Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 06-05-2011) 05-10-2011, n. 36053

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 2/3/2010 il Tribunale di Roma condannava K. A. per il delitto di furto aggravato di un’auto Golf parcheggiata sulla pubblica via (acc. in Roma il (OMISSIS)). All’imputato, con le attenuanti generiche, veniva irrogata la pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 300 di multa, pena sospesa.

Con sentenza del 25/6/2010 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza di condanna.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando la violazione di legge. Invero l’imputato, al momento in cui era stato invitato a dichiarare od eleggere domicilio, aveva fatto annotare: "eleggo domicilio in (OMISSIS) senza fissa dimora". Il P.M. pertanto aveva emesso decreto di irreperibilità (il 2/2/2007) per la notifica della citazione a giudizio. Successivamente le notifiche gli erano state effettuate ai sensi dell’art. 161 c.p.p., in quanto in dibattimento l’imputato era stato qualificato contumace e non irreperibile. Pertanto, in violazione di legge, per le notifiche dei successivi gradi di giudizio, non erano state fatte ulteriori ricerche e non era stato rinnovato il decreto di irreperibilità.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato.

Invero in data 14/11/2003, alle ore 15.20, durante le operazioni di P.G. inerenti al furto dell’auto, la Polizia stradale di Roma ebbe ad invitare il K. a dichiarare od eleggere domicilio ai sensi dell’art. 161 c.p.p., dando gli avvertimenti di cui al predetto articolo. In tale sede il ricorrente ebbe a dichiarare "Eleggo domicilio in (OMISSIS), senza fissa dimora". Ne consegue che la insufficienza della elezione (o dichiarazione) di domicilio, ai sensi del cit. art. 161, comma 4, ben ha legittimato il giudice di merito ad eseguire le notificazioni a mano del difensore, ma non con il rito degli irreperibili, bensì secondo il disposto del richiamato art. 161 c.p.p., e che non prevede l’espletamento di ulteriori ricerche.

L’infondatezza del ricorso impone il suo rigetto. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., consegue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-07-2011) 24-10-2011, n. 38355

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Lucca, giudice d’appello, assolto l’imputato dal delitto di ingiurie in danno di P. V., ha confermato nel resto la sentenza emessa in data 29 ottobre 2008 dal Giudice di pace di Castelnuovo Garfagnana, appellata da R.A., che l’aveva dichiarato responsabile dei delitti di lesioni in danno del P. e di ingiurie in danno di B.F.M..

Ricorre per cassazione il prevenuto deducendo violazione di legge per non aver il giudice d’appello ritenuto la nullità della sentenza del Giudice di pace in quanto, seppur fosse stata depositata in un termine superiore ai quindici giorni stabiliti dalla L. n. 274 del 2000, art. 32, inderogabilmente, non ritenendosi applicabili le disposizioni dell’art. 544 c.p.p., e quindi avendo il giudice irritualmente stabilito un termine di deposito più lungo, non gli era stato notificato l’avviso di deposito della sentenza, con conseguente nullità del provvedimento.

Deduce poi vizio di motivazione sulla responsabilità, con riferimento all’asserita erronea valutazione delle emergenze processuali circa l’attendibilità delle testimonianze a carico. Il ricorso è inammissibile, innanzitutto quanto alla doglianza di natura processuale, manifestamente infondata.

Le disposizioni del D.Lgs. n. 274 del 2000, al di la dell’indicazione del termine di deposito della sentenza in giorni 15, non regolano espressamente il caso in cui la motivazione si presenti complessa, ipotesi più rara nei relativi procedimenti, ma non improponibile, se si considera che il Giudice di pace tratta procedimenti in cui vengono sentiti e valutati anche in numero elevato testimoni di accusa, pubblica e privata, e della difesa su vicende, seppur di ridotto spessore criminale, ma molto complesse per l’intrecciarsi di rapporti interpersonali difficili da dipanare. Si rende quindi applicabile il disposto dell’art. 544 c.p.p., non compreso dall’art. 2 c.p.p., del fra le disposizioni del codice inapplicabili nel procedimento davanti al Giudice di pace. Peraltro, la funzione dell’indicazione del c.d. termine lungo per il deposito della sentenza è quel la di rendere noto e certo alle parti l’inizio del termine loro concesso per l’impugnazione della sentenza, e non si riflette sulle condizioni di validità del provvedimento. In concreto poi il R. non riesce a dimostrare quale interesse avesse ad un’ulteriore informazione sul deposito della sentenza posto che risulta dal verbale che era presente, il 29 ottobre 2008, alla lettura del dispositivo contenente l’indicazione del termine di 90 giorni per il deposito della motivazione, essendo così al corrente che il giudice si era riservato un termine che scadeva il 27 gennaio 2009, e che per lui il termine per l’appello sarebbe scaduto il 13 marzo 2009. Essendo stato depositato in termini l’appello, sottoscritto il 12 marzo 2009 sia dal difensore che dal prevenuto, il ricorrente non deduce che avrebbe dovuto proporre personalmente ed esclusivamente l’impugnazione in un diverso termine e quindi non chiarisce, a fronte di un appello proposto regolarmente dagli aventi diritto, quale interesse avrebbe avuto a dedurre la pretesa nullità.

Ad avviso del Collegio il ricorso è inammissibile anche in punto di responsabilità, in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto ed all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia dal Giudice di pace che dal Tribunale.

Nel caso in esame, difatti, la pronuncia ha ineccepibilmente osservato che la prova del fatto ascritto all’imputato riposava nella testimonianza delle persone offese, la cui credibilità è adeguatamente argomentata, e nel sostegno a quelle di P. che poteva trarsi dalla documentazione medica sulle lesioni, mentre sul punto dell’attendibilità della B.F. nonostante un’asserita scarsa conoscenza dell’italiano, il giudice d’appello ha adeguatamente e logicamente motivato.

Nè possono condurre a diversa conclusione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., le indicazioni contenute nel ricorso sulla possibilità di leggere in modo difforme certuni risultati probatori, che non possono comunque essere considerate da questa Corte, alla cui funzione istituzionale è estranea la possibilità di sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito. Anche perchè non c’è elemento, per quanto determinante, che può essere letto fuori dal contesto probatorio in cui è inserito e soltanto i giudici di merito hanno la possibilità di valutare complessivamente ed esaurientemente tale contesto.

La sentenza impugnata non è dunque sindacabile in questa sede perchè la Corte di cassazione non deve condividere o sindacare la decisione, ma verificare se la sua giustificazione sia, come nel caso in esame, sorretta da validi elementi dimostrativi e non abbia trascurato elementi in astratto decisivi, sia compatibile con il senso comune e, data come valida la premessa in fatto, sia logica:

insomma, se sia esauriente e plausibile.

All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione – di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 500,00.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 15-05-2012, n. 7547 Mora ed altri inadempimenti

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Svolgimento del processo

1. Secondo quanto si evince dalla qui gravata sentenza, resa dalla corte di appello di Roma in data 30.9.09 con il n. 2730:

1.1. il fallimento della Interimm srl intimò (con atto notificato il 18.10.05) a M.F. sfratto per morosità – con richiesta di decreto monitorio ex art. 664 cod. proc. civ. – dall’immobile concesso dalla società in bonis per uso uffici e foresteria per una durata quarantennale, per la mora – dall’inizio della locazione del 3.5.94 e fino alla data della dichiarazione di fallimento – nel pagamento dei canoni pari ad Euro 12.034,50;

1.2. l’intimato, pur contestando per motivi di rito l’intimazione, addusse in compensazione ingenti crediti vantati per l’attività professionale prestata in favore della società poi fallita e per i lavori di ristrutturazione del bene locato; ma chiese ed ottenne termine per sanare la mora, maggiorata delle spese legali per Euro 1.000,00, che peraltro non rispettò, versando soli Euro 13.000,00 a fronte della somma necessaria;

1.3. disposto il mutamento del rito, il fallimento contestò la fondatezza dell’eccezione di compensazione e dal canto suo l’intimato, all’udienza di discussione, invocò la prescrizione del credito, l’avvenuto pagamento del dovuto, la sussistenza di un proprio controcredito e l’erroneità della determinazione del quantum, pure formulando riconvenzionale per la restituzione delle somme versate in eccedenza;

1.4. il tribunale di Roma, con sentenza n. 5101/07 del 13-26 marzo 2007, dichiarò inammissibili perchè tardive le domande proposte dal M., rigettò l’eccezione di compensazione e dichiarò risolto per grave inadempimento di lui il contratto di locazione, con sua condanna al pagamento di quanto ancora dovuto per canoni di locazione ed al rilascio del bene, oltre che alle spese di lite;

1.5. l’appello del M. è stato poi rigettato:

– per la genericità delle richieste di compensazione e prescrizione formulate nella fase sommaria, non ritualmente riprodotte nella memoria di costituzione per la fase di merito, oltretutto tardiva;

– per l’improponibilità dell’eccezione di compensazione fondata su pretesi controcrediti, ritenuti suscettibili di accertamento esclusivamente in sede fallimentare;

– per l’inammissibilità del termine di grazia nelle locazioni non abitative, tale dovendo qualificarsi quella per cui era causa, nonostante la durata e l’uso di foresteria messi in luce dal conduttore;

per la ritenuta sussistenza della gravita dell’inadempimento, consistente nell’omesso pagamento di qualsiasi corrispettivo fin dall’inizio del rapporto.

2. Per la cassazione di tale sentenza ricorre, affidandosi a cinque motivi, il M.; e, non svolta in questa sede attività difensiva ad opera del Fallimento Interimm srl, per la pubblica udienza del 12.4.12 il ricorrente produce memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

3. Il ricorrente sviluppa cinque motivi ed in particolare:

3.1. con un primo – di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 426, 667 cod. proc. civ. e dell’art. 12 preleggi, con difformità dalla giurisprudenza consolidata di legittimità (richiamandosi Cass. 5356/09, 21242/06 e 16635/08) – egli lamenta l’erroneità della riqualificazione di inammissibilità delle eccezioni di prescrizione e di compensazione, ricordando di averle formulate fin dalla comparsa di costituzione in primo grado e comunque escludendo la necessità di una compiuta loro riformulazione con la memoria prevista dall’art. 426 cod. proc. civ.;

3.2. con un secondo – di violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 52 e segg., con difformità dalla giurisprudenza consolidata di legittimità (richiamandosi Cass. 18223/02, 8053/96, 3337/87 e 4223/85), nonchè di vizio motivazionale – egli contesta l’esclusione della rilevanza dei controcrediti opposti in compensazione, poichè invece essi ben potevano essere conosciuti dal giudice ordinario, davanti al quale il curatore avesse azionato crediti dell’imprenditore: e che anzi essi pienamente sussistevano, secondo gli elementi probatori già indicati nei gradi di merito;

3.3. con un terzo – di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1252 cod. civ. e della L. Fall., artt. 52 e 56, con difformità dalla giurisprudenza consolidata di legittimità (richiamandosi Cass. 18223/02, 8053/96, 3337/87 e 4223/85), nonchè di vizio motivazionale – egli lamenta la ritenuta preclusione, al di fuori della sede fallimentare, di ogni indagine sui controcrediti opposti in compensazione, riguardo ai cui fatti costitutivi ricorda pure – riportandone il tenore testuale – di avere invano invocato prova orale;

3.4. con un quarto – di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1455 cod. civ. in combinato disposto con la L. Fall., art. 52, con difformità dalla giurisprudenza consolidata di legittimità (richiamandosi Cass. 18223/02, 8053/96, 3337/87 e 4223/85), nonchè di vizio motivazionale – egli si duole della ritenuta gravità dell’inadempimento a dispetto dell’accordo di compensazione già intercorso con la società allorchè ancora in bonis (tra i canoni di locazione e gli ingenti importi dovuti ad esso conduttore per l’attività professionale svolta);

3.5. con un quinto – di violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. in combinato disposto con il R.D.L. n. 1578 del 1933, artt. 57 e 58 (conv. in L. n. 36 del 1934), con difformità dalla giurisprudenza consolidata di legittimità (richiamandosi Cass. S.U. 11 settembre 2007, n. 19014) – egli si duole dell’eccessività della liquidazione delle spese in suo danno, operata oltretutto violando i criteri di proporzionalità ed adeguatezza all’opera professionale effettivamente prestata.

4. Dei motivi di ricorso:

4.1. è infondato il primo:

4.1.1. benchè effettivamente non siano necessario formule sacramentali (quanto a quella di prescrizione: Cass. 8 febbraio 1994, n. 1248; Cass. 8 febbraio 1994, n. 1248; quanto a quella di compensazione: Cass. 29 marzo 2006, n. 7257; Cass. 1 marzo 2000, n. 2289), le eccezioni vanno comunque esplicitate in modo tale da consentire alla controparte il diritto di difesa in ordine alla stesse, mediante la cognizione dei fatti su cui esse si articolano:

essendo pertanto necessario comprendere con sufficiente chiarezza i motivi della doglianza e quindi esprimerli con un apprezzabile grado di intelligibilità;

4.1.2. infatti, la necessità di formule sacramentali è in genere esclusa, per la proposizione dell’eccezione, dal fatto che la qualificazione giuridica dell’eccezione proposta va fatta alla stregua del suo contenuto reale con particolare riferimento allo scopo dell’atto, senza che possa attribuirsi rilievo a mere imperfezioni formali ovvero ad espressioni impropriamente adoperate;

ma, al contempo, il giudice di merito è tenuto ad accertare – con un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se esente da vizi logici e giuridici – la sussistenza di una non equivoca manifestazione di volontà finalizzata ad avvalersi dell’eccezione (per quella di estinzione: Cass. 16 dicembre 2009, n. 26401);

4.1.3. orbene, dinanzi alla semplice espressione indicata come contenuta nell’atto di costituzione in fase sommaria (v. pie di pag.

5 e inizio di pag. 6 del ricorso: "… l’avv. M. … provvedere a versarla la somma negli importi che il Giudice indicherà, ovviamente decurtati dei canoni da compensare e da quelli prescritti …") , la valutazione di genericità data dai giudici del merito – alla stregua del resto della manifestazione dell’ampia volontà solutoria, concretatasi nella richiesta del termine di grazia – deve ritenersi pienamente fondata, non consentendo detta espressione all’intimante Curatela di rendersi conto di quali fatti impeditivi od estintivi erano stati in concreto addotti, per quali importi e con quali causali: con la conseguenza che in effetti le relative eccezioni devono intendersi irritualmente dispiegate nella fase sommaria;

4.1.4. per quanto effettivamente, poi, con le memorie ai sensi dell’art. 426 cod. proc. civ. sia consentito proprio integrare le domande e le eccezioni prima non proposte o mal proposte (Cass. 28 giugno 2010, n. 15399; Cass. 5 marzo 2009, n. 5356; Cass. 29 settembre 2006, n. 21242), nella fattispecie avverso la chiara indicazione della gravata sentenza sulla tardività del deposito della memoria stessa (pag. 5, righe terza e seguenti) nessuno specifico mezzo di gravame è formulato;

4.1.5. pertanto, irrituale – per insanabile genericità correttamente riscontrata dal giudice del merito – è la formulazione delle eccezioni di prescrizione e di compensazione nella fase sommaria del procedimento di convalida di sfratto; ed altrettanto irrituale – per non contestata statuizione di tardività del deposito della memoria ai sensi dell’art. 426 cod. proc. civ. – è la loro formulazione per la fase di merito del medesimo procedimento;

4.2. il secondo ed il terzo, che possono essere unitariamente considerati, sono infondati: l’irritualità dell’introduzione, nel thema decidendum, dei crediti opposti in compensazione sotto il duplice profilo ricordato al punto 4.1.5, rende in radice inammissibili e quindi irrilevanti le relative questioni, nonostante debba correggersi, sul punto, la gravata sentenza, che malamente non le ritiene ammissibili senza considerare l’opposto consolidato principio della giurisprudenza di legittimità (tra le più recenti:

Cass. 14 luglio 2011, n. 15562; Cass. 9 gennaio 2009, n. 287; Cass. 21 dicembre 2002, n. 18223);

4.3. il quarto è infondato: per la medesima conseguenza dell’inammissibilità della questione della compensazione, resta preclusa la possibilità di valutare tale fatto estintivo del credito del locatore per i canoni, sicchè nessun valido argomento può il locatario – odierno ricorrente – opporre all’oggettiva gravita dell’inadempimento, correttamente valutata dal giudice del merito (vedasi piè di pag. 7 ed inizio di pag. 8 della gravata sentenza), secondo quanto normalmente gli compete nelle locazioni ad uso non abitativo, per le quali non opera il criterio legale predeterminato di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 5 (Cass., sez. 6^, ord. 23 giugno 2011, n. 13887), neppure quanto all’istituto dell’eccezionale facoltà di purgazione della mora mediante il cosiddetto termine di grazia (per giurisprudenza consolidata, a partire da Cass., Sez. Un., 28 aprile 1999, n. 272; tra le più recenti: Cass. 31 maggio 2010, n. 13248);

4.4. il quinto è del pari infondato: nella contestazione di eccessività della liquidazione delle spese non proporzione all’opera prestata è indispensabile (tra le ultime: Cass. 4 luglio 2011, n. 14542; Cass. 7 agosto 2009, n. 18086; Cass. 11 gennaio 2006, n. 270) l’analitica adduzione delle specifiche voci della tariffa professionale che si lamentano violate, in modo da consentire a questa corte di legittimità il rispetto, ad opera del giudice del merito, dei relativi limiti massimi e, comunque, del canone di proporzionalità ed adeguatezza all’opera prestata (effettivamente richiesto da Cass., Sez. Un., 11 settembre 2007, n. 19014); e tanto senza considerare che, a prescindere dall’entità della condanna effettivamente irrogata (e pari alla mora ancora persistente fino alla declaratoria di fallimento, già decurtata di quanto versato in parziale ottemperanza al termine di grazia concesso nonostante i dubbi sulla sua ammissibilità derivanti dall’uso contrattualmente stabilito), il valore della controversia, avente ad oggetto la risoluzione, per morosità, di una locazione quarantennale di un immobile (iniziata nel 3.5.94 ed in scadenza quindi al 2.5.34), è rappresentato dall’ammontare dei canoni del residuo periodo della locazione che la domanda dell’attore mira a far cessare anticipatamente (Cass. 23 gennaio 2008, n. 1467).

5. In conclusione, infondati tutti i motivi, il ricorso va rigettato;

ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, per non avere l’intimato qui svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di legittimità.

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Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43691

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Considerato che del GIP del Tribunale di Bari con sentenza in data 28.10.2010 ha applicato, ex art. 444 c.p.p., concesse le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante nonchè l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, a P.A. la pena condizionalmente sospesa di un anno mesi dieci di reclusione Euro.8.000 di multa per il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 600 ter e 600 sexies c.p., per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso con altri, commerciato, detenuto, distribuito, divulgato e diffuso anche per vie informatiche e telematiche ingente materiale pedopornografico realizzato con minori anche di età inferiore ai 5 anni;

Che sono irrilevanti le censure difensive in tema di contestazione del reato perchè non è consentito dedurre, con una memoria difensiva, motivi diretti a porre in discussione la richiesta stessa e il consenso prestato;

Che il PG, nel proposto gravame, ha segnalato l’illegalità del calcolo della pena per avere il GIP disapplicato il disposto dell’art. 600 sexies c.p., u.c., secondo cui le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’art. 98, concorrenti con le aggravanti di cui ai commi 1 e 2, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti (comma inserito dalla L. 11 agosto 2003, n. 228, art. 15, comma 4);

Che, nella specie, l’accordo avrebbe dovuto comportare che la pena base di anni 6 di reclusione ed Euro 25.900 di multa, pari al mimmo edittale, fosse aumentata al minimo a 8 anni Euro 34.545 e che, dopo, su tale pena fosse applicata la diminuzione per le concesse attenuanti;

Che, operando le stesse nella misura massima di un terzo, la pena ottenuta doveva essere aumentata per la continuazione e diminuita per la scelta del rito, sicchè la pena finale superava i due anni di reclusione precludendo la sospensione condizionale della stessa;

Che la pena detentiva applicata è, pertanto, illegittima; Che l’illegittima applicazione della pena travolge l’intero patteggiamento; Che conseguentemente la sentenza deve essere annullata.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Bari.

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