Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 22-11-2011, n. 891 Impianti industriali e/o produttivi

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) La sig.ra Gi.De. ha proposto appello contro la sentenza n. 1949 del 26 maggio 2010 con cui la Sezione staccata di Catania del T.A.R. della Sicilia, Sez. int. I, ha in parte accolto e in parte respinto le censure dedotte nel ricorso da lei proposto avverso la determinazione dei contributi per costo di costruzione e oneri di urbanizzazione afferenti un progetto per l’ampliamento dell’Hotel Sicilfuel e dei servizi annessi per lo sport e il tempo libero, da realizzare nel Comune di Melilli.

2) Resiste all’appello il Comune di Melilli.

3) Con il primo motivo di appello, la ricorrente sostiene che la sentenza è errata nella parte in cui ha escluso che alle imprese turistiche spetti l’esenzione dal pagamento del costo di costruzione. A suo avviso, l’interpretazione restrittiva, data dal TAR dell’art. 4, comma 7, della legge n. 135/2001, recepito in Sicilia dall’art. 42 della legge regionale n. 2/2002 ("… fermi restando i limiti previsti dalla disciplina comunitaria in materia di aiuto di Stato alle imprese, alle imprese turistiche sono estesi le agevolazioni, i contributi, le sovvenzioni, gli incentivi e i benefici di qualsiasi genere previsti dalle norme vigenti per l’industria, così come definita dall’art. 17 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nei limiti delle risorse finanziarie a tale fine disponibili e in conformità ai criteri definiti dalla normativa vigente"), contraddice la lettera e la ratio della stessa, che riferendosi ad agevolazioni, contributi, sovvenzioni, incentivi e benefici, "… di qualsiasi genere …", con un’espressione volutamente generica e omnicomprensiva, non consente di inferire distinzioni di sorte in via interpretativa.

In via subordinata, l’appellante rileva che il T.A.R. ha comunque omesso di pronunciarsi sull’ulteriore censura dedotta coi motivi aggiunti, concernente l’illegittimità dei criteri di calcolo approvati con delibera del Consiglio comunale n. 49 del 23 luglio 1988, che, a suo avviso, si pongono in netto e insanabile contrasto con quelli dettati dal decreto dell’Assessorato regionale per il territorio del 10 marzo 1980.

Ed invero, ai sensi della tabella A, allegata al citato decreto assessoriale, la determinazione del contributo per gli insediamenti turistico – alberghieri deve avvenire, sempre ad avviso dell’appellante, in misura percentuale differente, a seconda della tipologia di albergo presa in considerazione, nella specie pari al 2,25% del costo di costruzione.

Viceversa, la pretesa del Comune si sarebbe fondata su altra e maggiore percentuale, cosicché il contributo nel suo complesso andrebbe senz’altro ridotto e riliquidato.

Il motivo di appello è infondato in entrambe le sue articolazioni.

Quanto alla prima censura, vanno richiamate le decisioni della Sezione IV del Consiglio di Stato n. 5197 del 19 luglio 2004 e n. 4488 del 12 luglio 2010.

Invero, ai fini dell’art. 10 della L. n. 10/1977, le attività di strutture ricettive e annessi servizi e cioè le attività "turistiche" non rientrano nella categoria degli impianti a destinazione industriale; e ciò perché il legislatore del 1977 ha introdotto, ai limitati fini dell’esenzione del contributo predetto, una contrapposizione fra "costruzioni o impianti destinati ad attività artigianali dirette alla trasformazione di beni e alla presentazione di servizi" (che comporta la sola "corresponsione di un contributo pari all’incidenza di opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche") e "costruzioni o impianti destinati ad attività turistiche, commerciali e direzionali" (che comporta la "corresponsione di un contributo pari all’incidenza delle opere di urbanizzazione, determinata ai sensi del precedente articolo 5, nonché una quota non superiore al 10 per cento del costo documentato di costruzione da stabilirsi in relazione ai diversi tipi di attività, con deliberazione del consiglio comunale").

Ora, come rettamente eccepito dalla difesa dell’Amministrazione appellata, non può ammettersi, in carenza di un’abrogazione espressa, che vi sia stata un’abrogazione implicita della normativa sul trattamento differenziato tra impianti relativi ad attività turistica e quelli a destinazione industriale, non essendovi incompatibilità tra il sistema degli artt. 7 e seguenti L. n. 10/1977 e l’art. 4, comma 4, L. n. 135/2001.

Quanto alla seconda censura, la stessa è inammissibile per genericità perché non si riesce a comprendere in che consista la difformità dei criteri di calcolo, approvati dal Consiglio, da quelli contenuti nel citato decreto assessorile.

4) Con il secondo motivo di appello, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è, altresì, errata nella parte in cui non ha riconosciuto il diritto allo scomputo dagli oneri di urbanizzazione dei costi sostenuti per l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione.

La ricorrente specifica che la sentenza ha omesso di considerare che il silenzio, tenuto dal Comune di Melilli sull’istanza di scomputo, che pure esiste agli atti del procedimento, si pone in violazione del principio secondo il quale "… il privato costruttore che abbia eseguito direttamente opere di urbanizzazione o si sia obbligato a farle, nella zona oggetto dell’intervento edilizio autorizzato, anche se non abbia concordato le relative modalità e le garanzie col Comune, ha diritto a che l’Amministrazione valuti l’effettiva entità e la concreta utilizzazione delle opere già realizzate o da realizzare, al fine di scomputare il costo della somma dovuta a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione. Sicché, pur non negandosi la facoltà del Comune di negare lo scomputo, il silenzio impedisce però d’intimare il pagamento sia della sorte capitale che a maggior ragione delle sanzioni.

Il motivo di appello è infondato.

L’Amministrazione nega che vi sia stato un atto di richiesta di scomputo del valore delle opere di urbanizzazione realizzate.

Di ciò deve darsi atto in carenza di una dimostrazione del suo assunto da parte dell’appellante, tanto più che, secondo un pacifico principio giurisprudenziale, in materia di scomputo degli oneri di urbanizzazione ex art. 11 L. n. 10/1977, un vero e proprio diritto allo scomputo sorge in capo al privato proponente allorché, a fronte della realizzazione da parte sua di opere di urbanizzazione ovvero dell’impegno a realizzarle, vi sia stato un espresso atto di "accettazione" consensuale da parte della pubblica Amministrazione (cfr. C.d.S., Sez. IV, 21 aprile 2008, n. 1811).

5) Con il terzo motivo d’appello, la ricorrente sostiene che la sentenza è errata perché:

a) – il T.A.R., pur avendo statuito che il contributo di concessione è stato in parte illegittimamente determinato, tenendo conto anche degli spazi adibiti a sale cinematografiche e spettacoli, non è stato da ciò indotto a escludere in radice le sanzioni applicate dal Comune per il ritardato pagamento ai sensi dell’art. 50 della legge regionale n. 71/1978 (anziché escludere la maggiorazione degli interessi sulla sola quota non dovuta per le spese di urbanizzazione delle sale cinematografiche).

b) – il T.A.R. ha omesso di decidere in merito alla corretta individuazione del dies a quo per l’adempimento e, quindi, per la decorrenza delle sanzioni che il Comune ha illegittimamente fatto coincidere con la concessione edilizia del 2000, mai utilizzata e superata dalle successive concessioni.

c) – il Comune ha omesso di escutere entro i termini la garanzia fideiussoria, sicché anche sotto tale profilo l’applicazione delle sanzioni è illegittima e arbitraria; d) – le sanzioni accessorie sono, comunque, prescritte, essendo abbondantemente decorso il termine di cinque anni dalla scadenza delle rate per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, applicabile quale termine di prescrizione ai sensi del combinato disposto degli articoli 12 e 28 della legge n. 689 del 1981.

Le suesposte doglianze sono infondate.

5.1) Quanto alla censura sub a), va osservato che il T.A.R., prendendo in considerazione la censura di violazione dell’art. 20, comma 7, del D.L. n. 26/1994, ha così statuito; "la norma è chiara ed esclude tout court gli spazi destinati a sala cinematografica dalla determinazione della volumetria sulla quale sono calcolati gli oneri di concessione, indipendentemente dalla destinazione d’uso del fabbricato. Conseguentemente, la determinazione del contributo è errata nella parte in cui è stata considerata anche volumetria relativa alla sala cinematografica e, limitatamente a questa parte, non sussiste il presupposto per la legittima applicazione della sanzione per il ritardato pagamento degli oneri concessori".

Da quanto testè riferito emerge che il T.A.R. ha correttamente risposto al motivo di censura, mentre spetta all’Amministrazione procedere al ricalcolo degli interessi e delle sanzioni conseguente all’accoglimento della censura stessa.

5.2) Quanto alla questione sub b), si osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, la determinazione delle sanzioni è stata fatta decorrere dalla concessione edilizia, perchè è in essa che furono liquidati i contributi e, quindi, è sorto il debito per la richiedente la concessione.

5.3) Quanto alla censura sub c), la stessa è stata tardivamente dedotta per la prima volta nei motivi aggiunti, mentre avrebbe dovuto essere proposta con l’atto introduttivo del giudizio.

In ogni caso, la censura è anche infondata, perché, in materia di obbligazioni pecuniarie, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto a escutere il coobbligato piuttosto che attendere, il pagamento, ancorché tardivo, salva l’esistenza di apposita clausola in tal senso.

In applicazione di tale principio si è ritenuto, ad esempio che abbia agito correttamente il Comune che, nell’applicare a una società la sanzione prevista dall’art. 3, comma 2, lett. a), L. n. 47/1985, per ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione, non ha proceduto, prima dell’applicazione delle sanzioni, alla preventiva richiesta alla banca garante, obbligatasi, con la società a pagare quando dovuto dietro semplice richiesta scritta (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 4025 del 16 luglio 2007 e, nello stesso senso, Sez. IV, n. 4419 del 10 agosto 2007).

5.4) Quanto alla censura sub d), la stessa è inammissibile per le considerazioni esposte in sede di esame della censura che precede.

6) In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello deve essere respinto e la sentenza appellata confermata anche se, in parte, integrata da diversa motivazione.

Ritiene, altresì, il Collegio che ogni altro motivo o eccezione di rito o di merito possa essere assorbito siccome ininfluente e irrilevante ai fini della decisione.

Circa le spese e gli altri oneri della presente fase di giudizio, si ravvisano giustificati motivi per compensarli tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, respinge l’appello in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese, le competenze e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo, il 18 maggio 2011, dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, in Camera di Consiglio, con l’intervento dei signori: Luciano Barra Caracciolo, Presidente, Guido Salemi, estensore, Gabriele Carlotti, Giuseppe Mineo, Alessandro Corbino, componenti.

Depositata in Segreteria il 22 novembre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2011) 10-11-2011, n. 40982

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 18/5/11 il Tribunale del riesame di Palermo revocava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 29/4/11 dal Gip di quel Tribunale nei confronti di A.A., imputato dei reati di associazione per delinquere e concorso in favorito ingresso di stranieri extracomunitari clandestini nel territorio dello Stato: sbarco avvenuto sul litorale costiero di (OMISSIS)) nella prima notte del 15/2/11. L’indagato era un componente dell’equipaggio.

Il Tribunale accoglieva l’eccezione, sollevata dalla difesa, di inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 63 c.p.p., comma 2, delle dichiarazioni rese dai clandestini sbarcati sulle coste italiane:

costoro andavano sentiti sin dall’inizio in qualità di imputati o di persone sottoposte alle indagini per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis, chiaramente collegato a quello contestato.

Di qui l’insussistenza a carico dell’indagato dei necessari gravi indizi di colpevolezza (insufficiente, a tal fine, il richiamo ad una nota dei CC di Agrigento del 13/4/11 che a sua volta rinviava ad altra informativa, che riportava, senza alcun vaglio critico del Gip, ad una serie di conversazioni intercettate nel corso delle indagini).

Ricorreva per cassazione il Pm della DDA di Palermo, contestando la fondatezza dei rilievi sollevati dal Tribunale (corretta l’assunzione testimoniale delle dichiarazioni dei clandestini, utilizzabili erga omnes; legittima la motivazione "per relationem" ad atti contenuti nel fascicolo processuale), chiedendo l’annullamento, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione del Tribunale, dell’ordinanza impugnata.

All’udienza camerale fissata per la discussione il PG chiedeva il rigetto del ricorso. Nessuno compariva per l’indagato.

Il ricorso è fondato.

La valutazione di inutilizzabilità ai sensi dell’art. 63 c.p.p., comma 2, delle dichiarazioni degli stranieri trasportati (su cui è fondata la misura di custodia cautelare) non è infatti sorretta da idonea ed esauriente motivazione.

Non risultando invero che i dichiaranti siano stati formalmente incriminati, occorreva che il Tribunale desse conto delle ragioni per cui li ha considerati indiziati del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis, con riferimento alla situazione concreta.

E tale indagine, non effettuata, era tanto più necessaria tenuto conto che, come risulta dagli atti di questa e di analoghe procedure riguardanti la medesima operazione, la nave che trasportava gli stranieri è stata intercettata dopo inseguimento dei militari operanti quando ancora si trovava in alto mare, per cui quelli che ancora si trovavano a bordo, tra cui vi erano tutti i dichiaranti nominativamente citati nel provvedimento ( E.H., S. K., M.D.), non hanno fatto ingresso clandestino nel territorio dello stato, bensì sotto il controllo dei militari italiani.

Si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo per una più approfondita motivazione.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 02-01-2012, n. 8 Aiuti e benefici

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Svolgimento del processo

Con nota del 9 novembre 2010, AGEA ha intimato ai ricorrenti (in qualità di eredi del sig. A.R.) la restituzione della somma di Euro 228.080,11 (oltre interessi) in ragione dell’indebita percezione da parte della "ditta individuale A.R." di contributi comunitari di pari importo.

Tale richiesta è stata inviata ai ricorrenti a seguito delle indagini svolte dalla Guardia di finanza e riguardanti l’indebita percezione da parte di A.R. di contributi comunitari concessi per l’annata 2006/2007 con riferimento alla coltivazione di agrumi.

Avverso tali atti (di sospensione della erogazione dei contributi e di restituzione delle somme erogate), e tutti gli altri ad essi connessi, hanno proposto impugnativa gli interessati, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, per i seguenti motivi:

1) violazione di legge ed eccesso di potere.

La richiesta di restituzione è giunta ai ricorrenti in qualità di eredi del sig. A.R., incolpato di avere indebitamente percepito contributi comunitari pari ad Euro 228.080,11. Gli istanti, tuttavia, sebbene indicati come soggetti obbligati in solido, non possono essere ritenuti tali in quanto la responsabilità penale è personale e, peraltro, il procedimento penale a carico del sig. A.R. per il reato di cui all’art. 640 c.p. è stato archiviato.

La stessa richiesta di restituzione è stata, altresì, indirizzata all’organismo di produttori (OP – Consorzio Sole Mediterraneo a r.l., ora Sole del Mediterraneo società cooperativa) che, in effetti, è il soggetto a cui sono stati direttamente erogati i contributi comunitari di che trattasi.

Ed invero, come si evince dalla normativa comunitaria, l’OP non è un mero intermediario tra l’organo comunitario ed i produttori bensì è il diretto beneficiario degli aiuti alla produzione.

AGEA è, quindi, tenuta ad agire nei confronti della sola OP- Consorzio Sole Mediterraneo a r.l. la quale, a sua volta, potrà poi agire in via di rivalsa nei confronti dei produttori conferenti.

A ciò si aggiunga che la motivazione contenuta nel provvedimento di restituzione degli aiuti (ovvero che il sig. A.R. non aveva la disponibilità giuridica dei terreni di produzione di agrumi, pari invece al 50% del totale dichiarato) non corrisponde al vero in quanto il sig. A. era titolare di un contratto di locazione di quei terreni stipulato con la società Immobiliare Vischinia che, in pendenza negozio valido, ha trasferito nel dicembre 2006 la proprietà al sig. S. e, di conseguenza, anche il rapporto locatizio.

Il sig. S. è entrato nel pieno possesso dei terreni nel 2007 tanto che, con riferimento all’annata successiva (2007/2008), il sig. A.R. non ha indicato tali terreni nella propria disponibilità;

2) illegittimità derivata.

Anche i verbali della Guardia di finanza che hanno descritto i predetti comportamenti e le dichiarazioni del sig. S. sono illegittimi per i motivi indicati nel motivo precedente.

Si è costituita in giudizio AGEA chiedendo il rigetto del ricorso perché infondato nel merito.

Con ordinanza n. 1461/2011, è stata accolta la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

In prossimità della trattazione del merito, i ricorrenti hanno depositato memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Alla pubblica udienza del 1 dicembre 2011, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso si rivela fondato nella parte in cui si censura che le note impugnate sono state inviate anche ai ricorrenti, in qualità di eredi del sig. A.R., e non soltanto all’organismo di produttori (Consorzio Sole Mediterraneo a r.l., ora Sole del Mediterraneo società cooperativa).

La questione, invero, è stata affrontata, con riferimento proprio al caso di specie, dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 8 ottobre 2010, n. 7773 che ha, peraltro, confermato la pronuncia del TAR Lazio, sez. II Ter, 30 novembre 2009, n. 12143 (nella fattispecie di cui alle sentenze citate, si trattava del ricorso proposto dall’OP – Consorzio Sole Mediterraneo a r.l. che aveva impugnato le note con cui AGEA aveva sospeso l’erogazione di contributi comunitari nei suoi confronti, proprio invocando la responsabilità diretta del produttore A.R., con riferimento alle dichiarazioni di disponibilità dei terreni, ritenute non veriterie all’esito delle indagini della Guardia di finanza).

1.1 In quella sede, il giudice di appello, dopo aver ricostruito la normativa nazionale e comunitaria (in particolare, Reg. CE nn. 2220/1996, 103/2004 e 2111/2003 e D.Lgs. n. 228 del 2001) in tema di aiuti comunitari nel settore ortofrutticolo da cui emerge il ruolo centrale delle organizzazioni dei produttori, ha precisato, con riferimento al regime della responsabilità con i produttori conferenti, che, essendo l’organizzazione di produttori la diretta beneficiaria degli aiuti comunitari, lo Stato membro è obbligato ad agire nei suoi riguardi con ogni possibile iniziativa di recupero nell’ipotesi di percezione indebita dei menzionati aiuti.

In questo quadro, il Consiglio di Stato ha ritenuto che AGEA è legittimata a chiedere la restituzione dell’indebito anzidetto soltanto ai predetti organismi ai quali aveva erogato precedentemente gli aiuti comunitari, ciò in quanto questi sono i reali destinatari del recupero, ferma restando comunque la possibilità di agire in rivalsa, autonomamente, per conseguire il ristoro del danno subito nei confronti dei singoli produttori (cfr, punto 2.1 di cit. Cons. St., sez. VI, n. 7377/2010).

1.2 La Sezione non ha motivo di discostarsi dalle argomentazioni del giudice di appello, a ciò aggiungendo che nella normativa citata non vi è alcuna disposizione che faccia ritenere esistente una responsabilità solidale tra l’OP ed il singolo produttore tanto da legittimare la possibilità per AGEA di rivolgere indifferentemente la richiesta di restituzione all’uno o all’altro, pur rimanendo, come detto, la possibilità per l’organismo di produttori di agire in rivalsa a titolo – però – di risarcimento dei danni subiti in ragione del comportamento fraudolento di quest’ultimo.

Né vale invocare l’art. 2615, comma 2, del c.c. secondo cui la responsabilità del singolo consorziato si somma con quella del consorzio che ha agito per suo conto, creando, per effetto di questo vincolo solidale, una duplicità di legittimazioni passive, in quanto il ruolo centrale ed autonomo sopra descritto, assunto dall’OP nei rapporti con l’organismo pagatore, non consente di ritenere che le obbligazioni siano state assunte nell’interesse specifico dei produttori conferenti.

2. Ciò posto, previo assorbimento delle ulteriori doglianze proposte dai ricorrenti, il ricorso va accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati.

3. Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Condanna AGEA al pagamento delle spese di giudizio in favore dei ricorrenti che si liquidano in Euro 1.000,00 (mille/00) oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Maddalena Filippi, Presidente

Maria Cristina Quiligotti, Consigliere

Daniele Dongiovanni, Consigliere, Estensore

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Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 11-07-2012, n. 11723 Diritti politici e civili

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Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 20 aprile 2009 presso la Corte d’appello di Bari, S.P. ha chiesto il riconoscimento del proprio diritto iure successionis all’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo, introdotto dal suo dante causa S.C. dinnanzi alla Corte dei conti in data 14 aprile 1959. Il ricorrente precisava che il suo dante causa era deceduto il 15 febbraio 1967 e che il giudizio era stato definito con sentenza depositata il 30 maggio 2008.

L’adita Corte d’appello ha innanzitutto rilevato che la domanda doveva ritenersi ammissibile a far data dal 1 agosto 1973, data a partire dalla quale è stata riconosciuta la facoltà del ricorso individuale alla Commissione (oggi, alla Corte europea dei diritti dell’uomo), con la possibilità di far valere la responsabilità dello Stato.

Ha quindi escluso che, essendo G.V. deceduto il (OMISSIS), possa essere maturato, in favore del ricorrente, in qualità di erede, il dritto all’indennizzo per la durata irragionevole del giudizio, non essendosi formato in capo al de cuius alcun diritto prima del suo decesso.

La Corte d’appello ha escluso altresì che il ricorrente potesse aver subito un qualche pregiudizio in proprio, atteso che egli aveva riassunto il giudizio solo il 16 ottobre 2006 e il giudizio stesso si era concluso con sentenza depositata il 30 maggio 2008, e cioè a meno di due anni dalla richiesta di giustizia.

Per la cassazione di questo decreto S.P., nella qualità di erede di S.C., ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo; l’intimata amministrazione ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001 e dei principi sanciti dalla giurisprudenza europea in materia di equa riparazione.

Il ricorrente censura il provvedimento impugnato sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che non si fosse formato in capo al de cuius alcun diritto all’equa riparazione, essendo avvenuto il suo decesso anteriormente al 1 agosto 1973, data a partire dalla quale è stata riconosciuta la facoltà del ricorso individuale alla Commissione con possibilità di far valere la responsabilità dello Stato.

Il ricorso è manifestamente infondato.

La Corte d’appello si è adeguata all’orientamento espresso da questa Corte secondo cui "posto che la finalità della L. 24 marzo 2001, n. 89 è quella di apprestare, in favore della vittima della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, un rimedio giurisdizionale interno analogo alla prevista tutela internazionale, deve ritenersi che, anche nel quadro dell’istanza nazionale, al calcolo della ragionevolezza dei tempi processuali sfugga il periodo di svolgimento del processo presupposto anteriore all’1 agosto 1973 – data a partire dalla quale è riconosciuta la facoltà del ricorso individuale alla Commissione (oggi, alla Corte europea dei diritti dell’uomo), con la possibilità di far valere la responsabilità dello Stato -, dovendosi, peraltro, tenere conto della situazione in cui la causa si trovava a quel momento" (Cass. n. 14286 del 2006; Cass. n. 15778 del 2010).

Ha quindi correttamente rilevato che il dante causa dell’odierno ricorrente è deceduto prima di tale data, il che imponeva di escludere che potesse al momento del decesso avere maturato un diritto all’equa riparazione azionabile dall’erede a distanza di oltre quaranta anni. L’odierno ricorrente, del resto, ha riassunto la causa solo nel 2006, sicchè solo da tale data poteva essere presa in considerazione nei suoi confronti la durata del processo presupposto.

Ma, poichè un tale processo è stato definito con sentenza di inammissibilità della riassunzione nel 2008, correttamente la Corte d’appello ha escluso un qualsiasi diritto del ricorrente all’equa riparazione.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese eventualmente prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.