Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 01-08-2012, n. 13800

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Svolgimento del processo
C.S.A. propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, avverso la sentenza del TSAP che ha dichiarato inammissibile, per tardiva notifica alla controinteressata I. s.r.l., il ricorso proposto per l’annullamento della Delib. n. 300 del 2007, con cui la Giunta Provinciale di Cuneo aveva espresso un giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto di impianto idroelettrico presentato dalla stessa I. su terreni di proprietà della ricorrente. Il TSAP ha inoltre rigettato i primo, secondo, terzo e quarto atto per motivi aggiunti proposti dalla stessa ricorrente ed ha accolto il quinto solo relativamente alla motivazione della proroga del termine d’inizio lavori per la realizzazione della centrale idroelettrica di cui si tratta.
Resistono con controricorsi l’I. s.r.l., la Provincia di Cuneo e l’Autorità di Bacino del Fiume Po, unitamente all’Agenzia Interregionale per il Fiume Po – AIPo, tutte e tre proponendo altresì ricorsi incidentali.
L’I. ha depositato memoria.
L’Ente di Gestione delle aree protette della fascia fluviale del Po Tratto Torinese – Parco del Po tratto Torinese, la Regione Piemonte ed il Comune di Casalgrasso non si sono costituiti.
Motivi della decisione
1.- I ricorsi incidentali, proposti nell’ambito del ricorso principale R.G. n. 28077 del 2011, vanno trattati unitamente a quest’ultimo.
2.- Con il primo motivo la ricorrente principale si duole della declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, assumendo il difetto di autonomia della impugnazione della VIA per interessi non ambientali.
2.1.- Il primo motivo è inammissibile per difetto di interesse. Se, infatti, si accogliesse la tesi della ricorrente riguardo alla mancanza di autonomia della VIA, il ricorso andrebbe comunque dichiarato inammissibile perchè rivolto contro un atto infraprocedimentale.
3.- Con il secondo motivo la ricorrente si duole, sotto il profilo della violazione di legge, de fatto che il TSAP abbia in sostanza affermato che il procedimento unico di cui al D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12 è derogabile dall’Amministrazione e che l’autorizzazione unica alla gestione di una centrale idroelettrica non è comprensiva della concessione di derivazione d’acqua.
3.1.- Anche il secondo motivo è inammissibile, sia perchè del mancato rispetto del modulo procedimentale, se vincolato, potrebbe eventualmente dolersi solo l’interessato sia perchè il TSAP ha affermato, senza censure sul punto, che la pluralità di procedure attivate, al posto dell’unica, non toglie alcuna garanzia di difesa alle ragioni di tutti i soggetti coinvolti e d’altro canto la ricorrente non indica quale sarebbe il pregiudizio da essa subito.
4.- Con il terzo motivo, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente principale si duole innanzitutto del rigetto della questione principale proposta, riguardante la necessità che il proponente abbia la disponibilità dell’area su cui realizzare la centrale idroelettrica, e la violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità nel fatto dell’espropriazione di un’area, per consentire ad un privato di costruire una centrale idroelettrica, quando il proprietario della stessa abbia manifestato nel corso del procedimento l’intenzione di realizzare sulla medesima area un impianto sostanzialmente identico.
4.1.- Il terzo motivo, per tale aspetto, è infondato, atteso che in base a nessuna norma di legge la disponibilità dell’area costituisce condizione necessaria per il rilascio di una concessione di derivazione, tantopiù che – come la stessa ricorrente ricorda (pag.
22 del ricorso) – le centrali idroelettiche sono qualificate dal D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12 come opere private di pubblica utilità, con ciò abilitandosi il soggetto autorizzato all’espropriazione dei terreni necessari ad ospitare l’impianto assentito.
5.- Sempre con il terzo motivo la ricorrente assume che, in concreto, la decisione di espropriare i terreni nonostante essa proprietaria avesse dichiarato di voler costruire un impianto identico a quello autorizzato sarebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa.
5.1.- Anche sotto tale profilo il mezzo è infondato, atteso che – ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 9, comma 2 – a parità di altre condizioni, vale il criterio della priorità di presentazione, senza alcun riferimento alla proprietà dei terreni.
6.- Con il quarto motivo, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la contestazione in ordine all’omessa considerazione dei vari scritti difensivi.
6.1.- Il quarto motivo è inammissibile, non essendo riportato il contenuto delle "osservazioni" esposte nei menzionati scritti.
7.- Con il quinto motivo, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente si duole della sentenza nella parte in cui ha rigettato le sue censure avverso l’autorizzazione perchè alcune amministrazioni non avevano espresso il loro parere in sede di conferenza e perchè le amministrazioni preposte alla tutela della salute e della incolumità pubblica non erano state invitate.
7.1.- Il quinto motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. La circostanza che il parere debba essere espresso in sede di conferenza di servizi è apoditticamente affermata e comunque appare assorbente il rilievo che eventualmente possa dolersi di irregolarità nella formulazione dei pareri l’interessato e non certo il controinteressato. Del pari, è apodittica, e non supportata da alcuna norma, l’affermazione secondo la quale la Provincia avrebbe dovuto invitare alla Conferenza anche l’ASL, l’ARPA, il Corpo forestale dello Stato e il Corpo dei Vigili del Fuoco.
8.- Con il sesto motivo, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui non ha accolto l’eccepita illegittimità del decreto di esproprio per l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità conseguente alla sua mancata comunicazione personale ad essa ricorrente.
8.1.- Il sesto motivo è infondato, dovendo condividersi l’affermazione del TSAP secondo cui l’omessa comunicazione personale dell’autorizzazione unica (…) è surrogata dalla piena conoscenza della determinazione dirigenziale della Provincia di Cuneo n. 333/2009, determinatasi almeno dalla data di notificazione del terzo atto per motivi aggiunti, con il quale è stata impugnata la suddetta determinazione dirigenziale.
9.- Con il settimo motivo, sempre sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente, affidandosi in particolare al tenore testuale dell’autorizzazione, reitera la tesi secondo cui la riconosciuta illegittimità della proroga del termine di inizio lavori determinerebbe la decadenza dell’autorizzazione unica e quindi della dichiarazione di pubblica utilità nonchè dell’intero procedimento espropriativo.
9.1.- Il mezzo, in quanto inteso a valorizzare il tenore testuale dell’autorizzazione, secondo cui anche l’inosservanza del termine di inizio dei lavori comporterebbe la decadenza dell’autorizzazione, è inammissibile in quanto incentrato su una circostanza che la ricorrente non assume di avere sottoposto al giudice di merito.
Per il resto il mezzo è infondato, apparendo condivisibile il ragionamento del giudice di merito secondo cui tanto la vecchia quanto la più recente disciplina sulle espropriazioni non attribuisce particolare valore al termine di inizio dei lavori.
10.- Con il proprio ricorso incidentale l’I. si duole, sotto il profilo della violazione di legge, del fatto che il giudice abbia trascurato l’eccezione di inammissibilità della impugnativa della determinazione 4/11/08 n. 634, proposta dalla ricorrente con il primo atto per motivi aggiunti, che presentava gli stessi vizi del ricorso principale.
10.- Il mezzo è inammissibile per difetto di interesse, essendo stato rigettato il primo atto per motivi aggiunti.
11.- La Provincia di Cuneo, con un motivo, si duole, sotto il profilo della violazione di legge, dell’accoglimento parziale del quinto atto per motivi aggiunti, assumendo in particolare l’inapplicabilità, all’autorizzazione unica, del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 15 relativo al mancato inizio dei lavori entro un anno dal rilascio della concessione edilizia.
11.1.- Il mezzo è infondato. A prescindere dalla applicabilità del suddetto art. 15, la proroga è stata in definitiva censurata dal TSAP in quanto non adeguatamente motivata, in conformità ai principi generali in tema di motivazione dell’atto amministrativo.
12.- L’Autorità di Bacino del Fiume Po e l’AIPo. con due motivi espressamente qualificati come condizionati, si dolgono, sotto i profili della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e, in via subordinata, del vizio di motivazione, della mancata considerazione della propria eccezione di difetto di legittimazione passiva.
12.1.- I due motivi di ricorso incidentale risultano assorbiti.
13.- Il ricorso principale della C. e quelli incidentali della I. e della Provincia di Cuneo vanno quindi rigettati, mentre quello incidentale della Autorità di Bacino del Fiume Po e dell’AIPo è assorbito.
Appare equo disporre la compensazione delle spese tra tutte le parti costituite in ragione della difficoltà delle questioni trattate.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso principale e gli incidentali di I. s.r.l. e della Provincia di Cuneo, assorbito il ricorso incidentale della Autorità di Bacino del Fiume Po e dell’AIPo; spese compensate.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 10 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Tar Lazio, Sentenza 17 Settembre 2010, n. 32352 Esame orale avvocato La discussione degli scritti non è un obbligo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Diritto

1. Si controverte in ordine al giudizio di inidoneità conseguito dal ricorrente alla prova orale dell’esame di Stato per l’esercizio della professione di avvocato, indetto con d.m. 22 luglio 2008 per l’anno 2009.

2. Il ricorso è infondato.

3. E’ in primo luogo infondata la prima censura, con la quale si fa constare che, come attestato dalla scheda di specifica della prova orale cui il ricorrente è stato sottoposto, la Commissione esaminatrice, in violazione del disposto dell’art. 17-bis, comma 3, del r.d. 24 gennaio 1934, n. 37 e s.m.i., non ha fatto precedere l’escussione del candidato sulle questioni di diritto relative alle cinque materie prescelte dalla prescritta breve illustrazione di tutte le prove scritte, bensì ha limitato l’operazione ad una sola una di esse (diritto penale).

La Sezione ha già avuto modo di precisare che l’assunto su cui si basa la censura – ovvero che la succinta illustrazione delle prove scritte contemplata dalla norma indicata costituirebbe un ineludibile obbligo della commissione di esame, la cui inosservanza comporterebbe l’irrimediabile illegittimità della prova orale – non è condivisibile (Tar Lazio, Roma, I, 15 gennaio 2009, n. 233)

In realtà, la suddetta previsione non può intendersi nel senso prospettato, che, determinando la necessità di un adempimento meccanicistico, da effettuare sempre e comunque, concreterebbe una inammissibile ed ingiustificata mortificazione dei lavori di quest’ultima.

In realtà, più limitatamente, la norma intende riservare all’organo collegiale la possibilità di estendere il colloquio anche all’esame e alla discussione delle prove scritte, ma solo tutte le volte in cui tale fase sia ritenuta necessaria o, comunque, opportuna, al fine di consentire al candidato di chiarire le tesi esposte nei suoi elaborati e alla commissione di verificarne l’effettiva paternità e, soprattutto, la consapevolezza che ne ha accompagnato l’elaborazione.

4. E’ d’uopo, inoltre, osservare, con riferimento alla notazione del ricorrente che il modulo prestampato del verbale dei lavori della Commissione, con formula prestampata, dà atto dell’intervenuta “breve illustrazione delle prove scritte”, che neanche tale circostanza può condurre agli effetti sperati.

Per giurisprudenza pacifica, in sede di operazioni concorsuali, le irregolarità della verbalizzazione non hanno di per sé carattere viziante, qualora non compromettano la funzione strumentale propria del verbale (tra altre, Tar Lazio, Roma, I, 3 novembre 2009, n. 10725; C. Stato, V, 11 maggio 2009, n. 2880).

E se è vero che nelle procedure concorsuali pubbliche la verbalizzazione è forma di garanzia della trasparenza della valutazione, purtuttavia la mancata integrale trascrizione di tutti gli elementi relativi alle operazioni compiute ovvero altre mende rilevabili nello stesso si traducono in un mera irregolarità, salvo che, in presenza di ulteriori elementi sintomatici possa insorgere il dubbio della non corrispondenza sostanziale di quanto riportato nel processo verbale con l’effettiva attività svolta dalla Commissione.

E una siffatta evenienza è qui assolutamente non intravedibile.

Di talchè non risultano neanche fondate le censure con le quali, nel prosieguo, parte ricorrente ha sostenuto che alcune delle domande riportate nel verbale del 13 ottobre 2009 non corrispondono a quelle effettivamente poste al ricorrente.

5. Le argomentazioni con le quali parte ricorrente ha preteso di individuare un nesso di conseguenzialità fra l’atteggiamento asseritamene ostile e scostante mantenuto nel corso della prova orale nei propri confronti dalla Commissione – e segnatamente da uno dei suoi componenti – e l’esito della stessa non si sollevano – in difetto di concludenti elementi dimostrativi atti a provare con carattere di necessaria concretezza una qualche efficienza causale – dal rango di indimostrate asserzioni, in quanto tali insuscettibili di sindacato.

Con la necessaria precisazione che devesi escludere che mere dichiarazioni di privati riportanti la ricostruzione della prova del ricorrente in termini analoghi a quella da lui stesso offerta possano, di per sé, in difetto di qualsiasi altro elemento di carattere obiettivo, integrare quel principio di prova che, solo, può orientare il giudizio di legittimità.

Ad analoghe conclusioni non può che pervenirsi quanto alla puntuale ricostruzione offerta in ricorso di una delle domande postegli (art. 210 c.p.p.) della quale si sostiene l’insidiosità, assumendosi che la stessa, unitamente al predetto atteggiamento complessivo della Commissione, hanno influenzato negativamente la prova.

Dette argomentazioni – come, del resto, altre affermazioni mediante le quali il ricorrente tende ad accreditare di essere più preparato dei componenti della Commissione nella giurisprudenza comunitaria relativa ad alcune materie sulle quali la prova si è svolta ovvero lamenta la disparità di trattamento subita rispetto ad altri candidati – involvono in mere asserzioni del tutto sfornite di alcun, ancorchè minimo, fondamento dimostrativo, eppertanto non rilevano quali elementi inficianti l’avversato giudizio, ulteriormente rilevandosi, al riguardo, che le domande che lo stesso ricorrente riferisce essergli state rivolte (diritto processuale penale: indagini difensive – art. 210 c.p.p. “esame di persona imputata in un procedimento connesso”; ordinamento forense: testimonianza dell’avvocato – il Consiglio nazionale forense), lungi dall’attestare un negativo atteggiamento della Commissione, altro non rivelano che l’esigenza, del tutto consona alla prova, di valutare in capo all’aspirante la sussistenza del bagaglio conoscitivo proprio dell’avvocato.

Di talchè, da un lato, non sembra possibile inferire che vi sia stato un vizio nelle operazioni preordinate alla valutazione; dall’altro, il ricorrente non può essere seguito quando afferma di aver comunque fornito risposte sufficienti o addirittura più che positive (tranne che in relazione all’art. 210 c.p.p.), tali da meritare il superamento dell’esame.

Del resto, non appare superfluo soggiungere che una siffatta conclusione involve nella sostituzione del punto di vista dell’interessato a quello espresso in sede di valutazione dalla Commissione di esame, ciò che costituisce, per notoria e più che consolidata giurisprudenza, espressione di un’ampia discrezionalità tecnica, e che, in quanto tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia inficiata, ictu oculi, da eccesso di potere, sub specie delle figure sintomatiche dell’arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità e travisamento dei fatti, che nella fattispecie, alla luce della prospettazione e delle allegazioni dell’interessato, il Collegio non può ravvisare.

A tale ultimo riguardo, nulla muta neanche considerando che il ricorrente, nel contestare l’avversato giudizio di insufficienza nelle materie di diritto costituzionale, diritto comunitario, diritto penale ed ordinamento forense, espone di aver conseguito l’abilitazione all’insegnamento nel Regno Unito per il tramite del Master of Law presso la London Metropolitan University di Londra.

Per vero, l’ordinamento vigente subordina l’esercizio della professione di avvocato esclusivamente al superamento dell’esame di Stato, ovvero ad uno specifico scrutinio volto a sondare l’adeguatezza della preparazione del candidato.

Ne consegue che giammai essa potrebbe ritenersi presunta a causa delle esperienze professionali dal candidato maturate o maturande in altri contesti professionali o culturali, palesando ogni diversa conclusione un insanabile contrasto con la ratio stessa della previsione.

Né la mancata immediata comunicazione al ricorrente, in uno all’esito della prova, della votazione assegnatagli nelle singole materie e complessivamente, può ridondare in un vizio inficiante, atteso che, nel prosieguo, mediante accesso agli atti della procedura, il medesimo ha avuto piena contezza della motivazione del contestato giudizio, che non soffre, ad avviso del Collegio, alcuna menda motivazionale nel permettere la comprensione dei presupposti considerati dalla Commissione e nell’iter logico che ha condotto all’impugnato giudizio.

E ciò dandosi atto che “Il candidato non ha mostrato un’adeguata conoscenza e dimestichezza con gli istituti fondamentali del processo penale, del diritto costituzionale e comunitario; nemmeno nelle altre materie ha mostrato un sufficiente livello di preparazione , tale da poterlo condurre ad una complessiva sufficienza”.

6. Per tutto quanto precede – e non senza dare previo atto che le memorie depositate in corso di causa dalla parte ricorrente nulla aggiungono alle questioni come sin qui trattate – il ricorso deve essere respinto.

Sussistono nondimeno giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Definitivamente pronunziando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cassazione I civile n. 15566 del 14.07.2011 Famiglia, separazione, tenore di vita, assegno divorzile, figli

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

1. Su ricorso della sig.ra M. F. F.il tribunale di Catania, con sentenza del novembre 2006, dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lei contratto nel luglio 1993 con il Sig. C. F. V. R., dal quale era nato il figlio, ancora minore, G. Il tribunale affidava il figlio a entrambi i genitori, disponendone il collocamento presso la madre, ponendo a carico del R. un assegno quale contributo al suo mantenimento di euro 500,00 mensili. Il sig. R. impugnava la sentenza chiedendo l’affidamento esclusivo a sé del figlio minore, ponendo a carico della madre un contributo di euro 1.500,00 mensili; in via subordinata l’affidamento ad entrambi con il collocamento del minore presso di sé, ponendosi a carico della madre un assegno di euro 750,00 mensili quale contributo al suo mantenimento; in via ancora più subordinata l’affidamento del figlio ad entrambi con ripartizione dei tempi di permanenza presso ciascun genitore; chiedeva inoltre l’ammonimento della ex moglie e la sua condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. La sig. F. proponeva appello incidentale, chiedendo l’affidamento esclusivo del minore e un assegno quale contributo al suo mantenimento non inferiore ad euro 1000,00 mensili. La Corte d’appello di Catania, in parziale riforma della sentenza impugnata, confermava l’affidamento del minore a entrambi i genitori, con collocamento presso la madre, dettando disposizioni specifiche per l’esercizio della potestà genitoriale, aumentava ad euro 1000,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie, l’assegno a carico del padre per il mantenimento del figlio e rigettava le domande proposte ex art. 709 ter c.p.c. Il Sig. R., con ricorso notificato alla controparte in data 4 agosto 2009, ha proposto quattro motivi di gravame. La parte intimata non ha depositato difese. Il ricorrente ha anche depositato memoria.

Il collegio delibera che si dia luogo a motivazione semplificata.

Motivi della decisione

1.1.Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 155 cod. civ. deducendosi che la Corte d’appello avrebbe errato nell’aumentare il contributo per il mantenimento del figlio minore a carico del ricorrente, non tenendo conto del nuovo testo dell’art. 155 cod. civ., come modificato dalla legge_54_2006, il quale prevede che “ciascun genitore provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità”. Nel caso di specie mentre esso ricorrente, invitato dalla Corte d’appello, aveva prodotto le dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2006, 2007 e 2008, la controparte non aveva ottemperato al relativo ordine, cosicché la Corte d’appello, pur dovendo quantificare l’assegno in proporzione dei redditi di ciascun genitore, aveva aumentato l’assegno senza tenere conto dei redditi attuali della madre del minore.

Si formula in proposito il seguente quesito di diritto:

“Dica la Corte se è vero che, in ossequio alla norma di cui all’art. 155 cod. civ., il giudice del merito debba valutare, al fine di disporre l’assegno ed al fine di stabilirne la misura, le reali capacità reddituali delle parti e se tale valutazione debba essere operata con riferimento a criteri concreti e omogenei, quali le dichiarazioni fiscali relative ai medesimi periodi, nonché in riferimento al tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori”.

1.2. Va premesso che la motivazione della sentenza, dopo avere stabilito il collocamento del figlio presso la madre, con tempi di soggiorno presso il padre molto limitati, subordinati nelle modalità a taluni adempimenti logistici che consentissero al minore autonomia e riservatezza quando dormisse presso di lui, si fonda, in relazione alla quantificazione dell’assegno, su una “ratio decidendi” composita, che ha preso in considerazione l’attività lavorativa di ciascun genitore (il padre odontoiatra e la madre medico di base specializzata in neuropsichiatria infantile); il reddito di circa 60.000,00 euro annui netti percepito dalla madre nel 2004, la circostanza che essa abiti e sia proprietaria di una villa in Catania, l’acquisto, da parte sua, di un appartamento in (…) al prezzo di 130.00,00 euro con la contrazione di un mutuo di 100.000,00 euro; i redditi dichiarati dal padre nel 2006 e nel 2007, argomentandone una ben più ampia percezione in relazione alla sua professione ed al presumibile avviamento operando nello stesso settore del padre (medico dentista anch’egli) e ad un accertamento della Guardia di Finanza del 1999; all’acquisto al figlio di una minicar. Sulla base di tali elementi, pur ritenendo il maggiore il reddito della madre rispetto a quello del padre, tenuto conto delle disponibilità di quest’ultimo, del contesto sociale di appartenenza del minore, delle sue abitudini di vita, dell’elevato standard che la famiglia avrebbe avuto in base alle sostanze di entrambi i coniugi, nonché del maggior impegno della madre con la quale il figlio convive, la sentenza – con valutazione di competenza del giudice di merito – ha quantificato l’assegno a carico del padre in euro mille mensili.

Secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale di questa Corte, in relazione al vizio di violazione di legge l’art. 366 bis c.p.c. prescrive che il motivo si concluda con un quesito che ha la funzione d’indicare direttamente alla Corte l’errore di diritto asseritamente commesso dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (ex multis Cass. 7 aprile 2009, n. 8463) . Quesito che deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto rilevanti; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (ex multis Cass. 17 luglio 2008, n. 19769). Nel caso di specie il quesito formulato in relazione al primo motivo non appare idoneo a censurare adeguatamente la decisione impugnata, presentando un carattere di astrattezza che non lo rende compiutamente collegabile con la sua complessiva “ratio decidendi”. Ne consegue l’inammissibilità del motivo ai sensi dell’art. 366 bis c.p. c.

2. Con il secondo motivo si denuncia “contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo”, costituito dal riferimento nella motivazione ad un accertamento compiuto a carico del ricorrente dalla Guardia di Finanza nel 1999, dal quale risulterebbe evasore totale, circostanza accertata come non vera da sentenza penale passata in giudicato e prodotta in giudizio. Il motivo si conclude deducendosi che “ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. il ricorrente dichiara che ai fini della capacità reddituale del ricorrente la sentenza impugnata è contraddittoria laddove indica a sostegno gli accertamenti preliminari della Guardia di Finanza e non la sentenza di assoluzione piena che conclude il procedimento iniziato a seguito degli indicati accertamenti”.

Anche tale motivo è inammissibile essendo il vizio motivazionale con esso prospettato privo sia di puntuale riferimento a documentazione che si afferma, senza specifica indicazione, come prodotta, sia del requisito della decisorietà, non costituendo il fatto dedotto elemento centrale, bensì del tutto marginale, della “ratio decidendi” della sentenza impugnata.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 155, comma 4 cod. civ., per non avere la Corte di merito valutato l’aumento del tempo di permanenza del minore presso il padre da essa stabilito, che avrebbe dovuto comportare una diminuzione dell’assegno stabilito in primo grado. In proposito si formula il seguente quesito: “Dica la Corte se viola l’art. 155, comma 4, n. 3, cod. civ., la sentenza del giudice di merito che, nella determinazione della misura dell’assegno, non tenga conto dell’incremento dei tempi di permanenza del minore presso il genitore onerato dell’assegno”.

Il motivo è infondato, avendo in concreto la Corte stabilito l’assegno tenendo conto della situazione economica dei genitori e delle esigenze del minore e avendone motivato la quantificazione su base annua, con ripartizione mensile, ritenendo in relazione all’importo stabilito ininfluenti le modalità di visita e di soggiorno presso il genitore non collocatario.

4. Con il quarto motivo s’impugna, in riferimento all’art. 91 c.p.c. il capo della sentenza relativo alle spese. Si formula al riguardo il seguente quesito: “Dica la Corte se all’accoglimento, anche parziale, dell’impugnazione, possa seguire una totale condanna alle spese dell’appellante”.

Il motivo va rigettato, avendo la Corte d’appello fatto esatta applicazione del principio della soccombenza complessiva ed utilizzato, con discrezionalità incensurabile in questa sede, i suoi poteri di compensazione in relazione all’intero giudizio. Essa, infatti, ha statuito non solo sull’appello dell’odierno ricorrente, ma anche su quello incidentale della controparte e su due subprocedimenti ex art. 709 ter c.p.c., compensando le spese di primo grado e dei due subprocedimenti, ponendo a carico di entrambe le parti quelle della CTU effettuata, e a carico dell’odierno ricorrente, in forza del principio della soccombenza complessiva, le spese del giudizio d’appello.

5.Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese non avendo la parte intimata depositato difese.

P. Q. M.

La Corte di cassazione

Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità delle parti e delle persone in esso indicate.

Depositata in Cancelleria il 14.07.02011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 14-10-2010) 20-01-2011, n. 1751

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Svolgimento del processo e motivi della decisione

Il Procuratore Generale Presso La Corte Di Appello Di Bari proponeva ricorso immediato per Cassazione ex art. 569 c.p.p. avverso la sentenza n. 658/09 emessa il giorno 13.7.2009 dal Tribunale di Foggia, nella parte in cui, anche nei confronti di D.F. M. e B.S., era stato dichiarato non doversi procedere in relazione ai reati loro ascritti in concorso sub A (artt. 110 e 337 c.p.) e B (artt. 110 e 81 cpv. c.p., limitatamente all’ipotesi di cui all’art. 336 c.p., comma 1,) – fatti avvenuti il (OMISSIS) – della imputazione fatti avvenuti perchè estinti per intervenuta prescrizione.

Come motivo del ricorso deduceva la erronea applicazione della legge penale in quanto il Tribunale aveva ritenuto applicabile, quale disciplina più favorevole ai fini della prescrizione, quella previgente alla riforma intervenuta con la L. n. 251 del 2005 ed era pervenuto erroneamente alla declaratoria di estinzione dei reati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti.

Il ricorso è fondato Infatti il giudice ha errato nel dichiarare, anche nei confronti dei predetti imputati, il non doversi procedere per intervenuta prescrizione in relazione ai reati sub A e B (quest’ultimo limitatamente all’ipotesi di cui all’art. 336 c.p., comma 1).

Infatti – poichè, anche per i delitti di cui all’art. 336 c.p., comma 1, e art. 337 c.p., a D.F.M. era stata contestata la recidiva reiterata e specifica, e a B.S. era stata contestata la recidiva reiterata – la pena risultante dal giudizio di equivalenza con le concesse attenuanti generiche, da prendere in esame ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere i reati in questione, era quella stabilita nel massimo edittale, ossia, per entrambi i reati, la reclusione per anni cinque.

A ragione di ciò, il Giudice, ai fini della verifica del decorso del tempo necessario a far maturare la prescrizione, avrebbe dovuto fare correttamente riferimento, per siffatti reati, a quanto stabilito dall’art. 157 c.p., comma 1, n. 3 – vigente ante riforma introdotta dalla L. n. 251 del 2005 – e prendere atto che il tempo richiesto, pari a dieci anni, non era trascorso tenendo conto dei periodi di sospensione come calcolati nella stessa sentenza.. Si soggiunge che, anche per la disciplina introdotta dalla L. n. 251 del 2005, i predetti reati (considerati gli effetti delle interruzioni e delle sospensioni intervenute ex art. 161 c.p.) non sarebbero prescritti, atteso che, per il calcolo del tempo necessario a prescrivere, si deve tener conto, ai sensi dell’art. 157 c.p., comma 2, dell’aumento della pena previsto per le contestate recidive, da considerare quali circostanze aggravanti ad effetto speciale.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo giudizio limitatamente ai reati di cui ai capi A e B.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Bari, limitatamente ai reati di cui ai capi A) e B).

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