Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 19-12-2011, n. 27282

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.V. adiva il Tribunale di Tivoli e, premesso di essere stato dipendente del Comune di Cave dall’1.8.2001 con inquadramento nella categoria D3, posizione economica D5 del CCNL per le regioni e gli enti locali, e di avere rivestito la qualifica di responsabile dell’area della polizia locale e di avere svolto le funzioni comandante del corpo della polizia municipale, lamentava che con decreto sindacale del 26.8.2004 egli era stato rimosso da tali funzioni, affidate ad altro dipendente, e gli era stata attribuita la responsabilità del servizio di polizia edile, rurale, ittico- venatoria e amministrativa, cioè di un servizio ricompreso nell’area della polizia locale, di modo che si era ritrovato di fatto a svolgere mansioni di semplice operatore di polizia. Dedotto che tale illegittimo demansionamento gli aveva arrecato pregiudizi di tipo psico-fisico e alle relazioni familiari, coniugali e sociali, oltrechè rilevanti pregiudizi patrimoniali per la perdita di voci retributive (anche in conseguenza della richiesta, resasi necessaria, del nulla osta per il trasferimento ad altra amministrazione), concludeva chiedendo che fosse accertata l’illegittimità del comportamento tenuto dall’amministrazione e che quest’ultima fosse condannata al risarcimento dei danni.

Il Tribunale, in accoglimento di eccezione del Comune convenuto, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sulla base del rilievo che il decreto sindacale del 26.8.2004 doveva essere qualificato come atto di macro organizzazione, cioè come provvedimento riservato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, al potere discrezionale della pubblica amministrazione, in quanto fondato sulla dichiarata necessità di rivedere la struttura dei diversi servizi e delle aree.

Proposto appello da parte del lavoratore, la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario e rimetteva le parti davanti al giudice di primo grado, ex art. 353 c.p.c..

La Corte di merito attribuiva rilevanza al fatto che l’attore aveva lamentato il demansionamento subito e aveva chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, così facendo valere il diritto soggettivo riconosciuto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52.

Il Comune di Cave propone ricorso per cassazione. R.V. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. L’unico motivo di ricorso denuncia violazione dei principi attinenti la giurisdizione, con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2.

Premesso che la previsione della giurisdizione del giudice ordinario per le controversie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazione deve coordinarsi con il principio secondo cui sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti gli atti amministrativi adottati dalle pubbliche amministrazioni, nell’esercizio del potere D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 2, di fissare le linee e i principi fondamentali dell’organizzazione degli uffici, si rileva che il decreto sindacale del 26.8.2004 aveva avuto effetti immediatamente organizzatori e di carattere generale nei confronti di tutto il personale della polizia locale, come risultava sia dalla sua motivazione che dalla parte dispositiva. Si aggiunge che la stessa domanda è incentrata su questioni di dedotta illegittimità del provvedimento sindacale in questione, con la conseguenza che la posizione soggettiva fatta valere è qualificabile come di interesse legittimo.

2. Il ricorso è infondato.

La domanda ha per oggetto diritti inerenti al rapporto di lavoro, stante la dedotta violazione delle norme sulle mansioni affidabili al lavoratore dipendente e la richiesta dei danni conseguenti. Può anche osservarsi che non è stato indicato dai Comune quale sia l’effettivo nesso causale tra provvedimenti organizzativi di rilievo generale e il provvedimento specifico, oggetto della doglianza del R., relativo al mutamento delle sue mansioni e inerente quindi alla gestione del rapporto di lavoro.

Peraltro nella specie troverebbe in ogni caso piana applicazione il principio, recepito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1, sulla non incidenza sulla giurisdizione del g.o., in materia di controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, di atti amministrativi presupposti, disapplicabili ove illegittimi (cfr. Cass. sez. un. n. 16175 del 2004, 13169 de 2006 e 8836 del 2010).

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese del giudizio sono regolate in base al criterio legale della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio in Euro cento per esborsi ed Euro cinquemilacinquecento per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 19-09-2011, n. 7369 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Preso atto della dichiarazione, resa nell’odierna udienza pubblica, con la quale parte ricorrente dichiara di non aver più interesse al ricorso perché, in esito a pronuncia giurisdizionale del Consiglio di Stato, è stata disposta una nuova procedura di gara;

Visti gli artt. 35, comma 1, lett. c), e 85, comma 9, del codice del processo amministrativo;

Considerato che il ricorso in epigrafe va dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse;

Ritenuto che, in accoglimento della richiesta di parte ricorrente, le spese di giudizio possano essere compensate ai sensi degli articoli 26 del codice del processo amministrativo e 92 del codice di procedura civile.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. VI, Sent., 02-02-2012, n. 1508 Diritti politici e civili

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Svolgimento del processo

L’Amministrazione ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della corte d’appello che ha accolto parzialmente il ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR del Lazio a far tempo dal 30.7.1997 e ancora pendente alla data di presentazione della domanda (23.5.2007).

Gli intimati non hanno proposto difese.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi di ricorso l’Amministrazione si duole dell’eccessiva liquidazione dell’indennità per l’irragionevole durata del processo, quantificata dal giudice del merito in ragione di Euro 1.000,00 per anno di ritardo pur a fronte della modestia della posta in gioco e della scarsa diligenza processuale dei ricorrenti.

I motivi sono fondati in quanto la Corte d’appello si è immotivatamente discostata dai parametri fissati dalla giurisprudenza di legittimità in base ai quali deve quantomeno tenersi conto della minore intensità del patema d’animo per i primi tre anni di irragionevole durata del procedimento.

Il terzo motivo con il quale ci si duole che il giudice del merito non abbia assunto come termine finale di durata del giudizio presupposto quello in cui la sentenza è stata pronunciata è infondato in quanto deve tenersi conto ai fini indicati della data di irrevocabilità della stessa.

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti di cui in motivazione. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750,00 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che è pari a Euro 1.000,00 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione de limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, il Ministero della Economia e delle Finanze deve essere condannato al pagamento di Euro 6.250,00 in favore di ciascuno degli intimati a titolo di equo indennizzo per il periodo di anni sette di irragionevole ritardo quale determinato dal giudice del merito.

Le spese della fase di merito seguono la soccombenza dell’Amministrazione mentre quelle di questa fase debbono essere poste a carico degli intimati in solido.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa in parte qua il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e delle Finanze al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 6.250,00, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 4.620,00, comprensivi di spese generali, di cui Euro 2.500,00 per diritti, Euro 1.700,00 per onorari, oltre accessori di legge;

condanna gli intimati in solido alla rifusione in favore dell’Amministrazione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito; spese della fase di merito distratte in favore del difensore antistatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 07-11-2011, n. 8488 Interesse a ricorrere

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Svolgimento del processo

Con il ricorso in esame, la parte in epigrafe indicata agisce per l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 12009/08 emessa in data 30 ottobre 2008 e depositata il 19/12/08 con cui il TAR Lazio – Roma ha accertato il diritto del ricorrente all’inserimento, nella base pensionabile e nella base per il calcolo della indennità di buonuscita, delle due ore settimanali di servizio richiamate dagli artt. 1 d.p.r. n. 234/88 e 12 comma 2 d.p.r. n. 395/95.

Il Ministero della Giustizia, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Alla Camera di Consiglio del 20 ottobre 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse.

Il ricorrente, dipendente dell’amministrazione penitenziaria, agisce per l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 12009/08, emessa in data 30 ottobre 2008 e depositata il 19/12/08, con cui il TAR Lazio – Roma ha accertato il diritto del predetto all’inserimento, nella base pensionabile e nella base per il calcolo della indennità di buonuscita, delle due ore settimanali di servizio richiamate dagli artt. 1 d.p.r. n. 234/88 e 12 comma 2 d.p.r. n. 395/95.

La predetta declaratoria giurisdizionale ha ad oggetto diritti che debbono essere, in concreto, portati ad esecuzione dall’amministrazione allorché il dipendente viene collocato in quiescenza e presuppone, pertanto, che l’interessato sia stato collocato in quiescenza o sia in procinto di esserlo, requisito la cui ricorrenza nella fattispecie non è stata nemmeno dedotta nell’atto introduttivo.

Ne consegue che l’azione di ottemperanza, concernendo una statuizione giurisdizionale non suscettibile, allo stato, di esecuzione coatta, si presenta priva dell’interesse ad agire, costituente presupposto di ammissibilità della stessa.

Né, in senso favorevole al ricorrente, risulta significativo il richiamo alla sentenza della Cassazione n. 11945/90 (citata nella memoria depositata il 3 settembre 2011) la quale riguarda l’interesse ad agire nel giudizio di cognizione, finalizzato all’accertamento delle voci computabili nella base pensionabile, e non nel giudizio di esecuzione, quale quello in esame.

Nello stesso senso, ai fini del riscontro del necessario interesse ad agire, non appare utile il riferimento agli atti dispositivi previsti dalla legge (ad es. l’anticipazione del trattamento di fine rapporto prevista dall’art. 2120 c.c.) dal momento che, solo al momento dell’erogazione concreta del relativo importo, sarà possibile accertare se l’amministrazione ha eseguito correttamente la sentenza in epigrafe indicata e, in caso contrario, intervenire in sede giurisdizionale in sostituzione dell’ente inadempiente.

Per questi motivi deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse.

La peculiarità della questione giuridica oggetto di causa giustifica, ai sensi degli artt. 26 d. lgs. n. 104/10 e 92 c.p.c., la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) dichiara l’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse;

2) dispone la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.