Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-01-2013) 06-06-2013, n. 24806

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 3 novembre 2011, la Corte d’appello di Bologna ha, per quanto qui rileva, confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Modena dell’11 febbraio 2008, resa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale gli imputati K.A. e K. M. erano stati condannati, per il reato di cui all’art. 110 cod. pen. e del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1-bis, perchè detenevano, a fini di spaccio e in concorso tra loro, presso la loro abitazione, sostanza stupefacente del tipo cocaina con principio attivo pari a 182 dosi medie singole, di cui, al momento della perquisizione da parte dei carabinieri, K.A. cercava di disfarsi gettandolo dalla finestra, con la collaborazione di K.M., la quale bloccava la soglia tentando di ritardare l’accesso dei militari nell’abitazione.

2. – Avverso la sentenza l’imputata K.M. ha proposto personalmente ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. – Con primo motivo di impugnazione, si rilevano la violazione della norma incriminatrice e la carenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del concorso nella detenzione di sostanze stupefacenti, perchè la Corte d’appello avrebbe ritenuto che la condotta, consistita nell’aver ritardato per pochi istanti l’ingresso nell’abitazione dei carabinieri incaricati della perquisizione e nell’aver contestualmente urlato frasi in lingua albanese, configurasse un contributo partecipativo alla custodia e al controllo dello stupefacente. Secondo la prospettazione della ricorrente, non vi sarebbe prova che la stessa abbia rivolto frasi in lingua albanese al coimputato, incitandolo a disfarsi dello stupefacente, nè vi sarebbe prova che l’azione di quest’ultimo, diretta a lanciare la droga della finestra, sia stata conseguenza delle parole proferite dalla donna. Parrebbe, invece, più verosimile – sempre secondo la prospettazione difensiva – che la donna, svegliata nel cuore della notte, avesse interpretato i fatti come il tentativo di estranei di entrare forzosamente nell’appartamento.

2.2. – Con il secondo motivo di doglianza, si lamenta che la condotta dell’imputata avrebbe dovuto essere ascritta alla fattispecie del favoreggiamento ex art. 378 cod. pen., che, essendo commesso in favore di un prossimo congiunto, non avrebbe potuto essere punito, ai sensi dell’art. 384 cod. pen.. Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare se vi fosse l’intenzione di partecipare positivamente all’azione già posta in essere dal coimputato oppure semplicemente quella di aiutarlo ad eludere le investigazioni dell’autorità. A sostegno dell’ipotesi di favoreggiamento vi sarebbero, in particolare, i seguenti elementi: a) non è provata la circostanza che la detenzione domestica dello stupefacente fosse risalente nel tempo; b) non appare decisivo il rilievo operato dal giudice di primo grado, secondo cui, in base le dichiarazioni di altro coimputato, i rapporti illeciti perduravano da circa due mesi; c) ha maggiore credibilità l’assunto difensivo secondo cui, proprio approfittando dell’assenza di K.A. dall’abitazione, il coimputato Ka.As. – estraneo al presente grado di giudizio – avesse intrapreso "una più sfrontata detenzione dello stupefacente all’interno dell’abitazione medesima".

2.3. – Si lamenta, in terzo luogo, la carenza di motivazione in ordine alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen..

3. – La sentenza è stata impugnata personalmente anche dall’imputato K.A., il quale rileva l’erronea applicazione della norma incriminatrice, perchè la condotta a lui ascritta avrebbe potuto al più essere qualificata come favoreggiamento ai sensi dell’art. 378 cod. pen., commesso in favore del prossimo congiunto Ka.

A. e, dunque, non punibile ai sensi dell’art. 384 cod. pen.. A sostegno dell’ipotesi di favoreggiamento si rileva che: a) A. ben si era allontanato dal territorio nazionale per 15 giorni ed era rientrato dall’Albania poche ore prima dello svolgimento dei fatti, essendo verosimilmente venuto a conoscenza della presenza nell’abitazione la sostanza stupefacente soltanto la sera del suo rientro; b) non è provata la circostanza secondo cui la detenzione dello stupefacente da parte del fratello As. fosse risalente nel tempo e comunque anteriore alla trasferta albanese dell’imputato;

c) le dichiarazioni rese dall’altro coimputato secondo cui i rapporti illeciti perdurarono per circa due mesi non sarebbero decisive; d) l’assunto secondo cui As. aveva intrapreso la detenzione del stupefacente all’interno dell’abitazione proprio approfittando dell’assenza di alberi merita maggiore credibilità; e) K. A. è soggetto incensurato privo di precedenti di polizia; e) il coimputato collaborante – anch’egli estraneo al presente grado di giudizio – non ha riferito di avere acquistato sostanza stupefacente da A., riferendosi sempre solo ad As..

Motivi della decisione

4. – I motivi di impugnazione – che, con l’eccezione di quello sub 2.3., possono essere trattati congiuntamente perchè attengono alla riconducibilità delle condotte tenute dagli imputati odierni ricorrenti alla fattispecie astratta della detenzione di stupefacenti anzichè a quella del favoreggiamento personale – sono infondati e devono essere rigettati.

4.1. – Quanto alla differenziazione fra la detenzione di stupefacenti e il favoreggiamento personale, la giurisprudenza di questa Corte ha ampiamente chiarito che il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perchè, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve – salvo che non sia diversamente previsto – in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale (sez. un., 24 maggio 2012, n. 36258, Rv. 253151).

Del resto, anche solo un contributo all’occultamento, alla custodia o al controllo dello stupefacente stesso costituisce un apporto concorsuale al delitto, in quanto finalizzato ad evitare che la droga venga rinvenuta e, dunque, a protrarne l’illegittima detenzione (sez. 4, 12 ottobre 2000, n. 12777; 16 giugno 2004, n. 40167; 22 gennaio 2010, n. 4948; sez. 6, 18 febbraio 2010, n. 14606, Rv. 247127).

Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie da parte dell’imputata K.M., la quale, essendo consapevole della presenza dello stupefacente nella sua abitazione, ha partecipato materialmente alla custodia dello stesso, sia non essendosi opposta alla sua permanenza in loco, sia ostacolando l’irruzione della polizia giudiziaria.

Proprio con riferimento a tale ultimo profilo, la Corte d’appello – con motivazione pienamente sufficiente e coerente – ha evidenziato che la spiegazione del fatto secondo cui la donna si era spaventata credendo che vi fossero sconosciuti che tentavano di entrare forzosamente nell’appartamento risulta poco credibile, anche perchè il coimputato K.A., invece che reagire alle grida della donna cercando di proteggerla, l’aveva ignorata spostandosi rapidamente lungo il corridoio in direzione opposta a quella da cui ella lo chiamava, per disfarsi dello stupefacente.

Del pari correttamente la Corte d’appello – ponendosi anche su tale profilo in continuità con la motivazione della sentenza di primo grado – ha rilevato che neanche la condotta di K.A. può essere sussunta nella fattispecie astratta del favoreggiamento, perchè questo aveva fornito un chiaro contributo causale alla realizzazione del reato, prendendo in mano lo stupefacente e tentando di disfarsene all’arrivo dei carabinieri; comportamento questo che certamente configura un’illecita detenzione.

Tale essendo la ricostruzione dei fatti, risultano non credibili – come bene evidenziato dai giudici di prime secondo grado – le interpretazioni alternative del quadro probatorio che gli imputati hanno tentato di fornire allo scopo di sminuire il proprio apporto causale nella codetenzione dello stupefacente con il coimputato Ka.As..

4.2. – Anche con riferimento a quest’ultimo punto – oggetto del motivo di ricorso sub 2.3. – la sentenza impugnata risulta adeguatamente motivata, perchè evidenzia che il mettere a disposizione l’abitazione comune è di per sè una condotta idonea a facilitare la commissione del reato, perchè consente ai coimputati di evitare di cercare nascondigli più rischiosi o scomodi. Si tratta, dunque, secondo la Corte d’appello di un contributo rilevante nell’esecuzione del reato, tanto da non poter essere ritenuto di minima importanza ai sensi dell’art. 114 cod. pen., specialmente se considerato alla luce della condotta tenuta al momento dell’arrivo delle forze dell’ordine.

5. – Ne consegue il rigetto dei ricorsi, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 2 marzo 2010, n.4950 INCIDENTE STRADALE E CRITERI PER LA QUALIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO DANNI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. sotto il profilo dell’applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. – omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.”. Si aggiunge che l’importo di lire 60.000.000 percepite dal C., a titolo di “gratificazione”, per la cessazione del rapporto di lavoro con le omissis spa consisteva in una sorta di transazione tra il C. stesso e la società datrice di lavoro, affinché il ricorrente fosse incentivato a dare anticipatamente le dimissioni, con la conseguenza che detto importo si fondava su un titolo del tutto differente da quello risarcitorio in questione.

Il ricorso merita accoglimento.

Per costante giurisprudènza (tra le altre, Cass. n. 8321/1998), il principio della compensatio lucri cum damno trova applicazione solo quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso.

Come correttamente esposto in ricorso, nella vicenda in esame l’importo in questione corrisposto al C. non costituisce affatto una sorta di acconto del risarcimento liquidato in seguito dal responsabile del sinistro ma riguarda fattispecie assolutamente diversa, avendo come “titolo” il rapporto tra l’odierno ricorrente e la società sua datrice di lavoro.

Sussistendo i presupposti dell’art. 384 c.p.c., all’accoglimento del ricorso, decidendo nel merito, consegue la detrazione dell’importo in questione (lire 60.000.000) dal risarcimento complessivamente dovuto dalla società di assicurazioni Lloyd Italico Assicurazioni s.p.a., in base sia alla sentenza di primo grado sia a quella di secondo grado impugnata (che ha “aggiunto” l’ulteriore importo rispetto a quello liquidato in primo grado di euro 19.641,55), compresi accessori come già determinati nella fase di merito, con conseguente condanna di detta Lloyd Italico Assicurazioni al pagamento della sopraindicata somma (lire 60.000.000), oltre interesse del tasso del 4 % annuo dal omissis al saldo.

Le spese dell’intera controversia si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa l’impugnata decisione e, decidendo nel merito, dichiara detraibile l’importo in questione (lire 60.000.000) dal risarcimento complessivamente dovuto dalla società di assicurazioni Lloyd Italico Assicurazioni s.p.a., in base sia alla sentenza di primo grado sia a quella di secondo grado impugnata (che ha “aggiunto” l’ulteriore importo rispetto a quello liquidato in primo grado di euro 19.641,55), compresi accessori come già determinati nella fase di merito, con conseguente condanna di detta Lloyd Italico Assicurazioni al pagamento in favore dell’odierno ricorrente della sopraindicata somma (lire 60.000.000), oltre interessi al tasso del 4 % annuo dal omissis al saldo.

Compensa le spese di primo grado e condanna la società odierna resistente al pagamento sia delle spese di appello, come già liquidate con esclusione della compensazione per metà, in euro 4.500,00 (di cui euro 200,00 per spese, euro 1.300,00 per diritti ed euro 3.000,00 per onorario), sia della presente fase che liquida in complessivi euro 4.700,00 (di cui euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed accessorie come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cassazione, sez. I, 4 luglio 2011, n. 14554 I genitori sono parti necessarie nel giudizio di adottabilità del minore?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Aperto il procedimento relativo allo stato di abbandono di L.A., nata a (omissis), figlia di L.F. ed A..A., il Tribunale per i minorenni di Palermo, con sentenza del 18-23.09.2009, dichiarava lo stato di adottabilità della minore. Con sentenza del 2-12.07.2010, la Corte di appello di Palermo, sezione civile per i minorenni, in accoglimento dell’impugnazione proposta dai nonni paterni della bambina, L.P. e M.C.R., ed in contraddittorio del nominato curatore speciale, avv.to M..T.C. e del PG, annullava la dichiarazione dello stato di adottabilità nonché le conseguenti statuizioni. La Corte territoriale premetteva anche che dalla sentenza del TM emergeva:

– che per l’allarmante situazione familiare la bambina era stata inserita in idonea casa famiglia sin dall’11.02.2008 e, dunque, subito dopo la sua nascita, avvenuta il 12.01.2008;

– che in particolare, anche all’esito della ctu disposta in primo grado, la madre della minore era affetta da patologie psichiatriche, per le quali si era reso necessario il ricorso al TSO, mentre il padre era tossicodipendente, con disturbi comportamentali che, inoltre, la nonna materna si era disinteressata della vicenda, mentre i coniugi L.-R., nonni paterni, avevano assunto atteggiamenti aggressivi nei confronti degli operatori della struttura e dei servizi sociali, ed erano altresì apparsi inadeguati per la loro incapacità di gestire i genitori della nipotina e perché privi di consapevolezza della complessità dell’impegno da affrontare per crescerla.

Sottolineato pure che il curatore speciale della minore aveva chiesto inizialmente il rigetto del gravame esperito dai coniugi L. -R., la Corte concludeva, sulla scorta della rinnovata e recepita CTU:

– che dalla svolta indagine tecnica d’ufficio gli appellanti erano risultati capaci di garantire alla nipote le dovute cure sul piano materiale, affettivo, intellettivo e creativo e, dunque, di fornirle tutto ciò che materialmente e spiritualmente fosse necessario per lo sviluppo armonico della stessa che alla stregua delle argomentate e convincenti valutazioni dell’esperto d’ufficio, valutazioni condivise anche dallo stesso curatore speciale e dal PG che avevano concluso per l’accoglimento del gravame, doveva ritenersi insussistente lo stato di abbandono della piccola Adriana, tenuto conto che la disponibilità dei nonni ad occuparsi della bambina era apparsa effettiva e sincera, che il rapporto tra gli stessi e la nipotina, fintanto che era stato permesso, era stato effettivamente significativo, e che, infine, i nonni si erano mostrati risoluti ad attivare ogni risorsa per arginare possibili attacchi intrusivi da parte dei genitori biologici;

– che a tale ultimo riguardo alla consulente d’ufficio era stato anche dai nonni manifestato il proposito di trasferirsi con la bambina a Vicenza, ove risiedeva il loro figlio maggiore, il quale interpellato dalla medesima CTU, aveva confermato la sua disponibilità a cooperare coi propri genitori per neutralizzare le possibili azioni di disturbo del fratello Fabio e della sua compagna, genitori biologici della bambina.

Avverso questa sentenza, notificatagli il 19.07.2010, il Procuratore Generale della Repubblica di Palermo ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, notificato il 1.10.2010 al curatore speciale della minore ed il 4.10.2010 al L. ed alla R., che hanno resistito con controricorso notificato il 20 ed il 21.10.2010.

Motivi della decisione

Preliminarmente va ritenuta l’irricevibilità dei documenti allegati al ricorso, estranei al novero di quelli di cui, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., è consentita la produzione in questa sede.

Sempre in via preliminare di rito, deve essere disattesa l’eccezione dei controricorrenti d’inammissibilità del ricorso per cassazione, riferita alla mancata formulazione dei quesiti già prescritti dall’art. 366 bis c.p.c. Come noto (cfr, tra le altre, Cass. n. 7119 del 2010);

“Alla stregua del principio generale di cui all’art. 11, comma primo, disp. prel. cod. civ., secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonché del correlato specifico disposto del comma quinto dell’art. 58 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi dell’art. 47 della citata legge n. 69 del 2009) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti antecedentemente (dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006) tale norma è da ritenersi ancora applicabile”.

Nella specie, l’impugnata sentenza è stata pubblicata il 12.07.2010 e, quindi, dopo il 4.07.2009, sicché, per quanto detto, il successivo ricorso per cassazione in discussione non era soggetto alle prescrizioni contenute nell’art. 366 bis c.p.c., sulla formulazione dei relativi motivi. A sostegno del ricorso il PG presso il giudice a quo denunzia:

1. "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., con riferimento al combinato disposto della L. n. 184 del 1983, art. 17, come modificato dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, art. 1, e dell’art. 331 c.p.c., comma 1, per non essere stato l’appello notificato a tutte le parti che hanno partecipato al processo di 1 grado e per non avere la Corte disposto l’integrazione necessaria del contraddittorio nei confronti di dette parti e segnatamente dei genitori della minore, regolarmente costituiti a mezzo di difensore d’ufficio nel precedimento dinanzi al TM di Palermo.

2. "Violazione di legge con riferimento all’art. 12, co. 1 L 184/1983 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn 3 e 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in ordine alla valutazione dell’attualità dei rapporti significativi tra i nonni e la nipote".

Sostiene che nella valutazione dell’interesse della minore si sarebbe dovuta prendere in considerazione pure la situazione attuale della bambina, verificando l’opportunità e gli effetti di un suo eventuale ricongiungimento con la famiglia di sangue, alla luce anche del fatto che sin dal 2009 è stata provvisoriamente collocata presso una famiglia affidataria.

3. "Omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 n. 5 c.p.c., in ordine al recepimento delle conclusioni della CTU". Deduce che l’impugnata sentenza è affetta dai rubricati vizi motivazionali, sostenendo anche che le esposte argomentazioni evidenziano l’acritico recepimento delle valutazioni rese dall’esperto d’ufficio e la mancata valutazione comparativa tra le attitudini genitoriali vicarie dei nonni paterni e le attuali esigenze della minore, oltre a rivelarsi mute in ordine alla superfluità di maggiori approfondimenti istruttori, a fronte pure di una indagine tecnica officiosa limitata alla valutazione psicologica dei nonni paterni, svincolata dall’effettività dell’esigenza di tutela della bambina ed avente valore puramente assertivo. Il primo motivo del ricorso è fondato ed al relativo accoglimento segue l’assorbimento degli altri due motivi d’impugnazione.

In tema di diritto del minore ad una famiglia e segnatamente di sua adozione (nazionale), il titolo II della legge 4 maggio 1983, n. 184, nel testo novellato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, che riflette anche principi sovranazionali (di cui anche agli artt. 3, 9, 12,14, 18, 21 della Convenzione di New York del 20.11.1989, ratificata con legge n. 176 del 1991; agli artt. 9 e 10 della Convenzione Europea sui diritti del fanciullo, fatta a Strasburgo il 25.01.1996 e ratificata con legge n. 77 del 2003; all’art. 24 della Carta di Nizza), dispone che il procedimento deve svolgersi sin dall’inizio con l’assistenza legale dei genitori, i quali devono essere avvertiti dell’apertura della procedura, essere invitati a nominare un difensore, essere informati della nomina di un difensore d’ufficio per il caso che non vi provvedano, ed ancora che gli stessi, assistiti dal difensore, possono partecipare in primo grado a tutti gli accertamenti disposti dal Tribunale e debbono essere sentiti e ricevere la comunicazione dei provvedimenti adottati, nonché possono presentare istanze anche istruttorie e prendere visione ed estrarre copia degli atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice, e devono ricevere la notificazione per esteso della sentenza, con contestuale avviso del loro diritto di proporre impugnazione (art. 8 comma 4, art. 10, commi 2 e 5, art. 12, art.13, art. 15, art. 16).

L’art. 17 prevede, inoltre, che il pubblico ministero e le altre parti possano proporre impugnazione avanti la Corte d’appello e non pone alcuna ulteriore restrizione al novero dei legittimati al gravame e, dunque, deroga al regime del contraddittorio previsto in via generale nel nostro ordinamento positivo processuale con riguardo ai procedimenti contenziosi ordinari.

La novellata normativa attribuendo, dunque, ai genitori del minore una legittimazione autonoma connessa ad un’intensa serie di poteri, facoltà e diritti processuali, è atta a fare assumere loro la veste di parti necessarie e formali dell’intero procedimento di adottabilità (cfr Cass. n. 7281 del 2010) e, quindi, di litisconsorti necessari pure nel giudizio d’appello, quand’anche in primo grado non si siano costituiti, con conseguente necessità di integrare il contraddittorio nei loro confronti, ove non abbiano proposto il gravame (per le diverse connotazioni dell’abrogata normativa, cfr in primis Cass. SU n. 1006 del 1995), Giova aggiungere che lo scopo di porre i genitori a legale conoscenza dell’altrui impugnazione non può ritenersi conseguito per effetto della sola notificazione, attuata d’ufficio anche nei loro confronti, del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione dell’appello esperito dalle altre parti, posto che tale iniziativa officiosa non consente anche la conoscenza del contenuto dell’altrui ricorso e, dunque, il compiuto esercizio del loro diritto di difesa.

Conclusivamente, deve essere accolto il primo motivo del ricorso, con assorbimento di tutte le residue censure, e l’impugnata sentenza cassata, con rinvio alla Corte di appello di Caltanissetta, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Caltanissetta.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 18-01-2011, n. 349 Concorso; Ultra ed extrapetita

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Sig. S., dipendente della ASL Napoli 5, ha impugnato dinanzi al Tar Campania la delibera dirigenziale di esclusione dalla graduatoria degli ammessi alla procedura concorsuale per la copertura di n. 70 posti di assistente amministrativo, categoria C, per mancanza dei requisiti richiesti dal bando (titolo di studio ed esperienza pregressa nel ruolo di riferimento).

Il giudice di primo grado, ritenuta la propria giurisdizione, ha ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, che, per l’annullamento d’ufficio (in autotutela) dei provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati – secondo il Tar comprensivi di quelli di lavoro – fissa un termine massimo di tre anni, ed ha annullato il provvedimento di esclusione perché tardivamente adottato, a circa cinque anni dalla approvazione della graduatoria e dalla stipulazione del contratto di lavoro individuale.

La ASL Napoli 5 impugna la sfavorevole sentenza per i seguenti motivi:

– avrebbe errato il giudice di primo grado nel ritenere la propria giurisdizione, considerando il provvedimento nell’ambito della procedura concorsuale, mentre esso era da inquadrare tra quelli incidenti direttamente sul rapporto di lavoro, con devoluzione della controversia al sindacato del giudice ordinario, essendo ormai esaurita la procedura concorsuale;

– avrebbe errato il primo giudice nel non considerare la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso per non essere stato notificato ad almeno un controinteressato, ai sensi dell’art. 21 L. n. 1034/1971;

– avrebbe errato il Tar nel considerare applicabile alla fattispecie l’art. 1, c. 136, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005), peraltro incorrendo nel vizio di ultrapetizione per non essere stata la norma invocata dalla parte ricorrente, in luogo della previsione del "termine ragionevole" dell’art. 21 – nonies, dal momento che tale disposizione era stata adottata esclusivamente per regolare i casi in cui l’atto di annullamento fosse finalizzato a conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, in relazione a rapporti contrattuali e convenzionali con privati. Nella specie il provvedimento sarebbe stato adottato con finalità di demansionamento, motivato dall’esclusione dalla graduatoria degli ammessi a procedura concorsuale;

– avrebbe errato il Tar nel non accertare il possesso dei requisiti in capo alla parte ricorrente, nella specie non posseduti.

Si è costituita la parte appellata, controdeducendo, anche con memoria, ai motivi di appello e riproponendo condizionatamente all’accoglimento dell’appello i motivi rimasti assorbiti in primo grado relativi a vizi procedurali ed al possesso dei requisiti richiesti.

All’udienza del 19 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. La vicenda contenziosa trae origine dalla determinazione dirigenziale dell’Asl Napoli 5, con cui l’odierna parte appellata, unitamente ad altri dipendenti collocatisi utilmente nella graduatoria per selezioni interne per titoli ed esami per la copertura di posti vacanti nella dotazione organica della ASL (progressione verticale), a seguito di un’istruttoria disposta dall’Assessorato alla sanità della Regione Campania, è stata esclusa, a distanza di cinque anni dall’approvazione della graduatoria, per carenza dei requisiti indicati nel bando (relativi al possesso di diploma di istruzione secondaria di secondo grado e di anzianità di qualifica nel profilo corrispondente).

2. Va, preliminarmente, vagliata l’eccezione di difetto di giurisdizione non esaminata dal primo giudice.

3. L’eccezione non merita accoglimento.

L’art. 63, comma 4, d.lg. n. 165 del 2001, nel riservare alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione di dipendenti della pubblica amministrazione, si riferisce non solo a quelle strumentali alla costituzione per la prima volta del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso di personale dipendente a fascia od area superiore, essendo il termine "assunzione" correlato alla qualifica che il candidato intende conseguire e non solo all’ingresso iniziale nella pianta organica dell’amministrazione (Cassazione civile, sezioni unite, 7 febbraio 2007, n. 2694, Cons. St. Sez. V, 16.7.2007, n. 4030).

Rientra quindi nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un provvedimento di esclusione dalla partecipazione ad una selezione per il passaggio ad una fascia funzionale superiore (progressione verticale).

4. Anche il motivo incentrato sul difetto del contraddittorio in mancanza di notifica ad almeno uno dei controinteressati va disatteso.

Invero, il Tar sul punto ha motivato mediante rinvio alle risultanze degli atti di causa, non contestate dall’appellante, che dimostrano l’avvenuto scorrimento della graduatoria con l’assunzione di tutti gli idonei. Conseguentemente, mancano soggetti controinteressati – né l’appellante fornisce elementi contrari – nei confronti dei quali possa configurarsi un obbligo di integrazione del contraddittorio.

5. Deve poi confermarsi la sentenza del primo giudice in ordine alla tardività del provvedimento, secondo il primo giudice emesso in violazione del termine di tre anni prescritto dall’art. 1, c. 136, della legge n. 311 del 2004.

6. In primo luogo va detto che la sentenza non può considerarsi viziata per ultrapetizione, posto che il ricorrente ha dedotto in primo grado la tardività del provvedimento di annullamento, sicchè il Tar correttamente ha accolto il motivo, utilizzando parametri normativi in linea con la prospettazione e la qualificazione del vizio dedotto. Non è incorso pertanto nel vizio di ultrapetizione, che sussiste quando il giudice abbia attribuito alla parte una utilitas non richiesta o esaminato ed accolto il ricorso per un motivo non prospettato (Cons. St. Sez. Quinta, 24.9.2003, n. 5462, sez. VI, 12.12.2008, n. 6169).

7. In merito alla tardività dell’annullamento, il Collegio ritiene che le censure dell’appellante, volte a dimostrare l’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 1, c. 136, l.n. 311/2004, non siano idonee a scalfire la censura di fondo accolta dal primo giudice, ossia il superamento di un termine ragionevole, nella specie individuato in quello forfetizzato dalla norma citata (ritenuta applicabile a fattispecie di pubblico impiego da Cons. St. 10.12.2009, n. 7752), in quanto l’atto annullato (ammissione del ricorrente al concorso per progressione verticale ed approvazione della relativa graduatoria) incide sul rapporto contrattuale di lavoro dei dipendenti beneficiari della progressione verticale, è preordinato ad ottenere i risparmi per l’amministrazione derivanti dalla restituzione dei dipendenti ai profili inferiori di provenienza e produce effetti perduranti nel tempo in concomitanza con la durata del rapporto di lavoro.

8. A riguardo, occorre sottolineare che anche l’art. 21 – nonies della l. n. 241/1990, che l’appellante giudica applicabile alla fattispecie, è ispirato ai medesimi principi di certezza e sicurezza delle situazioni giuridiche che sono alla base dell’art. 1, comma 136, l. n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005), ed ha codificato le condizioni per l’esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte della P.A consistenti nell’illegittimità dell’atto; nella sussistenza di ragioni di interesse pubblico; nell’esercizio del potere entro un termine ragionevole; nella valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all’atto da rimuovere (Cons. Stato Sez. V, 07042010, n. 1946).

9. Quanto all’avvenuto decorso del termine, il Tar ha considerato spirato il termine triennale, calcolato con riferimento sia alla conclusione della procedura concorsuale che alla stipulazione del contratto individuale di lavoro. Ma ad identiche conclusioni si giunge anche ove si consideri (cfr. Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica 17.10.2005) ammissibile il superamento del triennio purchè, in conformità al criterio di ragionevolezza del termine recato dall’art. 21 – nonies, venga fornita una adeguata motivazione, nella specie del tutto carente.

10. L’appellante si è limitato a confutare l’applicazione dell’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005), sostenendo la conformità del proprio atto alle disposizioni di cui al Capo IV bis della Legge n. 241/1990 ed alla previsione di cui all’art. 21 – nonies, in rapporto ai vari fattori in gioco, tra cui l’interesse pubblico ed attuale all’annullamento dell’atto ed il pregiudizio sofferto dal privato.

Tuttavia, la conformità dell’azione amministrativa ai canoni del procedimento amministrativo in ordine al termine da osservare per l’annullamento d’ufficio è del tutto smentita dalle circostanze.

Va affermato come nella presente fattispecie – diversa dai casi di annullamento di annullamento d’ufficio di inquadramento illegittimo (come l’inquadramento in qualifica superiore in violazione della regola dell’accesso mediante concorso), in relazione ai quali una consolidata giurisprudenza(di recente, Cons. St, Sez. V, 22.3.2010 n. 1672; 11.7.2008, n. 3470) considera in re ipsa l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento d’ufficio dell’atto illegittimo – rilevi la salvaguardia del consolidamento della posizione del privato che abbia confidato nella legittimità dell’atto rimosso, ricorrendo più circostanze in tal senso determinanti quali il conseguimento della fascia superiore a seguito di una selezione concorsuale, il previo accertamento da parte dell’amministrazione del possesso dei requisiti sia in fase di ammissione alla selezione – senza alcuna riserva – che in fase di approvazione della graduatoria, il mancato concorso dell’interessato ad un eventuale errore di valutazione quale una dichiarazione non veritiera, l’inconfigurabilità di una decadenza automatica dal beneficio e la necessità di un apposito provvedimento, l’inidoneità dell’atto a produrre effetti pregiudizievoli a danno di terzi che dall’annullamento trarrebbero vantaggio, l’assenza di atti volti ad affievolire l’affidamento, come una tempestiva comunicazione dell’avvio del procedimento nei confronti dell’interessato.

11. Non contenendo l’appello avverso la pronuncia di tardività alcun elemento atto a dimostrare che l’affidamento incolpevole protrattosi per cinque anni (e quindi ben oltre anche il termine dell’art. 1, c. 136, l. n. 311 del 2004 – legge finanziaria per il 2005) debba considerarsi recessivo rispetto all’ annullamento, che il Collegio considera invece tardivo e non supportato da adeguata motivazione, il gravame deve essere respinto.

12. Il carattere assorbente del vizio di legittimità accertato dal primo giudice, da confermarsi in secondo grado, comporta la reiezione anche del motivo con cui l’appellante lamenta il mancato accertamento negativo, nel merito, dei requisiti di ammissione alla procedura concorsuale.

13. L’integrale reiezione dell’appello esime il Collegio dall’esaminare altresì i motivi dichiarati assorbiti in primo grado e riproposti dalla parte appellata.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.