Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-04-2011) 27-04-2011, n. 16485

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di D.S.P. e C.F. propone ricorso avverso l’ordinanza del 24/11/2011 con la quale il Tribunale del riesame di Roma ha confermato il provvedimento del Gip di applicazione della misura di divieto di avvicinamento dei ricorrenti a D.L.C. e B.L., nonchè di allontanamento dalla dimora familiare, imposta in relazione ai reati di cui agli art. 572 e 612 bis c.p..

Si è giunti all’applicazione della misura a seguito della denuncia per maltrattamenti proposta dalle parti lese, su cui avevano riferito anche i fratelli dell’odierna ricorrente, D.S..

Si eccepisce nel ricorso violazione dell’art. 199 c.p.p. e art. 362 c.p., rilevando che le due persone informate sui fatti, sulle cui dichiarazioni la misura è stata fondata, fratelli di D.S. P. e figli di D.L.C., dovevano essere avvertiti della facoltà di astenersi, considerato che una delle parti lese, B., era a loro estranea in quanto non legato da rapporto di coniugio con la D.L., sicchè per tale parte della dichiarazione doveva prevalere la facoltà di astensione in riferimento alle accuse mosse nei confronti dei loro fratelli.

L’eccezione è fondata sul presupposto della necessaria considerazione della funzione preventiva, attribuita all’art. 199 c.p., comma 1, rispetto a situazioni nelle quali la possibile falsa testimonianza sarebbe scriminata dall’art. 384 c.p.. Ove voglia ritenersi, in senso contrario, prevalente l’obbligo di deporre nelle situazioni nelle quali è coinvolta quale parte offesa la madre, si ritiene doveroso procedere a diversa e separata deposizione quanto agli episodi delittuosi realizzati in danno del terzo estraneo B., dovendo in questo secondo caso prevalere la possibilità di astensione per preservare i familiari denunciati.

Poichè nella specie è stato formato un unico verbale, privo della, sia pure parziale, prospettazione della facoltà di astensione, tali atti dovevano ritenersi nulli, con la conseguenza della loro esclusione dal quadro accusatorio, che risulta così privo di qualsiasi conferma.

2. Con il secondo motivo si lamenta carenza ed illogicità della motivazione sulla sussistenza dei gravi indizi, nella parte in cui, valorizzando le risultanze dell’intervento dei CC presso l’abitazione ove convivevano le parti in causa, si è attribuito rilievo alla situazione di aggressione dell’odierna ricorrente ai danni della madre, senza adeguatamente valorizzare la circostanza che la stessa D.S. presentava un vasto ematoma sulla mano, ed omettendo di esaminare le risultanze dei referti medici prodotti dagli interessati in allegato alle querele da loro presentate ai danni delle odierne parti offese.

Si contesta la correttezza dell’operazione svolta dal Tribunale, che ha ritenuto più gravi le lesioni riportate dalla madre, con valutazione fondata solo sui giorni di prognosi, escludendo in maniera illogica per tale motivo la reciprocità delle aggressioni, che invece consente di concludere per l’esclusione del delitto di maltrattamenti ritenuto, che non può concorrere con l’ipotizzato reato di cui all’art. 612 bis c.p., stante in rapporto di sussidiarietà dal quale le fattispecie risultano collegate.

Conseguentemente si sollecita l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

L’eccepita violazione di legge, fondata sull’inutilizzabilità delle dichiarazioni rilasciate dai fratelli della D.S. non tiene conto, sotto un primo profilo, della specifica eccezione alla facoltà di astensione prevista dall’ultima parte dell’art. 199 c.p.p., comma 1, che prevede l’obbligo di deporre quando persona offesa sia un prossimo congiunto, come si è verificato nella specie, posto che parte lesa è la madre dei dichiaranti; nè la sanzione processuale può riguardare la parte della deposizione attinente le aggressioni ai danni del solo B., non legato ai dichiaranti da rapporto di parentela, non essendo dimostrata l’autonomia degli episodi, peraltro difficilmente prospettabile nell’ipotesi di un reato abituale, che non attiene attività mirate verso un unico soggetto passivo, ma denotano in senso contrario un complessivo regime di vita inevitabilmente condiviso dai due conviventi.

In ogni caso, presupponendo la fondatezza del rilievo una specifica deduzione in fatto relativa a singoli episodi di cui sia stato vittima il solo B. rispetto a tale argomentazione deve concludersi per la genericità della deduzione, non avendo la parte adempiuto allo specifico onere di allegazione degli atti dai quali desumere la qualità di parte offesa del solo B., e la rilevanza di tale delimitazione rispetto alla prospettabilità dei reati posti a base della misura.

Per completezza si osserva che, in ogni caso, pur accedendo a tale non condivisibile lettura, rimarrebbe intatta la valenza probatoria degli elementi offerti circa le aggressioni alla madre, sufficienti da soli a giustificare la misura.

2. Analogamente inammissibile è la contestazione dell’esistenza dei gravi indizi; l’esame del provvedimento consente di accertare che il Tribunale ha ampiamente dato conto della sussistenza di tali elementi, valorizzando non solo quanto emergente dalle certificazioni mediche, e ritenuto insufficiente o contraddittorio dai ricorrenti, ma anche quanto dichiarato dalle parti lese, dai figli della D. L., nonchè accertato dagli stessi verbalizzanti intervenuti nell’ultima occasione di scontro, con valutazione in fatto coerente, esaustiva, e non affetta dai vizi rilevabili in sede di legittimità, come è reso evidente dalla circostanza che la pretesa carenza di motivazione è argomentata nel ricorso solo in ordine ad una parte della motivazione del provvedimento, omettendo di considerare le ulteriori argomentazioni che attestano, in senso contrario, la piena conformità dell’atto impugnato al modello legale.

Analogamente risulta compiutamente motivata la valutazione di sussistenza di indizi del reato di cui all’art. 612 bis c.p., evidenziandosi la presenza in atti di elementi di conferma dell’alterazione delle abitudini di vita delle vittime, per effetto delle condotte aggressive realizzate, che costituisce l’elemento caratterizzante di tale ipotesi di reato rispetto al delitto di maltrattamenti e che, con sufficienza rispetto alla valutazione cautelare, sorregge il provvedimento adottato.

3. All’accertata inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese e della somma che si determina nella misura indicata in dispositivo in favore della cassa delle ammende, in forza dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quelle della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-09-2011, n. 18416 Testamento

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e rigetto del resto.
Svolgimento del processo

La controversia è insorta tra le parti in relazione alla successione per causa di morte di B.G., deceduto il (OMISSIS) lasciando a sè superstiti quattro figli: L., che con un testamento olografo del (OMISSIS) era stato nominato dal de cuius suo unico erede, An., A. e G., poi defunta il (OMISSIS).

Nel presupposto che la disposizione di ultima volontà ledesse i diritti spettanti ai legittimari B.A., nonchè Di.

A., Di.Fr. e Di.Ma., quali eredi di B.G., con atto notificato il 5 giugno e il 18 novembre 1982, citavano davanti al Tribunale di Genova B. L., Bo.An., esercitando azioni di riduzione, divisione e rendiconto.

Il primo convenuto si difendeva affermando che le sue sorelle erano state soddisfatte con beni ricevuti in donazione dal padre. ha seconda faceva proprio questo assunto, dichiarando di non avere domande da formulare.

Con sentenza non definitiva del 16 luglio 1992 il Tribunale accoglieva la domanda di riduzione.

Con sentenza definitiva del 24 agosto 1995 il Tribunale provvedeva alla divisione.

Impugnate in via principale da B.L. e incidentalmente da B.A., Di.Al., Di.Fr. e Di.Ma., le pronunce di primo grado venivano parzialmente riformate dalla Corte di appello di Genova, con sentenza non definitiva del 25 agosto 2000.

Contro tale sentenza ha proponeva ricorso per Cassazione B. L., in base a tre motivi.

B.A., Di.Al., Di.Fr. proponevano ricorso incidentale, con quattro motivi.

Questa S.C., con sentenza in data 21 dicembre 2004 n. 23650, accoglieva per quanto di ragione il primo e il terzo motivo del ricorso principale, rigettato il secondo, rigettati il primo e il terzo motivo del ricorso principale, dichiarati assorbiti il secondo e il quarto.

Questa S.C., premesso che correttamente i giudici di merito avevano ritenuto provati gli atti di liberalità compiuti da B.G. in favore delle figlie, riteneva che, invece, ora insufficiente la motivazione con cui si era escluso che oggetto indiretto delle donazioni fossero stati gli immobili acquistati con il denaro loro elargito dal padre.

La censura con la quale B.L. lamentava di essere stato condannato a restituire i frutti percepiti e percipiendi prodotti dai beni assegnati a B.A., Di.Al., D. F. e Di.Ma., con indebite maggiorazioni cumulative sia della rivalutazione monetaria sia degli interessi, pur trattandosi di debito di valuta, era solo parzialmente fondata.

La Corte di appello, infatti, avrebbe dovuto distinguere tra i frutti civili eventualmente percepiti da B.L. e quelli naturali, poichè in effetti la restituzione dei primi, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, da luogo a un’obbligazione di valuta, sicchè la rivalutazione monetaria va accordata al creditore soltanto ove provi di aver subito un "maggior danno" rispetto a quello neutralizzato dagli interessi al tasso legale; per i secondi, invece, il debito è di valore, sicchè per essi era corretta la decisione con cui se ne era disposta la rivalutazione, con l’aggiunta degli interessi compensativi sulle relative somme, rivalutate anno per anno.

La causa veniva riassunta da B.G.B., erede (unitamente a B.M.T.) di B.L., davanti alla Corte di appello di Genova, designata quale giudice di rinvio, che, con sentenza in data 8 marzo 2008, confermava in primo luogo che le donazioni del de cuius alle figlie dovevano considerarsi come donazioni dirette di denaro e non donazioni indirette di immobili acquistati con tale denaro, in base alla seguente motivazione:

le risultanze sul punto sono costituite da dichiarazioni costituzionali, che riferiscono di affermazioni del de cuius di avere donato del denaro alle figlie per l’acquisto di due appartamenti in (OMISSIS) e di altre che riferiscono circa le condizioni patrimoniali non floride delle donne, tali da non consentir loro l’acquisto di immobili.

Si tratta di dichiarazioni estremamente generiche, che riferiscono di circostanze apprese de relato, che non precisano l’epoca dei donativi nè quella dell’acquisto degli immobili, nè le caratteristiche nè il prezzo di questi ultimi, di modo che non vi è la possibilità di ricollegare con certezza i donativi agli acquisti immobiliari, essendo ben possibile che il denaro ricevuto si sia confuso col patrimonio delle donatario, e gli acquisti siano intervenuti successivamente, con utilizzazione successiva anche di proventi del loro patrimonio personale e familiare, così da escludere la donazione indiretta degli immobili.

Alle somme donate si applicava il principio nominalistico.

Con riferimento alla domanda di restituzione dei frutti i giudici di rinvio affermavano che B.L. era tenuto alla restituzione:

dei frutti civili con gli interessi al tasso legale dalla data della domanda, non essendo stati provati, ed invero neppure fatti oggetto di tempestive allegazioni specifiche, danni maggiori, di quelli coperti dagli interessi legali.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione B. G.B., con tre motivi. Illustrati da memoria.

Resistono con controricorso D.D. e D.G., quali eredi di B.A., nonchè Al.Di., D. F. e Di.Ma..
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente si duole che nella specie sia stata esclusa la prova della donazione indiretta degli appartamenti comprati da B.A. e B.G. con denaro loro fornito dal padre.

Il motivo è infondato.

Va premesso che fuori luogo viene invocata la "confessione" di Bo.An. in ordine alla donazione in un’epoca abbastanza determinata di una somma precisa per acquistare un ben individuato appartamento.

Una stretta connessione temporale tra donazione del denaro e acquisto di appartamenti non è possibile, infatti, desumere dalle prove invocate dai ricorrente, con riferimento alle liberalità di cui si discute, le quali fanno riferimento soltanto a donazioni di denaro che, nelle intenzioni del donante sarebbero state effettuate con la finalità di consentire a ciascuna delle altre figlie di acquistare un appartamento.

Con il secondo motivo, subordinato al rigetto del primo, il ricorrente si duole del fatto che i giudici di rinvio abbiano escluso la rivalutazione del denaro oggetto delle donazioni ad B.A. e B.G., pur essendosi sulla questione formato il giudica Lo interno a seguito della sentenza di primo grado.

Anche tale motivo è infondato, dal momento che, avendo B.A., nonchè Di.Al., Di.Fr. e D. M. proposto impugnazione in ordine alla esistenza stessa delle donazioni di denaro, non poteva formarsi il giudicato in ordine alla rivalutazione delle stesse.

Il terzo motivo, subordinato al rigetto del secondo, si conclude con il seguente quesito di diritto:

Dica la Corte di Cassazione se debba oppure no ritenersi non manifestamente i rifondata, e se perciò debba essere rimessa alla Corte Costituzionale (per violazione degli artt. 3 e 42 Cost.) la questione relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 556 c.c., comma 5, art. 64 c.c., comma 2, art. 751 cod. civ., là dove dette norme, regolando la riunione fittizia di relictum e donatum, la imputazione "ex se" e la collazione relative a somme di denaro donato in vita dal de cuius, prevedono l’applicazione del principio nominalistico, senza considerare che tale principio, legittimo nel campo dei rapporti obbligatori, appare irrazionale ed iniquo se esteso ai diverso campo delle successioni in cui e razionalmente giustificabile che anche alla moneta, come agli immobili e al mobili, si attribuisca i valore del "tempo dell’apertura della successione" ogni qual volta debba procedersi a collazione o imputazione.

Osserva il collegio, che, come del resto ricorda lo stesso ricorrente, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 556 c.c., art. 564 c.c., comma 2, e art. 751 c.c., nella parte in cui in materia successoria richiamano il principio nominalistico per la valutazione di somme di denaro, ai fini della riunione fittizia e della imputazione ex se è stata già ritenuta inammissibile, poichè il giudice costituzionale non può, con una sentenza additi va, scegliere tra varie soluzioni astrattamente possibili quelle più razionali per la valutazione dei beni trasmessi dal de cuius (Corte cost. 17 ottobre 1985 n. 310), nè vengono addotti argomenti per censurare la erroneità di tale conclusione.

Con il quarto motivo il ricorrente si duole del fatto che sia sfato condannato al pagamento delle spese processuali per il precedente giudizio di legittimità nella astronomica cifra di Euro 3.000.000.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, trattandosi di un evidente errore materiale, nel senso che la con danna deve intendersi per e 3.000,00, come riconosciuto dagli stessi resistenti. in definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente ai pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000,00 per onorari, oltre Euro 200,00 per esborsi, ed accessori di legge e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Trento Sez. Unica, Sent., 26-05-2011, n. 152 Piano regolatore generale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. I sig.ri C. espongono in fatto di essere proprietari dell’edificio tavolarmente individuato dalla p.ed. 364, nel Comune di Pinzolo, denominato Maso Doss, nonché del terreno circostante individuato con le pp.ff. 3420 e 3411. Trattasi di un ex maso agricolo che, dopo la ristrutturazione eseguita negli anni settanta / ottanta del secolo scorso, è stato trasformato in un piccolo albergo di alta qualità ricettiva quale "hotel de charme".

Nel previgente piano regolatore dell’anno 2003 l’area circostante il maso era classificata "area agricola di interesse secondario", disciplinata dall’art. 35 delle n.t.a., mentre l’edificio era schedato come "edificio storico isolato (tipologia funzionale: rustico – baita)", di cui alla scheda n. 45, per il quale erano consentiti solo interventi di ristrutturazione edilizia.

2. Con deliberazione del Commissario ad acta n. 1, del 17.9.2008, è stata approvata in prima adozione la variante al piano regolatore del Comune di Pinzolo.

A seguito del deposito del provvedimento di prima adozione, in data 7.11.2008 i proprietari di Maso Doss hanno presentato un’osservazione, protocollata al n. 68, per chiedere il cambio della destinazione urbanistica della p.ed. 364 e delle circostanti pp.ff. 3420 e 3411, da area "agricola di interesse secondario" a "zona per attrezzature ricettive e alberghiera di nuova formazione". L’Amministrazione comunale ha accolto parzialmente la richiesta, ritenendo ammissibile un aumento volumetrico di 600 mc., con prescrizioni realizzative e paesaggistiche, e la costruzione di un volume totalmente interrato pari al 20% di quello fuori terra.

3. Gli interessati, con nota del 23.12.2009, hanno comunicato all’Amministrazione che ritenevano insufficiente l’incremento volumetrico consentito, a fronte della necessità di non meno di 1.300 mc. fuori terra e di 1.500 mc. interrati per rendere economicamente sostenibile la gestione dell’attività alberghiera.

In sede di adozione definitiva, di cui alla deliberazione n. 1 del 23.2.2010, il Commissario ad acta ha respinto la nuova osservazione non ritenendo ammissibili in un’area agricola indici volumetrici riferibili ad una zona alberghiera.

La Giunta provinciale, infine, ha approvato la variante in questione con la deliberazione n. 751 del 9 aprile 2010.

4. Con ricorso notificato in data 18 giugno 2010 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo giorno 29, i ricorrenti hanno impugnato i nominati provvedimenti di adozione e di approvazione della variante al piano regolatore, atti meglio specificati in epigrafe, chiedendone l’annullamento in parte qua con riferimento alla riportata disciplina prevista per la loro proprietà, e deducendo i seguenti motivi di diritto:

I – "eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifeste e carenza di motivazione, nonché violazione dei principi che disciplinano l’esame delle osservazioni presentate dai ricorrenti; eccesso di potere per travisamento della realtà e violazione dei principi che disciplinano la variante urbanistica e delle finalità perseguite dalla stessa", atteso che il pianificatore avrebbe consentito un modesto ampliamento per riconosciute "funzioni ricettive" ma lo avrebbe al contempo ristretto entro limiti del tutto insufficienti; da ciò si deduce la contraddittorietà sia della classificazione tipologica dell’edificio, che avrebbe dovuto essere mutata in edificio "produttivo" o "speciale", che della motivazione, che avrebbe concesso un aumento volumetrico entro limiti che però non consentirebbero la ristrutturazione ex novo della struttura ricettiva;

II – "eccesso di potere per illogicità manifesta, difetto di istruttoria e carenza di motivazione", perché l’ampliamento del maso non violerebbe il pregio paesaggistico – ambientale del sito ove è inserito;

III – "eccesso di potere per travisamento della realtà, perplessità e contraddittorietà della motivazione", posto che al Comune non sarebbe mai stato chiesto di costruire un albergo bensì di ampliare l’antico e pregiato maso;

IV – "eccesso di potere per travisamento della realtà e contraddittorietà della motivazione", in quanto il richiesto ampliamento non necessiterebbe di ulteriori opere di urbanizzazione;

V – "eccesso di potere per travisamento dei contenuti delle osservazioni presentate dai ricorrenti e per illogicità e contraddittorietà manifesta", atteso che non sarebbe necessario l’opposto studio di carattere generale sulle strategie dell’offerta turistica;

VI – "eccesso di potere e difetto di motivazione sotto diverso profilo; travisamento della realtà e violazione dell’art. 18 bis della l.p. 5.9.1991, n. 22", in quanto non sarebbe stata esaminata la loro proposta di "perequazione urbanistica".

5. Non si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate.

6. Alla pubblica udienza del 12 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. Con il ricorso in esame i sig.ri C. hanno impugnato le deliberazioni del Comune di Pinzolo di adozione della variante al piano regolatore generale, nonché la deliberazione della Giunta provinciale di approvazione di detta variante, chiedendone l’annullamento in parte qua. Viene contestato, in particolare, il mancato recepimento integrale delle osservazioni che avevano presentato nel corso del procedimento urbanistico ove, per l’edificio di loro proprietà, un vecchio maso ristrutturato, denominato Maso Doss, situato in zona agricola e adibito a funzioni ricettive, è stato consentito un limitato aumento volumetrico ma non la richiesta modificazione della destinazione urbanistica dell’area in "zona per attrezzature ricettive e alberghiera di nuova formazione".

2a. Emerge in punto di fatto dalla documentazione processuale e, in particolare, dalla relazione illustrativa che ha accompagnato il nuovo strumento urbanistico in prima adozione, nel mese di settembre 2008, che la variante è stata adottata per aggiornare la disciplina sulle case per vacanza, sulla residenza ordinaria e del settore commerciale; per adeguare le disposizioni al nuovo Piano urbanistico provinciale e al Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche; per l’adeguamento cartografico catastale con georeferenziazione della zonizzazione territoriale. Per il settore alberghiero, all’opposto, nella stessa relazione era stato precisato che tutte le richieste sarebbero state catalogate e oggetto di valutazione solo in occasione della revisione del piano regolatore.

2b. Risulta altresì che i ricorrenti, ancora prima del formale avvio del procedimento amministrativo di variante urbanistica, avevano comunicato all’Amministrazione comunale la loro intenzione di ampliare la piccola struttura alberghiera (la quale dispone di sole sei stanze da letto per un totale di dodici posti letto), realizzando "una nuova struttura alberghiera di elevatissima qualità in termine di dotazione di servizi, qualità gestionale oltre che per quanto riferito agli aspetti formali e tipologici". Di conseguenza, essi hanno chiesto che la destinazione urbanistica della zona fosse variata con una "classificazione strettamente alberghiera" e la possibilità di "demolizione e ricostruzione con ampliamento dell’attuale struttura" (cfr., nota datata 22.1.2008 – doc. n. 11).

Poche settimane dopo tale proposta è stata integrata con la specificazione che, a fronte del conseguimento di quanto richiesto, i fratelli C. sarebbero stati disponibili a cedere all’Amministrazione comunale alcuni terreni a titolo di "perequazione urbanistica", per un totale di 5.838 mq., da adibire a spazi pubblici, ricreativi, naturalistici e, in genere, per opere pubbliche (cfr., nota datata 28.2.2008 – doc. n. 12).

2c. In data 7.11.2008 i ricorrenti hanno riaffermato nel procedimento di variante urbanistica le osservazioni di rito. Dopo aver ricordato le proposte avanzate nei mesi precedenti, hanno formalizzato la richiesta che fosse modificata la scheda n. 45 che classificava l’edificio come "edificio storico isolato (tipologia funzionale: rustico – baita)", con possibilità di soli interventi di ristrutturazione, e che la destinazione urbanistica dell’area ove si trova Maso Doss, ed i terreni circostanti, fosse mutata da "area agricola di interesse secondario", disciplinata dall’art. 35 delle n.t.a., a "zona per attrezzature ricettive e alberghiera di nuova formazione". I richiedenti hanno al contempo esposto che la struttura necessitava di essere adeguata per quanto riguarda gli impianti antincendio, elettrico e di sicurezza, oltre che per l’accessibilità delle persone disabili. Hanno quindi manifestato l’intenzione di creare un centro benessere all’avanguardia; una struttura operativa e propositiva per la valorizzazione, il consumo e il commercio dei prodotti agricoli dell’azienda in attività; un’autorimessa sotterranea riscaldata.

2d. L’Amministrazione comunale ha accolto parzialmente la richiesta: dopo aver premesso che la "zona interessata è inserita in un contesto di alto pregio ambientale", ha specificato che "la destinazione alberghiera con alto indice volumetrico è incompatibile con tale zona". Ha poi ricordato che l’edificio è sottoposto a vincolo conservativo che ammette la sola ristrutturazione edilizia: da ciò, posto che è regolarmente adibito a funzioni ricettiva, ha ritenuto ammissibile un aumento volumetrico di 600 mc., con prescrizioni realizzative e paesaggistiche, oltre alla possibilità di edificare un volume totalmente interrato pari al 20% di quello fuori terra, in aderenza all’edificio e destinato a funzioni di servizio e pertinenziali.

2e. Dopo la seconda adozione della variante in esame che, pertanto, non risultava pienamente satisfattiva delle loro richieste, i sig.ri C. hanno presentato un’ulteriore osservazione evidenziando che "per poter rendere economicamente e funzionalmente sostenibile la gestione del Maso", l’edificio in essere avrebbe necessitato di un aumento volumetrico fuori terra di 1.300 mc. e di realizzare nella parte interrata circa 1.500 mc. Solo così si sarebbero potuto "realizzare otto o nove suite con i relativi servizi aventi dimensioni rispondenti alle nuove esigenze dei clienti, la riorganizzazione e la messa a norma degli spazi comuni, della sala ristorante e della sala lettura; per la zona interrata è ipotizzata la creazione di un centro benessere con i locali tecnologici e di servizio strettamente connessi… il tutto volto a ottenere una nuova struttura ricettiva di elevatissima qualità". Con l’occasione è stata ribadita la precedente proposta "perequativa" e specificato che una parte dei 1500 mc. interrati sarebbero stati "destinati alla trasformazione dei prodotti agricoli dell’azienda agricola Alte Quote".

2f. In sede di adozione definitiva della variante il Commissario ad acta ha respinto la richiesta, ribadendo l’alto pregio paesaggisticoambientale della zona con le conseguenti incompatibilità di un elevato incremento di carico urbanistico. Ha poi ricordato che la volumetria consentita è stata "contenuta per rendere compatibile l’intervento con l’edificio esistente, di un certo pregio". In definitiva, secondo l’Amministrazione comunale, "la definizione di strategie diverse nello sviluppo dell’offerta turistica del Comune, che possano prevedere strutture ricettive diverse da quelle tradizionali e consolidate", avrebbe richiesto "uno studio di carattere generale".

3a. Così correttamente riassunti gli antefatti della vicenda, il Collegio osserva che il ricorso è infondato.

Al riguardo occorre innanzitutto rammentare il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa sui limiti della sindacabilità delle decisioni assunte in sede di pianificazione urbanistica, in cui la discrezionalità del pianificatore è molto ampia, salvi i consueti limiti estrinseci della legalità e razionalità (cfr., ex multis, T.R.G.A. Trento, 31.1.2011, n. 30; C.d.S., sez. IV, 18.6.2009, n. 4024 e la giurisprudenza ivi citata; sez. IV, 13.2.2009, n. 811); T.R.G.A. Trento, 17.1.2010, n. 1; C.d.S., sez. IV, 31.7.2009, n. 4847).

Proprio per il loro carattere ampiamente discrezionale le scelte urbanistiche non necessitano neppure di puntuale motivazione eccedente i criteri generali, di ordine tecnico – discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano (cfr., C.d.S., sez. IV, 19.3.2009, n. 1652 e 12.3.2009, n. 1431).

Correlativamente, in capo ai privati interessati dalle previsioni di piano non si configura alcuna aspettativa qualificata alla destinazione edificatoria auspicata, ma soltanto un’aspettativa generica al mantenimento della destinazione urbanistica gradita, ovvero ad un’altrettanto generica attesa di reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspiri ad una utilizzazione comunque proficua dell’immobile secondo i propri soggettivi intendimenti (cfr., C.d.S., sez. IV, 12.5.2010, n. 2843 e T.R.G.A. Trento, 9.9.2008, n. 227).

3b. Così sinteticamente ricordati i principi che governano il giudizio amministrativo nella materia di causa e rammentato che è rimesso alla discrezionalità dell’organo giudicante l’ordine con il quale intende procedere all’esame delle questioni sottoposte al suo esame (cfr., in termini, T.R.G.A. Trento, 26.2.2009, n. 65 e C.d.S., sez. V, 5.9.2006, n. 5108), emerge de plano che il terzo mezzo è infondato in fatto, posto che non corrisponde al vero che i fratelli C. "non hanno mai chiesto di costruire un albergo al posto del vecchio maso". Dalla documentazioni in atti risulta, al contrario, che essi hanno richiesto che sia cambiata la destinazione urbanistica in "zona per attrezzature ricettive e alberghiere" e che il vecchio maso potesse essere ampliato al fine di realizzare "una nuova struttura alberghiera di elevatissima qualità", conforme ai requisiti di cui alla legge provinciale n. 7 del 2002.

3b. Le censure di cui ai primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, sono prive di pregio giuridico in quanto, nel caso di specie, il Comune, e per esso il commissario ad acta, a fronte della sopra riportata chiara richiesta dei ricorrenti, ha valutato attentamente le proposte degli stessi ed ha ritenuto, argomentando compiutamente in proposito, che la destinazione alberghiera fosse incompatibile con il contesto circostante, di "alto pregio paesaggistico ambientale", circostanza questa, peraltro, che non è smentita nemmeno dai ricorrenti. La stessa argomentazione è stata poi meglio ribadita in risposta alla seconda osservazione.

Il Collegio reputa che le ragioni opposte dall’Amministrazione comunale nell’esercizio della sua discrezionalità pianificatoria siano logiche ma soprattutto coerenti con l’impostazione generale della variante in esame, che aveva espressamente escluso interventi per il settore alberghiero circa i quali, nella relazione di accompagnamento, era stato indicato che sarebbero stati oggetto di valutazione e di sintetizzazione in occasione della revisione del P.R.G.

Risulta, quindi, con evidenza e chiarezza il motivo di non accoglimento delle richieste di parte ricorrente, costituito dall’intento, pienamente legittimo, di conservare all’area de qua le sue caratteristiche agricole.

3c. D’altra parte, l’atteggiamento ragionevole e ponderato dell’Amministrazione – in contrario a quanto edotto in ricorso – emerge con evidenza dal fatto che essa ha peraltro consentito un ampliamento di Maso Doss, seppure per 600 mc. fuori terra e per il 20% del volume massimo per la parte interrata, il tutto vincolato all’esistente destinazione d’uso ricettiva e conservando la struttura formale e tipologica dell’edificio.

A tal proposito, gli interessati sostengono che l’ampliamento concesso sarebbe del tutto insufficiente per trasformare l’antico maso agricolo attualmente adibito a piccola struttura ricettiva, "perla di charme", in una nuova struttura alberghiera di elevatissima qualità.

L’operato dell’Amministrazione, sul punto, non appare affatto contraddittorio, come lamentato dai ricorrenti, bensì denota, all’opposto, attenzione e comprensione verso le richieste presentate dai fratelli C. che, seppur ritenute non accoglibili nel loro contenuto stravolgente le caratteristiche di pregio ambientale dei luoghi, sono state ritenute meritevoli di tutela per la "riqualificazione funzionale", nella parte, cioè, in cui hanno chiesto di poter adeguare l’esistente struttura alle mutate normative in materia di sicurezza, rispetto delle barriere architettoniche, ed altro. Da ciò la conseguente, e logica, necessità di confermare la tipologia funzionale dell’edificio.

Pertanto, oltre a quanto già ricordato circa il principio generale dell’ampia discrezionalità che caratterizza le scelte di pianificazione urbanistica, e della natura di aspettativa generica del privato alle modalità di sfruttamento della destinazione di zona, senza alcuna posizione giuridica qualificata alla mutabilità di essa nei termini desiderati, è da osservare ulteriormente che il comportamento della P. A. è esente dalle ulteriori censure di eccesso di potere formulate da parte ricorrente, tenuto conto, come già detto, che le richieste degli interessati sono state accuratamente esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi generali posti a base della formazione della variante al piano regolatore.

4. Con i successivi due motivi di ricorso i deducenti contestano quanto opposto dal Commissario ad acta in sede di controdeduzioni circa le necessità che la richiesta destinazione alberghiera dell’area avrebbe comportato per la zona in questione: la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria (quarto mezzo) e, prima ancora, uno studio di carattere generale sulle strutture ricettive nel Comune (quinto mezzo). Le riportate enunciazioni sarebbero assiomatiche, contraddittorie ed anche illegittime in quanto, in tal modo, il pianificatore si sarebbe sottratto alla verifica in concreto della loro richiesta.

Del tutto apodittiche, all’opposto, sono le argomentazioni dei ricorrenti, tenuto conto, da un lato, che la relazione di accompagnamento della variante aveva espressamente escluso nuovi interventi nel settore alberghiero, quale era quello richiesto dagli istanti e, sotto diverso profilo, che è urbanisticamente inconfutabile, anche in base ai principi generali della buona amministrazione del territorio, che le modificazioni essenziali della struttura esistente che sarebbero state perseguite dai ricorrenti avrebbero necessitato di una verifica circa l’idoneità delle esistenti opere di urbanizzazione primaria.

Anche in questo caso, in definitiva, la motivazione posta a fondamento delle argomentazioni opposte dall’Amministrazione comunale risulta congrua.

5. Infine, del tutto priva di pregio giuridico è l’ultima censura, posto che l’Autorità di pianificazione non era tenuta a corrispondere alla proposta dei ricorrenti (cessione di alcuni terreni a fronte del pieno accoglimento delle loro richieste), atecnicamente definita "perequativa", né a motivare il non accoglimento della stessa, in quanto la variante in esame non era stata redatta "secondo tecniche pianificatorie ispirate a principi di perequazione urbanistica", come consente l’art. 18 bis della l.p. 5.9.1991, n. 22.

6. In conclusione, per le argomentazioni sopra esposte il ricorso deve essere respinto.

Nulla occorre disporre per le spese del giudizio non essendosi costituite le Amministrazioni intimate.
P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica)

definitivamente pronunciando sul ricorso n. 144 del 2010, lo respinge.

Nulla per le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-10-2011, n. 21237

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La controversia verte sulla domanda proposta dai signori V. e P.C., G. e M.E. T., e F.A.M. al pagamento dei danni cagionati ad un immobile di loro proprietà, concesso in locazione alla Provincia regionale di Catania e adibito ad edificio scolastico. La domanda era stata altresì proposta nei confronti del Comune di Giarre e del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca.

2. Riformando parzialmente la decisione di primo grado, che aveva condannato la provincia regionale locataria al pagamento dei danni nella misura del quaranta per cento e il Comune di Giarre nella misura del sessanta per cento, ed aveva altresì condannato il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca a rivalere la provincia delle somme dovute agli attori, compresi gli accessori, la Corte d’appello di Catania, con sentenza 16 aprile 2005, ha limitato l’obbligazione di manleva del ministero nei confronti della provincia al dieci per cento delle somme dovute dalla provincia, con gli accessori.

3. Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorre la Provincia regionale di Catania per due motivi, con atto notificato il 10 – 21 ottobre 2005.

Resiste il ministero con controricorso notificato il 30 novembre 2005. 4. Con il primo motivo, denunciando genericamente la violazione degli artt. 1575, 1587, e 2043 c.c., si censura la limitazione della condanna del Comune di Giarre al pagamento dei danni nella misura del sessanta per cento, e si sostiene che in realtà i lavori che avevano prodotto i danni erano stati eseguiti proprio dal comune.

Con il secondo motivo, denunciando genericamente la violazione del R.D. n. 383 del 1934 e della L.R. Siciliana n. 9 del 1986, si censura la riduzione della rivalsa accordata alla provincia nei confronti del ministero, e si sostiene che i lavori erano stati eseguiti per conto del ministero.

5. I due motivi sono inammissibili perchè, limitandosi a citare delle disposizioni di legge o dei testi normativi complessi, non indicano la norma della cui violazione ci si duole, si basano su circostanze di fatto senza riferimento al contenuto della sentenza impugnata, e non sottopongono a censura il ragionamento articolato, che si legge nell’impugnata sentenza, in ordine al tipo di danni preso in esame e al corrispondente regime di responsabilità.

Le spese del giudizio di legittimità sopportate dal ministero sono a carico della parte soccombente, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento in favore del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.