Cass. civ. Sez. I, Sent., 11-11-2011, n. 23713 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che S.G., con ricorso del 2 luglio 2007, ha impugnato per cassazione – deducendo un unico motivo di censura, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, il decreto della Corte d’Appello di Venezia depositato in data 15 marzo 2007 e notificato il 3 maggio 2007, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dello S. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Presidente del Consiglio dei ministri – il quale ha concluso per l’inammissibilità o per la reiezione del ricorso, ha respinto la domanda;

che resiste, con controricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su due motivi;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di giustizia per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 17 maggio 2006, era fondata sui seguenti fatti: a) lo S., asseritamente titolare del diritto alla ricostruzione economica e previdenziale della carriera scolastica, aveva proposto – con ricorso del 14 aprile 1997 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto; b) il Tribunale adito aveva deciso favorevolmente la causa con sentenza del 16 giugno 1998; c) a seguito di appello del Ministro della pubblica istruzione, l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato aveva respinto l’impugnazione con sentenza del 28 febbraio 2002; c) in costanza di inadempimento dell’Amministrazione, lo S. aveva adito il Tribunale amministrativo regionale del Veneto per l’esecuzione della sentenza del T.a.r. Veneto del 16 giugno 1998; d) il Tribunale adito, con ordinanza del 3 dicembre 2003, aveva accolto la domanda e nominato un commissario ad acta; e) in costanza di perdurante parziale inadempimento dell’Amministrazione lo S. aveva sollecitato l’integrale esecuzione del giudicato con raccomandate a.r. dell’8 settembre 2005 e del 16 marzo 2006;

che la Corte d’Appello di Venezia, con il suddetto decreto impugnato, ha respinto la domanda osservando che: a) la decisione che conclude il processo presupposto, di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 va individuata, nel giudizio amministrativo, con il provvedimento del giudice amministrativo che statuisce in ordine alla misura attuativa del giudicato amministrativo; b) nella specie, detta decisione è rappresentata dall’ordinanza del T.a.r. Veneto del 3 dicembre 2003, di nomina del commissario ad acta per l’adozione dei provvedimenti amministrativi necessari per dare esecuzione al giudicato amministrativo; c) tale ordinanza, divenuta definitiva in data 18 febbraio 2005, precede di oltre sei mesi la domanda di equa riparazione, proposta con ricorso del 17 maggio 2006.

Motivi della decisione

preliminarmente che il ricorso principale e quello incidentale, in quanto proposti contro lo stesso decreto, debbono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.;

che, con l’unico motivo di censura, il ricorrente principale sostiene che, conformemente alla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di legittimità, la L. n. 89 del 2001, art. 4 nella parte in cui dispone che la domanda di riparazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di sei mesi dal momento in cui la decisione conclusiva del processo presupposto è divenuta definitiva, deve interpretarsi nel senso che il dies a quo decorre dal momento in cui il diritto azionato ha trovato effettiva realizzazione, con la conseguenza che, nella specie, il predetto dies a quo non avrebbe ancora avuto inizio, i quanto la mancata completa realizzazione del diritto azionato comporterebbe la perdurante pendenza del giudizio amministrativo presupposto, promosso con ricorso del 24 marzo 1997;

che, con i due motivi di censura – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione – il ricorrente incidentale critica a sua volta il decreto impugnato, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus avrebbero dovuto preliminarmente dichiarare l’intervenuta decadenza dello S. dal diritto di proporre la domanda di equa riparazione, con riferimento esclusivo al giudizio amministrativo di cognizione, conclusosi con la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio 2002, passata in giudicato il successivo 8 luglio 2002;

che il ricorso principale non merita accoglimento;

che, secondo diritto vivente, in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, questo va identificato, in base all’art. 6 della CEDU, sulla base delle situazioni soggettive controverse ed azionate su cui il giudice adito deve decidere, situazioni che, per effetto della suddetta norma sovranazionale, sono "diritti e obblighi", ai quali, avuto riguardo agli artt. 24, 111 e 113 Cost., devono aggiungersi gli interessi legittimi di cui sia chiesta tutela ai giudici amministrativi, con la conseguenza che, in rapporto a tale criterio distintivo, il processo di cognizione e quello di esecuzione regolati dal codice di procedura civile e quello cognitivo del giudice amministrativo e il processo di ottemperanza teso a far conformare la P.A. a quanto deciso in sede cognitoria, devono considerarsi, sul piano funzionale (oltre che strutturale), tra loro autonomi, in relazione, appunto, alle situazioni soggettive differenti azionate in ciascuno di essi, con l’ulteriore conseguenza che, in dipendenza di siffatta autonomia, le durate dei predetti giudizi non possono sommarsi per rilevarne una complessiva dei due processi (di cognizione, da un canto, e di esecuzione o di ottemperanza, dall’altro) e che, perciò, solo dal momento delle decisioni definitive di ciascuno degli stessi, è possibile, per ognuno di tali giudizi, domandare, nel termine semestrale previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4 l’equa riparazione per violazione del citato art. 6 della CEDU, con conseguente inammissibilità delle relative istanze in caso di inosservanza di detto termine (cfr., ex plurimis, le sentenze delle Sezioni unite nn. 27348 e 27365 del 2009, nonchè le successive sentenze delle sezioni semplici nn. 16828 del 2010 e 820 del 2011);

che pertanto, nella specie, il termine semestrale di decadenza dal diritto di proporre l’azione di equa riparazione, di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 è scaduto nel 2002 a seguito del passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato in adunanza plenaria del 28 febbraio 2002, notificata il 9 maggio 2002, mentre la stessa azione è stata intempestivamente promossa in data 17 maggio 2006;

che, in tal senso, deve essere corretta la motivazione in diritto del decreto impugnato, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, essendo il suo dispositivo sostanzialmente conforme al diritto (rigetto del ricorso, anzichè inammissibilità dello stesso);

che il ricorso incidentale è parimenti infondato, sia perchè esso comporta unicamente, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, la correzione della motivazione in diritto del decreto impugnato, nella parte in cui fa decorrere il predetto termine iniziale di decadenza dalla ordinanza emessa in sede di giudizio di ottemperanza, anzichè – come dianzi affermato – dalla data del passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del giudizio amministrativo di cognizione, sia perchè il dispositivo di reiezione della domanda deve intendersi, alla luce della stessa motivazione in diritto, come pronuncia di improponibilità della domanda o di inammissibilità del ricorso, per intervenuta decadenza dal diritto di proporlo;

che la soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-03-2011) 12-07-2011, n. 27207

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 19 aprile 2010 la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale di Trani del 21 settembre 2009 con la quale M.M., imputato del reato di cui all’art. 674 c.p., era stato dichiarato colpevole del detto reato (ed assolto, invece, dal concorrente reato di cui all’art. 659 c.p.) e condannato alla pena di giorni dieci di arresto ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Ricorre contro la sentenza l’imputato deducendo violazione della legge penale ( art. 157 c.p.) per essersi il reato estinto già prima della sentenza di primo grado in relazione all’epoca di commissione del fatto ((OMISSIS) o al più tardi, (OMISSIS), data di proposizione della querela) in applicazione del regime precedente la L. n. 205 del 2005.

Il ricorso è fondato.

Va premesso che – per come è dato leggere dalla motivazione della sentenza impugnata – la data di commissione del reato non è quella indicata nel capo di imputazione, bensì quella – espressamente enunciata in sentenza – del 2 settembre 2005, epoca in cui, come ricordato dalla Corte di Appello, venne effettuato il sopralluogo accertante la condotta vietata. In ogni caso, a non voler considerare tale data come determinante ai fini della individuazione del tempus commissi delicti, certamente risulta dalla sentenza impugnata che la querela sporta nei riguardi dell’imputato venne presentata in data 13 ottobre 2005, per una condotta commessa, comunque, prima di tale data.

Va premesso che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il reato di cui all’art. 674 c.p., è di natura istantanea e solo eventualmente permanente: ipotesi che ricorre quando l’illegittima emissione sia connessa all’esercizio di attività economiche e legate al ciclo produttivo (in tal senso Cass. Sez. 1^ 13.11.1997 n. 2598; nello stesso senso, Cass. Sez. 1^ 10.11.1988 n. 3162).

Il termine di prescrizione decorrerà quindi dalla data di commissione del fatto, indipendentemente dalle sue conseguenze.

Ciò detto, e passando ad esaminare il criterio di calcolo della prescrizione invocato dal ricorrente, devesi aver riguardo – come esattamente argomentato dalla difesa – al testo normativo antecedente alla L. n. 251 del 2005, (che ha, come è noto, elevato a quattro anni, prorogabili di 1/4, il termine prescrizionale per i reati contravvenzionali): in forza del testo previgente, che trova applicazione in quanto disposizione più favorevole, laddove riferita a reati commessi sotto la vigenza delle precedenti disposizioni (in questo senso, Cass. Sez. 3^ 11.6.2008 n. 37271, Quattrocchi, Rv.

241080; Cass. Sez. 1^ 7.11.2006 n. 39086, P.G. in proc. Mascali, Rv.

235978), trova applicazione il termine più breve triennale prorogabile nella sua massima misura ad anni quattro e mesi sei decorrenti dalla data di commissione del fatto (a tutto voler concedere il 13 ottobre 2005).

Detto termine, quindi, era certamente scaduto prima della pronuncia della sentenza di appello. Da qui l’annullamento della sentenza impugnata, senza rinvio, per intervenuta prescrizione. Restano ferme le statuizioni in favore della parte civile disposte nel giudizio di primo grado, confermate in appello e non contestate in ricorso. La suddetta parte civile peraltro non ha diritto alle spese del presente grado in quanto, una volta accertato che già alla data emissione della sentenza di appello il reato era prescritto e che il ricorso è stato proposto con deduzione di quest’unico motivo, la stessa non ha interesse ad interferire sugli effetti penali della sentenza.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.

Respinge l’istanza di spese della parte civile.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 08-04-2011) 25-07-2011, n. 29731

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, il Giudice di pace di San Valentino in A.C. assolveva N.G. dai reati di minacce e lesioni personali a lui ascritti perchè commessi in stato di assoluta incapacità di intendere e valore. Reputava, in proposito, che non potesse essere disposta la misura di sicurezza del ricovero in casa di cura o manicomio giudiziario perchè, trattandosi di misure detentive e non essendo prevista per il giudice di pace l’applicazione di pene detentive, per analogia logica doveva ritenersi preclusa anche la possibilità di irrogazione di misura di sicurezza caratterizzata da profili punitivi.

Avverso la sentenza anzidetta il P.G. di L’Aquila ha proposto ricorso per cassazione affidato alle ragioni di censura indicate in parte motivo.

Motivi della decisione

1. – Con unico motivo d’impugnazione parte ricorrente deduce violazione di legge, con riferimento al D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 222 e 32, comma 1, lett. b) del codice di rito, contestando l’assunto del giudice di pace in ordine all’assimilabilità delle misure di sicurezza alle pene detentive e rilevando che, ad ogni modo, l’art. 215 c.p., richiamato in sentenza, prevedeva misure di sicurezza sia detentive che non detentive.

2. – A mente dell’art. 579, comma 2, – applicabile anche al procedimento innanzi al giudice di pace, in forza del generale rinvio, per quanto non espressamente previsto, alle norme del codice di rito, disposto dal D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 2 – l’impugnazione avverso le sole statuizioni della sentenza riguardanti le misure di sicurezza è proposta a norma dell’art. 680, comma 2, ossia mediante appello al tribunale di sorveglianza (cfr, in tal senso Cass. sez 5, 21.9.2006, n. 2656, rv. 236302, con riferimento proprio ad una pronuncia del giudice di pace).

3. – Per quanto precede, il ricorso deve essere convertito in appello, con trasmissione degli atti al competente tribunale di sorveglianza.

P.Q.M.

Converte il ricorso in appello e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila per quanto di competenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 29-12-2011, n. 29772 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice di pace di Vibo Valentia ha respinto l’opposizione proposta da T.V. avverso l’ordinanza ingiunzione con cui l’Ufficio territoriale del Governo di Vibo Valentia gli aveva irrogato la sanzione pecuniaria di 4.389,18 Euro, per aver emesso un assegno bancario senza autorizzazione del trattario.

T.V. ha proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. L’Ufficio territoriale del Governo di Vibo Valentia non ha svolto attività difensive nel giudizio di legittimità.

Motivi della decisione

La motivazione della presente sentenza viene redatta in forma semplificata, come il collegio ha disposto.

Con il primo motivo di ricorso T.V. si duole della mancata riunione di questo giudizio ad un altro da lui stesso promosso davanti al Giudice di pace di Vibo Valentia, in opposizione ad un’ordinanza ingiunzione emessa nei suoi confronti per l’emissione di un ulteriore assegno bancario in favore del medesimo prenditore:

riunione necessaria ai fini dell’applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 8 trattandosi di violazioni della stessa disposizione commesse con una sola azione.

La doglianza è infondata, poichè in materia di sanzioni amministrative, non è applicabile l’art. 81 cpv c.p. relativo alla continuazione ma esclusivamente il concorso formale, in quanto espressamente previsto nella L. n. 689 del 1981, art. 8 che richiede l’unicità dell’azione od omissione produttiva della pluralità di violazioni; ne deriva che non è configurabile la continuazione in caso di contestazione di plurime emissioni di assegni senza provvista o senza autorizzazione, in quanto la L. 15 dicembre 1990, n. 386, art. 5 come modif. dal D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, regolamenta il caso di plurime emissioni di assegni senza autorizzazione o senza provvista, al solo fine di aggravare il trattamento sanzionatorio di ulteriori sanzioni amministrative accessorie, analogamente a quanto stabilito, per la c.d. reiterazione degli illeciti amministrativi, dalla L. n. 689 del 1981, art. 8 bis (Cass. 21 maggio 2008 n. 12844).

Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta innanzi tutto che il Giudice di pace ha erroneamente ritenuto il documento in questione come assegno, mentre avrebbe dovuto considerarlo, in quanto privo di data, come una semplice promessa di pagamento.

L’assunto non è condivisibile, poichè la mancanza di data priva l’assegno dell’efficacia propria di titolo di credito soltanto fino a quando essa non viene apposta dal prenditore o giratario (Cass. 20 giugno 2007 n. 14322).

D’altra parte, l’omissione di cui si tratta comporta per l’emittente l’assunzione del rischio della sopravvenuta assenza dell’autorizzazione o della provvista, al momento in cui l’assegno viene presentato per la riscossione (v. Cass. 23 agosto 2006 n. 18345). Vanno dunque disattese anche le deduzioni svolte dal ricorrente nel contesto dello stesso secondo motivo di ricorso, a proposito del difetto di dolo o colpa, da parte sua, relativamente agli eventi successivi alla consegna dell’assegno, la quale era avvenuta al solo scopo di garanzia di un futuro pagamento, che era stato poi effettuato.

Il ricorso viene pertanto rigettato.

Non vi è da provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, nel quale l’Ufficio territoriale del Governo di Vibo Valentia non ha svolto attività difensive.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.