T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 03-03-2011, n. 620 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il primo ricorso, notificato il 02.01.1995 e depositato il 16.01.1995, la Cooperativa D.C.E.A.D.B. (da ora anche solo Coop.) ha impugnato la deliberazione in epigrafe specificata, con cui il Consiglio comunale di Valdidentro ha adottato delle varianti al P.R.G., con cui ha assegnato l’area di proprietà della stessa ricorrente, di cui ai mapp. 252, 254 e 688, alla zona "C" – area di standard a livello comunale per attrezzature di interesse comune.

Su detta area, che sino ad allora era stata, stando alla ricostruzione dell’esponente medesima, assegnata alla zona "B"- aree residenziali già edificate – la Coop., con istanza del 18.4.1994, aveva richiesto il rilascio di una concessione edilizia per lavori di recupero e di ristrutturazione ad uso residenziale del proprio fabbricato.

Con lettera del 12.7.1994 il Sindaco aveva risposto richiedendo integrazioni documentali, cui la stessa Coop. aveva dato seguito il successivo 16 luglio.

Con ulteriore missiva del 04.10.1994 erano stati nuovamente richieste, sempre dall’Autorità comunale, delle integrazioni documentali, cui la ricorrente aveva dato riscontro il successivo 24 ottobre.

Sennonché, con lettera datata 3.11.1994 il Sindaco dell’intimato Comune avrebbe comunicato all’istante l’adozione, da parte del C.C., della deliberazione n. 46 del 30.09.1994, avente efficacia preclusiva degli interventi edilizi richiesti.

Contro di essa è stato, perciò, interposto l’odierno gravame, affidato ai motivi di seguito specificati:

1) eccesso di potere per difetto di motivazione.

Ciò, in quanto l’assegnazione dell’immobile della Coop. alla zona destinata a standard AC sarebbe rimasta operazione isolata, circoscritta soltanto all’area dell’esponente, mentre, altro fabbricato attiguo – recante il n. 251 del fg 39, e che formerebbe un sol corpo edilizio con quello della Coop – sarebbe rimasto, come tutte le restanti aree della medesima zona, classificato in zona B (aree residenziali già edificate).

D’altro canto, all’apposizione del vincolo sull’area dell’esponente avrebbe fatto riscontro l’eliminazione di un vincolo di eguale natura in precedenza gravante sul fondo contraddistinto al n. 240 lett. d), di proprietà del Comune di Valdidentro.

Di tutto ciò nessuna spiegazione sarebbe ricavabile nella motivazione dell’atto impugnato, a riprova del vizio come sopra denunciato.

2) eccesso di potere per difetto di motivazione e per sviamento.

Ciò, in quanto sarebbe stato "liberato" dal vincolo di standard l’immobile di cui al cit. mapp. 240 di proprietà del Comune di Valdidentro, per addossare il medesimo vincolo sull’immobile dell’esponente, senza rendere palese il fine perseguito dall’ente locale con siffatta operazione.

Nessuno si è costituito per la parte intimata.

Con ordinanza n. 329 del 31.01.1995 è stata respinta la formulata domanda incidentale di sospensione.

Con deliberazione n. 29455 del 20.06.1997 la Giunta regionale della Lombardia ha approvato la deliberazione comunale di adozione della cit. variante (pubbl. sul B.U.R.L. 6.08.1997).

Con ricorso notificato il 10.11.1997 al Comune di Valdidentro e il successivo 13.11.1997 alla Regione Lombardia e depositato il successivo 20.11.1997 la Coop ha impugnato anche la citata deliberazione regionale unitamente alla precedente deliberazione di adozione della variante.

I motivi riecheggiano quelli del precedente ricorso, giacché gli stessi fanno tutti leva sul vizio di eccesso di potere, sotto più profili (ovvero: per difetto di motivazione, per disparità di trattamento, manifesta ingiustizia e sviamento).

Nessuno si è costituito per le parti intimate.

Con dichiarazione del 3.12.2008 la ricorrente ha dichiarato di avere ancora interesse alla decisione del ricorso 190/1995.

Con istanza del 16.10.2009 l’esponente ha richiesto la riunione del ricorso n.5372/1997 al ricorso n. 190/1995.

In prossimità della pubblica udienza è stata depositata dal patrocinio ricorrente memoria conclusionale per entrambe le cause.

Alla Pubblica udienza del 21.12.2010 entrambe le cause sono state trattenute dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione

Preliminarmente, il Collegio deve disporre la riunione del ricorso n. 5372/1997 al ricorso n. 190/1995, per evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva.

Passando al merito dei ricorsi, il Collegio ritiene di potere esaminare congiuntamente i due gravami, per comodità espositiva, vertendo gli stessi sui medesimi atti (con l’aggiunta, nel secondo ricorso, della deliberazione regionale di approvazione della deliberazione comunale di adozione della variante impugnata col primo ricorso) sospettati di illegittimità per i medesimi motivi.

Ebbene, quanto all’asserito difetto di motivazione delle deliberazioni di che trattasi, il Collegio non può non rimarcare come le scelte di ordine urbanistico, volte ad imprimere una particolare destinazione urbanistica ad una zona, compiute in un P.R.G. o in una sua variante, siano riservate alla discrezionalità dell’Amministrazione, che, quindi, non è tenuta a dare specifica motivazione delle singole scelte operate, in quanto le stesse trovano giustificazione nei criteri generali di impostazione del piano.

Per tale via, ben si comprende come, anche la variante di un piano regolatore che conferisca una nuova destinazione ad aree che risultano già urbanisticamente classificate, necessiti di apposita motivazione soltanto qualora le classificazioni preesistenti siano assistite da specifiche aspettative, in capo ai rispettivi titolari, fondate su atti di contenuto concreto.

In particolare, su tale ultimo aspetto, va ribadito come, per pacifica giurisprudenza (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, IV, 24 aprile 2009, n. 2630; Cons. Stato, IV, 19 giugno 2007, n. 3294; id., 14 maggio 2007, n. 2411; id., 14 ottobre 2005, n. 5713), le situazioni soggettive idonee a suscitare un’aspettativa siffatta siano soltanto quelle qualificate e aventi ad oggetto una specifica destinazione dei suoli dell’interessato, come, ad es., quelle derivanti da accordi intervenuti con l’ente locale, in particolare da convenzioni di lottizzazione divenute operative, oppure, da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o dalla reiterazione di un vincolo scaduto (Cfr., tra le altre, Consiglio Stato, sez. IV, 04 maggio 2010, n. 2545; Cons. St., V, 2 marzo 2009, n. 1149; C.d.S., IV, 5 agosto 2005, n. 4166; senza trascurare che, la giurisprudenza più recente, esclude la sussistenza di situazioni soggettive qualificate in ipotesi di un piano di lottizzazione approvato, ma non ancora sfociato nella stipula della relativa convenzione; così, ad es., Cons. St., IV, n. 2630/2009 cit.; e, ancora più recente, T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 20 aprile 2010, n. 2034, secondo cui: "…meritevoli di questa particolare forma di tutela sono peraltro solo quelle situazioni caratterizzate da un affidamento "qualificato" e tale posizione è stata riconosciuta: a) nel superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; b) nella lesione dell’affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia (oggi permesso di costruire) o di silenziorifiuto su una domanda di concessione; c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo").

Nessuna di siffatte situazioni ricorre in concreto nel caso che ne occupa, nel quale si deve rilevare come l’adottata variante non incida su aspettative assistite da particolare tutela o da speciale affidamento, essendosi in presenza di una mera richiesta di concessione edilizia, sulla quale l’Amministrazione si era espressa, prima della pubblicazione della deliberazione di adozione della variante de qua, soltanto con un parere negativo, accompagnato dalla richiesta di integrazioni documentali (cfr. doc. n. 6 di parte ricorrente).

Trattasi, quindi, di una situazione di mero fatto, non idonea, ad avviso del Collegio, a dare luogo ad una posizione tutelata quale aspettativa qualificata o quale affidamento in capo al soggetto la cui posizione sia, per questo, meritevole di specifica considerazione in sede di motivazione delle nuove scelte urbanistiche compiute con la variante di piano regolatore qui contestata.

In base ai ricordati orientamenti, infatti, come riaffermati anche di recente dalla giurisprudenza sopra richiamata, per una più penetrante motivazione di una tale revisione non è sufficiente la semplice, preesistente, possibilità edificatoria, almeno fin quando siffatta "possibilità" non abbia dato luogo ad un affidamento qualificato, riconducibile esclusivamente alle tipizzate situazioni sopra enucleate; ciò, poiché in questo caso, il mutamento di destinazione trova sufficiente giustificazione (in linea con quanto previsto dall’art. 10, comma 7, della legge 17 agosto 1942, n. 1150), nelle "sopravvenute ragioni che determinano la totale o parziale inattualità del piano o la convenienza di migliorarlo" (così Cons. St., IV, 12 marzo 2009, n. 1431).

Incidentalmente, poi, preme al Collegio rilevare come, dalla documentazione versata in atti, risulti la formulazione, da parte ricorrente, di apposite osservazioni alla deliberazione di adozione della variante, delle quali si dà atto nella stessa deliberazione regionale di approvazione, ove pure risulta che il Comune intimato ha contro- dedotto alle predette osservazioni con apposita delibera consiliare n. 5 del 10.03.1995, di cui, tuttavia, parte ricorrente non dà alcun cenno.

Passando, quindi, all’esame delle censure che fanno leva sulla disparità di trattamento, l’ingiustizia manifesta e lo sviamento, il Collegio non può che richiamare, anche qui, l’orientamento ormai costante della giurisprudenza, per cui le scelte urbanistiche possono formare oggetto di sindacato giurisdizionale nei soli casi di arbitrarietà, irrazionalità o irragionevolezza ovvero di palese travisamento dei fatti che costituiscono i limiti della discrezionalità amministrativa (Cfr. Consiglio di stato, sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6882).

Ne consegue che, in sede di previsioni di zona di piano regolatore, la valutazione dell’idoneità delle aree a soddisfare, con riferimento alle possibili destinazioni, specifici interessi urbanistici, rientra nei limiti dell’esercizio del potere discrezionale, rispetto al quale, ove, come nel caso di specie, non possano ipotizzarsi abnormi illogicità, non è configurabile neppure il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento, basato sulla impropria comparazione con la destinazione impressa agli immobili o zone adiacenti (Cfr., ad es., Cons. St., IV Sez., n. 4024 del 2009; nonché, di recente, Consiglio Stato, sez. III, 17 settembre 2010, n. 2536, secondo cui: "Le scelte di pianificazione urbanistica relative ad un determinato terreno od immobile appartengono alla sfera degli apprezzamenti di merito dell’Amministrazione per cui, in ordine alla stessa, non sono ipotizzabili censure di disparità di trattamento basate sulla comparazione con la destinazione impressa ad immobili adiacenti, dovendo tali scelte obbedire solo al superiore criterio di razionalità nella definizione delle linee dell’assetto territoriale, nell’interesse pubblico alla sicurezza delle persone e dell’ambiente e non anche ai criteri di proporzionalità distributiva degli oneri e dei vincoli. Ne deriva che la valutazione dell’idoneità delle aree a soddisfare, con riferimento alle possibili destinazioni, specifici interessi urbanistici, rientra nei limiti dell’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione, non sindacabile neppure sotto il profilo di eccesso di potere per disparità di trattamento, a meno che non siano riscontrabili errori di fatto o abnormi illogicità").

Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso che qui occupa, si deve escludere che la scelta dell’amministrazione in ordine alla classificazione dell’area di proprietà dell’esponente sia affetta dai summenzionati vizi.

Per le considerazioni che precedono, quindi, tutti i motivi di ricorso, come sopra proposti, in relazione ad entrambi i ricorsi, in epigrafe specificati, devono essere disattesi, con conseguente rigetto di entrambi i gravami.

Nulla a provvedere sulle spese di lite, stante la mancata costituzione delle parti intimate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, così decide:

– riunisce il ricorso n. 5372/1997 al n. 190/1995;

– respinge entrambi i riuniti ricorsi.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 21-03-2011, n. 1711 contratti

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con il ricorso n. 5701 del 2006, proposto al T.a.r. Campania, sede di Napoli, la società cooperativa L.R.B., con sede in Casal di Principe (CE), ha impugnato la nota del Prefetto di Caserta n. 8/12b.16/ANT/AREA 1^ del 17 luglio 2006, recante informativa antimafia sulla sussistenza a suo carico delle cause interdittive di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994, nonché la conseguente comunicazione, resa dal Comune di Marcianise, di avvio del procedimento finalizzato a recedere dal contratto rep. n. 20 dell’8 marzo 2006 di appalto dei lavori di costruzione di parcheggi pubblici comunali.

Con la sentenza gravata n. 565 del 2008, il T.a.r. ha respinto il ricorso.

2. Per ottenere la riforma di tale decisione, propone ora appello la società cooperativa L.R.B..

Alla pubblica udienza del 18 gennaio 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.

3. L’appello risulta infondato e va respinto, il che consente di prescindere dalla eccezioni di inammissibilità per genericità dei motivi e per difetto di interesse, formulate dal Comune di Marcianise.

4. Ritiene la Sezione che il provvedimento interdittivo prefettizio impugnato in primo grado risulta adeguatamente motivato per relationem alla nota istruttoria del comando provinciale Carabinieri di Caserta, da cui risultano legami con il mondo della criminalità organizzata.

In particolare, come correttamente evidenziato dalla sentenza di primo grado, risulta che il vicepresidente del consiglio di amministrazione (sebbene ormai cessato dalla carica) era stato recentemente oggetto di un provvedimento interdittivo antimafia e che un consigliere di amministrazione e responsabile tecnico della società è il fratellastro di un soggetto con precedenti associativi ritenuto appartenente al "clan dei Casalesi", che è stato a sua volta consigliere di amministrazione della ricorrente.

Si tratta di elementi che, complessivamente considerati, rendono certamente attendibile e ragionevole il giudizio contenuto nella nota prefettizia impugnata circa la sussistenza di un rischio di infiltrazione mafiosa.

Alla base dell’interdittiva non vi sono, a differenza di quanto sostiene l’appellante, soltanto meri rapporti di parentela; al contrario è proprio la ripetuta presenza nel consiglio di amministrazione della società di soggetti aventi rapporti con ambienti camorristici, o strettamente imparentati con soggetti coinvolti in associazioni camorristiche, che rende attendibile, specie nel contesto che viene in considerazione nel presente giudizio, il pericolo che l’attività di impresa possa agevolare od avere rapporti con la criminalità organizzata.

L’appello deve, pertanto, essere respinto.

Le spese del secondo grado del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 4783 del 2008, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto, conferma la sentenza del T.a.r. Campania n. 565 del 2008.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali del secondo grado del giudizio a favore del Comune di Marcianise, che liquida in Euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-06-2011, n. 14453 Contratto preliminare Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

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Svolgimento del processo

I coniugi R.G. e F.F., promissari acquirenti di un’immobile dalla Cristal Costruzioni s.n.c., di Rosario Cristaldi e C, ottenuta dal Tribunale di Catania sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., proponevano appello lamentando il vizio di extrapetizione della pronuncia, per aver questa subordinato l’effetto traslativo della proprietà al previo pagamento, oltre al saldo prezzo, anche degli interessi compensativi legali su di esso, ai sensi dell’art. 1499 c.c., nonchè alla corresponsione di varie altre spese (allaccio utenze, accatastamento ecc). Ciò in quanto il pagamento del prezzo e delle spese accessorie era stato convenuto alla data di sottoscrizione del contratto definitivo, che non era stato stipulato per colpa, della promittente venditrice, la quale non aveva dato seguito ad apposito atto di messa in mora.

Adita dagli attori, la Corte d’appello di Catania, resistendo all’impugnazione la società promittente, riformava la sentenza impugnata "escludendo la condanna al pagamento degli interessi sulla somma dovuta a saldo prezzo di acquisto dell’immobile, e la condanna al pagamento delle altre somme indicate nel contratto preliminare e degli interessi". Riteneva la Corte etnea che l’obbligazione di pagamento degli interessi avesse carattere autonomo rispetto a quella di corresponsione del prezzo e che, pertanto, non si sottraesse al principio della domanda, e che, nella specie, la società promittente la vendita non aveva formulato alcuna richiesta al riguardo, essendo rimasta contumace in primo grado. Quanto al motivo con il quale gli appellanti si dolevano del fatto che il giudice di prime cure avesse subordinato l’effetto traslativo della sentenza al pagamento, oltre che del prezzo, anche di tutte le altre somme previste nel contratto preliminare per altro titolo (spese di allacciamento, accatastamento ecc), ne riteneva la fondatezza per due ragioni, e cioè sia perchè, analogamente alla pronuncia sugli interessi, vi era decisione ultra petita, sia perchè non poteva ritenersi, coprendola nella condizione sospensiva del trasferimento dell’immobile, l’obbligazione della parte (s’intende, promissaria acquirente) a provvedere all’estinzione di un debito il cui importo non era nè liquido, nè esigibile.

Riteneva inammissibile, infine, l’istanza della parte appellata di rivedere il regolamento delle spese di primo grado, non essendo stata introdotta con appello incidentale.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre la Cristal Costruzioni s.n.c., di Rosario Cristaldi e C, con tre motivi d’annullamento.

Resistono con controricorso gli intimati.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c.c., artt. 99 e 112 c.p.c., in connessione con l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Si sostiene che, applicato all’obbligazione di pagamento degli interessi, il principio della domanda deve coordinarsi con quello della sinallagmaticità, che è alla base dei poteri che l’art. 2932 c.c. attribuisce al giudice, il quale come può subordinare l’effetto traslativo al pagamento del prezzo senza apposita domanda del promittente venditore, così può provvedere anche in ordine al pagamento degli interessi proprio per il nesso di corrispettività che intercede fra tutte le prestazioni.

1.1. – Il motivo è infondato.

Premesso che la domanda rivolta ad ottenere il pagamento, ex art. 1499 cod. civ., degli interessi compensativi per mancato godimento della cosa venduta e consegnata anticipatamente, costituisce una pretesa a sè stante che non si sottrae al principio della domanda (cfr. Cass. nn. 20175/07, 1701/06, 7258/03 e 6031/99), e che, nella specie, nessuna domanda è stata proposta dalla società promittente, va osservato che gli interessi compensativi sul prezzo della res vendita, ai sensi della norma richiamata, non sono dovuti quando, in esecuzione di un’apposita clausola del contratto preliminare, il bene sia stato consegnato anticipatamente rispetto alla data di stipulazione del contratto definitivo e prima del pagamento del prezzo stesso (Cass. nn. 9043/06 e 3646/01).

1.1.1. – Nello specifico, dalla sentenza impugnata (il cui accertamento non è in parte qua contestato dalla parte ricorrente) si ricava che i promissari acquirenti abbiano conseguito il possesso dell’immobile prima del trasferimento, e che il giudice di primo grado abbia posto a loro carico il pagamento degli interessi compensativi dal momento in cui hanno incominciato a godere del bene, benchè fosse assente un’apposita clausola del preliminare che ne riconoscesse l’attribuzione fra tale momento e la conclusione del definitivo.

Corretta, pertanto, appare la soluzione della Corte d’appello, che ha escluso fossero dovuti gli interessi compensativi, riformando sul punto la sentenza di primo grado.

2. – Con il secondo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli art. 2932 c.c., artt. 99, 112 e 324 c.p.c., nonchè l’omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia. Afferma detta parte che se presupposto per ottenere il trasferimento del bene è l’adempimento di tutte le obbligazioni convenute come corrispettivo dell’acquisto, il fatto che eventualmente uno degli elementi di tale corrispettivo non sia stato determinato o non sia determinabile non vale ad escluderlo dal nesso di sinallagmaticità. Pertanto, prosegue, spettava agli attori, promissari acquirenti, fornire la prova della sussistenza di tutti gli elementi del proprio diritto, inclusa la quantificazione giudiziale dei c.d. oneri accessori, costituenti anch’essi parte del prezzo, e come tali oggetto di adempimento o di offerta per poter ottenere il trasferimento del bene (richiama, a sostegno, Cass. nn. 10692/94 e 7711/90). La Corte territoriale, invece, osservando che l’importo di tali oneri non era liquido, l’ha illegittimamente escluso non solo quale condizione di efficacia del trasferimento, ma anche – così andando ultra petita e violando il giudicato interno – come obbligazione a carico dei promissari acquirenti. Infatti, il dispositivo della sentenza impugnata esclude la condanna al pagamento degli interessi sulla somma dovuta a saldo del prezzo, e la condanna al pagamento delle altre somme indicate nel contratto preliminare, mentre gli appellanti con i motivi di gravame avevano chiesto soltanto che il pagamento degli oneri e delle spese accessorie non condizionasse l’effetto traslativo della sentenza.

2. – Il motivo è infondato in entrambe le censure che lo sostanziano.

2.1. – E’ necessario premettere che la sentenza d’appello presenta un contrasto (apparente, per le ragioni che seguono) fra motivazione e dispositivo. Nella prima, accogliendo i motivi di gravame si nega, per ragioni solo in parte comuni, che l’effetto traslativo della pronuncia prevista dall’art. 2932 c.c. possa essere subordinato, nella fattispecie, al previo pagamento di interessi compensativi e di ulteriori somme, diverse dal prezzo del bene promesso, previste a carico dei promissari acquirenti; nel secondo si statuisce, in parziale riforma della sentenza di primo grado, l’esclusione della "condanna" dei R.- F. al pagamento di tali importi.

Considerato che in entrambe le parti delle sentenza si parla di accoglimento dell’appello, e che il dispositivo non si sostanzia nè in una dichiarazione d’inammissibilità, nè di rigetto di alcuna domanda della società Cristal, è da ritenere che in realtà la Corte territoriale abbia inteso escludere non già un’inesistente condanna contenuta nella pronuncia di primo grado, ma solo, e a differenza di quest’ultima, la subordinazione dell’effetto traslativo della sentenza al pagamento degli interessi e delle altre somme anzi dette, diverse dal prezzo.

Ne consegue, che la sentenza impugnata non è affetta da alcun vizio ultra petizione, non contenendo alcun accertamento negativo del diritto della società promittente a percepire le somme per i c.d. gravami accessori.

2.2. – Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il contraente che chiede l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto avente per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata è tenuto all’adempimento della prestazione corrispettiva del prezzo od all’offerta della medesima, solo se questa sia liquida ed esigibile al momento della domanda giudiziale; mentre quando essa, per accordo delle parti, debba essere effettuata al momento della stipulazione del contratto definitivo, o non sia comunque allo stato liquidabile, la sentenza costitutiva di questo contratto, promesso e non stipulato, deve essere emessa senz’altro ed il pagamento del prezzo (o della parte residua) deve essere imposto solo come condizione per il verificarsi dell’effetto traslativo derivante dalla pronuncia (Cass. n. 2154/87; in senso sostanzialmente conforme, anche se con riferimento al solo requisito di esigibilità, posto espressamente dal capoverso dell’art. 2932 c.c., cfr. Cass. nn. 5242/83, 3854/83, 3692/83, 1940/82 e 551/65).

In altre decisioni si è posto il problema ulteriore se il trasferimento debba essere subordinato all’adempimento anche di obbligazioni non liquide. La soluzione affermativa è stata prescelta in considerazione del fatto che la prestazione dovuta a norma dell’art. 2932 c.c., comma 2, dal promittente acquirente per il trasferimento del bene è costituita non solo dal prezzo, ma da ogni altro corrispettivo del trasferimento stesso (ancorchè consistente in un facere, come quello di eseguire determinate opere edilizie, nella fattispecie esaminata da Cass. n. 10692/94, ovvero in "allacci relativi all’appartamento", come nel caso oggetto di Cass. n. 7711/90), non ponendo la norma dell’art. 2932 c.c. alcuna limitazione al riguardo. Con la conseguenza che, è stato ritenuto, occorre liquidare tali prestazioni nel medesimo processo diretto ad ottenere la sentenza costitutiva degli effetti reali del contratto (Cass. n. 7711/90cit.).

2.2.1. – Ritiene la Corte che tale ultimo orientamento, che si colloca su di una linea di tendenziale continuità teoretica con l’indirizzo più risalente (contrastato da una parte della dottrina) per cui la sentenza che sta in luogo del contratto che avrebbe dovuto concludersi non può avere un contenuto diverso da quello del preliminare (v. Cass. nn. 2616/88, 3089/87 e 1224/79), non si presti a generalizzazioni. E’ ormai eroso da tempo nella giurisprudenza di questa Corte (già a partire da Cass. S.U. n. 1720/85, preceduta da Cass. nn. 4478/76, 3560/77 e 2268/80) il principio della necessaria perfetta identità tra sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. e contratto preliminare, sulla base della considerazione per cui la sentenza costitutiva produce gli effetti del contratto non concluso, ma non vi si sostituisce quale unica fonte di regolamentazione del rapporto sostanziale fra le parti. Ne è derivata la progressiva divaricazione della sequenza preliminare/definitivo, rispetto a quella preliminare/sentenza costitutiva, e la consequenziale accentuazione della funzione esecutiva della sentenza ex art. 2932 c.c., che consente al giudice di esercitare poteri intesi a correggere le deviazioni del sinallagma funzionale (ad esempio attraverso la riduzione del prezzo per vizi della res, secondo la giurisprudenza ormai costante di questa Corte: cfr. per tutte e da ultimo, Cass. n. 1562/10), e di attribuire, in definitiva, alla parte creditrice non inadempiente non già la sola conclusione dell’accordo definitivo, ma esattamente quanto essa aveva diritto di ottenere in virtù del contratto preliminare.

Se dunque l’emissione della sentenza costitutiva in luogo della spontanea conclusione del definitivo non esaurisce l’ambito di tutela delle parti, nè soppianta il preliminare come fonte delle rispettive obbligazioni tra di esse, pare inevitabile operare un passo ulteriore, costituito da ciò che l’effetto traslativo della proprietà del bene promesso può non essere subordinato all’adempimento anche di obbligazioni accessorie, che non incidono in via diretta sul nesso commutativo, ma ineriscono al regolamento degli effetti ulteriori ripartendo oneri economici secondari, connessi e conseguenti al trasferimento del bene. Conservata la funzione obbligatoria del preliminare, permane la possibilità di domandare l’esatto adempimento, come di sollevare le contrapposte eccezioni dilatorie, nel medesimo o in altro processo, senza che l’intero contenuto contrattuale debba necessariamente attuarsi mediante la tecnica della sentenza costitutiva (variamente) condizionata. Con il corollario che l’adempimento di tali obbligazioni accessorie forma oggetto di domanda a sè, non costituendo condizione dell’azione ex art. 2932 c.c..

2.2.1. – Nella fattispecie, il giudice d’appello è pervenuto ad una soluzione conforme al principio di diritto appena enucleato, ma sulla base di un percorso argomentativo in parte erroneo, lì dove ha ritenuto che la non liquidità ed esigibilità dell’obbligazione di pagare le spese per gli allacciamenti (alle utenze) e l’accatastamento dell’immobile ostasse ex se, piuttosto che per la natura accessoria del debito (implicitamente riconosciuta dalla stessa Corte etnea attraverso la condivisione della tesi degli appellanti), alla possibilità di includere il relativo adempimento all’interno della clausola condizionante sospensivamente l’effetto traslativo della pronuncia ex art. 2932 c.c.. S’impone, pertanto, la correzione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

3. – Con il terzo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., in quanto la sentenza di primo grado ha da un lato condannato la società Cristal alle spese di giudizio, ma dall’altro ha posto le spese di trasferimento a carico degli attori. Ciò posto, l’inammissibilità, ritenuta dalla Corte d’appello, dell’istanza di rivedere tale statuizione, in quanto non introdotta mediante appello incidentale, sarebbe errata, secondo parte ricorrente, sia per l’evidente contraddizione tra i due predetti dieta della sentenza di primo grado, che da un lato ha posto a carico degli attori le spese del trasferimento, e dall’altro condannato la società promittente venditrice al pagamento delle spese del giudizio che tale trasferimento ha prodotto; sia perchè la Cristal, sebbene non avesse proposto impugnazione incidentale, già nella comparsa di costituzione in appello aveva stigmatizzato l’ingiustificata condanna alle spese di primo gado.

3.1. – Tale motivo è manifestamente infondato, in quanto basato su puri esercizi verbali, intesi ad affermare che sia il processo in sè, piuttosto che il suo esito di merito, a produrre effetti giuridici, e che non occorra proporre appello incidentale per modificare il capo di condanna alle spese. L’una e l’altra affermazione sono ad evidenza prive di pregio, disattendendo principi cardine del processo, quali la soccombenza come rapporto di contraddizione tra le conclusioni della parte e la decisione ( art. 91 c.p.c.), e l’acquiescenza tacita o parziale, come conseguenza dell’omessa proposizione di impugnazione nelle forme di rito ( art. 329 c.p.c.).

4. – In conclusione il ricorso va respinto.

5. – Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 26-07-2011, n. 16305 matrimonio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

orso incidentale.
Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato in data 29 febbraio 1993, N.P. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Palermo la moglie separata M.F.P. per sentir accertare il proprio pieno diritto di proprietà relativamente ad un appartamento sito in (OMISSIS), facente parte di un complesso edilizio realizzato dalla società cooperativa L’Alba. Espose che originariamente socia di detta cooperativa era la propria madre B.N., e che solo a seguito del suo recesso il figlio era subentrato nella posizione giuridica della madre, che, nel comunicare tale recesso dalla società, aveva anche manifestato la volontà che le unità immobiliari per le quali aveva già versato parte del corrispettivo venissero assegnate ai figlio. Aggiunse che, in data 20 dicembre 1975, prima del matrimonio, era stato formalmente immesso nel possesso delle unità immobiliari in questione, e che l’atto di assegnazione era stato stipulato il 27 dicembre 1998.

Precisò altresì che il corrispettivo per l’acquisto e il pagamento delle rate di mutuo erano stati regolati con danaro personale.

2. – Con sentenza depositata il 12 novembre 2001, il G.O.A. presso il Tribunale rigetto la domanda, accogliendo la riconvenzionale della M., avente ad oggetto l’accertamento del proprio diritto di comproprietà sui beni oggetto della causa, essendo i coniugi in regime di comunione legale dei beni, sul rilievo che nel caso di alloggio di cooperativa edilizia il momento dell’acquisto va individuato nella data di stipulazione del contratto d: trasferimento del diritto dominicale, mentre la qualità di socio e la prenotazione dell’alloggio in tale veste esercitata si risolvono in diritti di credito del socio nei confronti della cooperativa.

Il N. propose appello avverso tale decisione.

3. – Con sentenza depositata il 16 aprile 2004, la Corte d’appello di Palermo confermò la sentenza di primo grado. Ritenne infondate le censure dell’appellante anche nell’ipotesi in cui quest’ultimo avesse dimostrato che il danaro utilizzato per il pagamento del mutuo fosse provento di attività propria, in quanto, ai sensi dell’art. 177 c.c., comma 1, lett. A), gli acquisti compiuti dai coniugi in costanza di matrimonio fanno parte della comunione, salvo che si tratti di beni personali. Nè nella specie poteva configurarsi una donazione indiretta, poichè prima della stipula dell’atto di assegnazione non era mai stato pagato il prezzo dell’appartamento, versato poi in parte minima con danaro contante di entrambi i coniugi e per la maggior misura con l’accollo del mutuo.

4. – Per la cassazione della sentenza ricorre N.P. sulla base di un unico, articolato motivo, illustrato anche da successiva memoria. Resiste con controricorso M.F.P., che a sua volta propone ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione

1. – Deve, preliminarmente, disporsi, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione del ricorso principale e di quello inerì dentale, siccome proposti nei confronti della medesima sentenza.

2. Con l’unico, articolato motivo del ricorso principale, si deduce erronea interpretazione e applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 177, 179, 769 e 809 cod. civ., per avere la Corte di merito erroneamente qualificato la fattispecie sottoposta al suo esame, disconoscendo conseguentemente che l’immobile fosse stato donato al ricorrente dalla propria madre, e che, pertanto, esso fosse ricompreso nella ipotesi di cui all’art. 179 cod. civ., lett. B). La Corte, inoltre, non avrebbe fornito alcuna esauriente motivazione in ordine alla statuizione adottata, non avendo attribuito alcuna rilevanza alla circostanza che la liberalità in favore del ricorrente era stata attuata dalla madre con la cessione della propria posizione di socia della cooperativa e del credito relativo alle somme dalla stessa versate per l’assegnazione dell’appartamento e del box, e che, pertanto, l’atto di assegnazione in proprietà costituiva solo un negozio diretto a completare sotto un profilo meramente formale la fattispecie della liberalità, voluta e disposta prima ancora del matrimonio. La Corte avrebbe poi del tutto trascurato la circostanza che le somme quietanzate nell’atto di trasferimento erano quelle già versate alla cooperativa dalla madre dell’attuale ricorrente, ed allo stesso poi accreditate dalla stessa cooperativa, e che quelle successivamente occorse per il pagamento delle rate dei mutui erano state da lui versate.

3.1. – La censura è immeritevole di accoglimento.

3.2. – La soluzione della questione sottoposta all’esame della Corte muove dal rilievo che la comunione legale fra i coniugi, di cui all’art. 177 cod. civ., riguarda gli acquisti, cioè gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi le semplici situazioni obbligatorie, per la loro stessa natura relativa o personale, pur se strumentali all’acquisizione di una res. Ne consegue che, in tema di assegnazione di alloggi di cooperative edilizie, il momento determinativo dell’acquisto della titolarità dell’immobile da parte del singolo socio, onde stabilire se il bene ricada, o meno, nella comunione legale tra coniugi, è quello della stipula del contratto di trasferimento del diritto dominicale (contestuale alla convenzione di mutuo individuale), poichè solo con la conclusione di tale negozio il socio acquista, irrevocabilmente, la proprietà dell’alloggio (assumendo, nel contempo, la veste di mutuatario dell’ente erogatore), mentre la semplice qualità di socio, e la correlata "prenotazione", in tale veste, dell’alloggio, si pongono come vicende riconducibili soltanto a diritti di credito nei confronti della cooperativa, inidonei, come tali, a formare oggetto della communio inciders familiare (v., in tal senso, Cass., sentt. nn. 12382 del 2005 e 4757 del 1998).

3.3. – Nella specie, detta stipulazione avvenne in epoca successiva al matrimonio tra l’attuale ricorrente e la intimata. Sicchè correttamente la Corte di merito ha ritenuto, sulla base dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che il bene de quo facesse parte della comunione, poichè non si trattava di bene personale, intendendosi per tale quello di uso strettamente personale o destinato all’esercizio della professione, ovvero acquistato con danaro del coniugo purchè proveniente dalla vendita di beni personali (v. Cass., sent. n. 2954 del 2003): inferendone la conclusione che, quand’anche l’appartamento fosse stato pagato con danaro proveniente da attività propria del N. circostanza che il giudice di secondo grado non ha ritenuto suffragata da elementi probatori -, ciò non ne avrebbe escluso la contitolarità in capo ai coniugi.

3.4. – Del pari corretta appare la ricostruzione operata dalla Corte territoriale della natura giuridica della fattispecie complessa che portò dal recesso della madre del N. dalla cooperativa alla immissione dello stesso N. nel possesso dell’alloggio ed al pagamento del prezzo all’atto della stipulazione dell’atto pubblico di trasferimento: fattispecie il cui inquadramento in una donazione indiretta – come auspicato dall’attuale ricorrente il giudice di secondo grado ha escluso in base alla considerazione che prima della stipula non era stato pagato il prezzo del bene, versato in parte minima in contanti e, per la parte restante, con accollo del mutuo, al cui pagamento entrambi i coniugi contribuirono nel corso della loro vita matrimoniale.

4. – Il rigetto del ricorso principale assorbe l’esame del ricorso incidentale, proposto in via condizionata. Le spese del giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico del soccombente.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 2200,00, di cui Euro 2000,00 per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.