessa non fosse stata notificata, avendo la Corte di cassazione previsto che in tal caso il giudice d’appello deve concedere all’appellante incidentale nuovo termine per la notificazione (Cass. sez. Ili, 22.5.2007 n. 11888; Cass. sez. Ili, 16236/05; Cass. sez. lav., 14592/04).

Col secondo motivo del ricorso principale la società lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 420 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., nonché degli artt. 40 e 41 c.p.c; omessa e insufficiente motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio; con riferimento all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.

In particolare rileva che la Corte territoriale, tralasciando di pronunciarsi sulla specifica eccezione sollevata dalla società appellata, aveva omesso di estendere la propria indagine alla incidenza del rischio di fumo, al quale il lavoratore si era volontariamente esposto per tutta la vita, sul processo causale della neoplasia polmonare; e tale omissione era assolutamente ingiustificata anche in considerazione del fatto che il concorso della vittima (e la misura dello stesso) condizionavano la pronuncia sull’azione risarcitoria proposta. Ed in proposito rileva che le appellanti, nel gravame proposto avverso la sentenza di primo grado, avevano criticato tale decisione solo sotto il profilo della ritenuta inesistenza del nesso causale con il rischio amianto, mentre nessuna censura avevano svolto avverso la rilevata riconducibilità della patologia in questione all’abitudine massiccia al fumo, di talché sul punto si era formato il giudicato.

Col terzo motivo del ricorso principale la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 40 e 41 c.p.; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio; con riferimento all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.

In particolare rileva che la Corte territoriale non aveva adeguatamente attenzionato quanto evidenziato dal primo giudice circa la mancanza di prova adeguata in ordine al nesso causale tra l’esposizione del D. alle polveri di amianto e la neoplasia insorta, essendosi limitata a ritenere l’esistenza di tale nesso causale sulla base esclusivamente della successione cronologica dei fatti evidenziati; e pertanto non aveva valutato l’incidenza del fatto ‘fumo’ e non aveva accertato la potenzialità lesiva dei rischi connessi all’attività lavorativa svolta, posto che non aveva considerato i tempi ed i modi della esposizione del D. al rischio ambientale, avendo sul punto fatto riferimento ad una prova testimoniale imprecisa che non consentiva di colmare le lacune sul punto (e segnatamente sulla entità e dimensione del rischio collegato all’ambiente di lavoro).

Col quarto motivo del ricorso la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli arti 1176, 1218, 2087, 2697 c.c.; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.

In particolare rileva la ricorrente che la Corte territoriale, nell’affermare che nell’azione di responsabilità ex art. 2087 c.c. il creditore è tenuto a provare l’esistenza dell’obbligazione ed a dedurre l’inadempimento del debitore, il quale è gravato dalla presunzione di colpa, ha omesso di considerare che l’apprezzamento della responsabilità del debitore deve avvenire, anche nelle ipotesi regolate dall’art. 2087 c.c., nel rispetto delle norme generali sull’adempimento delle obbligazioni, contenute negli arti 1176 e 1218 c.c., che prevedono il dovere della diligenza media e l’esimente della impossibilità per causa non imputabile al debitore.

Pertanto nel caso di specie, trattandosi di rapporto lavorativo intercorso negli anni correnti tra il 1975 ed il 1986, avrebbe dovuto accertarsi, alla stregua delle disposizioni codicistiche suddette, quali adempimenti erano possibili e quale diligenza (media) doveva essere adottata, alla stregua delle normative vigenti e delle cognizioni possibili in quel tempo.

Per contro la sentenza impugnata nulla diceva sui criteri legislativi di valutazione dell’adempimento delle obbligazioni contrattuali, né aveva in alcun modo tenuto conto della mancanza di comunicazione da parte della A. ex F. e della M. sulla esistenza di particolari rischi nell’ambiente frequentato dai dipendenti della società.

Col ricorso incidentale proposto le intimate lamentano violazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.).

In particolare rilevano, in ordine al provvedimento del giudice di primo grado con cui era stata rigettata l’istanza della società di chiamata in giudizio della A. ex F. e della M., che la stessa aveva fatto acquiescenza a tale provvedimento – avente forma di ordinanza ma natura sostanziale di sentenza per avere il giudice deciso in via definitiva sulla istanza di chiamata in giudizio delle società terze – non avendo proposto impugnazione e non avendo fatto riserva di impugnazione.

Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.

L’assunto di parte ricorrente, secondo cui la Corte territoriale non avrebbe proceduto ad una corretta lettura della memoria di costituzione della società in grado di appello – che configurava una vera e propria impugnazione incidentale del giudicato di primo grado, omissivo sul punto, contenendo una espressa richiesta di riforma della sentenza in parola con la autorizzazione della ditta M. e S. B. s.p.a. alla chiamata in causa della A. e della M. – si appalesa infondato.

In proposito occorre innanzi tutto evidenziare che, alla stregua delle argomentazioni svolte dalla società odierna ricorrente, il provvedimento in data 7.5.2005 con cui il giudice di primo grado aveva rigettato la richiesta in tal senso presentata dalla società predetta, se pur adottato nelle forme dell’ordinanza avrebbe avuto natura sostanziale di sentenza avendo statuito sulla questione relativa alla richiesta di chiamata in giudizio delle compagnie di assicurazione dalle quali la società ricorrente intendeva essere manlevata. Ne consegue che, coerentemente a tale impostazione, la società avrebbe dovuto, avverso detto provvedimento, ai sensi dell’art. 340 c.p.c., proporre gravame o fare riserva di appello differito; non avendo ottemperato a tale onere, l’appello doveva ritenersi ormai precluso.

Sotto ulteriore profilo rileva il Collegio che comunque l’ipotizzato appello incidentale della società sarebbe improcedibile, ove si osservi che la stessa non ha provveduto alla rituale notifica del gravame, ai sensi dell’art. 436 c.p.c, non potendo trovare applicazione la disposizione sanante di cui all’art. 291 c.p.c..

Sul punto osserva il Collegio che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 30.7.2008 n. 20604, hanno proceduto ad una revisione del precedente orientamento – espresso dalle decisioni, parimenti adottate a Sezioni Unite, n. 6841 e n. 9331 del 1996, che, basandosi sulla autonomia, per quanto attiene al rito del lavoro, della fase dell’editto actionis e di quella della vocatio in ius, avevano statuito l’applicabilità dell’art. 291 c.p.c. non solo a tutte le ipotesi di nullità della notifica dell’atto di impugnazione ma anche ai casi di inesistenza (giuridica o di fatto) di detta notifica -evidenziando coma la novella dell’art. 111 Cost., comma 2, rendesse ‘doverosa una rinnovata e maggiore attenzione alla lettera delle norme codicistiche al fine di dedurre che né l’espressione di cui all’art. 291 c.p.c., comma 1, (‘Se … il giudice istruttore rileva un vizio che importi la nullità della citazione fissa i all’attore un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza’) e tanto meno quella dell’art. 421 c.p.c, comma 1, (‘il giudice indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi, salvo gli eventuali diritti quesiti’) possono offrire alcuna copertura giuridica al suddetto orientamento, data l’impossibilità concettuale di rinnovare e tanto meno di rettificare l’inesistente (giuridico o di fatto)’.

Ed hanno altresì evidenziato che ‘per di più osta a che venga adottata nella problematica in oggetto una soluzione che, in violazione del principio della ‘ragionevole durata del processo’ – e con riflessi di indubbia incoerenza dell’intero sistema processuale – finisca per penalizzare rispetto al processo ordinario il rito del lavoro con un ingiustificato allungamento del tempi di giustizia con contestuale disapplicazione dei principi chiovendani della oralità, concentrazione ed immediatezza, che hanno inspirato il legislatore del 1973 e che caratterizzano il processo cadenzando i tempi del giudizio su un reticolato di preclusioni e di decadenze, sicuramente più rigido e severo di quello riscontrabile nel giudizio ordinano’ (Cass. SS.UU. 20604/08).

Il motivo non può pertanto trovare accoglimento.

Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso.

Sul punto osserva innanzi tutto il Collegio che erroneamente la società ricorrente ha rilevato che la Corte territoriale non aveva esteso la propria indagine alla incidenza del rischio del fumo di sigaretta, al quale il lavoratore si era volontariamente esposto per tutta la vita. Ed invero i giudici di appello, nell’esaminare la problematica del nesso eziologico in relazione alla patologia tumorale da cui era affetto il lavoratore, hanno specificamente evidenziato che dagli accertamenti peritali effettuati era emersa l’esistenza di un ruolo quanto meno concausale, nell’insorgenza e lo sviluppo della patologia tumorale, sia della rilevante abitudine al fumo di sigaretta che della esposizione all’asbesto nel luogo di lavoro.

Del pari infondato è l’assunto di parte ricorrente in ordine all’intervenuto giudicato sulla questione relativa all’accertata incidenza causale del rischio del fumo, sotto il profilo che non sarebbe stato proposto appello sul punto.

Osserva in proposito il Collegio che costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto dì giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum affatto indipendente; siffatta ipotesi non si verifica allorché si tratta di valutare un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. sez. III, 17.9.2008 n. 23747; Cass. sez. IlI, 30.10.2007 n. 22863; Cass. sez. lav., 7.3.1995 n. 2621).

In ordine al rilievo concernente l’incidenza dell’abitudine al fumo sul quantum risarcitorio, osserva il Collegio che trattasi di questione nuova, non risultando proposta in sede di appello, come tale inammissibile nel presente giudizio per cassazione.

E’ infondato altresì il terzo motivo di ricorso concernente la omessa valutazione da parte della Corte territoriale dell’incidenza del fumo e della potenzialità lesiva dei rischi connessi all’attività lavorativa svolta.

Sul punto osserva innanzi tutto il Collegio che il vizio di omessa motivazione deve riguardare, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c, un fatto controverso e ‘decisivo’ per il giudizio. E sul punto questa Corte ha evidenziato che, ove il convincimento del giudice di merito si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti e dei diversi elementi di fatto e di diritto sottoposti all’esame del decidente, considerati nel loro complesso, il ricorso per cassazione deve evidenziare l’inadeguatezza, l’incongruenza e l’illogicità della motivazione, alla stregua di tutti gli elementi complessivamente utilizzati dal giudice, evidenziando la decisività, nel contesto della motivazione svolta, degli elementi non valutati, sotto il profilo della incidenza causale del vizio di motivazione sulla decisione adottata, non potendo solo limitarsi ad inficiare uno degli elementi della complessiva valutazione (Cass., 7.4.2005 n. 7259).

Nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente evidenziato che parte ricorrente aveva fornito la prova che il D., in ragione delle mansioni cui era addetto, aveva subito la potenziale esposizione alle polveri di amianto in considerazione dei lavori di scoibentazione dei tubi di riscaldamento svolti; circostanza confermata dagli esiti della prova testimoniale svolta e delle relazioni di consulenza medico legale che avevano riscontrato la presenza in quantità cospicua di fibre di amianto nel polmone dell’interessato. Ed ha altresì correttamente evidenziato il ruolo, quanto meno concausale, della esposizione a polveri di amianto, nella determinazione dell’evento, applicando correttamente la regola contenuta nell’art. 41 c.p. alla stregua della quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito alla produzione dell’evento, salvo il temperamento previsto nello stesso art 41 c.p. in forza del quale il nesso eziologico è interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni (Cass. sez. lav., 4 6.2008 n. 14770; Cass. sez. lav., 3.5.2003 n. 6722; Cass. sez. lav., 9.9.2005 n. 17959: in quest’ultima fattispecie la Corte di Cassazione, accertata l’esposizione dell’interessato, deceduto per carcinoma polmonare, a rischio ambientale costituito dalla presenza di polvere di amianto, ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva riconosciuto la dipendenza da causa da servizio, senza che rilevasse in senso contrario la circostanza che la consulenza tecnica avesse evidenziato il tabagismo del dipendente quale concausa della patologia).

Sotto altro profilo la censura, concernendo la valutazione della prova assunta, involge in realtà la valutazione di specifiche questioni di fatto, non consentita in sede di giudizio di legittimità.

Ed invero la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e di dare adeguata contezza dell’Iter logico – argomentativo seguito per giungere ad una determinata conclusione. Ne consegue che il preteso vizio della motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della stessa, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di mento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti ‘decisivi’ della controversia, ovvero quando esista insanabile contrasto fra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico -giuridico posto a base della decisione (Cass. sez. I, 26.1.2007 n. 1754; Cass. sez. I, 21.8.2006 n. 18214; Cass. sez. lav., 20.4.2006 n. 9234; Cass. sez. trib., 1.7.2003 n. 10330; Cass. sez. lav., 9.3.2002 n. 3161; Cass. sez. IlI, 15.4.2000 n. 4916).

In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto -consentito al giudice di legittimità – non equivale alla revisione del ‘ragionamento decisorio’, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità il quale deve limitarsi a verificare se siano stati dal ricorrente denunciati specificamente – ed esistano effettivamente – vizi (quali, nel caso di specie, la carente, insufficiente o contraddittoria motivazione) che, per quanto si è detto, siano deducibili in sede di legittimità.

Va infine rigettato l’ultimo motivo del ricorso principale.

Sul punto deve rilevarsi la genericità del motivo alla stregua del quale la Corte di merito avrebbe omesso di considerare che l’apprezzamento della responsabilità del debitore deve avvenire, anche nelle ipotesi regolate dall’art. 2087 c.c., nei rispetto delle norme generali sull’adempimento delle obbligazioni, contenute negli artt. 1176 e 1218 cc, che prevedono il dovere della diligenza media e l’esimente della impossibilità per causa non imputabile al debitore.

Osserva in proposito il Collegio che, per costante orientamento giurisprudenziale, il ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità, essere articolato su motivi dotati dei caratteri della specificità, oltre che della completezza e della riferibilità alla decisione impugnata: in particolare, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c, n. 3, deve essere dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza e dalla dottrina, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. sez. lav., 24.6.2008 n. 17152; Cass. sez. I, 19.10.2006 n. 22499).

Non ricorrendo siffatti presupposti nel caso di specie, il ricorso sul punto non può trovare accoglimento. Ed invero nella fattispecie in esame la ricorrente ha genericamente rilevato che, trattandosi di rapporto lavorativo intercorso tra gli anni 1975 e 1986, il giudice di merito avrebbe dovuto accertare, in ossequio alle disposizioni degli artt. 1176 e 1218 c.c., quali adempimenti erano possibili e quale diligenza (media) doveva essere adottata da parte della datrice di lavoro, alla stregua delle normative vigenti e delle cognizioni possibili in quel tempo.

Sul punto peraltro questa Corte (Cass. sez. lav., 7.1.2009 n. 45) ha avuto modo di evidenziare che i comportamenti omissivi, dai quali può discendere la responsabilità del datore di lavoro, ‘possono consistere nella mancata osservanza di norme specifiche di legge, oppure dettate dalla prudenza e dalla esperienza, in relazione alla particolarità del lavoro ed allo sviluppo tecnologico sia nella organizzazione del lavoro, sia nelle tecniche di prevenzione, secondo il dettato dell’art. 2087 ce, che costituisce norma di chiusura del sistema antinfortunistico, estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate dalle norme antinfortunistiche specifiche (ex plurimis Cass. 4 marzo 2005 n. 4 723; Cass. 8 febbraio 2005 n. 2444; Cass. 22 marzo 2002 n. 4129; Cass. 20 aprile 1998 n. 4012)’.

In proposito questa Corte ha altresì evidenziato (Cass. sez. lav., 14.1.2005 n. 644), in relazione ad attività lavorativa svoltasi dal 1959 al 1971, che ‘in particolare, la pericolosità dell’amianto, conclamata non da ipotetici indizi o evidenti ignoranze legali, ma da vieppiù diffusi allarmi manifestati, sin da prima del periodo qui in evidenza, dalla scienza medica sui perversi effetti incidenti sul bene priM. della salute (che la Costituzione e il codice garantiscono) in caso di situazioni non occasionate da congiunture sporadiche o transitorie, ma avvalorate da attività permanenti, contigue alle fonti di diffusione delle particelle d’asbesto, riconosciute evidenti attraverso il dibattito giudiziario e la consulenza medico legale, azzera il tentativo, espresso dal ricorso, di escludere la responsabilità contrattuale dell’Ente nei confronti dei suoi dipendenti, impedendo l’accoglimento del ricorso.

Infatti, la responsabilità dell’imprenditore ex art. 2087, cod.civ., non è limitata alla violazione di norme d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma va estesa, invece, nell’attuale sistema italiano, supportato a livello costituzionale, alla cura del lavoratore attraverso l’adozione, da parte del datore di lavoro, nel rispetto del suo diritto di libertà d’impresa, di tutte quelle misure e delle cautele che, in funzione della diffusione e della conoscibilità, pur valutata in concreto, delle conoscenze, si rivelino idonee, secondo l’id quod plerumque accidit, a tutelare l’integrità psicofisica di colui che mette a disposizione della controparte la propria energia vitale, (v. ad es. Cass., 23 maggio 2003, n. 8204; 29dicembre 1998, n. 12863; 8 aprile 1995, n. 4078)’.

Da rilevare infine che non può condividersi l’ulteriore assunto di parte ricorrente circa la carenza di informazione da parte delle società committenti dei lavori suddetti, in ordine all’esistenza dei rischi derivanti dallo svolgimento dell’attività medesima. Ed invero anche sul punto questa Corte ha evidenziato, con la predetta sentenza n. 45 del 2009, che ‘ove lavoratori dipendenti da più imprese siano presenti sul medesimo teatro lavorativo, i cui rischi lavorativi interferiscano con l’opera o con il risultato dell’opera di altri soggetti (lavoratori dipendenti o autonomi), tali rischi concorrono a configurare l’ambiente di lavoro ai sensi del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 4 e 5 sicché ciascun datore di lavoro è obbligato, ai sensi dell’art. 2087 cc, ad informarsi dei rischi derivanti dall’opera o dal risultato dell’opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo, e dare le conseguenti informazioni e istruzioni ai propri dipendenti’, precisando ulteriormente che ‘tale obbligo di informazione ai lavoratori dipendenti ne presuppone un altro: quello di informarsi dai terzi operatori dei rischi inerenti alle lavorazioni effettuate sul medesimo teatro che interferiscono con la presenza dei propri dipendenti”.

Neanche sotto questo profilo il ricorso principale può pertanto trovare accoglimento.

Per quel che riguarda il ricorso incidentale proposto dalle intimate, osserva il Collegio che lo stesso è inammissibile per carenza di interesse. Ed invero il ricorso incidentale per cassazione deve essere giustificato da un interesse che abbia per presupposto una situazione sfavorevole al ricorrente, cioè una soccombenza; esso, pertanto, deve essere considerato inammissibile quando sia proposto dalla parte vittoriosa in appello.

Ricorrono giusti motivi, stante il rigetto del ricorso principale e la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale, e considerata altresì la particolare controvertibilità della materia, per compensare tra le parti le spese relative al presente giudizio di cassazione.

Nessuna statuizione in materia di spese va adottata nei confronti della B. Uno s.r.l. e della Aurora Assicurazioni s.p.a., non avendo le stesse svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile l’incidentale; compensa le spese del giudizio di cassazione tra la ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali; nulla per le spese nei confronti della B. Uno s.r.l. e della A A.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

DECRETO LEGISLATIVO 6 settembre 2011, n. 164 Attuazione della direttiva 2009/21/CE relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera.

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 232 del 5-10-2011

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Vista la legge 4 giugno 2010, n. 96, recante disposizioni per
l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
alle Comunita’ europee – legge comunitaria 2009, e in particolare gli
articoli da 1 a 5 e l’allegato B;
Vista la direttiva 2009/21/CE del Parlamento e del Consiglio, del
23 aprile 2009, relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di
bandiera;
Vista la decisione 1999/468/CE, recante modalita’ per l’esercizio
delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione;
Visto il decreto legislativo 14 giugno 2011, n. 104, concernente
l’attuazione della direttiva 2009/15/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alle disposizioni ed alle
norme comuni per gli organismi che effettuano le ispezioni e le
visite di controllo delle navi e per le pertinenti attivita’ delle
amministrazioni marittime;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri,
adottata nella riunione del 9 giugno 2011;
Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del 28 luglio 2011;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i
Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle
finanze e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;

E m a n a

il seguente decreto legislativo:

Art. 1

Finalita’ ed ambito di applicazione

1. Il presente decreto, avente ad oggetto il miglioramento della
sicurezza e la prevenzione dell’inquinamento provocato dalle navi
nazionali, introduce procedure finalizzate ad assicurare che lo Stato
italiano ottemperi con efficacia e coerenza ai propri obblighi nei
confronti delle navi mercantili autorizzate a battere la bandiera
nazionale.

Art. 2 Definizioni 1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) nave: una nave battente bandiera di uno stato membro che rientra nell’ambito di applicazione delle pertinenti convenzioni di cui l’Organizzazione marittima internazionale – IMO e’ depositaria e per la quale e’ richiesto un certificato; b) Amministrazione: il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto; c) organismo riconosciuto: un organismo riconosciuto conformemente al decreto legislativo 14 giugno 2011, n. 104; d) certificati: i certificati previsti dalla legge e rilasciati in relazione alle pertinenti convenzioni IMO; e) audit IMO: attivita’ di controllo, consulenza e verifica condotta in conformita’ alle disposizioni della risoluzione A. 974 (24) adottata dall’Assemblea dell’IMO il 1° dicembre 2005.

Art. 3

Verifiche preliminari svolte all’atto del rilascio
dell’autorizzazione a battere la bandiera

1. Prima di consentire l’esercizio di una nave cui e’ stato
concesso il diritto di battere la bandiera nazionale,
l’Amministrazione verifica che l’armatore ovvero esercente abbia
ottemperato alle norme ed alle regolamentazioni internazionali e
nazionali applicabili.
2. L’attivita’ di verifica di cui al comma 1, comprende:
a) l’acquisizione di copia dei certificati di sicurezza e dei
rapporti di visita ispettiva effettuati da quando la nave e’ in
esercizio;
b) il controllo dei precedenti rapporti di visita condotti in
conformita’ alle vigenti disposizioni in materia di controllo da
parte dello stato di approdo;
c) se necessario, la consultazione della precedente
Amministrazione per accertare se sussistano ancora anomalie o
deficienze gia’ individuate.
3. L’Amministrazione, per le navi che abbiano in precedenza battuto
la bandiera nazionale, fornisce tempestivamente, allo Stato di cui la
nave batte bandiera che ne faccia richiesta, i dettagli riguardanti
le deficienze gia’ accertate e non risolte all’atto del cambio di
nazionalita’ ed ogni altra pertinente informazione connessa alla
sicurezza.

Art. 4

Misure da adottarsi in caso di fermo
di una nave battente bandiera nazionale

1. Quando l’Amministrazione e’ informata che una nave di bandiera
nazionale e’ stata sottoposta a fermo da parte di uno Stato di
approdo, fatte salve le attivita’ di indagine finalizzate ad
accertare eventuali responsabilita’, adotta le procedure di seguito
indicate, finalizzate a verificare che la nave sia tempestivamente
resa conforme alle pertinenti convenzioni IMO:
a) per fermo dovuto a deficienze concernenti i certificati per i
quali l’Amministrazione ha autorizzato gli organismi riconosciuti
all’esecuzione dei compiti stabiliti dall’articolo 4 del decreto
legislativo 14 giugno 2011, n. 104, l’Amministrazione provvedera’
affinche’ l’organismo riconosciuto effettui una visita addizionale a
bordo per la rettifica delle deficienze rilevate;
b) per fermo dovuto a deficienze concernenti i certificati per i
quali l’Amministrazione ha affidato agli organismi riconosciuti
l’esecuzione dei compiti stabiliti dall’articolo 5 del decreto
legislativo 14 giugno 2011, n. 104, l’Amministrazione provvedera’
affinche’ l’organismo riconosciuto, effettui, per conto
dell’Amministrazione, una visita addizionale a bordo per la rettifica
delle deficienze rilevate.
2. L’Amministrazione ha, in ogni caso, facolta’ di partecipare con
propri qualificati funzionari all’effettuazione delle visite di cui
al comma 1.

Art. 5

Accesso alle informazioni sulle navi
di bandiera nazionale

1. Ai fini del presente decreto l’Amministrazione rende disponibili
alle amministrazioni omologhe degli Stati membri le seguenti
informazioni concernenti le navi di bandiera nazionale:
a) elementi di identificazione e riconoscimento della nave;
b) date delle visite di controllo, comprese eventualmente quelle
addizionali e supplementari e date degli audit;
c) identificazione degli organismi riconosciuti cui e’ demandata
l’attivita’ di certificazione e classificazione della nave;
d) identificazione dell’autorita’ competente che ha ispezionato
la nave conformemente alle disposizioni in materia di controllo da
parte dello Stato di approdo e date delle ispezioni;
e) esiti delle ispezioni svolte dagli Stati di approdo;
f) informazioni sui sinistri marittimi;
g) identificazione delle navi che hanno cessato di battere la
bandiera nazionale negli ultimi dodici mesi.

Art. 6

Procedura di valutazione
e controllo da parte dell’IMO

1. Con frequenza almeno settennale, a seguito di richiesta
formulata all’IMO, l’Amministrazione si sottopone ad una attivita’ di
auditing da parte di ispettori dell’IMO. I risultati dell’attivita’
di auditing sono pubblicati nel rispetto del decreto legislativo 30
giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni, in materia di tutela
della privacy e delle informazioni riservate.
2. Non si applica quanto previsto dal comma 1 a decorrere dal 17
giugno 2017, ovvero prima di tale data, qualora sia entrato in vigore
un sistema obbligatorio di audit degli Stati membri dell’IMO.

Art. 7

Sistema di gestione della qualita’
e valutazione interna

1. Entro il 17 giugno 2012 l’Amministrazione sviluppa, attua e
mantiene un sistema di gestione della qualita’ per le parti operative
delle sue attivita’ in quanto Stato di bandiera. Tale sistema e’
certificato conformemente alle norme di qualita’ internazionali
applicabili.
2. Qualora, sulla base dei resoconti delle attivita’ ispettive
svolte nei confronti delle navi di bandiera pubblicati nella
relazione annuale del protocollo di intesa di Parigi relativo al
controllo delle navi da parte dello Stato di approdo,
l’Amministrazione figuri nella «lista nera» ovvero, per due anni
consecutivi, nella «lista grigia», entro i quattro mesi successivi
alla pubblicazione del resoconto annuale del MOU di Parigi, presenta
una relazione alla Commissione con la quale si individuano ed
analizzano le cause e le ragioni principali delle deficienze e delle
non conformita’ rilevate a bordo delle navi di bandiera.

Art. 8

Disposizioni finanziarie

1. L’Amministrazione provvede all’adempimento dei compiti di cui al
presente decreto con le risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente.
2. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o
maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito
nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.
Dato a Roma, addi’ 6 settembre 2011

NAPOLITANO

Berlusconi, Presidente del Consiglio dei
Ministri

Matteoli, Ministro delle infrastrutture e
dei trasporti

Frattini, Ministro degli affari esteri

Palma, Ministro della giustizia

Tremonti, Ministro dell’economia e delle
finanze

Prestigiacomo, Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare

Visto, il Guardasigilli: Palma

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/