Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-05-2011, n. 10237 Contributi

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Svolgimento del processo

1. L’odierna parte intimata otteneva dal Tribunale di Campobasso, nei confronti dell’Amministrazione datrice di lavoro, odierna ricorrente, decreto ingiuntivo relativo alle somme trattenutele in busta paga a titolo di contributi previdenziali in pendenza della sospensione del versamento per effetto della normativa emergenziale successiva al sisma che aveva colpito il Molise nell’anno 2002 ( O.P.C.M. n. 3253 del 2002 e successive ordinanze di integrazione e proroga).

2. Il Tribunale di Campobasso rigettava l’opposizione svolta dalla p.a. (la quale aveva sostenuto l’applicabilità della normativa ai soli datori di lavoro privati) e tale decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello di Campobasso, che, con la sentenza qui impugnata, osservava che:

– doveva ritenersi l’applicabilità della disposta sospensione del versamento dei contributi, anche per la categoria dei lavoratori pubblici, siccome essi pure colpiti dal disagio conseguente agli eventi sismici;

– a non diversa soluzione conduceva la norma di cui al D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1 bis, convertito in L. n. 290 del 2006, di interpretazione autentica della L. n. 225 del 1992 in quanto:

a) l’ O.P.C.M. n. 3253 del 2002 era stata emanata anche in base al D.L. n. 245 del 2002, convertito in L. n. 286 del 2002, non oggetto di interpretazione autentica;

b) la norma interpretativa non aveva preso in considerazione il diritto alla sospensione per i dipendenti, avendo disciplinato soltanto il diritto alla sospensione dei datori di lavoro.

3. Di tale sentenza la p.a. domanda la cassazione con quattro motivi.

La parte intimata non ha svolto difese. Motivazione semplificata.
Motivi della decisione

1. L’Amministrazione ricorrente denuncia, con il primo motivo, violazione del D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 2, conv. in L. n. 290 del 2006; della L. n. 225 del 1992, art. 5 in combinato disposto con gli art. 7 della O.P.C.M. n. 3253 del 2002, art. 8 dell’ O.P.C.M. n. 3279 del 2003, art. 6 dell’ O.P.C.M. n. 3300 del 2003, e art. 5 dell’ O.P.C.M. n. 3344 del 2004; del D.L. n.245 del 2002, conv. in L. n. 286 del 2002, dell’art. 189 c.c., assumendo che tutte le ordinanze che hanno disposto e prorogato il beneficio delle sospensione dei versamenti dei contributi previdenziali sono da riferire soltanto ai datori di lavoro del settore privato, così come chiarito dal Legislatore con la norma interpretativa di cui al D.L. n. 263 del 2006, art. 5 e dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 325/2008, resa proprio sulla legittimità costituzionale dell’art. 6 citato.

2. Nel secondo e terzo motivo aggiunge che la Corte di merito ha omesso di considerare l’efficacia liberatoria, ex art. 1189 c.c., del versamento dei contributi effettuato in buona fede dall’Amministrazione all’INPDAP perchè indottavi dalle specifiche istruzioni ricevute dall’Istituto previdenziale.

3. Nel quarto motivo, con deduzione di vizio di motivazione, lamenta, che, in ogni caso, la sentenza non chiarisce perchè la sospensione, oltre che alla fase del versamento, dovesse riferirsi anche alla fase della "trattenuta" operata dal datore di lavoro sulla quota spettante al dipendente.

4. Le censure di cui al primo motivo, relative alla inapplicabilità della O.P.C.M. n. 3253 del 2002 ai dipendenti pubblici sono fondate (rimanendo così assorbite le altre censure) alla stregua del principio di diritto enunciato da questa Corte in analoghe controversie, da ribadire in questa sede: "L’art. 7, comma 1, O.P.C.M. 29 novembre 2002, n. 3253 – che prevede la sospensione dei versamenti di contributi previdenziali per i soggetti residenti nelle zone colpite dagli eventi sismici iniziati il 31 ottobre 2002 – va interpretato alla stregua del disposto del D.L. 9 ottobre 2006, n. 263, art. 6, comma 1 bis, convertito in L. 6 dicembre 2006, n. 290 e, pertanto, come riferibile soltanto ai datori di lavoro privati, essendo finalizzata la disciplina alla liberazione di risorse economiche da destinare al sostegno delle attività imprenditoriali e non anche all’incremento delle retribuzioni dei pubblici dipendenti" (cfr. Cass. n. 4526, 4669, 4673 del 2011, e altre conformi).

5. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata e, non sussistendo la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la revoca del decreto ingiuntivo opposto e il rigetto della domanda azionata.

Le incertezze ermeneutiche relative alla portata della normativa di riferimento, che hanno condotto all’adozione di un’interpretazione autentica, consigliano la compensazione delle spese relative all’intero processo.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, revoca il decreto ingiuntivo opposto e rigetta la domanda.

Compensa le spese dell’intero processo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-06-2011, n. 12559 Procedimento legittimazione attiva e passiva

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Svolgimento del processo

1.- B.G. conveniva in giudizio A.A.I. Advanced Investigation Institute s.r.l. per essere da questa assunto, essendo essa subentrante nel contratto di appalto dei servizi di controllo ed accesso ai supermercati della committente Carrefour s.p.a. nella provincia di (OMISSIS), servizio originariamente appaltato ad Esperia s.r.l., suo originario datore di lavoro, dal quale era stato licenziato.

Costituitasi in giudizio la convenuta e reclamata dalla stessa la sua estraneità all’appalto, il Tribunale di Torino accoglieva la domanda.

2.- Proponeva appello A.A.I. Advanced Investigation Institute s.r.l., che ribadiva la sua estraneità all’appalto, il quale, come da documentazione prodotta, era stato invece assunto da Gruppo A.I.I. Advantage Investiment Institute s.r.l.

La Corte d’appello di Torino con sentenza del 2.5.07 rigettava l’impugnazione. La società appellante solo in grado di appello aveva prodotto documentazione idonea a provare che l’appaltatore del servizio era una società diversa; non avendo tuttavia l’appellante specificato le ragioni per le quali non aveva prodotto in documento nel corso del giudizio di primo grado, la produzione era da ritenere inammissibile perchè tardiva.

La Corte d’appello accoglieva, invece, l’impugnazione incidentale del lavoratore, facendo decorrere il risarcimento del danno dalla data del licenziamento disposto dal precedente appaltatore.

3.- Propone ricorso per cassazione A.I.I. Advanced Investigation Institute srl. Risponde con controricorso B..
Motivi della decisione

4.- I motivi di ricorso possono essere sintetizzati come segue.

4.1.- violazione dell’art. 416 c.p.c., comma 3, e art. 437 c.p.c., comma 2, e carenza di motivazione. La ricorrente ribadisce di essere del tutto estranea ai fatti oggetto di causa e di non aver stipulato alcun contratto di appalto con la società proprietaria del supermercato, richiamando documentazione camerale e il contratto di appalto prodotti in appello. Contesta, inoltre, l’assunto che il documento recante il contratto di appalto stipulato tra la Gruppo A.I.I. Advantage Investiment Institute s.r.l. e la società gerente del supermercato potesse e dovesse essere prodotto nel giudizio di primo grado, in quanto la difesa della società parte in causa ne aveva fatto richiesta alla committente solo dopo la sentenza di primo grado (pronunziata ex art. 281 bis c.p.c. il 7.2.07).

4.2.- violazione degli artt. 115-116 c.p.c. e carenza di motivazione.

La ricorrente lamenta l’omesso esame della documentazione prodotta da Esperia s.r.l. nel giudizio di primo grado. Questa società – originario datore di lavoro ed anch’essa evocata in giudizio, nei cui confronti il B. aveva poi rinunciato alla domanda – aveva infatti prodotto una lettera del 28.4.06 alla gerente del supermercato dalla quale risultava che la società subentrante nell’appalto era la Gruppo A.I.I. s.r.l. e che alla stessa avrebbe dovuto farsi riferimento per quanto previsto dai ccnl di categoria.

5.- Il primo motivo di ricorso è fondato.

La convenuta A.I.I. Advanced Investigation Institute s.r.l., nel costituirsi nel giudizio di primo grado aveva contestato la sua legittimazione passiva, assumendo di essere del tutto estranea al contratto di appalto invocato dall’attore a fondamento della sua domanda e negando di aver mai assunto dipendenti del precedente appaltatore.

La Corte di appello, nel condividere le valutazioni del primo giudice, ritenute generiche ed indeterminate le difese della convenuta, è passata a considerare direttamente le conseguenze nascenti a carico del nuovo appaltatore del servizio al fine di garantire la continuità del rapporto del B.. Sotto questo ultimo punto di vista, quindi, ha considerato insufficienti le difese di parte convenuta a proposito della mancata assunzione di dipendenti e, considerato che il lavoratore era stato effettivamente alle dipendenze del precedente appaltatore, dando per scontata l’avvenuta assunzione degli altri dipendenti da parte della convenuta, ha accolto la domanda.

La giurisprudenza di questa Corte ritiene che – in forza dell’art. 416 c.p.c., per il quale la parte convenuta deve prendere posizione in maniera precisa e non limitata a generica contestazione circa i fatti affermati dall’attore – qualora il ricorrente abbia specificamente ed esaustivamente dedotto il fatto costitutivo del diritto che fa valere in giudizio nell’atto introduttivo, la mancata contestazione del convenuto rende inutile la prova di tale fatto, in quanto incontroverso. Spetta al giudice di merito interpretare il contenuto e l’ampiezza della domanda dell’attore, come pure delle eccezioni e delle difese del convenuto, al fine di accertare la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto azionato.

Tale accertamento integra un giudizio in fatto, sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione (v., tra le altre, Cass. 16.12.05 n. 27833).

Nel caso di specie il giudice di merito si è sottratto a tale obbligo, in quanto non ha esplicitato, di fronte alla linea difensiva della convenuta, quali fossero gli elementi fattuali su cui il lavoratore fondava il convincimento che la soc. A.I.I. Avanced Investigation Institute avesse stipulato il contratto d’appalto de qua e non ha verificato se questi fatti fossero o meno stati contestati dalla convenuta. Nella sostanza, il giudice ha praticamente omesso di considerare la difesa della convenuta, e non ha considerato se dalla linea difensiva dalla stessa adottata nascesse o meno un onere probatorio a carico dell’attore.

Ne deriva che il ragionamento del giudice di appello è privo di un fondamentale passaggio logico, in quanto non essendo individuato quale fosse il dato fattuale indicato a proposito della stipula del contratto di appalto, non è individuabile neppure la circostanza che parte convenuta avrebbe dovuto contestare con l’analiticità prescritta dall’art. 416 c.p.c. al fine di impedire il definitivo accertamento della circostanza.

6.- Conseguenza ulteriore di tale carenza motivazionale è l’aver il giudice di appello ritenuto tardiva la documentazione comprovante il fatto che la convenuta era estranea all’appalto, considerandola prodotta in violazione dell’obbligo del convenuto di prendere posizione sulla difesa dell’attore, sancito dall’art. 416 c.p.c., comma 3.

Per la negazione della legittimazione passiva, in base all’art. 2697 c.c., si imponeva che il lavoratore assolvesse all’onere di provare la circostanza di fatto negata dalla controparte, prima ancora di richiedere nei confronti della stessa l’accertamento del diritto vantato. Legittimamente dunque la convenuta, di fronte all’accertamento effettuato dal primo giudice, ha ritenuto di dovere solo in secondo grado produrre la documentazione a fondamento dell’appello.

7.- In conclusione, il primo motivo è fondato, di modo che, assorbito il secondo motivo, il ricorso deve essere accolto con cassazione dell’impugnata sentenza.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, essendo rimasto inevaso l’onere di provare la legittimazione passiva della odierna ricorrente, la domanda deve essere rigettata.

8.- Le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE così provvede:

– accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda;

– condanna B. alle spese dei giudizi di merito e di legittimità, liquidate per il primo grado in complessivi Euro 1.250,00, di cui Euro 700,00 per onorari ed Euro 458,00 per diritti, per il secondo grado in complessivi Euro 1.300,00, di cui Euro 900,00 per onorari ed Euro 358,00 per diritti, per il giudizio di legittimità in Euro 1.020,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa per ciascuno dei tre giudizi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 23-02-2011) 11-04-2011, n. 14493

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Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata il Giudice di Pace di Portogruaro dichiarava non doversi procedere nei confronti di C.P. in ordine all’imputazione di minaccia in danno di T.A. per essere il reato, contestato come commesso in (OMISSIS), estinto per tacita remissione di querela.

Il ricorrente deduce violazione di legge nel riconoscimento della causa estintiva del reato.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Con la sentenza impugnata, premesso che la parte offesa non compariva alla prima udienza dell’1.12.2008 e, nonostante la notifica alla stessa del verbale di rinvio contenente avviso che l’ulteriore assenza sarebbe stata qualificata come tacita remissione di querela, anche alla successiva udienza del 7.12.2009, si riteneva doversi ravvisare nel descritto comportamento della persona offesa un atteggiamento incompatibile con la volontà di perseguire penalmente l’imputato. Il ricorrente osserva che la remissione tacita della querela presuppone un comportamento extraprocessuale incompatibile con l’istanza punitiva e, come ritenuto da recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, non può viceversa essere ravvisata nella mancata comparizione in giudizio del querelante pur se qualificata come tale in una sollecitazione a comparire, trattandosi di condotta diversamente sanzionatane e semmai costituente presupposto per l’accompagnamento coattivo.

La pronuncia rammentata dal ricorrente (Sez. U, n. 46088 del 30.10.2008, imp. Viete, Rv. 241357) ha in effetti affermato il principio dell’irrilevanza della mancata comparizione del querelante, pur laddove la stessa sia preceduta dalla notificazione di un avviso che la qualifichi come tacita rimessione della querela, ai fini della configurabilità di siffatta causa estintiva del reato. La circostanza invero, in quanto comportamento omissivo di natura endoprocessuale della parte, non costituisce quello che l’art. 152 c.p.p., comma 2, definisce espressamente come un fatto, e quindi come la manifestazione di un’attività esterna al processo, incompatibile con la volontà di persistere nella richiesta di punizione del querelato; nè tale deficienza naturalistica del comportamento in esame, rispetto alle condizioni poste dalla legge, può essere superata da una qualificazione in sede giudiziaria, non rispondente ad alcuna norma che assimili la mancata comparizione alla remissione tacita della querela.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al Giudice di Pace di Portogruaro.
P.Q.M.

Annulla l’impugnata sentenza con rinvio per il giudizio al Giudice di Pace di Portogruaro.

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Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-07-2011, n. 16434 Concordato tributario

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to di quello incidentale.
Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale delle Torino dep. il 19/05/2006 che aveva, rigettando l’appello dell’Ufficio, confermato la sentenza della CTP di Torino che aveva ritenuto valido il condono effettuato da A. per gli anni 1999 e 2002.

La CTR aveva ritenuto che la disposizione del D.L. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2 terdecies, conv. in L. n. 212 del 2003, laddove faceva riferimento alì "avvio di accertamento" quale fatto preclusivo della condonabilità, andava, nella ritenuta impossibilità di configurare un provedimento analogo all’archiviazione per un atto di rilevanza solo interna quale il pvc, doveva intendersi come riferita alla spedizione della raccomandata (atto di esternazione della volontà di procedere) con cui era notificato l’avviso di accertamento e non quale l’atto formale con cui l’Amministrazione rinunciava all’accertamento.

L’Agenzia pone a fondamento del ricorso un unico motivo fondato su violazione e falsa applicazione di legge. Il contribuente ha resistito con controricorso e ha proposto appello incidentale.

La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.
Motivi della decisione

Devono essere previamente riuniti il ricorso principale e quello incidentale perchè relativi alla medesima sentenza. E’ poi di preliminare esame il motivo di controricorso con cui l’ A. deduce l’inammissibilità del ricorso per omessa esposizione dei fatti di causa. Il motivo è infondato.

Il ricorso contiene una sufficiente esposizione delle questione rilevanti e controverse.

Sono altresì sempre di preliminare esame i tre motivi di ricorso incidentale con cui l’ A. deduce l’illegittimità della ordinanza della CTR che aveva disposto la produzione, pur essendone l’Agenzia decaduta, della delega a sottoscrivere il ricorso in appello, la carenza di qualifica dirigenziale del soggetto che aveva sottoscritto l’atto d’appello e, infine, l’assenza di sottoscrizione in originale sul provvedimento autorizzatorio della Direzione Regionale delle Entrate. Le tre censure devono essere esaminate congiuntamente in quanto la rilevanza della prima (illegittimità della ordinanza della CTR che disponeva la superiore produzione) è subordinata alla fondatezza degli altri due rilievi. Questi ultimi sono però infondati.

Questa Corte ritiene di dare seguito all’indirizzo espresso da Cass. n.874/2009 che ha osservato "le questioni relative agli effettivi poteri dell’autore (nel caso in quella sede esaminato, si trattava di firma illeggibile) in rappresentanza dell’ente potrebbero porsi, per mera ipotesi, in chiave di non appartenenza del firmatario all’ufficio appellante o di usurpazione di tali poteri; dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà (Cass. n. 12768/2006; in materia analoga, cfr. Cass. nn. 9600/2007, 7890/2007, 10773/2006, 19673/2004, 8166/2002, 2432/ 2001).

La precedente interpretazione risulta peraltro conforme al principio di effettività della tutela giurisdizionale, più volte richiamato anche dalla Corte Costituzionale – oltre che da questa suprema corte (SS.UU. nn. 3116 e 3118/2006, Cass. n. 22889/2006), che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità. In conclusione, deve ritenersi ammissìbile l’atto d’appello proposto dal competente ufficio dell’agenzia delle entrate, recante in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare; finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di primo grado." Pertanto le censure limitate alle questioni della sussistenza o meno della delega da parte del Direttore, della sussistenza della qualifica dirigenziale del delegato e il non autosufficiente rilievo di carenza di sottoscrizione nell’originale, non son sufficienti ad escludere l’attribuibilità dell’atto all’Ufficio , onde ne conseguono la irrilevanza dei relativi rilievi e la consequenziale irrilevanza della questione della legittimità dell’ordinanza di esibizione della CTR. Ritornando al ricorso principale, con l’unico articolato motivo l’Agenzia deduce violazione dell’art. del D.L. n. 143 del 2003, art. 1 comma 2 terdecies, conv. in L. n. 212 del 2003 e L. n. 289 del 2002, art. 9; deduce in particolare che la disposizione che riapriva i termini del condono dovesse essere interpretata nel senso che, pur in presenza di una notifica di pvc (che con la precedente normativa era preclusiva del condono tombale), era concessa la facoltà di condonare ove fosse intervenuto un provvedimento dell’Amministrazione con cui si disponeva che non si avviava l’accertamento (in sostanza una archiviazione) o si annullava in autotutela un accertamento espletato.

Il D.L. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2 terdecies, conv. In L. n. 212 del 2003 prevede:

"Gli stessi effetti di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 10, sono altresì prodotti nel caso in cui, prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il processo verbale di constatazione non abbia dato luogo ad avvio di accertamento o rettifica nei confronti del contribuente a seguito di provvedimento dell’Amministrazione finanziaria ovvero nel caso in cui l’avviso di accertamento emesso dall’ufficio sia stato annullato per autotutela." L’art. 9, comma 10 prevede:

"Il perfezionamento della procedura prevista dal presente articolo comporta:

a) la preclusione, nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario;

Orbene la disposizione di cui al predetto art. 1, comma 2 terdecies è in sicuro ed immediato collegamento col comma 14 del citato art. 9 che prevede: "Le disposizioni del presente articolo non si applicano qualora: a) alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo, ovvero avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta sul valore aggiunto ovvero dell’imposta regionale sulle attività produttive, nonchè invito al contraddittorio di cui al D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 5. La disposizione dell’art. 1, comma terdecies in esame può pertanto univocamente interpretarsi quale norma integrativa-interpretativa del comma 14 predetto, nel senso che alla circostanza che non fosse stata effettuata notifica di un PVC entro il termine previsto dalla medesima legge (condizione necessaria per potersi avvalere del condono tombale) sono equiparate la ipotesi in cui, benchè fosse stato notificato entro tale termine un pvc, lo stesso "non abbia dato luogo ad avvio di accertamento o rettifica nei confronti del contribuente a seguito di provvedimento dell’Amministrazione finanziaria" nonchè quella in cui emesso anche avviso di accertamento,ma lo stesso sia stato "annullato per autotutela".

La disposizione allarga evidentemente l’ambito di condonabilità, eliminando ipotesi che una lettura meramente formalistica del comma 14 in esame avrebbe potuto far ritenere preclusive della possibilità di usufruire del condono, ma non opera in una logica di proroga de termini di condono.

Una tale interpretazione consente di disattendere il rilievo, necessariamente ipotetico, del contribuente che il termine "avvio di accertamento" sia in realtà un refuso tipografico dovendo intendersi "avviso di accertamento". Il rilievo fondato principalmente su osservazioni di carattere grammaticale (in buon italiano, si sarebbe dovuto dire avvio di "un" accertamento; il disgiuntivo "o" seguito da "rettifica", cioè avviso di rettifica, dovrebbe, parallelamente fare ritenere che il legislatore abbia voluto intendere avviso di accertamento) non appare fondato in quanto, pur essendo condivisibili i rilievi grammaticali, tuttavìa il testo della disposizione è univoco e coerente nel distinguere tra attività dell’Ufficio relativa ad un pvc in ordine al quale, essendo un atto della Guardia di Finanza e pertanto di un soggetto diverso dall’Ufficio anche se operante in rapporto di collaborazione col primo, non può che ravvisarsi un provvedimento analogo alla processualpenalistica archiviazione, e avviso di accertamento (quale valenza possa avere l’omesso richiamo all’avviso di rettifica non interessa in questa sede) per il quale, proprio perchè emesso dal medesimo ufficio, non può che parlarsi di annullamento in autotutela.

Analogamente da disattendere è l’osservazione della CTR che sarebbe inesigibile pretendere un provvedimento formale di archiviazione in ordine ad un atto interno quale il pvc, in quanto l’affermazione è meramente assertiva, laddove i principi di buon andamento dell’Amministrazione, nonchè quelli di necessaria documentazione dell’attività della P.A. unitamente al divieto tendenziale dei provvedimenti impliciti, imporrebbero che l’Ufficio non possa non decidere, se non formalmente , se dare corso ad un pvc emettendo avviso di accertamento o di rettifica oppure archiviarlo, non apparendo ammissibile e legittimo che possa semplicemente non tenerne conto o ignorarlo. L’eventuale difficoltà pratica adducibile che spetterebbe al contribuente provare che, pur in presenza della notifica di un pvc, l’Ufficio lo avrebbe archiviatolo che abbia annullato l’avvio di accertamento) è agevolmente superabile con la considerazione che l’ordinamento giuridico prevede procedimenti appositi per ottenere il rilascio di documenti in possesso della P.A. o per evidenziarne il rifiuto.

La interpretazione qui seguita (e già adottata da questa Corte con ordinanza n. 25948/2010, cui si intende dare seguito) consente poi di escludere che all’inerzia dello Ufficio (come invece si desume dalla sentenza impugnata che dall’omesso invio, entro il termine previsto, dell’avviso di accertamento fa derivare la condonabilità del rapporto) possa attribuirsi un qualche significato e tanto meno di atto equipollente all’archiviazione.

E’ invero estraneo alla ratio legis ogni rilievo sanzionatorio della mancata archiviazione o del mancato annullamento in autotutela, con il conseguente tentativo di costruzione di fattispecie di natura "ficticia" che possano surrogare le condizioni di ammissibilità del condono, intendendo il legislatore individuare solo ulteriori fattispecie (e il relativo termine di perfezionamento) che possano consentire di avvalersi del condono, operandole stesse come condizioni obiettive di ammissibilità del medesimo.

Il ricorso deve essere pertanto accolto e, poichè è incontestato che nel termine di legge l’Ufficio non ha archiviato il pvc, tanto che risulta emesso avviso di accertamento(non annullato in sede di autotutela), può essere deciso anche nel merito col rigetto del ricorso introduttivo del contribuente. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione.

Riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, rigetta l’incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del contribuente. Condanna il contribuente alle spese che liquida in Euro 2.500,00 per il presente giudizio, Euro 1.500,00 per ciascuno dei gradi del merito oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.