Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. La controversia ha per oggetto la determinazione della giusta indennità dovuta per l’espropriazione di terreni di proprietà della LL Engeneering s.p.a. da parte del Consorzio Alta Velocità C.A.V. To.Mi. (nel seguito: consorzio), nel Comune di Settimo Torinese, decretata per l’esecuzione d’opere relativa alla realizzazione della linea ferroviaria d’alta velocità (OMISSIS), opera dichiarata di pubblica utilità con atto 31 gennaio 2002 dell’amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a..
La società espropriata aveva acquistato gli immobili per cui è causa, dopo la dichiarazione di p.u., dalla Cascina Armano con atto pubblico in data 31 dicembre 2002 debitamente trascritto. La società dante causa, tuttavia, aveva già promesso in vendita le stesse aree al consorzio, con preliminare non trascritto, per il prezzo di Euro 360.000,00 circa, di cui era stato corrisposto circa l’80%. Nel giudizio di merito l’attrice, in relazione a quel contratto, produsse attraverso il suo consulente tecnico una nota con la quale il consorzio offriva di pagare il residuo prezzo non ancora corrisposto, e sostenne che in forza della nota medesima le spettava il pagamento dell’intero prezzo a suo tempo concordato tra il consorzio e la sua Engeneering. Con sentenza 19 maggio 2010, la Corte d’appello di Torino ha ritenuto la produzione della citata nota inammissibile, e comunque non rilevante per la definizione del giudizio, e ha determinato l’indennità dovuta dal consorzio. Tenuto conto della relazione della consulenza tecnica d’ufficio assunta in corso di causa, la corte ha considerato che, in base al piano regolatore generale, e tenuto anche conto delle varianti adottate, al momento dell’espropriazione le aree in questione erano comprese in zona urbanistica P4, con destinazione d’uso: "aree produttive e terziarie; classe di destinazione: impianti industriali (1); classe d’intervento: aree di nuovo impianto (P)". In forza di tale classificazione i terreni espropriati dovevano considerarsi edificabili; e ciò, nonostante che il Piano Esecutivo Convenzionato prevedesse poi l’edificabilità delle sole aree comprese nelle zone SF1 e Sf2 dell’intervento, perchè la volumetria edificabile dell’area Sf3, in cui erano compresi i terreni espropriati, era stata trasferita su altro terreno di proprietà attrice compreso nell’area fondiaria Sf1. Doveva tuttavia tenersi conto dei vincoli dai quali i terreni espropriati erano interessati, risultanti dallo stesso Piano Esecutivo Convenzionato e successive varianti: vincoli inerenti alle fasce di rispetto dell’elettrodotto, della ferrovia, e del canale scolmatore. La corte ha quindi dichiarato di condividere il giudizio del consulente, che il valore del fondo dovesse essere valutato come pertinenziale in forza della sua destinazione urbanistica a parcheggio privato, dell’ubicazione (km 2,5 dal centro cittadino), e valutato, tenuto conto della sua esposizione e della giacitura pianeggiante in Euro 15,00 al mq.
2. Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorre la Sefas s.r.l., avente causa dalla LL Engeneering s.p.a. a seguito di atto di scissione, con atto notificato il 23 dicembre 2010 al consorzio, per sette motivi, illustrati anche con memoria.
Il Consorzio Alta Velocità To.Mi. resiste con controricorso e ricorso incidentale per un unico motivo.
A tale ricorso la ricorrente principale resiste con controricorso.
La Sefas s.r.l. ha depositato note di udienza.
Motivi della decisione
3. Il primo motivo del ricorso principale espone molteplici censure per vizio di motivazione. Sostiene che il giudice di merito:
– a) contraddittoriamente, dopo aver accertato in contrasto con il consulente d’ufficio la natura edificabile delle aree espropriate, avrebbe fatto propria la stima dello stesso consulente;
– b) erroneamente avrebbe tenuto conto dei vincoli di edificabilità assoluta accertati (fasce di rispetto di elettrodotto, linea ferroviaria e scolmatore), essendo stata l’area espropriata inserita in un piano di lottizzazione;
– c) illegittimamente avrebbe recepito la stima del valore espressa dal consulente tecnico d’ufficio, il quale, premesso che il metodo di stima è unico e basato sulla comparazione, diretta o indiretta, aveva affermato che non occorre che i beni in comparazione siano esplicitamente determinati;
– d) erroneamente avrebbe pretermesso l’esame di due atti aventi ad oggetto il trasferimento delle stesse aree (preliminare Cascina Armano – consorzio, e vendita Cascina Armano Engeneering), e di un altro preliminare avente ad oggetto il trasferimento di terreni adiacenti, invocati non per la loro efficacia vincolante, ma quali termini di riferimento per la stima;
– e) erroneamente avrebbe addebitato alla ricorrente l’omessa produzione dei documenti di cui al punto precedente, in un’azione di accertamento che doveva essere compiuto d’ufficio;
– f) illegittimamente avrebbe fatto propri i generici elementi di valutazione indicati dal consulente (destinazione urbanistica, ubicazione, esposizione e giacitura pianeggiante) per pervenire alla stima di Euro 15,000 al mq.
3.1. Il tema affrontato sub 3. d) è ripreso nei motivi sesto e settimo.
Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la corte territoriale dichiarato inammissibile la produzione della nota 17 maggio 2004 con cui il consorzio aveva offerto ad Engeneering il 20% del prezzo concordato con Cascina Armano s.r.l., laddove trattandosi di un giudizio di accertamento il giudice ha il dovere di procedervi senza vincoli procedurali.
Con il settimo motivo la stessa censura è svolta come violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 54. 3.2. I motivi sono infondati.
E’ innanzi tutto da osservare che il principio invocato dalla ricorrente, per il quale in tema di espropriazione per pubblica utilità, la speciale procedura di opposizione alla stima, da parte di chiunque essa provenga, non si configura quale impugnazione del provvedimento ablatorio limitato al controllo della determinazione amministrativa dell’indennità, contro la quale le parti sono obbligate a muovere ciascuna le proprie contestazioni a pena di decadenza, ma introduce un giudizio di accertamento della giusta indennità, pienamente autonomo, nel quale il giudice deve procedere alla concreta determinazione della stessa con tutti i suoi poteri di indagine, alla stregua di criteri legali effettivamente vigenti e riconosciuti applicabili alla fattispecie (Cass. 3 dicembre 2001 n. 15247), non implica che in questo caso il giudice abbia poteri d’indagine d’ufficio diversi da quelli di un comune giudizio di accertamento, ed ancor meno che il mancato esercizio dei poteri d’ufficio attribuiti alla discrezionalità del giudice di merito (quali ad esempio quelli contemplati dagli artt. 117, 118 e 213 c.p.c.) sia sindacabile in sede di legittimità. Nel caso di specie la corte territoriale ha utilizzato il suo potere d’ufficio di assumere una consulenza tecnica, e ha poi adeguatamente assolto il dovere di motivare la decisione di merito utilizzando anche tutti gli elementi emersi dalla relazione del consulente. L’esistenza di elementi di fatto esterni al giudizio – e specificamente di trattative intercorse tra le parti prima dell’inizio del processo – non rientra nella cognizione del giudice, e deve essere tempestivamente allegata e adeguatamente dimostrata dalla parte che vi abbia interesse. L’omessa considerazione di quegli elementi non integra, altrimenti, un vizio di motivazione censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
In secondo luogo è da ricordare il principio, già altre volte affermato da questa corte, per cui in tema di valutazione di aree edificabili, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, l’evoluzione del sistema normativo induce a negare valore preminente al metodo sintetico-comparativo, congeniale ad un sistema, oggi abbandonato alla luce della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, governato dal principio dell’edificabilità di fatto, mentre il metodo analitico – ricostruttivo, che muove dalle caratteristiche specifiche del fondo espropriato, dipende dalla qualificazione urbanistica dell’area, secondo il principio dell’edificabilità legale, conseguendone che il giudice che accolga le conclusioni del consulente tecnico secondo il metodo analitico, non è tenuto a motivare la mancata adozione del metodo sintetico (Cass. 19 gennaio 2007 n. 1161).
Nella specie il giudice di merito, non potendo tener conto dei documenti irregolarmente prodotti dalla parte, ha legittimamente valutato le possibilità edificatorie dell’area tenendo conto di tutti gli elementi acquisiti al processo, e in modo particolare di quelli emergenti dalla relazione del consulente, e avendo escluso tali possibilità ha proceduto alla stima del valore venale dell’area con un metodo indiretto, nel quale non si assume la comparazione diretta con il valore di fondi diversi ed omogenei, perchè un tale valore non era noto o desumibile dagli elementi acquisiti al giudizio.
In particolare, poi, il giudice di merito ha preliminarmente e correttamente osservato che l’edificabilità legale di un’area deve essere accertata, di regola, con esclusivo riguardo alla qualificazione urbanistica derivante dall’inserzione dell’area medesima in una zona omogenea del piano regolatore vigente; e che pertanto, tenuto conto del fatto che nella specie, al momento dell’espropriazione, le aree in questione erano comprese in zona urbanistica con destinazione ad impianti industriali, i terreni espropriati dovevano considerarsi edificabili; e ciò, nonostante che il Piano Esecutivo Convenzionato prevedesse poi l’edificabilità delle sole aree comprese nelle zone SF1 e Sf2 dell’intervento, perchè la volumetria edificabile dell’area Sf3, in cui erano compresi i terreni espropriati, era stata trasferita su altro terreno di proprietà attrice compreso nell’area fondiaria Sf1 (in coerenza con i principi enunciati da Cass. Sez. un. 21 marzo 2001 n. 125).
Altrettanto correttamente, peraltro, e senza incorrere in contraddizione, il giudice di merito ha pure considerato che doveva tenersi conto dei vincoli legali della proprietà, che nella specie risultava gravata per larga parte da vincoli di rispetto dell’elettrodotto, della ferrovia e del canale scolmatore. A nulla rileva, contro l’esattezza di questa affermazione, la circostanza di fatto che tali vincoli fossero conseguenza della realizzazione di una linea ferroviaria e delle opere ad essa accessorie, e cioè della stessa opera pubblica che comportava l’espropriazione. Non per questa ragione, infatti, il vincolo muta la sua natura conformativa della proprietà, che deriva invece esclusivamente da una previsione di legge, avente natura assolutamente generale e priva pertanto di qualsiasi relazione con l’espropriazione.
I motivi in esame devono pertanto essere respinti.
4. Con il secondo motivo si denuncia un vizio di motivazione in relazione al punto decisivo, costituito dall’accertamento della capacità edificatoria residua del terreno espropriato, avendo il consulente, e quindi poi lo stesso giudice di merito, escluso la sua incidenza affermando che l’edificabilità residua sarebbe realizzabile su terreno compreso nell’area fondiaria Sf1. Si eccepisce che quell’area non è più di proprietà dell’espropriata.
4.1. Sullo stesso punto si torna con il quinto mezzo d’impugnazione sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su una domanda o su un punto della domanda.
4.2. I due motivi sono infondati. In relazione all’area residua, non gravata da limiti legali della proprietà, il giudice di merito non ha ignorato le difese della società, ma ha considerato che il valore costituito dall’edificabilità legale dell’area espropriata era stato già salvaguardato dalla proprietaria con il trasferimento della volumetria edificabile su altra area pure di sua proprietà. In tale situazione viene a mancare, nella stima dell’area espropriata, l’ulteriore requisito dell’edificabilità di fatto, ed è pertanto infondata la pretesa dell’espropriata di beneficiare, in sede di liquidazione dell’indennità espropriativa dell’area, di un valore che sulla medesima area essa non avrebbe mai potuto realizzare, in forza di legittime scelte di convenienza già operate (giurisprudenza costante: cfr. Cass. 31 ottobre 2007 n. 22961).
5. Con il terzo motivo si torna sul valore dell’offerta del consorzio contenuta nella nota 17 maggio 2004. Si denuncia una violazione del D.P.R n. 327 del 2001, art. 20, perchè dovrebbe riconoscersi a quell’offerta valore vincolante, e si nega che essa sia stata rifiutata, avendo la proprietaria espropriata solo negato che le fosse opponibile il pagamento parziale già eseguito a favore della sua dante causa, in base a contratto preliminare non trascritto.
E’ innanzi tutto da chiarire che la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 20, non sussiste. La dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, infatti, risaliva a data (31 gennaio 2002) anteriore al 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327; e a norma dell’art. 57 D.P.R. cit., le disposizioni del testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, perchè in tal caso continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a quella data. Ne deriva l’inapplicabilità della norma invocata.
Quanto al resto il motivo è assorbito dall’inutilizzabilità del documento invocato dalla parte, secondo l’accertamento del giudice di merito non adeguatamente censurato. Si osserva peraltro che – secondo l’assunto – la nota in questione offriva di dare esecuzione ad un contratto precedente, per la parte ancora non soddisfatta: in relazione a ciò la posizione della ricorrente è contraddittoria, perchè nega – non senza fondamento – di poter essere pregiudicata da quel contratto, ma vorrebbe dare alla "offerta" del pagamento del residuo prezzo il valore di proposta di contratto di cessione per l’intero prezzo. Dalle stesse premesse risulta invece evidente che non vi sarebbe stata in ogni caso coincidenza tra offerta ed accettazione ( art. 1326 c.c., comma 5).
6. Con il quarto motivo la ricorrente principale censura l’omessa pronuncia sulla rivalutazione monetaria, pur avendo essa chiesto gli accessori.
Il motivo è manifestamente infondato. Il giudice di merito non aveva ragione di ritenersi investito, in forza di una domanda estremamente generica di condanna agli "accessori", di una richiesta di "rivalutazione" dell’indennità, che è esclusa in radice dal noto carattere di valuta da sempre attribuito dalla giurisprudenza a quel credito. Quanto all’eventuale risarcimento del maggior danno subito dal creditore durante la mora debendi ( art. 1224 c.c.) al quale sembra per altro verso riferirsi la doglianza, si tratta di domanda autonoma per fondamento, oggetto, oneri probatori e criteri di determinazione, che non può perciò essere compresa tra gli "accessori" del credito.
7. Occorre ora considerare il ricorso incidentale del consorzio. Con esso si deduce la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 37 e 40. Si sostiene che l’intervenuto trasferimento della volumetria edificabile dell’area espropriata su altra area di proprietà della stessa espropriata ne comportava l’inedificabilità, a torto negata dal giudice di merito.
7.1. Il motivo è infondato.
Il giudice di merito non ha stimato l’area espropriata in base alla sua supposta edificabilità, ma dopo aver genericamente affermato l’edificabilità sancita dalla qualificazione della zona urbanistica di piano regolatore, in cui l’area era inserita, ha escluso l’edificabilità legale per gran parte della stessa area a cagione dei limiti legali imposti dalle zone di rispetto, e per il resto ha escluso l’edificabilità di fatto. La stima dell’area è stata fatta pertanto in base al suo valore venale, conformemente a diritto.
8. I ricorsi devono essere pertanto respinti. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi riuniti e compensa le spese del giudizio di legittimità.
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