Cass. civ. Sez. VI, Sent., 11-03-2011, n. 5914 Responsabilità disciplinare

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Svolgimento del processo

La Commissione Regionale di Disciplina Marche ed Umbria condannava il notaio P.A., di Orvieto alla sanzione della sospensione di un mese per aver omesso di corrispondere al Consiglio notarile di Terni, la sanzione pecuniaria di Euro 15.000,00, comminata dalla Corte di appello di Perugia, in riforma di precedente sanzione inabilitativa; nonchè per avere omesso di estinguere presso l’Agenzia delle Entrate di Orvieto alcune posizioni, ed infine per non aver conseguito alcun credito formativo negli anni 2006-2008.

La Corte di appello di Perugia, adita dall’incolpato notaio, con sentenza depositata il 16.3.20010, rigettava il reclamo.

Riteneva la Corte che la sanzione inflitta della sospensione non poteva ritenersi assorbita nella misura interdittiva dall’esercizio della professione applicata dal GIP del tribunale di Orvieto per un precedente procedimento penale a carico del P. per peculato complessivo di Euro 513.396,00, verificatosi antecedentemente e separatamente dai fatti oggetto del procedimento disciplinare.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il notaio.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, art. 153, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’illogicità della motivazione per contraddittorietà intratestuale ed extratestuale (con riferimento al capo di imputazione ed alla sentenza di patteggiamento n. 52/2 007 del tribunale di Orvieto) ed omessa motivazione.

In particolare lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata è incorsa in un non comune travisamento dei fatti ed "ha posto a fondamento della condanna disciplinare una vicenda che preesisteva l’attuale di riferimento e che si era conclusa sia in sede disciplinare che penale", rispettivamente con sentenza penale n. 52/2007, e con sentenza disciplinare n. 16/2008. 2. Il motivo è inammissibile sotto due profili.

Anzitutto la censura di travisamento del fatto, anche nel procedimento disciplinare nei confronti di notaio, non può essere fatta valere con il ricorso per cassazione, ma con il mezzo revocatorio. Il travisamento del fatto non può costituire motivo di ricorso per cassazione, poichè, risolvendosi in un’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4 (Cass. 10/03/2006, n. 5251; Cass. 20/06/2008, n. 16809; Cass. 30.1.2003, n. 1512; Cass. 27.1.2003, n. 1202).

3. In ogni caso la censura introduce una questione nuova rispetto a quella fatta valere davanti alla corte di appello.

La sentenza impugnata ha infatti rilevato che il P. aveva sostenuto nel reclamo che "la misura della sospensione inflitta doveva essere compresa e quindi assorbita dalla misura interdittiva della sospensione professionale di mesi due applicata in sede cautelare dal GIP presso il tribunale di Orvieto nell’ambito del procedimento penale a carico del P. per il reato di peculato ed altro".

A fronte di questa interpretazione del motivo di reclamo, data dalla corte di merito, il ricorrente non assume che egli avesse proposto un motivo diverso e corrispondente a quello fatto valere in questa sede, cioè relativo alla "mancata corrispondenza tra la contestazione (dell’addebito) e la pronuncia che ne consegue".

Pertanto il motivo di ricorso, così come proposto, attiene a questione nuova e, come tale inammissibile.

Infatti è giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili di ufficio (Cass. n. 6989/2004; Cass. n. 5561/2004; Cass. n. 1915/2004).

4. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 153, legge cit., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Assume il ricorrente che nel valutare l’entità della sanzione inflitta il giudice di appello non ha tenuto conto che il pagamento della sanzione di Euro 15.000,00 è avvenuto banco iudicis e che non ha sviluppato alcuna motivazione in merito alla mancanza di crediti formativi.

5. Il motivo è infondato.

Osserva questa Corte che la determinazione qualitativa e quantitativa della sanzione da applicare, nei limiti previsti dalla legge, rientra tra i poteri discrezionali dell’organo preposta ad irrogarla. Attesa la natura e la funzione essenzialmente punitiva di ogni sanzione, essa deve essere commisurata alla gravità del fatto (e delle sue circostanze) ed alla personalità del soggetto, autore dello stesso (come è previsto in tema di sanzioni penali dall’art. 133 c.p., ed in tema di sanzioni amministrative dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 11).

Sennonchè il soggetto che irroga la sanzione non è tenuto ad un’analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione. Conseguentemente anche espressioni, come "appare congruo", "appare equo" sono espressioni sufficienti a far ritenere che detto soggetto abbia tenuto conto, sia pure globalmente, dei criteri per il corretto esercizio di detto potere discrezionale nella scelta della pena e nella determinazione del quantum (Cass. pen. 25 maggio 1995, Marca).

6. Nella fattispecie la corte di appello, ai fini del rigetto del motivo di reclamo avverso l’entità della sanzione irrogata dal CO.RE.DI., ha tenuto conto sia del fatto che la sanzione precedentemente inflitta di Euro 15.000,00 era stata poi pagata solo banco iudicis sia del "costante comportamento illecito del notaio nello svolgimento della professione che ha gravemente compromesso il prestigio ed il decoro dell’Ordine notarile". 7. Nulla per le spese non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese di questo giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 21-02-2011, n. 175 Vigili urbani

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Svolgimento del processo

1 Con atto consegnato per la notifica il 9 gennaio 2010 – depositato il successivo 21 – la ricorrente, appartenente al Corpo di Polizia Municipale del comune di Pontecorvo con la qualifica di ispettore capo – categoria "C", espone: (a) di esser stata sottoposta ad accertamenti da parte della commissione medica competente che la dichiarava "idonea al servizio di istituto con esenzione dai servizi esterni"; (b) il comune chiedeva una interpretazione autentica del riprodotto giudizio medico – legale con nota alla quale corrispondeva la predetta commissione significando che la locuzione servizi esterni, doveva intendersi comprensiva di "tutti quei servizi che prevedono un lungo stazionamento in luoghi con esposizione ad intemperie atmosferiche. L’esclusione dei servizi esterni non pregiudica l’uso delle armi da fuoco."; (c) con successivo provvedimento il comitato di verifica riconosceva la dipendenza da causa di servizio dell’infermità "artrosi della colonna con discopatia lombo sacrale"; (d) con decreto n. 1065 del 4 novembre 2009 il Prefetto della Provincia di Frosinone revocava il decreto di attribuzione della qualità di agente di P.S. n. 7591/2 del 16 dicembre 1989, in considerazione della non idoneità fisica a svolgere servizi esterni.

1.1 Ai fini dell’annullamento del detto decreto la ricorrente ha dedotto: violazione dell’art. 5 l. n. 65/1986 e 5 d.P.R. n. 311/01 – violazione dell’art. 7 e 10 della l.n. 241/90 – eccesso di potere – carenza motivazionale – illogicità manifesta.

2 L’Avvocatura Generale dello Stato si è costituita in data 10 febbraio 2010 ed ha depositato relazione dell’amministrazione.

3 Il comune di Pontecorvo si è costituito in data 10 febbraio 2010 con memoria a mezzo della quale ha posto eccezioni in rito ed argomentato l’infondatezza del ricorso.

4 Con ordinanza n. 71 dell’11 febbraio 2010 la Sezione ha accolto la istanza cautelare.

5 Le parti hanno quindi versato documentazione, memorie e repliche.

6 Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2011 il ricorso è stato chiamato e dopo la discussione è stato introdotto per la decisione.
Motivi della decisione

1 La ricorrente contesta il decreto n. 1065 del 4 novembre 2009 con il quale, il Prefetto della provincia di Frosinone, su iniziativa del comune Pontecorvo, ha revocato il decreto di attribuzione della qualità di agente di P.S. n. 7591/2 del 16 dicembre 1989, in considerazione della non idoneità fisica a svolgere servizi esterni.

2 Vanno in primo luogo esaminate le eccezioni introdotte in sede di costituzione è rapportate alle vicende, successive all’accoglimento della tutela cautelare, costituite: – dall’annullamento del decreto originariamente impugnato; – dall’avvio di altro procedimento da parte del comune, osservato dalla ricorrente con memoria partecipativa, concluso con atto di interruzione per il profilo interessante la revoca della qualifica e di indicazione dei requisiti fissati dal contratto di settore per la corresponsione della relativa indennità.

2.1 Va innanzitutto disattesa la carenza di legittimazione passiva argomentata dal comune e riferita alla circostanza per la quale, il decreto rientrerebbe nell’esclusiva competenza del prefetto. Sul punto appare sufficiente osservare che: – il procedimento ha avuto impulso su atto dello stesso comune; – la qualifica di cui si discute ha indubbie ricadute sul rapporto e per profili che interessano non solo la gestione dello stesso rilevante in termini economici.

2.2 Pari esito deve rassegnarsi quanto alla dedotta cessazione della materia del contendere riferita agli esiti conseguenti all’accordata tutela cautelare. Ed, infatti, per un primo aspetto, posto che il successivo decreto prefettizio di annullamento presuppone la necessità di dare esecuzione all’ordinanza adottata dalla Sezione, soccorre sul punto il costante orientamento per il quale "Il provvedimento adottato da un’amministrazione in esecuzione di una pronuncia giurisdizionale cautelare non comporta, di per sé, il ritiro del precedente provvedimento oggetto della pronuncia stessa, ed ha una rilevanza solo provvisoria in attesa che la decisione di merito accerti se l’atto impugnato sia o meno legittimo. L’interesse alla definizione del giudizio viene pertanto meno nella sola ipotesi in cui l’amministrazione, nell’eseguire l’ordinanza cautelare, mostri di condividerne il contenuto a tal punto, da farvi sostanziale acquiescenza." (di recente: T.a.r. Toscana Firenze, sez. II, 21 settembre 2010, n. 6398). Una valutazione in tal senso non si ricava dal decreto prefettizio di annullamento, il che preclude la declaratoria della cessazione della materia del contendere Per altro e distinto profilo, avuto riguardo alla circostanza per la quale il decreto originariamente impugnato ha comunque avuto un’efficacia, se pur limitata, nel tempo, certamente residua un interesse alla definizione dell’iniziale domanda rapportata anche alla tutela dell’immagine professionale, alla quale si è riferita (pagina 10 dell’atto introduttivo) la ricorrente nel supportare l’istanza cautelare.

2.3 Infine deve esser anche disattesa l’eccezione con la quale si contesta l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione della nota comunale del 19 ottobre 2009, atto presupposto del decreto del 4 novembre 2009, il quale in quanto di atto di impulso procedimentale è privo di lesività alcuna, riconducibile solo ad esito del provvedimento conclusivo e di revoca della qualifica.

3 L’esame del merito implica la necessaria riproduzione del quadro normativo di riferimento.

3.1 L’articolo 5 della legge 7 marzo 1986, n. 65 dispone che " 2…. il prefetto conferisce al suddetto personale, previa comunicazione del sindaco, la qualità di agente di pubblica sicurezza, dopo aver accertato il possesso dei seguenti requisiti: a) godimento dei diritti civili e politici; b) non aver subito condanna a pena detentiva per delitto non colposo o non essere stato sottoposto a misura di prevenzione; c) non essere stato espulso dalle Forze armate o dai Corpi militarmente organizzati o destituito dai pubblici uffici. 3. Il prefetto, sentito il sindaco, dichiara la perdita della qualità di agente di pubblica sicurezza qualora accerti il venir meno di alcuno dei suddetti requisiti.".

3.2 L’articolo 4 – bis del R.D. 6 maggio 1940 n. 635 prevede: "In deroga a quanto previsto dall’articolo 43 del testo unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 31 agosto 1907, n. 690, il prefetto, in attuazione delle direttive del Ministro dell’interno, ed a richiesta delle amministrazioni interessate, provvede all’attribuzione della qualità di agente di pubblica sicurezza alle guardie telegrafiche e di strade ferrate, ai cantonieri di cui all’articolo 12 del codice della strada emanato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni e integrazioni, e agli altri agenti destinati all’esecuzione ed all’osservanza di speciali leggi e regolamenti, che risultino: a) essere maggiorenni; b) essere in possesso del diploma di scuola media inferiore; c) non avere subito condanna a pena detentiva per delitto non colposo e non essere stato sottoposto a misura di prevenzione; d) avere il godimento dei diritti civili e politici. Sono fatti salvi gli ulteriori requisiti richiesti per l’accesso allo specifico impiego per il quale è richiesta la qualità di agente di pubblica sicurezza. L’attribuzione della qualità di agente di pubblica sicurezza è revocata, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, qualora venga a mancare taluno dei requisiti prescritti, ed è sospesa nei casi in cui la legge prevede la sospensione dal servizio o, comunque, quando nei confronti dell’interessato è adottato un provvedimento restrittivo della libertà personale.".

3.3 L’articolo 20, comma 2, del decreto del Ministero dell’Interno 4 marzo 1987, n. 145, adottato per l’esecuzione dell’articolo 5 della legge 65/1986 e della norma di cui al R.D. 635/1940, infine dispone che "Qualora non risulti determinata o determinabile l’indicazione dei servizi per i quali gli addetti alla polizia municipale di cui all’art. 1 espletano il servizio muniti di armi, essa si intende fatta per i servizi esterni di vigilanza e, comunque, per i servizi di vigilanza e protezione della casa comunale e dell’armeria del Corpo o servizio, per quelli notturni e di pronto intervento.".

4 Il dato testuale che si ricava dalle riprodotte disposizioni depone per la fondatezza delle censure con le quali la ricorrente ha dedotto la violazione di legge e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.

4.1 Ed, infatti, il conferimento della qualifica di p.s. agli appartenenti al corpo della polizia locale presuppone il possesso di specifici requisiti e la revoca della stessa è riferita, da entrambe le norme citate, alla perdita "di alcuno dei suddetti requisiti" (articolo 5 legge 65/1986) o "dei requisiti prescritti" (articolo 4 – bis R.D. 635/1940). Come correttamente posto in evidenza dalla ricorrente, l’accertata inidoneità ai servizi esterni non autorizzava l’apertura del procedimento preordinato alla revoca della qualifica; il che si spiega perché gli elementi di cui alle dette norme, da verificare in sede concessiva, vertono sulla moralità ed affidabilità, in senso lato, del soggetto che già appartiene al corpo della polizia locale. Siffatta ricostruzione esclude poi che possa accordarsi decisiva rilevanza alla previsione per la quale, "sono fatti salvi gli ulteriori requisiti richiesti per l’accesso allo specifico impiego per il quale è richiesta la qualità di agente di pubblica sicurezza.", essendo evidente che detta disposizione confina la valutazione del prefetto in esito al solo riscontro dei requisiti fissati dalla legge per l’assegnazione della qualifica, non di quelli richiesti per la costituzione del rapporto e/o per la modificazione dello stesso secondo la normativa di settore. Con il che, il Collegio non intende affermare l’irrilevanza, in assoluto, delle vicende del rapporto e dei conseguenti effetti sulla qualifica; ma è evidente che in tali casi, dette ricadute interessano le previsioni regolamentari che ciascun ente locale è abilitato ad adottare per individuare e disciplinare i servizi ai quali riferire la qualifica e le relative dotazioni. Il che delinea tuttavia una ipotesi diversa da quella fissata in sede legislativa che, giova ripeterlo, ammette il riconoscimento dello "status", quindi la sua revoca, accordando rilievo unicamente al possesso o al venir meno dei richiesti requisiti.

4.2 Venendo ora all’esame dei citati motivi, come riferiti alla vicenda che ha originato la revoca, va rilevato che per l’articolo 20, comma 2, del decreto 4 marzo 1987, n. 145, "Qualora non risulti determinata o determinabile l’indicazione dei servizi per i quali gli addetti alla polizia municipale di cui all’art. 1 espletano il servizio muniti di armi, essa si intende fatta per i servizi esterni di vigilanza e, comunque, per i servizi di vigilanza e protezione della casa comunale e dell’armeria del Corpo o servizio, per quelli notturni e di pronto intervento.". Il che, in difetto della produzione di una normativa regolamentare e di ogni altra contraria deduzione del comune, fornisce testuale conferma della deduzione secondo la quale "l’inidoneità ai servizi esterni", non preclude l’impiego del soggetto in servizi diversi e per i quali possa rilevare il predetto "status".

5 Le indicazioni di cui sopra implicano, infine, la fondatezza della dedotta violazione delle garanzie procedimentali, deponendo in tal senso gli esiti successivi all’accordata tutela cautelare, in particolare la nota del 9 marzo 2001 con la quale il comune ha partecipato l’interruzione dell’ulteriore procedura preordinata alla revoca della qualifica di p.s., in ragione di un "più approfondito esame delle norme disciplinanti la materia". Il che certifica come la ricorrente sia stata illegittimamente privata della possibilità di introdurre le proprie ragioni, non ultima di rappresentare il quadro normativo rilevante nella vicenda.

6 Le spese seguono la soccombenza, come per legge.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato decreto.

Condanna in solido ed in misura eguale, l’amministrazione ed il comune di Pontecorvo, al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi Euro 2.000,00 (duemila,00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 09-05-2011, n. 10066 Giurisdizione

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del ricorso principale ed incidentale.
Svolgimento del processo

Con D.R. 4 ottobre 2004, n. 2279 veniva indetto un bando di concorso per la valutazione comparativa per un posto di professore ordinario per il settore scientifico – disciplinare Med/18 – Chirurgia Generale.

All’esito di detta procedura di valutazione comparativa veniva dichiarato vincitore del concorso il Prof. A. ed idoneo, quale secondo classificato, il Prof. C.A. che precedeva in graduatoria l’altra candidata, Prof.ssa L. B., classificatasi terza.

Avverso il Decreto Rettorale di nomina proponeva però ricorso al Tar Lombardia la B., la quale contestava l’idoneità assegnata al secondo in graduatoria, ossia il C.A., deducendo l’illegittimità del giudizio, a quest’ultimo più favorevole, formulato dalla Commissione in sede di valutazione comparativa tra il docente da ultimo citato e l’originaria ricorrente. Si costituivano in giudizio sia l’Università degli Studi di Milano, sia il vincitore, sia il controinteressato, C. A..

Estromesso dal giudizio l’ A., la causa veniva decisa dal Tar con sentenza n. 2346/2007, con cui il giudice di primo grado annullava solo in parte la procedura di valutazione, per non essere stata effettuata la valutazione comparativa tra i candidati C.A. e B.. Restavano invece confermati sia la nomina del vincitore A., sia le fasi precedenti la valutazione comparativa, con specifico riguardo ai giudizi individuali e collegiali resi sui candidati. Il parziale annullamento della procedura veniva quindi disposte dal Tar al fine di ordinare la ripetizione della sola fase finale della valutazione comparativa tra B. e C.A.. In esecuzione del dispositivo, l’Ateneo indiceva una seconda procedura di valutazione comparativa all’esito della quale la Commissione confermava l’idoneità del candidato C.A. rinviando per le motivazioni alle risultanze dei giudizi collegiali ed individuali e ai criteri selettivi individuati nel bando, con specifico riguardo alla maggiore congruità del profilo del candidato C.A. con il settore scientifico disciplinare in cui era stata bandita la procedura. Avverso tale rinnovata procedura, la B. avviava un nuovo giudizio (il secondo) dinanzi al Tar Lombardia per impugnarne l’esito della seconda valutazione comparativa. Resistevano in giudizio sia l’Università degli Studi di Milano che il controinteressato, il C.A.. Il Tar Lombardia, con sent. n. 1795/2008, accoglieva il ricorso e per l’effetto annullava lo stesso giudizio finale della Commissione, ritenendolo viziato con riferimento all’ordine di priorità assegnato ai criteri selettivi di valutazione; secondo il giudice di prime cure, infatti, la Commissione non aveva conferito "prevalenza al criterio dell’attività scientifica dei candidati (all’apparenza più favorevoli alla B.) rispetto a quello relativo all’attività didattica ed assistenziale", ciò, sulla base della considerazione che i parametri individuati nel bando di concorso erano quelli fissati dal D.P.R. n. 117 del 2000, art. 4 essendo questi ultimi tutti attinenti al profilo scientifico del candidato.

Sia la prima, che la seconda sentenza del Tar Lombardia venivano impugnate con autonomi appelli innanzi al Consiglio di Stato.

I due giudizi, riuniti, sono stati decisi ad agosto 2009 con le due sentenze Consiglio di Stato, sez. 6^, n. 4957/2009 e n. 4960/2009.

In particolare, con la seconda sentenza d’appello, la n. 4960/2009, il Consiglio di Stato ha confermato la seconda sentenza del Tar rigettando l’appello sul presupposto che:

il vaglio compiuto dei giudici sulle scelte della Commissione rientrasse nell’esercizio del sindacato di legittimità e non di merito;

non vi sarebbe stata violazione del principio del ne bis in idem rispetto al precedente giudizio allorchè nel primo era in contestazione l’assenza del momento di valutazione mentre nel secondo si discute dell’applicazione dei criteri di selezione;

era legittima la scelta del Tar di individuare la prevalenza di un criterio selettivo rispetto ad un altro;

parimenti è legittimo che il Tar faccia assumere una valenza positiva invece che negativa al giudizio sulla settorialità dell’attività della B..

Nelle more, dovendo darsi esecuzione al secondo dispositivo di primo grado che aveva sancito il criterio della prevalenza dell’attività scientifica sugli altri criteri, è stata espletata una terza valutazione comparativa.

All’esito, pur avendo riguardo principalmente all’attività scientifica dei candidati in ottemperanza al giudicato, ritenendo quella della B., seppur ottima, troppo settoriale rispetto alla varietà proposta dal profilo dell’altro candidato, la Commissione riconfermava l’idoneità del C.A., tenendo in specifica considerazione il criterio di apprezzamento dell’attività scientifica dei candidati individuato al D.P.R. n. 117 del 2000, art. 4, comma 2, lett. e).

Ciò posto, la B. proponeva un nuovo ricorso dinanzi al Tar Lombardia e il giudizio veniva definito con sentenza alla stessa sfavorevole n. 5680/2009, già impugnata innanzi al Consiglio di Stato.

Avverso la sentenza n. 4960/2009, il C.A. ricorre, in via principale, per cassazione con due motivi; resistono con controricorso la B. e l’Università di Milano, che a sua volta propone ricorso incidentale con un unico articolato motivo.
Motivi della decisione

Ricorso principale C.A.:

con il primo motivo si deduce: "eccesso di potere giurisdizionale, per violazione dei c.d. limiti esterni della giurisdizione amministrativa, con riferimento all’accoglimento del ricorso di primo grado, in relazione all’art. 111 Cost., comma 8, all’art. 360 c.p.c., n. 1 e all’art. 362 c.p.c. e al R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 48 (si afferma in particolare che le pronunce dei Giudici amministrativi hanno palesemente sovvertito l’esito del concorso)";

con il secondo motivo si deduce: "eccesso di potere giurisdizionale, per violazione dei c.d. limiti esterni della giurisdizione amministrativa, in relazione all’art. 111 Cost., comma 8, all’art. 360 c.p.c., n. 1 e all’art. 362 c.p.c. e al R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 48 (si afferma in particolare che ancor più evidente e grave è lo sconfinamento del G.a. nel merito delle valutazioni rimesse alla Commissione concorsuale, per quanto riguarda la presunta direzione da parte della B. di "un’unità operativa complessa").

Ricorso incidentale Università degli Studi:

dopo aver affermato l’ammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost., comma 8, alla L. n. 1034 del 1971, art. 36 avverso la decisione del Consiglio di Stato in esame "in quanto affetta da vizio per superamento dei limiti esterni della giurisdizione del Giudice amministrativo, per invasione della sfera di attribuzione della pubblica amministrazione", si deduce violazione di detti limiti esterni della giurisdizione amministrativa per erronea applicazione del D.P.R. n. 117 del 2000, art. 4, commi 2, 3 e 4.

In particolare si afferma che con la decisione impugnata il Consiglio di Stato "ha compiuto un sindacato di merito in una materia in cui è attribuita giurisdizione al Giudice amministrativo limitatamente al sindacato di legittimità degli atti amministrativi".

Preliminarmente si dispone la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c. Entrambi detti ricorsi sono inammissibili.

Quanto al ricorso principale si osserva: non sussiste il detto superamento dei limiti di giurisdizione del Giudice amministrativo in quanto il Consiglio di Stato, con motivazione logica, sufficiente e rientrante in detti limiti esterni, dopo aver premesso che "le valutazioni della commissione nell’ambito di una procedura concorsuale per posti di professione universitario costituiscono espressione dell’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, o meglio costituiscono volendo utilizzare altra terminologia valutazioni tecniche. A prescindere dalla terminologia prescelta, è oggi pacifico che si tratta di valutazioni pienamente sindacabili dal giudice amministrativo, sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che sotto l’aspetto più strettamente tecnico. Infatti, tramontata l’equazione discrezionalità tecnica, merito insindacabile a partire dalla sentenza n. 601/99 della 4^ sezione del Consiglio di Stato, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ei procedimento applicativo", ha sostenuto che "tali considerazioni sono idonee a confermare sul punto l’impugnata sentenza, non avendo la Commissione fornito adeguati elementi per giustificare il giudizio di prevalenza del candidato C.A.; nè tale prevalenza può essere fatta derivare dall’elemento richiamato dall’appellante e dalla Commissione dell’assenza di titolarità in capo all’appellata dell’insegnamento di Chirurgia generale, trattandosi di elemento relativo all’attività didattica, in relazione alla quale già era emersa una prevalenza del C.A., risultata non decisiva in ragione della prevalenza nei giudizi collegiali della B. per l’attività di ricerca".

Tali statuizioni non sono censurabili in quanto risultano in linea con quanto affermato già da questa Corte a Sezioni Unite (n. 14893/2010), secondo cui le valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici dei pubblici concorsi, inserite in un procedimento amministrativo complesso e dipendenti dalla valorizzazione dei criteri predisposti preventivamente dalle medesime commissioni, sono assoggettabili al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, senza che ciò comporti un’invasione della sfera del merito amministrativo, denunciabile con il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione. E ciò anche, sia con riferimento al travisamento del fatto sia riguardo ad un grave difetto di motivazione, ipotesi entrambe ricorrenti nella fattispecie in esame.

Le argomentazioni svolte in ordine alla insussistenza nel caso di specie della violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa conducono alla declaratoria di inammissibilità anche del ricorso incidentale, con riferimento alla relativa censura.

Si compensano le spese della presente fase tra i ricorrenti in virtù del principio della reciproca soccombenza, con condanna del C.A. alla rifusione delle spese della presente fase in favore della B. che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE preliminarmente riuniti i ricorsi, pronunciando a Sezioni Unite, li dichiara inammissibili e compensa le spese tra i ricorrenti, con condanna del C.A. al pagamento delle spese della presente fase in favore della B. che si liquidano in complessivi Euro 5.400,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre spese generali ed accessorie come per legge.

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Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 12639 Diritti politici e civili

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Svolgimento del processo

Con ricorso ritualmente depositato, R.S., impugnava il decreto della Corte d’Appello di Potenza del 29-9-2007, che aveva condannato il Ministero della Giustizia al pagamento di somma in suo favore, quale equa riparazione del danno morale per irragionevole durata di procedimento, in punto durata del procedimento, determinazione del quantum, risarcimento di danno esistenziale.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Motivi della decisione

Appare palesemente inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal P.G. in udienza, della L. n. 89 del 2001, art. 2 nella parte in cui istituisce un rimedio risarcitorio incongruo ed inefficace, trattandosi di una valutazione di tipo prevalentemente politico, estraneo ad un giudizio di controllo sulla costituzionalità della norma.

Il Giudice a quo ha correttamente considerato il periodo di ragionevole durata del procedimento, quello eccedente, e ha determinato il danno morale in conformità ai parametri CEDU e alla giurisprudenza di questa Corte (Euro 7.000,00; procedimento presupposto: fase cautelare: agosto 1991 – febbraio 1992; 1^ grado:

luglio 1992 – agosto 2002; 2^ grado: febbraio 2003 – dicembre 2006;

durata ragionevole: 7 anni, stante la complessità del procedimento, l’espletamento di una consulenza tecnica e l’interruzione per morte di un Procuratore e successivamente di una parte). Quanto all’interruzione, è vero che, per giurisprudenza consolidata, non potrebbe rilevare il periodo tra il deposito del ricorso in riassunzione e la fissazione di udienza, ma, al riguardo, il ricorso non è autosufficiente, in quanto non da conto esattamente di tali periodi. Altrettanto correttamente il giudice a quo non ha computato un periodo di 1 anno e 4 mesi, dovuti a rinvii richiesti dalle parti, e dunque non imputabili all’amministrazione.

Non può accogliersi il ricorso in punto danno esistenziale, avendo il Giudice a quo congruamente motivato sull’assenza di prova al riguardo. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 900,00 per onorari oltre spese prenotate a debito.

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