Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-10-2011) 10-11-2011, n. 40902 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 30/11/2009 la Corte di Appello di Catanzaro confermava la decisione in data 9/7/2008 del G.U.P. del Tribunale di Cosenza con la quale M.L. era dichiarato colpevole dei reati di detenzione a fine di spaccio di sostanza stupefacente del tipo hashish, contestati ai capi 1 e 2 della rubrica, unificati ex art. 81 cpv. c.p. e condannato alla pena di giustizia.

L’imputato veniva fermato insieme con M.A. e D.L. A.B. a bordo di una autovettura, dove gli operanti rinvenivano sul sedile occupato dal M. un frammento di sostanza stupefacente tipo hashish, e all’interno degli indumenti intimi del L. un involucro, contenente un panetto della stessa sostanza, nonchè una confezione di cartine in tasca, nella tasca del giubbotto del D.L. altra confezione di cartine, a ridosso dello sportello lato passeggero un involucro di cellophane, contenente altra sostanza tipo hashish. Le analisi chimiche accertavano la natura della sostanza per un peso di gr. 103,47 per un principio attivo di mg. 5.816,64. Nella immediatezza del fatto l’imputato spontaneamente dichiarava agli operanti che anche in precedenza a quel controllo aveva svolto l’incarico per conto di tale E., di procurare hashish e che l’appuntamento per la consegna all’ E. quella sera del panetto in suo possesso, come per le altre due volte precedenti, era presso la Chiesa di Arcavacata di (OMISSIS).

Contro tale decisione ricorre l’imputato personalmente e ne denuncia la nullità in riferimento al reato di cui al capo 2 per violazione degli artt. 63 e 350 c.p.p., essendo la prova fondata esclusivamente sulle dichiarazioni rese dall’imputato, che non potevano essere utilizzate, perchè rese, quando aveva già assunto la qualità di persona sottoposta ad indagini, in assenza del difensore e in violazione del combinato disposto delle norme suindicate e censura la motivazione del giudice del gravame, che aveva differenziato "le notizie ed indicazioni assunte" in assenza del difensore ai sensi dell’art. 350 c.p.p., comma 5 e "le dichiarazioni spontanee" ricevute ai sensi del art., comma 7 cit., pienamente utilizzabili nel giudizio abbreviato. Chiede inoltre l’annullamento della sentenza in riferimento al medesimo capo di accusa per violazione dell’art. 429 c.p.p., comma 2, trattandosi di contestazione imprecisa, che non conteneva l’ipotesi del concorso con il fantomatico " E.", e in riferimento ad entrambi i capi di imputazione per vizio di motivazione, non essendo provata la destinazione allo spaccio della droga repertata.

Nei motivi aggiunti, depositati in data 10/10/2011, la difesa eccepisce la violazione della legge processuale e il vizio di motivazione in riferimento all’art. 122 c.p.p., comma 3 e art. 438, comma 5, e censura l’error in procedendo in cui era incorso il G.I.P. nell’avere proceduto con giudizio abbreviato puro, nonostante che dalla procura speciale, rilasciata dall’imputato al difensore, si richiedesse di procedersi con giudizio abbreviato condizionato, con conseguente abnormità o nullità del giudizio, essendosi il giudice procedente intervenuto illegittimamente sulla scelta personalissima dell’imputato di condizionare l’abbreviato all’acquisizione degli atti.

Il ricorso è inammissibile.

La censura concernente la inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee, introdotta con il primo motivo, oltre che generica, siccome reiterativa dell’eccezione, già formulata ed esaminata in sede di gravame, è manifestamente infondata, giacchè le dichiarazioni de quibus furono rese dall’imputato agli operanti nell’immediatezza del fatto, prima ancora che il L. venisse tratto in arresto, onde la loro utilizzabilità ai sensi della norma ex art. 350 c.p.p., comma 7, essendosi il giudizio svolto con il rito abbreviato (ex multis Cass. Sez. 6^ 25/5-2/7/04 n. 29138 Rv. 229457).

Altrettanto manifestamente infondata, oltre che non dedotta nei motivi di appello, è l’altra eccezione, formulata nel primo motivo in ordine alla incompletezza del secondo capo di imputazione, sul quale l’imputato ben ha avuto modo di difendersi.

Sulla destinazione allo spaccio e sul diniego della circostanza attenuante ex art. 73, comma 5 D.P.R. cit. vi è ampia motivazione nella sentenza impugnata e le censure su tali punti si rivelano generiche e ripetitive dell’appello.

La doglianza di cui ai motivi nuovi, depositati in cancelleria in data 10/10/2011 è inammissibile, perchè non riguarda i capi e i punti della decisione oggetto del gravame, oltre che non veritiera, in quanto dal verbale di udienza si evince il riferimento al consenso prestato dall’imputato e dal difensore, procuratore speciale, entrambi presenti, al rito abbreviato puro.

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 02-01-2012, n. 3 Concessione per nuove costruzioni

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Svolgimento del processo

Viene in discussione l’appello verso la sentenza n. 2911/2010 con la quale il TAR Sicilia – Catania ha respinto il ricorso presentato dall’odierno appellante verso il provvedimento prot. n. 13861 del 13.11.2007, notificata il 20.11.2007, con il quale il Dirigente V funzione dell’Area Urbanistica del Comune di Taormina ha denegato il rilascio della concessione edilizia presentata dal medesimo appellante ai sensi dell’art. 32 della legge n. 326/2003; nonché, con primi motivi aggiunti, avverso l’ordinanza n. 63 del 15.4.2008, notificata il 15.4.2008, con cui il Dirigente V funzione dell’Area Urbanistica del Comune di Taormina ha disposto la demolizione delle opere per le quali era stata richiesta la concessione in sanatoria da parte della ditta Gi.Go.; nonché, ancora, con ulteriori motivi aggiunti depositati il 17.10.2008, avverso l’ordinanza n. 164 del 9.10.2008, con la quale è stato disposto lo sgombero di cose e persone dagli immobili per i quali era stata richiesta la predetta concessione edilizia in sanatoria.

Avverso l’appello il Comune di Taormina resiste con controricorso, e, in vista dell’udienza pubblica, con ulteriore memoria scritta.

Alla pubblica udienza del 15 marzo 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1. Decidendo nel merito la questione risolta con la sentenza riportata in epigrafe, il Giudice di prime cure, in contrasto con quanto sostenuto in quella sede dall’odierno appellante, ha ritenuto che costui, benché sia titolare di un diritto personale di godimento quale conduttore dell’edificio, risulta privo di legittimazione ad ottenere, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47/1985, il rilascio della concessione in sanatoria delle opere abusive dal medesimo realizzate in mancanza di nulla osta alla richiesta prodotto del proprietario del bene interessato dalle opere edilizie da condonare. Secondo il Giudice di prime cure, infatti, il dettato normativo di riferimento (cioè il cit. art. 31 della legge n. 47/1985, per come richiama la legge n. 10/1977) "non può che essere interpretato nel senso di ritenere ammissibile la presentazione di una domanda di condono da parte del soggetto titolare di un diritto personale di godimento (quale conduttore), ma nel contempo non consente di per sé il rilascio della conseguente concessione edilizia in sanatoria, che presuppone il consenso, quanto meno implicito, del legittimo proprietario del bene interessato dalle opere edilizie".

2. Avverso l’opinione che sostiene l’impugnata sentenza, l’odierno appellante, invocando l’autorità di alcuni precedenti giurisprudenziali (TAR Campania – Napoli, sez IV, 23.4.1999, n. 1107 e TAR Veneto – Venezia, sez. II, 21.11.2002, n. 6351) oppone l’irrilevanza dell’eventuale dissenso manifestato del proprietario dell’edificio interessato dalla domanda di sanatoria, atteso che "non può disconoscersi in capo al conduttore di un immobile un autonomo e distinto interesse a conseguire la sanatoria dell’abuso realizzato: sia per paralizzare i poteri repressivi della P.A. in ordine ad un bene suscettibile di arrecare vantaggio all’attività condotta nell’immobile, sia per paralizzare il potere repressivo dello Stato con la conseguente irrogazione delle sanzioni penali (ex art. 38, legge n. 47/1985)". In questo senso, rileva ancora la difesa della parte appellante sulla scorta di una pronuncia della Corte Costituzionale (11-15.7.1991, n. 345) "il dissenso del proprietario risulta valorizzabile soltanto all’interno del procedimento finalizzato all’irrogazione della sanzione accessoria dell’acquisizione gratuita dell’area interessata dagli interventi edilizi oggetto di condono, in caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione intimata al conduttore – costruttore abusivo, quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al conseguimento dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento – e non anche nel procedimento promosso dal conduttore dell’immobile per conseguire la sanatoria dell’opera".

3. I motivi di gravame sollevati dalla difesa dell’odierno appellante non meritano di essere accolti.

Giova a questo proposito ribadire che una corretta lettura dell’art. 31 della legge n. 47/1985 depone nel senso che l’attribuzione della legittimazione a chiedere la sanatoria edilizia, operata attraverso il richiamo della legge n. 10/1977, anche ai conduttori dell’immobile interessato, ha fondamentalmente natura e funzione surrogatoria rispetto ad una eventuale inerzia del proprietario dell’immobile, ancorché nei limiti di un interesse giuridicamente apprezzabile al conseguimento della sanatoria da parte del soggetto agente, secondo il contenuto proprio della situazione soggettiva di cui è titolare: ad esempio, come ricorre nella fattispecie in discorso, la situazione di titolare di un diritto personale di godimento in quanto conduttore dell’immobile interessato.

Secondo l’art. 31 della legge n. 47/1985, sono innanzi tutto "proprietari di costruzioni e di altre opere che risultano ultimate…" i quali "possono, su loro richiesta, conseguire la concessione o l’autorizzazione in sanatoria … anche se "possono altresì provvedere alla richiesta di sanatoria ed agli adempimenti relativi" sia "coloro che hanno titolo, ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10", nonché "salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima".

Nella articolata rappresentazione della disciplina de qua, allora, la diversa formulazione utilizzata per indicare la legittimazione alla richiesta della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria, rispettivamente, dei "proprietari": che "possono…", rispetto agli altri legittimati: che "possono altresì provvedere…" esprime la precisa scelta del legislatore della legge n. 47/1985 di consentire una regolarizzazione, sotto il profilo amministrativo e/o penale, degli assetti di interesse qualificato, istituiti dal proprietario titolare sul bene, o alla volontà del quale possono ricondursi, che rischierebbero altrimenti di essere compromessi dalla mancata conformità del bene rispetto alla normativa urbanistica di riferimento, in assenza della prescritta concessione.

Si precisa così, d’altra parte, il tipo di problema che il legislatore della legge n. 47/1985 ha inteso risolvere attraverso la formulazione del cit. art. 31, rispetto ai diversi modi con cui il proprietario può voler "godere e disporre", ai sensi dell’art. 832 c.c., del bene di cui è titolare e principale legittimato, in particolare, quando la realizzazione del contenuto utile del diritto di proprietà non avviene direttamente, bensì attraverso la costituzione di una posizione qualificata di interesse in capo ad altri soggetti: i quali, come titolari di un diritto reale minore, o personale di godimento, o altrimenti, possono vantare una posizione qualificata di interesse, e, a tale stregua e in tali limiti "possono altresì provvedere…" ad avviare il procedimento di sanatoria, in sostituzione di quanto avrebbe dovuto fare il proprietario, che comunque resta confermato nella sua posizione di dominus dell’intero procedimento e dei suoi esiti.

In questo senso, la decisione disposta dalla sentenza oggetto del presente gravame risulta ispirata dal tipo di problema sopra delineato, quando, in particolare, sulla scia di una coerente decisione del Consiglio di Stato (V, 9.11.1998, n. 1583), richiama i principi che presiedono, invito domino, all’esercizio dello ius aedificandi anche sotto il profilo della disciplina civilistica dei poteri di uso e disposizione attribuiti al conduttore di beni immobili. Sia per i primi che per la seconda (arg. ex art. 1590 c.c.), infatti, al conduttore non compete tipicamente la facoltà di modificare unilateralmente la struttura del bene locato e, perciò, non risulta a tal fine legittimato né per chiedere una concessione edilizia in via preventiva, né per ottenere una concessione in sanatoria per opere abusive conducenti al medesimo risultato, in mancanza di un espresso consenso del proprietario.

Ma, se è così, allora la facoltà di "provvedere alla richiesta di sanatoria…", pure riconosciuta al conduttore dalla legge n. 47/1985, non può comunque sortire nessuno effetto lesivo del contenuto del diritto di proprietà vantato dal locatore, e non altrimenti attribuito dal medesimo, atteso che la situazione di godimento nella quale è stato posto contrattualmente non istituisce in capo ad esso alcun "interesse" che possa giustificare una conformazione del bene locato diversa da quella voluta o accettata dal proprietario del bene stesso.

Le stesse ragioni che escludono il riconoscimento in capo all’odierno appellante del diritto ad attenere invito domino la sanatoria delle opere abusive, rendono altresì legittimi gli ulteriori provvedimenti adottati dall’Amministrazione impugnati dall’odierno appellante, comprendenti sia l’ordine di demolizione delle opere in oggetto (ordinanza n. 63 del 15.4.2008) sia l’ordine di sgombero di cose e persone dagli immobili (ordinanza n. 164 del 9.10.2008): la cui validità è sorretta dall’efficacia del provvedimento di diniego della concessione edilizia in sanatoria richiesta dall’odierno appellante, per le ragioni in punto di fatto e di diritto sopra motivate.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Le spese del presente giudizio, come di regola, seguono la soccombenza e sono fissate nella misura stabilita in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia amministrativa, per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge per le ragioni indicate in motivazione.

Spese a carico della soccombenza Euro 3000,00 (tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo il 15 marzo 2011 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in Camera di Consiglio, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Antonino Anastasi, Guido Salemi, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, estensore, componenti.

Depositata in Segreteria il 2 gennaio 2012.

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Cass. civ. Sez. II, Ord., 11-07-2012, n. 11740 Rinunzia all’impugnazione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La snc S. Immobiliare di M. F. & C. citò innanzi al Tribunale di Trento D.M.M. – nonchè il Conservatore del Libro fondiario di Pergine Valsugana – esponendo:
che il proprio socio ed amministratore B.E. in data (OMISSIS) aveva compromesso in acquisto una villa della convenuta sita in località (OMISSIS) di (divezzano per l’importo di L. un miliardo ed 800 milioni; che detto preliminare prevedeva il versamento di una caparra di L. 150 milioni; che con successivo preliminare del 24 aprile 2002 tra la D.M. ed il B. in proprio era stato stipulato altro preliminare per l’acquisto del medesimo bene ed allo stesso prezzo, prevedendosi la corresponsione della ricordata caparra o, a scelta del promissario acquirente, trasferendo la proprietà di un immobile sito in (OMISSIS) – intestato alla società – cui era attribuito il medesimo valore della caparra; che con un secondo preliminare, sostitutivo del primo, in data 8 maggio 2002, restando immutato il prezzo, si era prevista, sempre a titolo di caparra e di principio di pagamento, il solo trasferimento dell’immobile della società S.; che nello stesso giorno la D.M. ed il B., agente nella qualità di rappresentante della S., avevano stipulato preliminare di vendita della casa in (OMISSIS), dando atto, con quietanza in pari data, che il prezzo di Euro 77.469,00 era stato interamente versato; che però il B. non aveva rispettato i pagamenti.
Su tali premesso la società, assumendo la risoluzione del preliminare avente ad oggetto il proprio immobile, chiese che questo le venisse restituito ed avanzò altresì domanda affinchè la promittente venditrice fosse condannata al risarcimento dei danni – che quantificò in Euro 77.500,00. In subordine avanzò richiesta a che la convenuta fosse condannata a pagare il residuo prezzo per l’immobile sito in (OMISSIS).
La convenuta resistette alle domande, disconoscendo innanzi tutto la propria sottoscrizione in calce all’originario preliminare del 4 marzo 2002; il Conservatore non si costituì.
Con successivo atto di citazione la medesima D.M. convenne in giudizio la società S., chiedendo che, per l’immobile di (OMISSIS), venisse emessa sentenza che tenesse luogo del contratto definitivo non stipulato.
Riunite le due cause, l’adito Tribunale, con sentenza n. 310/2005 ritenne la società priva di legittimazione attiva in merito a tutte le domande aventi ad oggetto il preliminare di vendita della villa di (divezzano nonchè l’inammissibilità delle domande della D. M. attinenti al medesimo immobile; respinse la domanda, dalla medesima avanzata, di emissione di sentenza à sensi dell’art. 2932 cod. civ..
La Corte di Appello di Trento, con sentenza n. 2/2006, respinse sia il gravame principale della D.M. sia quello incidentale della Immobiliare S..
Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la D. M. sulla base di due motivi; ha resistito con controricorso la sne S. Immobiliare in liquidazione; il Conservatore non ha svolto difese. In data 8 maggio 2012 sono stati depositati atto di rinunzia al ricorso con contestuale accettazione da parte della contro ricorrente: entrambi gli atti sono stati sottoscritti da procuratori a ciò abilitati. Soccorrono pertanto i presupposti per l’emissione del provvedimento di estinzione; nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte Dichiara l’estinzione del giudizio di cassazione per intervenuta rinunzia al ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 16 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2012

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Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-01-2013) 20-02-2013, n. 8122

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Svolgimento del processo
Con sentenza n. 12085, in data 19.12.2011, deposita il 30.3.2012, la Corte Suprema di cassazione, Sezione 6A penale, rigettò il ricorso proposto da I.P. avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria in data 6.12.2010, con la quale, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Reggio Calabria in data 18.9.2009, I. era stato assolto dal reato di concorso esterno nell’associazione mafiosa denominata cosca R. per insussistenza del fatto e la pena nei suoi confronti, per il reato di concorso esterno nell’associazione mafiosa denominata cosca Crea, era stata determinata in anni 3 mesi 4 di reclusione ed il risarcimento dei danni a favore della parte civile ridotto ad Euro 100.000.
Propone ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p., il difensore del condannato deducendo che la Corte di cassazione sarebbe incorsa in un errore percettivo laddove ha ritenuto che, al decisivo quesito circa il fatto "se l’individuazione dei terreni su cui avrebbe dovuto sorgere il Contro Commerciale, sia stata precedente alle Delib. n. 24 e 25 del 28.6.2000 e soprattutto se tali terreni sono stati dolosamente inseriti nel nuovo piano commerciale da I. in virtù di un preventivo accordo politico – mafioso con il boss C.", la Corte d’appello aveva offerto "una risposta affermativa, completa e convincente fondata su elementi probatori sopra indicati, analizzati singolarmente nella loro valenza indiziante e valutati complessivamente come univocamente espressivi del contributo fornito dall’imputato all’associazione mafiosa".
Secondo il ricorrente l’errore percettivo consiste nel fatto che la sentenza di legittimità rimanda ai fogli 85 – 97 della sentenza della Corte d’appello, laddove in tale parte della pronunzia, sono state riprodotte le dichiarazioni del collaboratore di giustizia B.B., intercettazioni ambientali e rapporti di frequentazione, nessuno dei quali dimostrerebbe l’assunto posto a base della decisione.
L’adozione delle delibere era stata imposta dalla Regione Calabria ed il Comune di R. aveva l’obbligo di adottarle entro il 30 giugno. Inoltre nella domanda non era stato indicato alcuno specifico terreno ed alla data del 30.6.2000 il ricorrente non era in possesso di alcuno specifico terreno.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625 bis c.p.p., (Cass. Sez. U., Sentenza n. 37505 del 14/07/2011 dep. 17/10/2011 Rv.
250527).
Nel caso in esame, con il ricorso proposto, si propone una diversa valutazione, rispetto a quella contenuta nella sentenza, circa l’esistenza di una prova, che non esisterebbe nell’incarto processuale.
La Corte di cassazione ha rilevato che la diversa valutazione dell’Avvocatura dello Stato e della Commissione prefettizia, si fondava su dati formali, superati dalla ricostruzione della Corte d’appello.
Si tratta quindi non di un errore percettivo, ma di un giudizio, non censurabile con lo strumento del ricorso straordinario.
E’ peraltro inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto con il quale si deducano pretesi errori di lettura, comprensione o valutazione di atti processuali del giudizio di merito, invece di una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di cassazione. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17362 del 15/04/2009 dep. 23/04/2009 Rv. 244067. Conf.
Cass. Sez. 6, Sentenza n. 25121 del 02/04/2012 dep. 22/06/2012 Rv.
253105).
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013

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