Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-11-2011, n. 23480

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che B.M., con ricorso notificato il 11 maggio 2006, ha impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura – nei confronti di V.A., la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 76/03 depositata in data 20 gennaio 2003, con la quale la Corte d’appello, pronunciando sull’appello del V. – volto ad ottenere la riforma della sentenza del Tribunale di Arezzo n. 83/01 del 30 gennaio 2001, con la quale era stata respinta l’opposizione del V. al decreto ingiuntivo pronunciato dal Presidente del Tribunale di Arezzo in favore del B., in contraddittorio con il B. – che, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del gravame, ha accolto l’appello e, in riforma della predetta sentenza di primo grado, ha revocato il decreto ingiuntivo opposte – che resiste, con controricorso illustrato da memoria, V.A., il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per intempestiva proposizione dello stesso, ai sensi del combinato disposto dell’art. 327 c.p.c., comma 1, e art. 398 c.p.c., comma 4;

che il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, per il rigetto dello stesso.

Considerato che il ricorso è inammissibile, per decadenza dal diritto di proporlo, ai sensi del combinato disposto dell’art. 327 c.p.c., comma 1, e art. 398 c.p.c., comma 4, nonchè per intempestività della sua proposizione, ai sensi del combinato disposto dell’art. 325 c.p.c., comma 1, art. 326 c.p.c., comma 1, e art. 398 c.p.c., comma 4;

che la sequenza processuale rilevante nella specie è la seguente: a) il B. ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 76/03, depositata in data 20 gennaio 2003 e non notificata, con ricorso notificato il 11 maggio 2006, vale a dire allorquando era scaduto – in data 7 marzo 2004 – il termine di un anno e quarantasei giorni per proporre tale impugnazione, di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1; b) lo stesso B. ha impugnato la predetta medesima sentenza n. 76/03 per revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze con citazione notificata il 14 gennaio 2004 ed indicante, quale giorno dell’udienza di comparizione, il 16 marzo 2004, data in cui era già scaduto il predetto termine lungo per la proposizione del ricorso per cassazione; c) la Corte d’Appello di Firenze adita per la richiesta revocazione – come è incontestato tra le parti – ha accolto l’istanza del B. proposta ai sensi dell’art. 398 c.p.c., comma 4 – di sospensione del termine per proporre il ricorso per cassazione, con ordinanza del 12 aprile 2004, allorquando cioè era già scaduto detto termine lungo per proporre tale ricorso;

che l’art. 398 c.p.c., comma 4, primo periodo pone la regola generale secondo cui "La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso per cassazione o il procedimento relativo", mentre il secondo periodo dello stesso comma – che detta una norma eccezionale rispetto alla regola predetta – attribuisce al giudice della revocazione, il quale "ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta", il potere discrezionale, previa istanza di parte, di sospendere detto termine o il procedimento per cassazione già pendente "fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione";

che è del tutto evidente che l’esercizio del potere di sospendere il termine per proporre il ricorso per cassazione presuppone – conformemente alla ratio della disposizione in esame, che mira a scoraggiare strategie meramente dilatorie rispetto alla fisiologica definizione del processo, nonchè al principio della improrogabilità dei termini perentori – la pendenza di tale termine al momento della decisione, da parte del giudice della revocazione, sull’istanza di sospensione formulata dalla parte interessata, con la conseguenza che il giudice della revocazione non deve concedere la richiesta sospensione se il termine medesimo risulti scaduto in detto momento, ciò ovviamente anche nel caso in cui egli ritenga la domanda di revocazione non manifestamente infondata, con l’ulteriore conseguenza che il provvedimento di sospensione eventualmente concesso a termine già scaduto è radicalmente nullo e, quindi, improduttivo dell’effetto sospensivo, per contrasto con il divieto di sospensione o di proroga dei termini perentori (art. 153 c.p.c., comma 1), quali sono quelli stabiliti dalla legge per l’esercizio del diritto di impugnazione (artt. 325 e 327 cod. proc. civ.), come nella specie;

che, sotto altro profilo, il presente ricorso per cassazione è inammissibile, anche per intempestività della sua proposizione, ai sensi del combinato disposto dell’art. 325 c.p.c., comma 1, art. 326 c.p.c., comma 1, e art. 398 c.p.c., comma 4;

che infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello equivale (sia per la parte notificante che per la parte destinataria) alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per cassazione va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell’art. 398 c.p.c., comma 4 (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 14267 del 2007 e 1196 del 2006);

che nella specie, come già dianzi rilevato, la citazione del B. per la revocazione della predetta medesima sentenza n. 76/03, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, da parte della Corte d’Appello di Firenze, è stata notificata il 14 gennaio 2004, con la conseguenza che il termine breve di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione è scaduto il 15 marzo 2004, con l’ulteriore conseguenza che – come già affermato in precedenza – l’ordinanza della stessa Corte d’Appello di Firenze, di sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione, emanata il data 12 aprile 2004, cioè successivamente alla scadenza del predetto termine breve, deve considerarsi radicalmente nulla e, quindi, improduttiva dell’effetto sospensivo, per contrasto con il divieto di sospensione o di proroga dei termini perentori (art. 153 c.p.c., comma 1), quali sono quelli stabiliti dalla legge per l’esercizio del diritto di impugnazione (artt. 325 e 327 cod. proc. civ.); come nella specie;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-05-2011) 12-07-2011, n. 27091 Misure di prevenzione

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Svolgimento del processo

1. Il 7 ottobre 2010 la Corte d’appello di Bari rigettava l’appello proposto da Z.C. avverso il decreto del locale Tribunale in data 14 gennaio 2009 che aveva disposto la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di p.s. per la durata di tre anni con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, nonchè la confisca dei beni mobili e immobili.

2. Avverso il suddetto decreto ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, Z., il quale lamenta carenza assoluta della motivazione in ordine agli elementi posti a base del provvedimento di confisca.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

1. Occorre premettere che, la L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 11, recante "Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza (e per la pubblica moralità), "limita alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto della Corte d’appello in materia di misure di prevenzione ed esclude la ricorribilità in cassazione per vizio di illogicità manifesta della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, confortato anche dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 321 del 2004), in tema di misure di prevenzione non è, pertanto, deducibile il vizio di manifesta illogicità della motivazione, ma solo quello di mancanza di motivazione, qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice di appello dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 11 (Cass., Sez. 6, 17 dicembre 2003, n. 15107, rv. 229305;

Cass., 26 giugno 2002, n. 28837, rv. 222754; Cass., Sez. 2, 6 maggio 1999, n. 2181, rv. 213852). Alla mancanza di motivazione è, peraltro, equiparata l’ipotesi in cui la motivazione risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente, o sia assolutamente inidonea a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Cass., Sez. Un. 28 maggio 2003, Pellegrino, rv.

224611 ; Cass., Sez. 1,9 novembre 2004, Santapaola, rv. 230203).

E, quindi, da escludere, in materia di misure di prevenzione, la deducibilità del vizio di motivazione, a meno che quest’ultima sia del tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente apparente, e cioè sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la ratto deciderteli.

2. Tanto premesso, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, la motivazione del decreto impugnato sia quanto alla confisca meramente apparente, in quanto, dopo avere richiamato condivisibili principi di diritto in tema di nesso causale tra condotta illecita e profitto, non ha in alcun modo risposto ai rilievi formulati dalla difesa sia con l’atto principale di impugnazione che con i motivi aggiunti dell’1 ottobre 2010, con i quali il ricorrente aveva dedotto, tra l’altro, che l’immobile e il fondo rustico erano pervenuti nella disponibilità di Z. a seguito di donazione e che la sua famiglia svolgeva attività commerciale, i cui redditi erano idonei a giustificare i modesti acquisti effettuati nel tempo.

S’impone, pertanto, l’annullamento del decreto impugnato e il rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Bari.

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Bari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-05-2011) 25-07-2011, n. 29769 Aggravanti comuni danno rilevante

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Svolgimento del processo

Con sentenza 26-4-2010 la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma di quella del Tribunale di Sondrio in data 8-6-2006, riconosceva a C.G. il vizio parziale di mente in relazione al reato di furto continuato, aggravato ai sensi dell’art. 625 c.p., n. 7, commesso in (OMISSIS) (su giacche di avventori di pubblici esercizi, e oggetti contenuti nelle tasche), e, ritenuta tale diminuente equivalente alle aggravanti (ivi compresa la recidiva), riduceva la pena ad anni uno di reclusione ed Euro 300 di multa.

Il ricorso proposto dal prevenuto per il tramite del difensore, avv. Alessandra Silvestri, è affidato a cinque motivi.

1) Violazione di legge per mancato riconoscimento del difetto dell’elemento psicologico in conseguenza del difetto di imputabilità. Il disturbo della personalità dell’imputato ha influito sulla volontà di commettere il reato, com’è confermato dalle modalità irrazionali della commissione (aveva afferrato una serie di indumenti indossandoli sotto gli occhi di un nutrito pubblico).

2) Violazione di legge per la mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, conseguente qualificazione del reato come furto semplice e improcedibilità per mancanza di querela: le giacche erano rimaste sotto la custodia diretta dei proprietari, essendo appese nei pressi dei tavoli occupati dai predetti.

3) Violazione di legge per mancato riconoscimento del tentativo in relazione al fatto in danno di D.F., in quanto C. non era mai stato perso di vista dal gestore del bar.

4) Erronea applicazione della legge penale per mancato riconoscimento delle generiche prevalenti sulle aggravanti (problemi personali, sociali e psichiatrici, recedenti risalenti all’epoca in cui era tossicodipendente).

5) Difetto di motivazione in ordine alla quantificazione della pena, che si discosta notevolmente dal minimo edittale.

Il difensore dell’imputato ha depositato memoria esplicativa del terzo e quarto motivo.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

1) Invano il ricorrente, che ha ottenuto il riconoscimento in appello del vizio parziale di mente, prospetta che la ridotta imputabilità abbia influenzato la sussistenza del dolo dei reati, per contro conclamata dalle modalità della condotta e dalla natura della refurtiva, sintomatica del fine di profitto, come già evidenziato nella sentenza di primo grado. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, e cioè che i fatti sarebbero stati caratterizzati da modalità irrazionali, essendosi svolti sotto gli occhi di un nutrito pubblico, risulta dalla sentenza di primo grado che i furti delle giacche commessi nei primi due esercizi pubblici, furono messi a segno in modo da non essere percepiti dai derubati, al punto che vennero scoperti soltanto dopo la sottrazione dei mazzi di chiavi dalle giacche appese nel terzo locale, quando C. fu fermato riuscendo a fuggire dopo essersi sfilati i capi di abbigliamento, in precedenza sottratti, che aveva avuto l’accortezza di indossare, i quali vennero riconosciuti dagli astanti come appartenenti ai frequentatori degli altri locali.

2) E’ poi erroneo l’assunto secondo cui le giacche appese all’interno di un pubblico esercizio dai proprietari seduti ai tavoli, non sarebbero esposte alla pubblica fede. Questa corte ha invero reiteratamente affermato che la ricorrenza dell’aggravante può essere esclusa soltanto se sulla cosa sia esercitata una diretta e continua custodia da parte del proprietario o di altra persona addetta alla vigilanza, tale che la percezione della sottrazione sia inevitabile, – il che è nella specie da escludere avendo il giudice sia di primo che di secondo grado, definito le giacche incustodite -, custodia non surrogabile neppure da sistemi di videosorveglianza in caso di negozi o supermercati, nè da impianti satellitari in caso di veicoli (Cass. 35473/2010, 9224/2010, 8019/2010).

3) Contrariamente a quanto sostenuto con il terzo motivo, il furto dei mazzi di chiavi in danno di D.F. non è qualificabile come tentativo. Per quanto infatti il gestore del locale avesse casualmente notato C. frugare nelle tasche delle giacche appese, quando egli avvertì i clienti il furto si era già verificato, essendosi il prevenuto, come risulta dalla sentenza di primo grado, impossessato delle chiavi che, una volta sorpreso dal proprietario, provvide a restituirgli, avendone quindi avuto la disponibilità, secondo quanto rilevato dalla corte territoriale, per un apprezzabile lasso di tempo.

4) e 5) La corte d’appello ha infine adeguatamente motivato tanto il diniego del riconoscimento di attenuanti generiche, non avendo ravvisato elementi positivamente valorizzabili e avendo sottolineato le plurime condanni per fatti analoghi ( C. era tra l’altro detenuto per altra causa al momento della celebrazione del giudizio d’appello), quanto la determinazione della pena, mediante richiamo alla gravità della condotta (numerosi furti commessi in breve lasso di tempo e in luoghi diversi) e alla personalità dell’imputato, emergente dalle precedenti condanne.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 16-09-2011, n. 2233

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La E. s.p.a. – proprietaria di un complesso immobiliare situato tra la via Statale e la via Dante – impugna le delibere indicate in epigrafe con cui il Comune di Barzago ha adottato ed approvato il piano di governo del territorio ed ha operato la relativa valutazione ambientale strategica, oltre alla deliberazione della Giunta regionale n. 6429 del 27.12.2007, recante "determinazione della procedura per la valutazione ambientale di piani e programmi".

2. La ricorrente contesta, in particolare, la disciplina dettata per l’area di sua proprietà, qualificata quale ambito di trasformazione PET 11, e la localizzazione, in tale ambito (oltre che negli ambiti PET 8 e PET 12), di una nuova viabilità di progetto di classe comunale, per i seguenti motivi:

I. violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 8, l. reg. Lombardia n. 12/2005; eccesso di potere per assenza di istruttoria e di motivazione;

II. violazione e falsa applicazione dell’art. 9, l. reg. Lombardia n. 12/2005; eccesso di potere per assenza di istruttoria, illogicità e contraddittorietà della motivazione, ingiustizia grave e manifesta;

III. violazione degli artt. 810, l. reg. Lombardia n. 12/2005; violazione dei principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa; eccesso di potere per irrazionalità, illogicità e contraddittorietà della motivazione;

IV. violazione e falsa applicazione dell’art. 9, l. reg. Lombardia n. 12/2005, dell’art. 6, l. reg. Lombardia n. 3/2009 e dell’art. 42 Cost.; eccesso di potere per irrazionalità della motivazione;

V. violazione e falsa applicazione dell’art. 8, l. reg. Lombardia n. 12/2005 per mancata previsione dei criteri di negoziazione degli indici urbanistici fissati nel documento di piano, eccesso di potere per irrazionalità e contraddittorietà della motivazione;

VI. violazione e falsa applicazione dell’art. 8, l. reg. Lombardia n. 12/2005; contenuto prescrittivo del documento di piano;

VII. violazione e falsa applicazione dell’art. 8, l. reg. Lombardia n. 12/2005; eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto assoluto di istruttoria e di motivazione;

VIII. violazione e falsa applicazione dell’art. 9, d.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione: la scheda relativa all’ambito PET 11 consente, per gli edifici esistenti, in attesa della pianificazione attuativa, solo gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria e risanamento conservativo ma non la ristrutturazione edilizia;

IX. violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 12, l. reg. Lombardia n. 12/2005 per mancata individuazione dello strumento urbanistico attuativo per l’esecuzione delle previsioni del PET 11;

X. illegittimità della disciplina relativa al meccanismo perequativo; violazione e falsa applicazione dell’art. 11, l. reg. Lombardia n. 12/2005, eccesso di potere per ingiustizia manifesta e disparità di trattamento;

XI. violazione e falsa applicazione dell’art. 10, l. reg. Lombardia n. 12/2005 per mancata disciplina del complesso immobiliare nel piano delle regole;

XII. violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e ss., d.lgs. n. 152/2006, dell’art. 4, l. reg. Lombardia n. 12/2005 e del d.lgs. n. 4/2008; eccesso di potere per irrazionalità e contraddittorietà della motivazione; difetto assoluto di competenza;

XIII. violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e ss., d.lgs. n. 152/2006, dell’art. 4, l. reg. Lombardia n. 12/2005 e del d.lgs. n. 4/2008; irrazionalità e contraddittorietà della motivazione; difetto assoluto di competenza;

XIV. illegittimità della delibera della Giunta regionale n. 6420 del 27.12.2007 per violazione degli artt. 5 e 11, d.lgs. n. 152/2006, dell’art. 4, l. reg. Lombardia n. 12/2005 e del d.lgs. n. 4/2008;

XV. violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e ss, d.lgs. n. 152/2006, dell’art. 4, l. reg. Lombardia n. 12/2005 e del d.lgs. n. 4/2008; irrazionalità e contraddittorietà della motivazione; difetto assoluto di attribuzione.

3. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Barzago e la Regione Lombardia, e, oltre a dedurre l’infondatezza nel merito della domanda, hanno eccepito la carenza di interesse della società ricorrente a contestare la valutazione ambientale strategica del p.g.t.

4. All’udienza del 7 luglio 2011 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.

5. Il motivo cui viene lamenta l’illogicità della previsione della viabilità di progetto è fondato.

Il p.g.t. prevede, invero, una viabilità di progetto interna che attraversa tre differenti ambiti territoriali (PET8, PET11 e PET12), senza però imporre una disciplina complessiva dell’opera di urbanizzazione che sia comune ai tre ambiti attraversati (come, invece, è previsto nel caso in cui il singolo ambito sia attuato per comparti).

In conseguenza di ciò, la possibilità, in sede di progettazione attuativa, di definire una diversa collocazione della strada – affermata dall’amministrazione comunale in sede di controdeduzione all’osservazione formulata dalla società ricorrente – può essere vanificata o comunque alquanto limitata dalle scelte operate negli ambiti adiacenti (come si è, per l’appunto, verificato con l’adozione del PET8, avvenuta con deliberazione n. 22 del 4.4.2011) o, comunque, può portare a esiti illogici, come la realizzazione, anche in tempi diversi, di tratti di strada non collegati fra loro o alla viabilità esistente, quale indicata nel p.g.t., o, comunque, inidonei a soddisfare le esigenze perseguite dall’amministrazione.

Considerando, invero, che lo scopo, dichiarato nel p.g.t., della viabilità di progetto non è solo quello di servire i comparti ma anche quello di fornire un’alternativa all’utilizzo della strada provinciale n. 342 e di portare ad una riduzione del traffico sulla via Dante, la mancata previsione dell’obbligo di presentare un progetto unitario, comune ai tre ambiti, rende ancor più palese il vizio di manifesta illogicità della scelta operata dall’amministrazione.

Le deliberazioni di adozione e di approvazione del piano di governo del territorio, nella parte in cui prevedono la realizzazione della viabilità di progetto, sono pertanto illegittime.

6. La ricorrente lamenta, poi, la violazione dell’art. 8, l. reg. Lombardia n. 12/2005 – poiché la scheda relativa all’ambito PET11, contenuta nel documento denominato DdP R4 detterebbe direttamente, in via definitiva, tutti gli indici stabiliti per il comparto, senza prevedere criteri di negoziazione degli indici, e, inoltre, conterrebbe vere e proprie statuizioni prescrittive, con immediata efficacia sui suoli interessati – e la illogicità degli indici previsti.

Le censure sono infondate.

La disciplina dettata dal p.g.t. non viola la previsione di cui all’art. 8, l. reg. Lombardia n. 12/2005.

Il documento di piano non prestabilisce, invero, rigidamente gli indici urbanisticoedilizi dell’ambito; esso pone piuttosto dei limiti entro i quali lascia, poi, spazio alla pianificazione attuativa di individuare soluzioni alternative.

L’art. 45 delle n.t.a. del piano delle regole dispone, invero, che gli ambiti di trasformazione "sono normati dal D.d.P. per quanto concerne i criteri ed i limiti quantitativi e qualitativi, nonché per la dotazione infrastrutturale e di servizi. (…)

Ogni ambito è analizzato nell’allegato DdP R4 "Previsioni di Piano – Indicazioni e normativa specifica per gli ambiti di trasformazione" del Documento di Piano, mediante una apposita scheda che fornisce tutte le indicazioni necessarie di inquadramento, obiettivi, indici e parametri urbanistici, servizi, analisi delle criticità ambientali, prescrizioni e strategie.

Con tali schede, l’Amministrazione ha lo strumento tecnico necessario per la valutazione di soluzioni progettuali alternative in sede di redazione dei singoli piani attuativi, a condizione che vengano mantenuti inalterati gli obiettivi quantitativi, qualitativi e le strategie che l’Amministrazione stessa intende raggiungere attraverso la disposizione planimetrica prevista per ogni singolo ambito di trasformazione".

Gli indici urbanisticoedilizi indicati nella scheda relativa all’ambito in questione non sono dunque indici definitivi.

Le indicazioni di massima contenute nel documento di piano, lasciando alla pianificazione attuativa la possibilità di prevedere differenti soluzioni, sono, quindi, da ritenersi pienamente conformi alle previsioni di cui agli artt. 8 e 12, l. reg. Lombardia n. 12/2005.

Ugualmente, la generica previsione di un marciapiede sulla via Dante, in mancanza di una localizzazione dell’opera, non ha un’incidenza diretta ed immediata sul regime giuridico dei suoli.

Né gli indici previsti possono ritenersi illegittimi, non essendo affatto illogica la previsione di medie strutture di vendita articolate su più piani.

7. Non è causa di illegittimità la mancata espressa previsione, nella scheda di dettaglio, tra gli interventi consentiti sugli edifici esistenti, della ristrutturazione edilizia.

La scheda di dettaglio, sia al punto 8 delle prescrizioni per la progettazione che tra le strategie, ammette, invero, la ristrutturazione edilizia.

In ogni caso, la possibilità di attuare interventi di ristrutturazione edilizia è comunque consentita dall’art. 19, c.8, delle n.t.a del documento di piano, norma che riproduce l’art. 9, d.P.R. n. 380/2001.

Né un limite alla realizzabilità di interventi di ristrutturazione edilizia può rinvenirsi nella previsione dettata dal comma 7 dell’art. 19 delle n.t.a.: è, invero, possibile accedere ad un’interpretazione della n.t.a. conforme alla legge, ritenendo che per gli edifici esistenti, pur aventi una destinazione d’uso in contrasto con quelle previste per l’ambito di trasformazione – per il quale non sia stato approvato lo strumento urbanistico attuativo – siano ammissibili sia gli interventi previsti al comma 7 che quelli di cui al comma 8.

8. È, poi, infondata la censura con cui viene lamentata la mancata individuazione dello strumento urbanistico attuativo per l’esecuzione delle previsioni del PET 11: la pianificazione attuativa è, invero, adeguatamente disciplinata all’art. 20 delle n.t.a. del documento di piano, ai sensi della quale "gli interventi edilizi ed urbanistici sulle aree di trasformazione sono subordinati all’approvazione di Piani Attuativi. Il Comune su tali aree valuta la richiesta del privato, formulata in applicazione di quanto previsto all’art. 6 (avviso pubblico) per l’attivazione di un Piano Attuativo e, qualora non ritenga di procedere a Piano Particolareggiato o comunque ad altro strumento di iniziativa pubblica sulla stessa area, accoglie tale richiesta ed indica le caratteristiche dell’intervento, la precisazione dei contenuti discrezionali previsti dalle specifiche norme relative all’area interessata e per il coordinamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria e la dotazione di standard urbanistici, in relazione alle previsioni del Piano dei Servizi. L’Amministrazione comunale dovrà comunicare al privato proponente se intende procedere a Piano Particolareggiato o comunque ad altro strumento di iniziativa pubblica sull’area oggetto dell’istanza entro 60 gg. dalla richiesta. In caso di mancata pronuncia del Comune entro il termine stabilito essa si intende espressa in senso negativo e l’istanza di Piano attuativo d’iniziativa privata potrà proseguire nell’iter di approvazione".

9. Con il decimo motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità della disciplina relativa al meccanismo perequativo previsto per il PET 11 per violazione e falsa applicazione dell’art. 11, l. reg. Lombardia n. 12/2005, eccesso di potere per ingiustizia manifesta e disparità di trattamento.

La censura è infondata.

La norma di cui all’art. 11, c. 2, l. reg. Lombardia n. 12/2005 nel disporre che l’amministrazione – ove attribuisca alle aree del territorio comunale un identico indice di edificabilità territoriale, inferiore a quello minimo fondiario, differenziato per parti del territorio comunale – disciplini il rapporto con la volumetria degli edifici esistenti, in relazione ai vari tipi di intervento previsti, non pone affatto un obbligo di conservare la volumetria esistente.

Al comma, l’art. 11, l. Regione Lombardia n. 12/2005, prevede, invero, espressamente, la conferma delle volumetrie degli edifici esistenti solo "se mantenuti".

L’amministrazione quindi, specie laddove – come accade nel caso in esame – muti la destinazione delle aree, ben può ridurre le volumetrie realizzabili rispetto a quanto previsto dalla disciplina urbanistica previgente.

Non può, poi, ravvisarsi un vizio nel fatto che il meccanismo perequativo non sia stato esteso all’intero territorio comunale ma sia previsto solo per alcuni ambiti di trasformazione.

L’art. 11, l. reg. Lombardia n. 12/2005 dispone che l’amministrazione possa attribuire un identico indice di edificabilità territoriale, inferiore a quello minimo fondiario, differenziato per parti del territorio comunale a tutte le aree del territorio comunale, con eccezione delle aree destinate all’agricoltura e di quelle non soggette a trasformazione urbanistica: con ciò la norma attribuisce una facoltà alla p.a. che non deve essere necessariamente esercitata sull’intero territorio comunale.

Né la ricorrente ha addotto elementi che palesino errori di fatto o abnormi illogicità nella decisione di assoggettare alla perequazione il comparto PET11.

10. È, infine, infondata anche la censura con cui viene dedotta la violazione dell’art. 10, l. reg. Lombardia n. 12/2005 in quanto il complesso immobiliare di proprietà della ricorrente non sarebbe disciplinato nel piano delle regole.

Gli ambiti di trasformazione devono, invero, essere individuati dal documento di piano, ai sensi dell’art. 8, c. 2, lett. e) e può, comunque, ritenersi sufficiente il rinvio operato dagli artt. 2 e 45 delle n.t.a. del piano delle regole alla disciplina contenuta nel documento di piano.

11. Le altre censure proposte – e in particolare quelle rivolte avverso la valutazione ambientale strategica e la deliberazione della Giunta regionale n. 6429 del 27.12.2007 – possono essere assorbite in quanto sorrette unicamente dall’interesse a contestare la viabilità di progetto, la cui illegittimità è già stata accertata.

12. Per le ragioni esposte il ricorso è, dunque, fondato nei limiti di cui in motivazione.

13. In considerazione della solo parziale fondatezza del ricorso, le spese di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla le deliberazioni del Consiglio Comunale di Barzago n. 16 del 7 aprile 2009 e n. 63 del 16 dicembre 2009 nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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