Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-07-2011) 23-09-2011, n. 34551

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Nell’ambito del procedimento penale a carico di M.M.E. A. il Tribunale di Foggia, con ordinanza del 03.11.2010, dichiarava inammissibile l’istanza di riesame del sequestro di un’autovettura, stante la rinuncia presentata dal difensore;

– inoltre, rilevato che non era stato emesso il provvedimento di convalida del sequestro, riteneva competente il PM per l’eventuale dissequestro;

Avverso tale decisione, ricorre per cassazione il M.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c).

Il ricorrente censura la decisione impugnata:

1)- per avere emesso "de plano" l’ordinanza impugnata senza disporre l’udienza di comparizione delle parti;

2)- per avere erroneamente ritenuto la rinuncia all’impugnazione, laddove nessuna rinuncia era stata formulata;

3)- per avere rilevato che non era ancora intervenuta la convalida del sequestro, laddove la convalida vi era stata, come emergeva dalla notifica avvenuta in data 03.11.2010;

CHIEDE pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è del tutto infondato e quindi inammissibile.

Il M. ha impugnato dinanzi al Tribunale per il riesame il provvedimento di sequestro operato dalla PG, prima ancora che gli fosse notificata la convalida del PM;

invero, lo stesso ricorrente riconosce che il decreto di convalida gli è stato notificato in data 03.11.2010, cioè in epoca successiva alla proposizione del reclamo;

ne deriva la correttezza del provvedimento di inammissibilità pronunciato dal Tribunale per il riesame, posto che l’art. 355 c.p.p. prevede la possibilità di impugnazione esclusivamente nei confronti del decreto di convalida;

nè a diversa conclusione può pervenirsi:

a)- nel caso in cui l’interessato abbia avuto comunque conoscenza del sequestro, atteso che il termine per proporre l’istanza di riesame decorre dalla data in cui l’interessato abbia avuto conoscenza del sequestro convalidato (Cass. pen. Sez. 2, del 02.12.05 n. 7774 – Cass. pen. Sez. 6, 27.03.09 n. 17529);

b)- nel caso in cui la convalida del sequestro sia stata notificata successivamente perchè, in assenza della notifica della convalida, l’impugnazione ex art. 355 c.p.p., comma 3 era priva di legittimazione;

In presenza di una chiara causa di inammissibilità della richiesta di riesame, bene ha operato il Tribunale a dichiararla "de plano", senza fissazione dell’udienza previo avviso ai difensori, in applicazione dell’art. 127 c.p.p., comma 9, nè tale disposizione contrasta con l’art. Ili Cost. essendo l’assenza di contraddittorio giustificata dal ragionevole bilanciamento con il principio della ragionevole durata del processo.(Cass. pen. Sez. 3, 22.12.2010 n. 3895).

L’indicazione, infine, della rinuncia all’impugnazione è frutto di una dicitura prestampata non adeguatamente cassata dal Tribunale, ma priva di rilevanza nella decisione impugnata, motivata sulla scorta dell’assenza del provvedimento di convalida.

Consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-03-2012, n. 3394 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La controversia ha per oggetto la determinazione della giusta indennità dovuta per l’espropriazione di terreni di proprietà della LL Engeneering s.p.a. da parte del Consorzio Alta Velocità C.A.V. To.Mi. (nel seguito: consorzio), nel Comune di Settimo Torinese, decretata per l’esecuzione d’opere relativa alla realizzazione della linea ferroviaria d’alta velocità (OMISSIS), opera dichiarata di pubblica utilità con atto 31 gennaio 2002 dell’amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a..

La società espropriata aveva acquistato gli immobili per cui è causa, dopo la dichiarazione di p.u., dalla Cascina Armano con atto pubblico in data 31 dicembre 2002 debitamente trascritto. La società dante causa, tuttavia, aveva già promesso in vendita le stesse aree al consorzio, con preliminare non trascritto, per il prezzo di Euro 360.000,00 circa, di cui era stato corrisposto circa l’80%. Nel giudizio di merito l’attrice, in relazione a quel contratto, produsse attraverso il suo consulente tecnico una nota con la quale il consorzio offriva di pagare il residuo prezzo non ancora corrisposto, e sostenne che in forza della nota medesima le spettava il pagamento dell’intero prezzo a suo tempo concordato tra il consorzio e la sua Engeneering. Con sentenza 19 maggio 2010, la Corte d’appello di Torino ha ritenuto la produzione della citata nota inammissibile, e comunque non rilevante per la definizione del giudizio, e ha determinato l’indennità dovuta dal consorzio. Tenuto conto della relazione della consulenza tecnica d’ufficio assunta in corso di causa, la corte ha considerato che, in base al piano regolatore generale, e tenuto anche conto delle varianti adottate, al momento dell’espropriazione le aree in questione erano comprese in zona urbanistica P4, con destinazione d’uso: "aree produttive e terziarie; classe di destinazione: impianti industriali (1); classe d’intervento: aree di nuovo impianto (P)". In forza di tale classificazione i terreni espropriati dovevano considerarsi edificabili; e ciò, nonostante che il Piano Esecutivo Convenzionato prevedesse poi l’edificabilità delle sole aree comprese nelle zone SF1 e Sf2 dell’intervento, perchè la volumetria edificabile dell’area Sf3, in cui erano compresi i terreni espropriati, era stata trasferita su altro terreno di proprietà attrice compreso nell’area fondiaria Sf1. Doveva tuttavia tenersi conto dei vincoli dai quali i terreni espropriati erano interessati, risultanti dallo stesso Piano Esecutivo Convenzionato e successive varianti: vincoli inerenti alle fasce di rispetto dell’elettrodotto, della ferrovia, e del canale scolmatore. La corte ha quindi dichiarato di condividere il giudizio del consulente, che il valore del fondo dovesse essere valutato come pertinenziale in forza della sua destinazione urbanistica a parcheggio privato, dell’ubicazione (km 2,5 dal centro cittadino), e valutato, tenuto conto della sua esposizione e della giacitura pianeggiante in Euro 15,00 al mq.

2. Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorre la Sefas s.r.l., avente causa dalla LL Engeneering s.p.a. a seguito di atto di scissione, con atto notificato il 23 dicembre 2010 al consorzio, per sette motivi, illustrati anche con memoria.

Il Consorzio Alta Velocità To.Mi. resiste con controricorso e ricorso incidentale per un unico motivo.

A tale ricorso la ricorrente principale resiste con controricorso.

La Sefas s.r.l. ha depositato note di udienza.

Motivi della decisione

3. Il primo motivo del ricorso principale espone molteplici censure per vizio di motivazione. Sostiene che il giudice di merito:

– a) contraddittoriamente, dopo aver accertato in contrasto con il consulente d’ufficio la natura edificabile delle aree espropriate, avrebbe fatto propria la stima dello stesso consulente;

– b) erroneamente avrebbe tenuto conto dei vincoli di edificabilità assoluta accertati (fasce di rispetto di elettrodotto, linea ferroviaria e scolmatore), essendo stata l’area espropriata inserita in un piano di lottizzazione;

– c) illegittimamente avrebbe recepito la stima del valore espressa dal consulente tecnico d’ufficio, il quale, premesso che il metodo di stima è unico e basato sulla comparazione, diretta o indiretta, aveva affermato che non occorre che i beni in comparazione siano esplicitamente determinati;

– d) erroneamente avrebbe pretermesso l’esame di due atti aventi ad oggetto il trasferimento delle stesse aree (preliminare Cascina Armano – consorzio, e vendita Cascina Armano Engeneering), e di un altro preliminare avente ad oggetto il trasferimento di terreni adiacenti, invocati non per la loro efficacia vincolante, ma quali termini di riferimento per la stima;

– e) erroneamente avrebbe addebitato alla ricorrente l’omessa produzione dei documenti di cui al punto precedente, in un’azione di accertamento che doveva essere compiuto d’ufficio;

– f) illegittimamente avrebbe fatto propri i generici elementi di valutazione indicati dal consulente (destinazione urbanistica, ubicazione, esposizione e giacitura pianeggiante) per pervenire alla stima di Euro 15,000 al mq.

3.1. Il tema affrontato sub 3. d) è ripreso nei motivi sesto e settimo.

Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la corte territoriale dichiarato inammissibile la produzione della nota 17 maggio 2004 con cui il consorzio aveva offerto ad Engeneering il 20% del prezzo concordato con Cascina Armano s.r.l., laddove trattandosi di un giudizio di accertamento il giudice ha il dovere di procedervi senza vincoli procedurali.

Con il settimo motivo la stessa censura è svolta come violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 54. 3.2. I motivi sono infondati.

E’ innanzi tutto da osservare che il principio invocato dalla ricorrente, per il quale in tema di espropriazione per pubblica utilità, la speciale procedura di opposizione alla stima, da parte di chiunque essa provenga, non si configura quale impugnazione del provvedimento ablatorio limitato al controllo della determinazione amministrativa dell’indennità, contro la quale le parti sono obbligate a muovere ciascuna le proprie contestazioni a pena di decadenza, ma introduce un giudizio di accertamento della giusta indennità, pienamente autonomo, nel quale il giudice deve procedere alla concreta determinazione della stessa con tutti i suoi poteri di indagine, alla stregua di criteri legali effettivamente vigenti e riconosciuti applicabili alla fattispecie (Cass. 3 dicembre 2001 n. 15247), non implica che in questo caso il giudice abbia poteri d’indagine d’ufficio diversi da quelli di un comune giudizio di accertamento, ed ancor meno che il mancato esercizio dei poteri d’ufficio attribuiti alla discrezionalità del giudice di merito (quali ad esempio quelli contemplati dagli artt. 117, 118 e 213 c.p.c.) sia sindacabile in sede di legittimità. Nel caso di specie la corte territoriale ha utilizzato il suo potere d’ufficio di assumere una consulenza tecnica, e ha poi adeguatamente assolto il dovere di motivare la decisione di merito utilizzando anche tutti gli elementi emersi dalla relazione del consulente. L’esistenza di elementi di fatto esterni al giudizio – e specificamente di trattative intercorse tra le parti prima dell’inizio del processo – non rientra nella cognizione del giudice, e deve essere tempestivamente allegata e adeguatamente dimostrata dalla parte che vi abbia interesse. L’omessa considerazione di quegli elementi non integra, altrimenti, un vizio di motivazione censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In secondo luogo è da ricordare il principio, già altre volte affermato da questa corte, per cui in tema di valutazione di aree edificabili, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, l’evoluzione del sistema normativo induce a negare valore preminente al metodo sintetico-comparativo, congeniale ad un sistema, oggi abbandonato alla luce della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, governato dal principio dell’edificabilità di fatto, mentre il metodo analitico – ricostruttivo, che muove dalle caratteristiche specifiche del fondo espropriato, dipende dalla qualificazione urbanistica dell’area, secondo il principio dell’edificabilità legale, conseguendone che il giudice che accolga le conclusioni del consulente tecnico secondo il metodo analitico, non è tenuto a motivare la mancata adozione del metodo sintetico (Cass. 19 gennaio 2007 n. 1161).

Nella specie il giudice di merito, non potendo tener conto dei documenti irregolarmente prodotti dalla parte, ha legittimamente valutato le possibilità edificatorie dell’area tenendo conto di tutti gli elementi acquisiti al processo, e in modo particolare di quelli emergenti dalla relazione del consulente, e avendo escluso tali possibilità ha proceduto alla stima del valore venale dell’area con un metodo indiretto, nel quale non si assume la comparazione diretta con il valore di fondi diversi ed omogenei, perchè un tale valore non era noto o desumibile dagli elementi acquisiti al giudizio.

In particolare, poi, il giudice di merito ha preliminarmente e correttamente osservato che l’edificabilità legale di un’area deve essere accertata, di regola, con esclusivo riguardo alla qualificazione urbanistica derivante dall’inserzione dell’area medesima in una zona omogenea del piano regolatore vigente; e che pertanto, tenuto conto del fatto che nella specie, al momento dell’espropriazione, le aree in questione erano comprese in zona urbanistica con destinazione ad impianti industriali, i terreni espropriati dovevano considerarsi edificabili; e ciò, nonostante che il Piano Esecutivo Convenzionato prevedesse poi l’edificabilità delle sole aree comprese nelle zone SF1 e Sf2 dell’intervento, perchè la volumetria edificabile dell’area Sf3, in cui erano compresi i terreni espropriati, era stata trasferita su altro terreno di proprietà attrice compreso nell’area fondiaria Sf1 (in coerenza con i principi enunciati da Cass. Sez. un. 21 marzo 2001 n. 125).

Altrettanto correttamente, peraltro, e senza incorrere in contraddizione, il giudice di merito ha pure considerato che doveva tenersi conto dei vincoli legali della proprietà, che nella specie risultava gravata per larga parte da vincoli di rispetto dell’elettrodotto, della ferrovia e del canale scolmatore. A nulla rileva, contro l’esattezza di questa affermazione, la circostanza di fatto che tali vincoli fossero conseguenza della realizzazione di una linea ferroviaria e delle opere ad essa accessorie, e cioè della stessa opera pubblica che comportava l’espropriazione. Non per questa ragione, infatti, il vincolo muta la sua natura conformativa della proprietà, che deriva invece esclusivamente da una previsione di legge, avente natura assolutamente generale e priva pertanto di qualsiasi relazione con l’espropriazione.

I motivi in esame devono pertanto essere respinti.

4. Con il secondo motivo si denuncia un vizio di motivazione in relazione al punto decisivo, costituito dall’accertamento della capacità edificatoria residua del terreno espropriato, avendo il consulente, e quindi poi lo stesso giudice di merito, escluso la sua incidenza affermando che l’edificabilità residua sarebbe realizzabile su terreno compreso nell’area fondiaria Sf1. Si eccepisce che quell’area non è più di proprietà dell’espropriata.

4.1. Sullo stesso punto si torna con il quinto mezzo d’impugnazione sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su una domanda o su un punto della domanda.

4.2. I due motivi sono infondati. In relazione all’area residua, non gravata da limiti legali della proprietà, il giudice di merito non ha ignorato le difese della società, ma ha considerato che il valore costituito dall’edificabilità legale dell’area espropriata era stato già salvaguardato dalla proprietaria con il trasferimento della volumetria edificabile su altra area pure di sua proprietà. In tale situazione viene a mancare, nella stima dell’area espropriata, l’ulteriore requisito dell’edificabilità di fatto, ed è pertanto infondata la pretesa dell’espropriata di beneficiare, in sede di liquidazione dell’indennità espropriativa dell’area, di un valore che sulla medesima area essa non avrebbe mai potuto realizzare, in forza di legittime scelte di convenienza già operate (giurisprudenza costante: cfr. Cass. 31 ottobre 2007 n. 22961).

5. Con il terzo motivo si torna sul valore dell’offerta del consorzio contenuta nella nota 17 maggio 2004. Si denuncia una violazione del D.P.R n. 327 del 2001, art. 20, perchè dovrebbe riconoscersi a quell’offerta valore vincolante, e si nega che essa sia stata rifiutata, avendo la proprietaria espropriata solo negato che le fosse opponibile il pagamento parziale già eseguito a favore della sua dante causa, in base a contratto preliminare non trascritto.

E’ innanzi tutto da chiarire che la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 20, non sussiste. La dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, infatti, risaliva a data (31 gennaio 2002) anteriore al 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327; e a norma dell’art. 57 D.P.R. cit., le disposizioni del testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, perchè in tal caso continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a quella data. Ne deriva l’inapplicabilità della norma invocata.

Quanto al resto il motivo è assorbito dall’inutilizzabilità del documento invocato dalla parte, secondo l’accertamento del giudice di merito non adeguatamente censurato. Si osserva peraltro che – secondo l’assunto – la nota in questione offriva di dare esecuzione ad un contratto precedente, per la parte ancora non soddisfatta: in relazione a ciò la posizione della ricorrente è contraddittoria, perchè nega – non senza fondamento – di poter essere pregiudicata da quel contratto, ma vorrebbe dare alla "offerta" del pagamento del residuo prezzo il valore di proposta di contratto di cessione per l’intero prezzo. Dalle stesse premesse risulta invece evidente che non vi sarebbe stata in ogni caso coincidenza tra offerta ed accettazione ( art. 1326 c.c., comma 5).

6. Con il quarto motivo la ricorrente principale censura l’omessa pronuncia sulla rivalutazione monetaria, pur avendo essa chiesto gli accessori.

Il motivo è manifestamente infondato. Il giudice di merito non aveva ragione di ritenersi investito, in forza di una domanda estremamente generica di condanna agli "accessori", di una richiesta di "rivalutazione" dell’indennità, che è esclusa in radice dal noto carattere di valuta da sempre attribuito dalla giurisprudenza a quel credito. Quanto all’eventuale risarcimento del maggior danno subito dal creditore durante la mora debendi ( art. 1224 c.c.) al quale sembra per altro verso riferirsi la doglianza, si tratta di domanda autonoma per fondamento, oggetto, oneri probatori e criteri di determinazione, che non può perciò essere compresa tra gli "accessori" del credito.

7. Occorre ora considerare il ricorso incidentale del consorzio. Con esso si deduce la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 37 e 40. Si sostiene che l’intervenuto trasferimento della volumetria edificabile dell’area espropriata su altra area di proprietà della stessa espropriata ne comportava l’inedificabilità, a torto negata dal giudice di merito.

7.1. Il motivo è infondato.

Il giudice di merito non ha stimato l’area espropriata in base alla sua supposta edificabilità, ma dopo aver genericamente affermato l’edificabilità sancita dalla qualificazione della zona urbanistica di piano regolatore, in cui l’area era inserita, ha escluso l’edificabilità legale per gran parte della stessa area a cagione dei limiti legali imposti dalle zone di rispetto, e per il resto ha escluso l’edificabilità di fatto. La stima dell’area è stata fatta pertanto in base al suo valore venale, conformemente a diritto.

8. I ricorsi devono essere pertanto respinti. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi riuniti e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-04-2012, n. 5666 Disoccupazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Ivrea la Boni spa proponeva opposizione avverso la cartella di pagamento concernente contributi Inps per Cigs e mobilità per Euro 175.433,56 relativi al periodo dal novembre 1995 al dicembre 1996; la Società esponeva di esercitare attività di pulizia per committenti industriali e di essere stata classificata nel settore industria fino al 1995, anno in cui aveva presentato domanda per essere classificata nel settore terziario, con cessazione della nuova posizione e apertura di due nuove posizioni, sempre nel settore terziario: una per l’attività di pulizia di aziende industriali e l’altra per l’attività di pulizia di aziende non industriali; che l’Inps, accogliendo la domanda, aveva proceduto allo sdoppiamento delle posizioni, mentre a seguito di verbale ispettivo del 10 dicembre 1999, era stata nuovamente collocata, retroattivamente, nel settore industria per il periodo da novembre 1995 al 31 dicembre 1996, con conseguente obbligo di pagare la contribuzione per la mobilità ai sensi della L. n. 223 del 1991, richiesta con la cartella opposta; sosteneva l’opponente che la riclassificazione non poteva avere efficacia retroattiva, non dipendendo da sue inesatte dichiarazioni; che comunque le imprese di pulizia non erano tenute alla contribuzione di mobilità e di Cigs e che, in ogni caso, le sanzioni civili non erano dovute.

Il Tribunale accoglieva l’opposizione, ma la statuizione veniva riformata dalla sentenza della Corte d’appello di Torino, che la rigettava.

La Corte adita osservava: che la Boni operava dal 1978 con inquadramento nel settore industria; che il 5 ottobre 1995 aveva chiesto all’Inps l’inquadramento nel settore terziario; che il primo dicembre 1995 aveva avanzato due distinte domande di iscrizione: una quale azienda esercente attività di pulizia presso aziende industriali ed altra quale esercente la medesima attività presso aziende non industriali e precisando, per ciascuna, di avere iniziato l’attività l’1.11.1995; che l’Inps aveva provveduto all’iscrizione nel settore terziario, con due diversi numeri di matricola. Riteneva la Corte adita che la riclassificazione nel settore terziario nel 1995 non era consentita, perchè, ai sensi della L. n. 88 del 1989, art. 49, comma 3, dovevano restar fermi i precedenti inquadramenti, e ciò fino al primo gennaio 1997, termine del periodo transitorio della L. n. 662 del 1996, ex art. 1, comma 234. L’Istituto si era però indotto a detta duplice iscrizione sulla base della comunicazione della Boni di inizio attività dal 1.11.95, rivelatasi poi non veritiera in sede di ispezione del 1999, in cui si accertò che trattavasi di attività iniziata nel 1978, donde era corretto l’inquadramento nel settore industria. Ciò premesso la Corte soggiungeva che era ammissibile la variazione retroattiva dell’inquadramento nel settore industria, perchè questa si era resa necessaria a causa delle inesatte dichiarazioni del datore di lavoro, ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8.

La Corte disattendeva anche l’ulteriore eccezione della Società, ossia, che, anche con l’inquadramento nel settore industriale, non era tenuta al pagamento della contribuzione Cigs e mobilità L. n. 223 del 1991, ex art. 16, in quanto previsto solo per le aziende industriali manifatturiere.

La Corte infine confermava la misura delle sanzioni irrogate dall’Inps per la evasione e non già per l’omissione contributiva.

Avverso detta sentenza la soccombente ricorre con quattro motivi illustrati da memoria.

Resiste l’Inps con controricorso.

Equitalia Nomos spa è rimasta intimata.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo si denunzia violazione degli artt. 115 e 116 e difetto i motivazione.

Si assume che la Corte non avrebbe tenuto conto dei seguenti elementi( tutti riportati in ricorso): la lettera del 5.10.95 di richiesta variazione inquadramento, in cui si dava atto dell’inizio di attività dal 1978; la successiva del 22.11.95, in cui si chiedevano aliquote differenziate per i lavoratori operanti presso le imprese industriali e per quelli operanti presso imprese non industriali; la lettera del 30.11.95 in cui si faceva riferimento alle intese intercorse e si trasmetteva la domanda di iscrizione dal 1.11.95 distinguendo tra i due tipi di dipendenti; la istituzione da parte dell’Inps delle due posizioni assicurative. Sostiene la Società che sarebbe quindi erronea la ritenuta esistenza di dichiarazioni ingannevoli da parte sua, tali da rendere retroattiva, L. n. 335 del 1995, ex art. 3, comma 4, la iscrizione nel settore industria.

Con il secondo motivo, censurando la sentenza per violazione della L. n. 335 del 1995, art. 49, comma 1, lett. d) e art. 3, comma 8, si insiste nel sostenere l’inesistenza di dichiarazioni inesatte da parte di essa ricorrente, per cui la variazione di inquadramento non sarebbe retroattiva.

Con il terzo motivo, censurando la sentenza per violazione dell’art. 2195 cod. civ., L. n. 1115 del 1968, artt. 28 e 9, L. n. 464 del 1972, art. 1, L. n. 164 del 1975, artt. 1 e 12, L. n. 155 del 1981, art. 23 e L. n. 2233 del 1991, art. 16, nonchè L. n. 451 del 1994, art. 1, comma 7, si sostiene che le imprese di pulizia non rientrerebbero nel settore industria, di talchè non dovrebbero essere pagati i contributi per la Cigs. Nè quelli connessi per la mobilità.

Con il quarto mezzo, denunciando violazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 217, lett. a) e b), ci si duole che siano state ritenute legittime le sanzioni per il caso di evasione contributiva, in luogo di quelle più lievi previste per la omissione.

Il ricorso è parzialmente fondato.

1. La causa verte esclusivamente sulle differenze contributive concernenti la Cigs e la mobilità, perchè tale è l’oggetto della cartella impugnata che la ricorrente sostiene di non dover pagare.

Non vi è dubbio, in via generale, che il contributo Cigs e mobilità sia a carico solo delle aziende industriali, ai sensi della L. 223 del 1991, mentre ne sono esentate quelle del terziario.

Nella specie occorre però operare una distinzione tra la contribuzione da versare per i dipendenti della società ricorrente addetti alle pulizie presso aziende industriali e dipendenti addetti alle pulizie presso aziende non industriali, dal momento che è pacifico che alcuni dipendenti della ricorrente sono addetti alle pulizie presso l’un tipo di imprese ed altri presso aziende non industriali.

Per i primi, anche inquadrando la attuale ricorrente nel settore terziario, in ogni caso i contributi concernenti Cigs e mobilità erano comunque obbligatoli, in forza di una legge speciale sulle imprese di pulizia. Si tratta del disposto del D.L. n. 299 del 1994, convenite in L. n. 451 del 1994, art. 1 comma 7, che recita "A decorrere dal primo gennaio 1994 la disciplina del trattamento straordinario di integrazione salariale si applica ai dipendenti delle imprese appaltatici dei servizi di pulizia…. Il trattamento di integrazione salariale concesso nei casi in cui i predetti lavoratori siano sospesi dal lavoro o effettuino prestazioni di lavoro ad orario ridotto in conseguenza delle attività appaltate ove connessa all’attuazione, da parte dell’appaltante, di crisi aziendale o di programmi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale, che abbiano dato luogo all’applicazione del trattamento a carico della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria" (cfr. anche il decreto del Ministro del lavoro del 20 agosto 2002 "Criteri e requisiti per l’accertamento delle condizioni per l’intervento straordinario di integrazione salariale in favore dei dipendenti e dei soci delle imprese appaltatrici dei servizi di pulizia").

2. Ne consegue che, le imprese di pulizia devono pagare la contribuzione Cigs e mobilità per i propri dipendenti che sono addetti alle aziende industriali. Per questo tipo di personale infatti, vi è la possibilità che sorga il diritto alla Cigs, nel caso in cui i dipendenti dell’azienda industriale appaltante cui sono addetti, subiscano un processo di ristrutturazione, riorganizzazione ecc., che conferisca loro il diritto alla Cigs. Se dunque i dipendenti delle imprese industriali e i dipendenti delle imprese di pulizia, che a queste ultime sono addetti, sono accomunati quanto al diritto a questa misura di sostegno, sia le aziende industriali, sia le aziende di pulizia sono obbligate alla contribuzione Cigs, beninteso, queste ultime solo per quella parte dei dipendenti che lavorano presso le aziende industriali.

3. Resta il problema per la contribuzione parimenti chiesta con la cartella opposta per Cigs e mobilità dovuta per quei dipendenti dell’attuale ricorrente che sono addetti ad aziende non industriali, e in relazione a questa questione rileva sicuramente il settore di inquadramento, perchè, iscrivendo la società nel settore terziario, i contributi non sarebbero dovuti, dal momento che, come già detto, questa contribuzione è obbligatoria solo per le aziende inquadrate nell’industria.

Invero la attuale ricorrente era stata sempre inquadrata nel settore industria e nell’ottobre 1995 propose domanda di variazione, dall’industria al terziario, domanda che venne accolta dall’Inps, con accensione di due diverse posizioni assicurative.

Il provvedimento di variazione era sicuramente non conforme a legge, e di ciò si avvide l’ispettore nel corso dell’accesso del 1999 perchè, per le aziende già operanti prima della L. n. 88 del 1989, sono ultra attivi i precedenti inquadramenti, ai sensi dell’art. 49 del medesimo testo normativo, per cui avrebbe dovuto essere mantenuto l’inserimento nel settore industria.

4. Resta però da vedere se il provvedimento del 1999, di nuovo inserimento nel settore industria, emesso a seguito dell’ispezione, sia retroattivo e quindi copra la contribuzione richiesta con la cartella per il periodo novembre 1995 – dicembre 1996. Le variazioni di inquadramento effettuate dall’Inps non sono retroattive ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, salvo il caso in cui l’inquadramento precedente sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro. La sentenza impugnata ha affermato che vi erano state dichiarazioni inesatte da parte della Boni, che avrebbe indicato nel 1995 l’inizio dell’attività.

In relazione a questo punto sono fondate le censure di difetto di motivazione della società nel sostenere che la Corte adita non avrebbe tenuto conto della documentazione allegata, ossia delle note trasmesse all’Inps nel 1995 e riprodotte in ricorso, in cui si indicava invece che l’azienda era stata costituita ed operava dal 1978, come peraltro risultante dal certificato della Camera di Commercio parimenti allegato, e come era facilmente evincibile dalla documentazione stessa in possesso dell’Istituto, dal momento che la Boni aveva già una posizione assicurativa nel settore industria ed era quindi da escludere che si trattasse di una nuova attività. 5. Conclusivamente, i contributi Gigs e mobilità richiesti in cartella sono sicuramente dovuti per i dipendenti addetti alle pulizie presso le imprese industriali, in forza della normativa indicata al punto 1. e quindi la opposizione al cartella per questo tipo di contribuzione va rigettata.

Invece, per i contributi dovuti per i dipendenti addetti alle pulizie presso le aziende non industriali, sussistendo il difetto di motivazione in relazione alla esistenza di dichiarazioni inesatte della società che legittimerebbero la variazione di inquadramento retroattiva, le censure vanno accolte e la sentenza va cassata con rinvio alla medesima Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Resta assorbito il quarto motivo sull’ammontare delle sanzioni.

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente primi tre motivi di ricorso nei sensi di cui in motivazione e dichiara assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 14-12-2011, n. 1044

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato, che nelle more del giudizio, le parti coinvolte nell’odierno contenzioso (Autorità Portuale di Civitavecchia, Capitaneria di Porto di Gaeta, Comune di Gaeta, B.N.F.G. e Associazione Nautica Darsena Montesecco) in data 11 luglio 2011 hanno stipulato un accordo programmatico ad oggetto la definizione della problematica relativa alla disciplina degli ormeggi della darsena "Montesecco", delle problematiche connesse alle esigenze della BNFG di riqualificazione, aggiornamento e potenziamento del proprio porto turistico e delle problematiche connesse alle esigenze sociali della ADAMO, in cui, al punto VI), è stabilito che "il Comune e l’ADAMO, in ragione degli impegni assunti con il presente accordo, si obbligano a rinunciare, e pertanto effettivamente sin d’ora rinunciano, ai ricorsi giurisdizionali proposti nei confronti della BNFG innanzi al TAR Lazio Sezione Staccata di Latina, e comunque ai giudizi relativi all’atto formale suppletivo della BNFG";

Viste le copie dell’atto formale suppletivo di concessione reg. n. 16, rep. n. 25, del 25.10.2011 rilasciato dall’Autorità Portuale di Civitavecchia alla B.N.F.G. s.p.a. e della concessione n. 17/2011, rep. n. 26 dell’Autorità Portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, rilasciata a favore dell’Associazione Nautica Darsena Montesecco, depositate all’udienza pubblica del 17 novembre 2011;

Rilevato, che a seguito della stipulazione del descritto accordo programmatico e del rilascio delle conseguenti concessioni, è venuto meno l’interesse del Comune ricorrente alla coltivazione dell’odierno ricorso;

Ritenuto che sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti in causa;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso R.G. 1214/11, lo dichiara improcedibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.