Cassazione Penale, Sentenza n. 1081 del 2011 Motivazione dei provvedimenti di custodia cautelare e insussistenza degli indizi ex art. 273 c.p.p.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Con ordinanza 16.08.2010 il Tribunale di Roma rigettava la richiesta di riesame proposta da [OMISSIS] avverso l’ordinanza 3.08.2010 con cui il GIP del Tribunale di Latina gli ha imposto la misura cautelare degli arresti domiciliari per i reati di violenza sessuale aggravata (palpeggiamenti di zone erogene di ragazze minori degli anni 14 che facevano il bagno nelle acque antistanti il lido [OMISSIS].

Rilevava la Corte che la gravità indiziaria emergeva dalle denunce di due giovani bagnanti che autonomamente avevano riferito in modo circostanziato sul comportamento dall’imputato, perfettamente riconosciuto, che le aveva palpeggiate in acqua, nonché dalla deposizione del bagnino, allertato da una delle vittime, che aveva osservato l’uomo che si posizionava dietro le ragazzine aspettando che le onde le trascinassero verso di lui.

Costui proponeva ricorso per cassazione denunciando violazione dell’art. 606 lettera e) c.p.p. e mancanza di motivazione sull’individuazione dell’autore del reato essendosi gli accusatori contraddetti su punto.
Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.

Il ricorso, che non investe le esigenze cautelari, è infondato perché la decisione impugnata non presenta i denunciati vizi di motivazione essendo stati correttamente individuati gravi indizi di colpevolezza a carico dell’imputato.

Nel presente procedimento incidentale gli indizi, per i quali non sono richiesti, come per l’art. 192 n. 2 c.p.p., i requisiti dell’univocità e della concordanza, devono essere gravi, idonei, cioè, a dimostrare l’esistenza di un reato e la rilevante probabilità che l’imputato ne sia autore.

Deve trattarsi di elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che consentono di prevedere che saranno sufficienti a dimostrare la responsabilità, fondando nel contempo una qualificata probabilità di colpevolezza.

Sulle valutazioni effettuate a tal fine, il compito del giudice di legittimità è limitato alla verifica della sussistenza e logicità della motivazione, la cui mancanza o manifesto vizio risultino dal testo del provvedimento impugnato, essendo inibito il controllo sull’attendibilità del fonte di prova allorquando essa sia stata sottoposta alla verifica di attendibilità oggettiva e soggettiva, nei limiti consentiti dalla fase processuale di un’indagine preliminare.

Ha anche affermato questa Corte che “la motivazione dei provvedimenti che impongono la misura cautelare della custodia in carcere, necessariamente sommaria, non può trasformarsi in una pronuncia anticipatoria del conclusivo giudizio finale, anche se deve, comunque, sempre fondarsi su fatti e circostanze concrete e ragionevolmente significative nella prospettiva dell’ipotesi criminosa formulata nei confronti dell’indagato onde consentire la ricostruzione dell’iter argomentativo attraverso cui il giudice è pervenuto alla decisione adottata” (Cassazione Sezione 1^, 21.10.1993, Lombardo, RV. 196907).

Ne consegue che l’insussistenza degli indizi richiesti dall’art. 273 è deducibile in sede di legittimità solo se si traduce in mancanza assoluta o illogicità manifesta della motivazione o in violazione di specifiche norme, sicché non è consentito censurare la ricostruzione dei fatti né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la concludenza e rilevanza dei dati probatori, ove l’apprezzamento sia adeguatamente motivato (cfr. Cassazione Sezione 1^, n.707/1992, DA vino, RV. 189227: “in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale le doglianze espresse in un ricorso per cassazione e attinenti al difetto sia dei gravi indizi di colpevolezza sia delle esigenze cautelari possono assumere rilievo solo se si traducono in un motivo di annullamento che può essere ravvisato unicamente nella violazione dell’art. 292 comma secondo lett. c) cod. proc. pen., il quale, per essere rilevabile in sede di legittimità, deve rientrare nelle previsioni di cui all’art. 606 comma primo lett. e) stesso codice. Ne consegue che esula dalle funzioni della Corte di Cassazione la valutazione sulla concreta sussistenza tanto degli indizi quanto delle esigenze cautelari, ciò rientrando fra i compiti esclusivi dei giudici del merito, dapprima del giudice cui e stata chiesta l’applicazione della misura, e poi, eventualmente, del giudice del riesame.

Non sono, quindi, proponibili censure che richiamano circostanze di fatto implicitamente esaminate dal Tribunale e che tendono sostanzialmente a una diversa valutazione dei dati fattuali su cui è fondato il convincimento espresso in sede di merito”.

Nel caso di specie, il Tribunale ha osservato i sopraindicati principi, avendo riconosciuto, con motivazione logica e coerente, la serietà indiziaria degli elementi di accusa provenienti da diverse persone che, al di là delle discrepanze di non rilevante spessore su aspetti marginali della vicenda, convergono nell’indicare l’indagato quale autore di fatti, di chiara connotazione sessuale, caduti sotto la loro diretta percezione.
Non risponde al vero, quindi, che le acquisizioni delle indagini preliminari siano state travisate in danno dell’indagato, essendo emersi a sostegno della gravità indiziaria validi elementi, in precedenza indicati, sorretti da oggettivi dati di riscontro.

I rilievi difensivi, di natura fattuale, sono stati implicitamente valutati e correttamente ritenuti inconsistenti al contrario di quelli offerti dall’accusa che, sottoposti ad adeguato vaglio critico, consentivano di pervenire al ragionevole convincimento del chiaro e inscindibile nesso tra gli indizi e la condotta criminosa riferibile all’indagato.

Per il rigetto del ricorso, che non censura le ritenute esigenze cautelari, il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-12-2010) 20-01-2011, n. 1820 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Perugia ha confermato la pronuncia di colpevolezza di P.S. in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv. e 609 bis c.p., e art. 609 septies c.p., comma 4, a lui ascritto per avere, reiteratamente, in circostanze diverse, costretto con violenza ed abuso di autorità il minore S.M., a lui affidato per aiutarlo nel lavoro, a subire atti sessuali, consistiti in palpeggiamenti delle parti intime, nel portare la mano del S. verso il suo organo genitale e da ultimo nello spogliarlo e metterlo a contatto con le proprie parti intime.

Secondo la ricostruzione dei fatti riportata nella sentenza i genitori del S. avevano deciso di mandare il figlio, ancora studente, con il P., da loro conosciuto qualche anno prima, perchè lo aiutasse nel suo lavoro di elettricista, sia pure senza compenso ed in modo non continuativo, nella prospettiva di consentirgli di apprendere un mestiere, che avrebbe potuto giovargli in futuro. Nell'(OMISSIS) la madre ed il fratello del S.M. avevano notato un cambiamento nel comportamento del minore e che questi aveva iniziato ad accampare scuse per non andare dal P.. Dinanzi ad un’ennesima sollecitazione della madre, il figlio le aveva risposto dicendole che non voleva più vedere il P. e di riferire a quest’ultimo che "quelle cose" si facevano con le femmine e non con i ragazzi.

Su sollecitazione della madre il minore le confidava, quindi, le attenzioni sessuali di cui era stato oggetto concretatesi sostanzialmente nelle condotte descritte in imputazione e verificatesi in tre circostanze diverse. Da ultimo le molestie sessuali, secondo il narrato del minore, si erano verificate all’interno di un appartamento, in cui si era recato con il P. per eseguire un lavoro, dove l’imputato, chiusa a chiave la porta dell’appartamento, lo aveva buttato sul letto e dopo averlo spogliato si era messo sopra di lui, spogliandosi a sua volta.

La madre collocava la rivelazione di tale episodio la mattina del (OMISSIS), giorno in cui dichiarava di essersi recata dai Carabinieri per denunciare l’accaduto, senza, però, presentare querela.

Segue nella sentenza la descrizione dei singoli episodi di abuso sessuale e vengono rigettati i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva dedotto che la querela, presentata dai genitori del P. il (OMISSIS), è tardiva; dedotto la inattendibilità della parte lesa; chiesto, in subordine l’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c. e la riduzione della pena anche per effetto dell’avvenuto risarcimento del danno.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione della legge penale in relazione alla affermata tempestività della querela presentata il (OMISSIS) dai genitori del P..

Si deduce, in sintesi, che la madre del S.M. è venuta a piena conoscenza dei fatti e della identità dell’imputato il giorno (OMISSIS), secondo quanto riferito dalla stessa parte lesa, e solo il giorno successivo si è recata a denunziare i fatti ai Carabinieri, con la conseguente tardività della querela presentata il (OMISSIS).

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 609 septies c.p., comma 4, n. 2).

Si deduce che i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto il reato perseguibile di ufficio ai sensi della disposizione citata.

Si osserva che nella specie era inesistente qualsiasi rapporto di natura autoritaria, che secondo la giurisprudenza deve avere carattere pubblicistico, tra l’imputato e la parte lesa e neppure, poteva ravvisarsi un vero rapporto di apprendistato, in quanto il minore non era alle dipendenze del P.; tra i due non esisteva un contratto di lavoro; nè il minore veniva retribuito, ma aiutava saltuariamente l’imputato per ragioni di amicizia e, peraltro, secondo la sua disponibilità.

Nel prosieguo del motivo di gravame si esclude anche che la condotta posta in essere dal P. fosse connotata da violenza fisica, che l’imputato non avrebbe potuto neppure esercitare, essendo affetto da una patologia alla spalla, che gli impediva di compiere movimenti bruschi e comunque di esercitare una certa forza.

Con l’ulteriore mezzo di annullamento si denuncia la manifesta illogicità della motivazione della sentenza in ordine alla ritenuta attendibilità della parte lesa.

Si deduce che la sentenza ha illogicamente cercato di giustificare le contraddizioni in cui è incorso il minore nella successiva narrazione dei fatti con particolare riferimento alla descrizione dell’ultimo episodio per il quale il P. era stato imputato anche di sequestro di persona.

Si osserva che le dichiarazioni della parte lesa minore devono essere vagliate con particolare rigore e scrupolo e si conclude, facendo rilevare che i giudici di merito, poichè avevano ritenuto pienamente attendibili le dichiarazioni del S., avrebbero dovuto tener conto della affermazione di questi, secondo la quale la madre era venuta a conoscenza dell’accaduto il (OMISSIS).

Con il quarto mezzo di annullamento si denuncia inosservanza ed erronea applicazione di legge con riferimento al diniego dell’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c..

Si deduce, in sintesi, che nella specie doveva essere escluso che la condotta dell’imputato fosse caratterizzata da un rilevante grado di coartazione, così come doveva escludersi un grado elevato di lesività della stessa nei confronti della parte lesa, considerato che il S. aveva narrato i vari episodi senza remore e tenuto conto anche dell’età infrasedicenne della parte lesa.

Con l’ultimo mezzo di annullamento si denuncia infine, per violazione ed errata applicazione di legge, la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6).

Si sostiene che la citata attenuante ha natura soggettiva e deve essere concessa agli imputati che abbiano risarcito il danno, come provato nel caso in esame. Si osserva inoltre che i giudici di merito hanno erroneamente escluso la possibilità di concedere all’imputato la citata attenuante in considerazione delle già concesse attenuanti generiche, la cui funzione è totalmente diversa da quella dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6).

Il ricorso non è fondato.

Preliminarmente la Corte rileva che tuttora non si è verificata la prescrizione del reato continuato ascritto all’imputato, il cui ultimo episodio risale all'(OMISSIS), dovendosi applicare, ai sensi della L. n. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3 il disposto degli art. 157 e 160 c.p. nella formulazione previgente alla medesima legge.

Osserva, quindi, la Corte in ordine al primo motivo di gravame che l’accertamento della data in cui la madre è venuta integralmente a conoscenza dei vari episodi criminosi commessi in danno del figlio è questione di fatto non contestabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione.

Vizio di motivazione che nella specie non sussiste, nè è stato denunciato in relazione alle argomentazioni della sentenza impugnata.

Peraltro, la sentenza ha tenuto conto delle dichiarazioni del minore in ordine alla indicazione del giorno in cui avrebbe narrato i fatti alla madre.

Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

La sentenza impugnata ha correttamente affermato che, nel caso in esame, l’azione penale era procedibile di ufficio, ai sensi dell’art. 609 septies c.p., comma 4, n. 2), essendo stato affidato il minore al P. affinchè gli insegnasse un mestiere e, quindi, per ragioni di istruzione.

Tale termine deve intendersi di ampio significato, facendosi rientrare nella nozione di istruzione qualsiasi tipo di insegnamento che determini un rapporto costante, pur con qualche interruzione, tra colui che insegna e l’apprendista e la naturale sottoposizione del secondo alle direttive di colui che lo deve istruire.

Va, infine, rilevato che la situazione prevista dall’art. 609 septies c.p., comma 4, n. 2), secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, è integrata da qualunque rapporto fiduciario di affidamento del minore infrasedicenne per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia, anche quando si tratti di un affidamento temporaneo od occasionale, (sez. 3, 30.9.2002 n. 38057, Cofone, RV 223789; sez. 3, 13.5.2009 n. 24803, RV 244124; sez. 3, 26.1.2010 n. 16461, RV 246755).

Sono inoltre infondati gli ulteriori motivi di gravame.

In ordine alla fattispecie criminosa ascritta all’imputato la Corte osserva che, se è esatto il rilievo del ricorrente circa la non configurabilità della fattispecie di reato caratterizzato da abuso di autorità, in quanto l’autorità deve avere carattere pubblicistico (sez. un. 31.5.2000 n. 13, P.M. in proc. Bove. RV 216338), sussiste senz’altro, invece, l’ipotesi dell’abuso sessuale commesso con violenza, sia per essere stato accertato l’effettivo esercizio di forza fisica con riferimento all’ultimo episodio criminoso, sia perchè nella nozione di violenza rientrano anche le azioni repentine, tali da impedire alla parte lesa di opporsi alla commissione dell’abuso sessuale, (cfr. sez. 3, 27.1.2004 n. 6945, Manta, RV 228493).

Sulla valutazione della piena attendibilità della parte lesa vi è adeguata motivazione, immune da vizi logici.

In particolare l’errore in cui è incorso il minore in ordine al fatto che la porta dell’appartamento in cui si è verificato l’ultimo episodio non era chiusa a chiave è stato ampiamente spiegato dai giudici di merito, che hanno assolto l’imputato dal delitto di sequestro di persona.

Sul diniego della attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c. vi è adeguata motivazione giuridicamente corretta, avendo la Corte territoriale valutato sul punto tutti gli elementi indicati nell’art. 133 c.p., comma 1 (cfr. sez. 3, 200402597, Bruttomesso, RV 227397).

L’attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 6), infine, presuppone che il risarcimento del danno sia avvenuto prima del giudizio, mentre nel caso in esame è incontroverso che detto risarcimento è intervenuto nel corso del processo di primo grado.

Correttamente, peraltro, la sentenza ha osservato che il risarcimento tardivo è stato già valutato ai sensi dell’art. 62 bis c.p..

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 01-02-2011, n. 908 Annullamento dell’atto in sede giurisdizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 25 maggio 2010, depositato il successivo 28 maggio, il ricorrente, dirigente I., impugna la deliberazione 25 marzo 2010, con la quale il Consiglio dell’I. ha istituito l’Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto interno e internazionale delle assicurazioni e vi ha preposto il ricorrente "in ragione delle sue attitudini, capacità e del suo curriculum professionale" (oltre ad avervi assegnato altro funzionario).

Il ricorrente premette:

– che in precedenza era stato destinatario di un ordine di servizio con il quale era stato assegnato all’analogo Ufficio di staff del Presidente, contestualmente istituito;

– che, impugnato tale provvedimento, questo Tribunale lo annullava con sentenza 11 febbraio 2010 n. 1963, "sia con riferimento all’istituzione dell’Ufficio" (qualificato "empty box"; sia "con riferimento all’attribuzione ad esso del dott. M., non essendo stati effettuati né una valutazione dei vari profili dei dirigenti potenzialmente interessati, né una valutazione del profilo del dott. M.";

– che in sostanza, con il provvedimento impugnato con il presente ricorso l?I. "ha emanato un atto confermativo del precedente… giustificandolo, sotto il profilo meramente formaleprocedurale, con un’apparente istruttoria e motivazione relative: a) all’opportunità di confermare l’esigenza di tale ufficio…; b) all’opportunità di confermare l’assegnazione dello stesso al dott. M.".

Avverso tale provvedimento, vengono proposti i seguenti motivi di ricorso:

a) nullità assoluta per palese violazione di giudicato;

b) sviamento di potere, posto che il provvedimento ripropone "un’evidente ritorsione nei confronti di un dipendente, reo soltanto di avere tutelato i propri interessi con una precedente azione";

c) violazione dei principi di buon andamento, efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, posto che viene nuovamente istituito un ufficio che è una scatola vuota, le cui attribuzioni "si sovrappongono alle attribuzioni di altri uffici già esistenti all’interno dell’I.";

d) violazione art. 19 d. lgs. n. 165/2001, poiché "è mancata ogni benché minima forma di pubblicizzazione interna della istituzione di tale ufficio, tale da consentire agli eventuali dirigenti interessati di presentare la propria candidatura" e, di conseguenza, "è mancata ogni valutazione di ordine comparativo con riferimento ai possibili interessati all’Ufficio che avessero, nel frattempo, presentato la propria candidatura";

e) violazione art. 97 Cost., art. 19, co. 2, d. lgs. n. 165/2001, art. 4, comma terzo, Reg. organizzazione I., poichè "è mancata ogni valutazione di ordine comparativo con riferimento al profilo, oltre che del dott. M., anche di altri dirigenti che l’I. avrebbe dovuto prendere in considerazione", laddove, al contrario, si è apoditticamente affermata la inopportunità di distogliere gli altri dirigenti dai loro compiti, mentre si è proceduto ad una "valutazione positiva delle qualità" del ricorrente "in palese contrasto con le valutazioni estremamente negative delle qualità professionali dello stesso";

f) eccesso di potere per irragionevolezza e contraddittorietà, posto che, a fronte dei presupposti ("ricerca di un dirigente di alto profilo professionale per ricoprire un importante ufficio"), si è invece assegnato a questo il dott. M. "le cui qualità professionali sono state negativamente valutate dall’Istituto", così riproponendo "un’evidente ed ingiustificata retrocessione ad personam".

Si è costituita in giudizio l’I., che ha concluso richiedendo il rigetto del ricorso, stante la sua infondatezza.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e deve essere, pertanto, accolto, per le ragioni di seguito esposte.

Con sentenza n. 1963/2010, questo Tribunale, nell’accogliere il ricorso proposto dal M. avverso – tra l’altro – l’ordine di servizio 14 maggio 2008 n. 218 del Presidente dell’I., con il quale veniva istituito un Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto interno ed internazionale delle assicurazioni, con assegnazione al medesimo del dott. M., ha rilevato:

– la "omissione di alcun fondamento motivazionale della scelta di adibizione del ricorrente all’unità istituita";

– la "rilevabile carenza di preliminari approfondimenti istruttori volti a validare la scelta operata dall’amministrazione, nel senso di rappresentare, se non l’intervenuta ponderazione comparativa delle posizioni dei diversi soggetti eventualmente suscettibili di essere investiti dell’incarico in questione, almeno delle qualità e/o competenza professionali che hanno orientato la decisione sulla persona del dott. M." (a maggior ragione per il fatto che questi era stato fino ad allora preposto ad una struttura di line e veniva ora preposto ad una "struttura di staff non corredata di personale proprio".

A fronte di ciò, il Consiglio I. – avviato, con comunicazione ex art. 7 l. n. 241/1990, un nuovo procedimento "per l’assegnazione alla predetta unità organizzativa" del dott. M. – ha proceduto, su relazione del Presidente, previa proposta del Servizio risorse umane, alla istituzione del citato Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto interno e internazionale delle assicurazioni, preponendovi il ricorrente.

Orbene, il Tribunale rileva che – pur rappresentando il provvedimento ora impugnato l’esito di un autonomo procedimento amministrativo, di modo che opportunamente lo stesso è stato oggetto del presente, autonomo ricorso giurisdizionale, non sussistendo dunque la pur lamentata nullità ex art. 21septies l. n. 241/1990 – lo stesso risulta affetto dai vizi di cui sai motivi sub c), d), ed e) dell’esposizione in fatto.

Ed infatti, in primo luogo, l’amministrazione non ha affatto motivato in ordine alla necessità di istituzione di un autonomo Ufficio con compiti di studio, in presenza di una funzione già in tal senso assolta dal Servizio studi, per il tramite della Sezione affari internazionali e della Sezione studi (art. 7 del Regolamento di organizzazione dell’I.) e, in parte, dalla Sezione consulenza legale, operante nell’ambito della Direzione coordinamento giuridico (art. 11.2 del Regolamento); né perché tale funzione, già assolta insieme ad altre nell’ambito di strutture di line, debba assurgere ad una propria articolazione autonoma e debba essere "trasferita" (una volta "potenziata") dalle strutture di line alle strutture di staff.

Occorre notare, in particolare, che il Servizio studi, secondo il citato Regolamento, "assicura all’Istituto il supporto di approfondimento e conoscenza del mercato assicurativo sia italiano che estero, sotto gli aspetti economico, finanziario e fiscale".

Se è vero, come già affermato da questo Tribunale, che la "prerogativa di modellare la propria struttura organizzativa" spettante ad ogni amministrazione richiede "un corredo motivazionale non particolarmente articolato e/o diffuso", è altrettanto vero che un onere di motivazione comunque sussiste e, dunque, la motivazione deve essere, sia pure succintamente, esplicitata.

E ciò, come si è detto, a maggior ragione laddove, come nel caso di specie, si decida:

– l’estrapolazione di uno specifico compito di studio e consulenza dalla più ampia funzione di "studi" (o anche di "consulenza legale"), con conseguente creazione di una autonoma struttura, quantomeno equiparabile ad un "servizio" (tale essendo l’unità, come si evince dalla preposizione ad essa del ricorrente, dirigente di grado IV, che, diversamente opinando, risulterebbe, anche per altro verso, illegittima), non ritenendosi quindi sufficiente per affrontare il compito (reso autonomo) una "sezione" (alla quale è sufficiente, ex art. 4, preporre un dirigente di grado III, II o I);

– la determinazione di una scelta organizzativa in virtù della quale tutti i compiti di studio sono assolti da una sezione (sia essa la Sezione affari internazionali o la Sezione studi), così come tutti i compiti della "sezione" consulenza legale sono assolti appunto da una "sezione", mentre un unico compito (lo studio dell’evoluzione del diritto interno e internazionale delle assicurazioni), è invece svolto da un "servizio" (o equiparato), unità organizzativa di livello superiore, come si evince dall’art. 4 del citato regolamento;

– la ricollocazione dell’unità organizzativa neoistituita dagli uffici di line a quelli di staff (senza peraltro operare alcuna rimodulazione dei compiti degli uffici di line sin qui citati, pur in presenza di evidenti sovrapposizioni), con conseguente, diversa considerazione – non motivata – della natura dei compiti svolti (in quanto già assolti da un ufficio di line, ed ora da un ufficio di staff).

A fronte di tale impegnativa scelta effettuata dall’amministrazione, l’unica motivazione presente è rappresentata dalla segnalazione di "permanente necessità" dell’Ufficio, segnalata dal Servizio risorse umane, che, se pure definisce la funzione allo stesso affidata come "strategica", tuttavia non fornisce alcuna indicazione in ordine alle scelte come sopra rappresentate.

Per tali versi, appare dunque fondato il motivo sub c) dell’esposizione in fatto.

Quanto al diverso (e conseguente) aspetto della individuazione del dirigente da preporre a tale ufficio, il Tribunale rileva come l’I. abbia escluso a priori ogni possibilità di avviso e, quindi, di verifica dell’esistenza di eventuali manifestazioni di interesse, da parte di altri dirigenti, all’ufficio medesimo, come dimostra l’invio della comunicazione di avvio del procedimento al solo dott. M..

Il che dimostra come, per un verso, sia mancata (in quanto a priori autoesclusa) ogni comparazione tra dirigenti interessati a detta preposizione; per altro verso dimostra come l’amministrazione abbia preventivamente escluso anche ogni valutazione comparativa "ex officio" tra i propri dirigenti; per altro verso ancora, dimostra come l’individuazione del dott. M. è intervenuta in virtù della segnalazione dell’Ufficio risorse umane (atto del 25 febbraio 2010) e quindi prima e al di fuori del procedimento amministrativo, avviato con comunicazione del 26 febbraio 2010; in altre parole, prima si è individuato il dirigente da preporre, poi si è avviato il procedimento volto alla preposizione, con una evidente inversione logicogiuridica, lesiva del principio di buon andamento amministrativo.

E ciò pur a fronte della chiara previsione dell’art. 19 d. lgs. n. 165/2001, secondo il quale (comma 1bis) "l’amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta".

Per le ragioni sin qui esposte, risultano fondati anche gli ulteriori motivi di ricorso (sub d), ed e) dell’esposizione in fatto), e, pertanto, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato, ritenendosi pertanto assorbiti i restanti motivi sub b) ed f).

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. I, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da M. M. (n. 4838/2010 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 18-02-2011, n. 315 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente impugna il permesso di costruire 4064/08 e la variante 4064/08/1 rilasciata alla controinteressata Immobiliare Seven6 snc per la costruzione di un complesso immobiliare costituito da un fabbricato destinato a contenere quattro appartamenti e due ville unifamiliari, che verrebbe a svilupparsi nel lotto adiacente quello in cui il ricorrente vive con la propria famiglia aumentando i carichi urbanistici della zona e togliendogli luce, aria e la vista del lago.

Il ricorrente ritiene che il permesso di costruire sia illegittimo e contro di esso spiega i seguenti motivi di ricorso:

1. il permesso di costruire sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 13, co. 12, l.r. 12/05 e dell’art. 12 d.p.r. 380/01, perché il permesso di costruire rilasciato il 16. 4. 2009 si pone in contrasto con le misure di salvaguardia previste dal PGT adottato il 18. 12. 2008, ma non ancora approvato (esso consentirebbe, infatti, di edificare volumetria con l’indice 0,80 mc/mc laddove il PGT adottato prevede volumetria per 0,60 mc/mq);

2. il permesso di costruire in variante sarebbe inoltre illegittimo per violazione degli artt. 7.9, 9.10, 10.8, 11.1 e 11.2 delle n.t.a. del piano delle regole del PGT adottato, sia nella parte in cui prevedono un’altezza massima degli edifici in m. 8 o di m. 7 per i lotti di prima edificazione (laddove l’altezza massima dell’edificio in questione sarebbe pari a m. 8.44 o m. 8.60, a seconda del punto di rilievo), sia nella parte in cui individuano la volumetria massima edificabile (che è di complessivi 1.408,64 mc laddove l’assentibile sarebbe di soli 929.09 mc), in entrambi i casi perché non calcola il sottotetto sfruttando la norma dell’art. 9.11. n.t.a. che esclude il sottotetto qualora la sua altezza media sia non superiore a m. 1.50 in un caso in cui, peraltro, l’altezza media è di m. 1.65.

Si costituiva in giudizio la controinteressata Immobiliare Seven6 snc, che deduceva l’irricevibilità per tardività e comunque l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Nessuno si costituiva per Il Comune di Paratico.

Nel ricorso era chiesta anche la sospensione del provvedimento impugnato.

Con ordinanza del 15. 7. 2010, n. 459 il Tribunale accoglieva provvisoriamente l’istanza cautelare disponendo altresì istruttoria.

Con ordinanza del 2. 9. 2010, n. 574 il Tribunale disponeva ulteriori acquisizioni documentali.

Con ordinanza del 30. 9. 2010, n. 684 il Tribunale accoglieva definitivamente l’istanza cautelare, stabilendo che dalla lettura della relazione del tecnico comunale del 26. 7. 2010 (depositata a seguito dell’istruttoria della fase cautelare) emergeva con chiarezza che il permesso di costruire era stato emesso nonostante la mancanza di conformità al PGT adottato sulla base dell’erroneo presupposto che dovesse essere valutato non il momento di emissione del provvedimento ma quello (peraltro, molto più nebuloso) di completamento della istruttoria procedimentale, e che sempre dalla lettura della stessa relazione emergeva che erano state calcolate in modo erroneo le altezze, che non rispetterebbero la previsione dell’art. 9.11 del p.d.r.; il Tribunale riservava al merito l’esame della eccezione di irricevibilità.

Il ricorso veniva discusso nel merito nella pubblica udienza del 9. 2. 2011, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

I. Il ricorso è fondato.

II. Preliminarmente occorre affrontare l’eccezione di irricevibilità.

Essa si fonda su fotografie depositate dalla controinteressata da cui risulterebbe che alla data del 22. 4. 2010 l’intervento si presentava già in fase avanzata di costruzione (in realtà, sembrerebbe essere stati realizzati soltanto piano terra e solaio del primo piano).

Il ricorso è stato notificato il 29. 6. 2010, e quindi, secondo la controinteressata alcuni giorno dopo la scadenza del sessantesimo giorno dalla conoscenza del provvedimento.

Il ricorrente ricostruisce diversamente la decorrenza dei termini per ricorrere: il 23. 4. 2010 avrebbe fatto istanza di accesso agli atti, il 13. 5. 2010 avrebbe ottenuto la documentazione con il permesso di costruire, ed il 29 giugno – e quindi entro il termine di sessanta giorni dal 13 maggio – ha notificato il ricorso.

A giudizio della controinteressata, l’accesso non sposterebbe la decorrenza del termine.

In realtà, la questione può essere ricostruita in questo modo.

In diritto i termini del problema sono notissimi e vi si accenna solo sinteticamente. L’art. 21, co. 1, l. 1034/71 vigente al momento dei fatti, disponeva che il ricorso dovesse essere notificato "entro il termine di giorni sessanta da quello in cui l’interessato ne abbia ricevuta la notifica, o ne abbia comunque avuta piena conoscenza". In casi, quale quello in esame, in cui non si versa in ipotesi di provvedimento di cui il ricorrente abbia ricevuto notifica, ciò che rileva è la data in cui lo stesso ne ha "avuta piena conoscenza". L’esercizio del diritto di accesso pertanto non rileva in sé, ma soltanto nella misura in cui ha consentito alla parte di avere piena conoscenza del provvedimento impugnato.

In fatto si fronteggiano la tesi che individua la data della piena conoscenza nel 22. 4. 2010 (e la piena conoscenza viene fatta derivare dalla circostanza che affacciandosi dalle finestre di casa il ricorrente poteva vedere un cantiere già abbastanza avanzato, in cui era stato gettato anche il solaio del primo piano) e la tesi che la individua nel 13. 5. 2010 (in cui la piena conoscenza viene fatta derivare dalla circostanza che in quella data il ricorrente ha avuto in mano permesso di costruire ed allegati ed ha compreso esattamente cosa si stesse costruendo davanti casa sua).

Tra le due tesi è, in fatto, fondata la seconda, posto che – per sostenere che già solo per presa d’atto visiva vi fosse la piena conoscenza già alla data del 22. 4. 2010 – occorre provare che quanto era già stato realizzato a quella data fosse manifestamente superiore ai carichi volumetrici o di altezza ammissibili nell’area (il quantum della volumetria ed il quantum dell’altezza sono i due profili dedotti in ricorso). Una tale prova però non c’è.

Diverso sarebbe stato se il ricorrente avesse dedotto che davanti a casa sua non si poteva proprio costruire, perché in quel caso la piena conoscenza si sarebbe già perfezionata alla data del 22. 4. 2010, ma il ricorrente non contesta l’an dell’edificazione, ma il quantum in relazione ai parametri dell’altezza e della volumetria, e per essi una prova di cosa esattamente venisse costruito prima dell’esercizio del diritto di accesso non v’era.

In questo contesto non ha alcun rilievo la circostanza (che afferma la controinteressata e nega il ricorrente) che già il solaio del primo piano gettato al 22. 4. 2010 togliesse la vista lago al ricorrente, perché la perdita della vista del lago è una delle voci di cui si compone l’interesse a ricorrere (che è, peraltro, fatto anche di perdita di luce ed aria e dell’aumento della presenza antropica sul territorio con la corrispondente riduzione dei servizi a propria disposizione), ma non un motivo di ricorso (i motivi, come detto, sono l’esubero di volumetria ed altezze, che al 22. 4. 2010 non erano ancora percepibili alla sola vista e sono stati accertati con l’accesso).

III. Nel merito il ricorso è fondato.

E’ pacifico in fatto che il progetto assentito si ponga in contrasto con le misure di salvaguardia previste dal PGT adottato.

Nella relazione acquisita in sede istruttoria il Comune ha provato a sostenere che il permesso era stato rilasciato comunque perché alla data in cui era stato adottato il PGT era stata completata l’istruttoria della pratica in questione, ma sul punto il Tribunale ha già preso posizione nella ordinanza di sospensiva rilevando che si tratta di tesi priva di qualsiasi consistenza giuridica, in quanto affida ad un momento del tutto nebuloso, quale quello della chiusura dell’istruttoria, la decorrenza delle misure di salvaguardia.

Il permesso di costruire rilasciato dal Comune e la relativa variante si pongono, pertanto, in contrasto con l’art. 12, co. 3, d.p.r. 380/01 (secondo cui "In caso di contrasto dell’intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda….) e con l’art. 13, co. 12, l.r. 12/05 (secondo cui "nel periodo intercorrente tra l’adozione e la pubblicazione dell’avviso di approvazione degli atti di PGT si applicano le misure di salvaguardia in relazione a interventi, oggetto di domanda di permesso di costruire, ovvero di denuncia di inizio attività, che risultino in contrasto con le previsioni degli atti medesimi"), e devono essere annullati.

IV. Forse perché consapevole dei vizi che affliggono il titolo, la controinteressata ha chiesto essa stessa l’annullamento in autotutela del permesso di costruire, istanza su cui però il Comune non ha provveduto (almeno prima della data in cui è stato introitato per la decisione questo ricorso, si ignorano le vicende successive), e pertanto non si può dichiarare la cessazione della materia del contendere.

V. Le spese seguono la soccombenza (addossate a Comune, pur non costituito, e controinteressata, in solido tra loro) e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE il ricorso, e, per l’effetto, annulla il permesso di costruire 4064/08 e la variante 4064/08/1.

CONDANNA il Comune di Paratico e la controinteressata Immobiliare Seven6 snc, in solido tra loro, al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite, che determina in euro 4.500, più i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.