Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-05-2012, n. 7650 Indennità di mancato preavviso

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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 5.5/26.8.2010 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava il Fallimento Cecchi Gori Group Fin.Ma.Vi spa (di seguito il Fallimento) al pagamento in favore di N.F. dell’indennità sostitutiva del preavviso, dell’indennità aggiuntiva di liquidazione e dell’indennità supplementare.

Osservava in sintesi la Corte territoriale che gli esiti dell’istruttoria portavano ad escludere che il rapporto di lavoro instaurato con la società Fin.Ma.Vi. dovesse ritenersi simulato, essendo previsto dagli stessi contratti di assunzione che il dirigente potesse svolgere molteplici ed ampi compiti presso altre società del gruppo, in conformità ad una prassi largamente presente nell’ambito dei gruppi di imprese; quanto, poi, alla legittimità del licenziamento, che del tutto generiche , se non proprio pretestuose, apparivano le circostanze addotte a prova di una gestione "personalistica" del gruppo; con riferimento, infine, all’indennità sostitutiva del preavviso, esclusa dal giudice di primo grado, che, stante la diversità di funzione di tale indennità rispetto alla clausola di stabilità minima garantita, non poteva riconoscersi alla stessa una funzione compensativa delle retribuzioni perdute per effetto del recesso.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Fallimento con cinque motivi. Resiste con controricorso N.F..

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1414, 2094, 2325 e 2359 c.c., nonchè vizio di motivazione, osservando come i giudici di appello avessero erroneamente escluso la simulazione del rapporto di lavoro subordinato, e la conseguente carenza di legittimazione della società intimata, dando rilievo all’esistenza di un gruppo unitario, sebbene, nel nostro ordinamento, l’impresa di gruppo non abbia una autonoma soggettività giuridica, e, comunque, trascurando di prendere in esame, ai fini della prova della simulazione, una ampia serie di circostanze, pur ritualmente allegate.

Con il secondo motivo il Fallimento ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge ( art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 2119 c.c.) e vizio di motivazione, rilevando che i giudici di appello, nell’escludere la sussistenza della giusta causa, non solo avevano sottovalutato i fatti espressamente presi in considerazione, ma, sopratutto, non avevano considerato la pessima gestione delle risorse umane operata dall’intimato, con ingiustificati aumenti del personale e doppi contratti ai dirigenti.

Con il terzo ed il quarto motivo il ricorrente, denunciando violazione di legge ( art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1218, 1372, 1418, 2118, 2119 e 2120 c.c.), rileva come la Corte di merito avesse erroneamente affermato la cumulabilità delle retribuzioni dovute in forza del patto di stabilità, aventi quale presupposto l’inefficacia del licenziamento, con altri titoli (indennità di preavviso, indennità supplementare, TFR), dovuti, invece, sul presupposto dell’estinzione del rapporto di lavoro, e, comunque, la cumulabilità delle retribuzioni con l’indennità di preavviso, pur trattandosi di indennità alternative.

Con il quinto motivo, infine, denunciando ancora violazione di legge ( art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 2077 c.c., comma 2), osserva come i giudici di appello avessero erroneamente liquidato l’indennità di preavviso cumulando il periodo di preavviso contrattuale (otto mesi) con quello più favorevole previsto dal contratto collettivo (24 mesi), invece di applicare solo la disposizione di miglior favore.

2. Il primo motivo è infondato.

A prescindere, infatti, dalla rilevanza che assume nel nostro ordinamento l’impresa di gruppo e dall’influenza che la stessa dispiega rispetto alla prestazione di lavoro, deve rilevarsi che, nel caso, la Corte territoriale ha escluso la configurabilità della simulazione del rapporto di lavoro facendo riferimento agli esiti dell’istruttoria e alla possibilità, ampiamente accreditata dalla prassi aziendale, e, comunque, nel caso pure previsto in favore dell’intimato dagli stessi accordi di assunzione, di svolgere molteplici compiti anche presso le altre società del gruppo, senza che per ciò solo possa ritenersi simulato il rapporto di lavoro con la società che aveva provveduto all’assunzione e rivestito la formale qualifica di datore di lavoro. Si tratta di accertamento di fatto, correttamente motivato, e che, peraltro, viene contestato facendo riferimento a risultanze documentali ed istruttorie (ad esempio, l’accordo quadro, le deposizioni dei testi Na. e B., la dichiarazione dello stesso N., menzionati nelle note autorizzate di udienza del giudizio di appello) nemmeno trascritte, al pari dei contratti di assunzione, di cui si lamenta l’erronea interpretazione, in seno al ricorso, nè comunque indicati nella loro esatta collocazione fra gli atti di causa, con conseguente violazione del canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione e del precetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. 3. Anche il secondo motivo è infondato.

La Corte territoriale, esaminando analiticamente i fatti contestati, ha ritenuto, con adeguata motivazione, che gli stessi fossero privi del prescritto carattere di specificità, tanto più doveroso a fronte dell’ampiezza dei compiti assegnati ai dirigenti, che postulano una ancor più compiuta puntualizzazione dell’addebito.

Peraltro, anche per tal parte, la curatela fallimentare ha fatto riferimento (ed addirittura quale connotato "ancor più grave" dell’insufficienza della motivazione) ad ulteriori comportamenti pregiudizievoli dell’intimato, richiamati, tuttavia, solo per relationem (alle difese svolte in appello), con conseguente violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

4. Il terzo ed il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione della loro connessione, sono pur essi infondati.

Deve, al riguardo, ribadirsi, in conformità ai precedenti di questa Suprema Corte (v. Cass. n. 19903/2005), che l’indennità di preavviso e la clausola di stabilità minima, la quale ultima, con riferimento al lavoro dirigenziale, tutela, in particolare, non solo l’interesse del lavoratore alla conservazione dell’impiego, ma anche quello del datore di lavoro alla continuità della prestazione, hanno diverse funzioni e ben possono essere, pertanto, cumulate, non potendo il diritto al preavviso assumere una portata compensativa delle retribuzioni perdute per effetto del recesso anticipato della società.

E, del resto, in caso di licenziamento illegittimo, mentre in relazione alla tutela reale, l’indennità sostitutiva del preavviso è incompatibile con la reintegra, perchè non si ha interruzione del rapporto di lavoro, nel caso di tutela obbligatoria il diritto all’indennità sostitutiva sorge per il fatto stesso che il rapporto è risolto (cfr. Cass. n. 13380/2006).

In ordine, comunque, al cumulo delle indennità richiamate nel motivo, non si può non osservare come, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, lo stesso trova, nel caso, ulteriore fondamento legale nella previsione del contratto inter partes del 15.8.1995;

contratto, tuttavia, che non risulta trascritto in ricorso, per come pur era imposto dal canone della sua necessaria autosufficienza, nè indicato nella sua esatta collocazione fra gli atti di causa.

5. Inammissibile è, infine, l’ultimo motivo.

Il motivo, infatti, si incentra sulla contestazione dei criteri seguiti dalla Corte territoriale ai fini della liquidazione dell’indennità di preavviso e dell’indennità aggiuntiva di liquidazione, ma, richiamando tali criteri le previsioni del contratto individuale, la relativa censura avrebbe presupposto la documentazione di tale fonte, per come nella specie non è, invece, avvenuto.

6. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Fallimento ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro140,00 per esborsi ed in Euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 27 aprile 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-09-2011) 25-11-2011, n. 43663 Diritti d’autore

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Svolgimento del processo

1. La terza sezione penale di questa Corte, per quanto qui rileva, ha annullato con rinvio la sentenza della corte di appello di Napoli con la quale D.M. era stato ritenuto responsabile del reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. C. e successive modificazioni, per aver abusivamente detenuto 242 CD musicali e 44 CD per Playstation duplicati e/o riprodotti abusivamente. La Corte di Cassazione ha ritenuto che dovesse essere ulteriormente motivata dai giudici di merito la sussistenza della condotta antigiuridica che era stata accertata esclusivamente per il collegamento con l’assenza del timbro SIAE valutato come indice univoco di illecita duplicazione.

2. La Corte di appello di Napoli, giudice di rinvio, ha ritenuto sussistente il contestato reato e ha determinato la pena ad esso relativa in mesi quattro di reclusione ed Euro 80 di multa.

3. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione D. M. deducendo inosservanza ed erronea applicazione della legge penale sostanziale e processuale. Lamenta che il giudice del rinvio ha del tutto omesso di disporre nuova notifica nei confronti dell’odierno ricorrente della sentenza di primo grado, pur avendo la Corte di cassazione constatato la nullità della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado. Lamenta poi che non è stata fornita la prova della effettiva duplicazione dei supporti; il giudice del rinvio si è limitato a sostenere che non è ipotizzabile che il ricorrente destinasse al commercio supporti vuoti, essendo tale attività del tutto insensata; trattasi di mera congettura ed inoltre vi è stata una vera e propria inversione dell’onere probatorio laddove si è attribuito al ricorrente la prova dell’illiceità della duplicazione, addebitandogli il fatto che non aveva fornito alcuna giustificazione in merito al contenuto dei supporti. Inoltre la sentenza è contraddittoria dove sostiene che la prova dell’effettiva duplicazione discende dal verbale di sequestro in atti che proviene da un corpo specializzato e dall’altro però evidenzia che gli operanti non hanno operato un accertamento sui singoli supporti in sequestro.

Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio risultando il reato ascritto all’imputato estinto per intervenuta prescrizione e non manifestamente infondati i motivi di ricorso.

Trattasi infatti di reato commesso in data (OMISSIS), per il quale il termine massimo di prescrizione del reato è da individuarsi in sette anni e mezzo sia in base alla vigente disciplina della prescrizione sia in base a quella precedente la novella intervenuta con la cd. legge ex Cirielli; termine decorso alla data del 10.2.2010, in assenza di sospensioni del processo imputabili all’imputato o alla sua difesa.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per intervenuta prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 14-01-2011, n. 42

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

– che la licenza di porto d’armi è un provvedimento ampliativo che permette l’utilizzo di un mezzo in tutti gli altri casi vietato dall’ordinamento;

– che secondo il prevalente, condivisibile, orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI – 5/4/2007 n. 152; sez. IV – 8/5/2003 n. 2424; sez. IV – 30/7/2002 n. 4073; sez. IV – 29/11/2000 n. 6347), in materia di rilascio (o di revoca) del porto d’armi, l’autorità di pubblica sicurezza – nel perseguire la finalità di prevenire la commissione di reati e/o fatti lesivi dell’ordine pubblico – esercita un’ampia discrezionalità nel valutare l’affidabilità del soggetto di fare buon uso delle armi;

– che l’ampio raggio di apprezzamento si estende all’indagine sulle circostanze che consiglino l’adozione di provvedimenti di sospensione o di revoca di licenze di porto d’armi già rilasciate;

– che l’atto autorizzatorio può intervenire soltanto in presenza di condizioni di perfetta e completa sicurezza ed a prevenzione di ogni possibile "vulnus" all’incolumità di terzi, cui può contribuire ogni aumentata circolazione di armi d’offesa;

Atteso:

– che in definitiva il provvedimento di rilascio del porto d’armi e l’autorizzazione a goderne in prosieguo richiedono che l’istante sia una persona esente da mende e al disopra di ogni sospetto e/o indizio negativo e nei confronti della quale esista la completa sicurezza circa il corretto uso delle armi, in modo da scongiurare dubbi e perplessità sotto il profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività (cfr. sentenze brevi Sezione 12/6/2009 n. 1222; 31/7/2009 n. 1725; 19/11/2009 n. 2245; 28/12/2009 n. 2636);

– che non ostano al diniego dell’autorizzazione fatti che, pur non assumendo o non avendo più rilievo nell’ambito dell’ordinamento penale, siano tuttavia considerati tali da far ritenere il richiedente non affidabile, ai fini del rispetto da parte sua della sicurezza pubblica, nell’espletamento dell’attività da autorizzare;

Tenuto conto:

– che, venendo ora a fare concreta applicazione di siffatti criteri ermeneutici alla fattispecie all’esame, il Tribunale deve concludere che la vicenda controversa è stata oggetto di congrua valutazione da parte degli organi preposti alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica;

– che il provvedimento impugnato in questa sede dà conto di due denunce;

– che la prima è scaturita dalla guida di un ciclomotore in condizione di alterazione fisica e psichica correlata all’uso di una sostanza stupefacente;

– che la sentenza di irrilevanza del fatto – invocata dal ricorrente – si fonda sulla sua occasionalità ma dà altresì conto dell’avvenuto accertamento dell’effettiva assunzione della sostanza;

– che nel secondo episodio il ricorrente è stato individuato come detentore di hashish per uso personale, e la natura della sostanza è stata confermata dalle analisi di laboratorio (cfr. doc. 2 amministrazione);

– che tali eventi denotano uno stile di vita non assolutamente tranquillo ed irreprensibile, che deve indurre a particolare cautela circa il possibile abuso delle armi;

– che in proposito il provvedimento prefettizio, fondato su un giudizio probabilistico, è adeguatamente motivato e fa seguito ad un’attività istruttoria condotta in modo sufficientemente articolato;

– che il requisito dell’affidabilità risulta preso in considerazione alla luce delle due denunce, mentre la relativa lontananza temporale dei fatti (2007) non può essere utilmente invocata in presenza di una reiterazione di contegno riprovevole;

– che peraltro l’amministrazione ha evocato l’art. 1 punto 5) del Decreto del Ministero della Sanità 28/4/1998;

– che l’omessa valorizzazione delle deduzioni in sede procedimentale non è comunque sufficiente ad inficiare il contenuto dell’atto impugnato;

– che in definitiva il ricorso è infondato e deve essere respinto;

– che le spese di giudizio possono essere compensate, in ragione della ridotta attività difensiva di controparte e della natura non automatica della reiezione dell’istanza;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Mauro Pedron, Primo Referendario

Stefano Tenca, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-08-2012, n. 13878

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
C.P.G. propose opposizione a cartella di pagamento n. (OMISSIS), con la quale gli era stata chiesa la corresponsione di Euro 4.910,56 a titolo di contributi e somme aggiuntive dovute alla gestione commercianti per gli anni 1997-2002.
La causa veniva riunita ad altra, tra le stesse parti, relativa ad altra cartella di pagamento n. (OMISSIS), relativa ad altri contributi chiesti per il medesimo titolo per l’importo di 15.878,21 Euro.
Il Tribunale di Torino ha annullato entrambe le cartelle con un’unica sentenza.
L’INPS ha proposto in sequenza due appelli, il primo in relazione alla prima cartella il secondo in relazione all’altra.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata il 2 maggio 2007, ha dichiarato inammissibile il secondo appello, proposto a termini per impugnare scaduti.
Ha invece rigettato il primo appello concordando con il Tribunale sul fatto che il C. avendo svolto nella srl di cui era socio amministratore, anche attività di collaboratore ed avendo svolto in prevalenza questa seconda attività, non fosse soggetto al pagamento dei contributi di cui alla cartella impugnata, in applicazione del disposto della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208.
L’INPS, in proprio e quale mandatario della S. spa, ricorre per cassazione articolando tre motivi, tutti concernenti il solo appello dichiarato infondato (non viene impugnata la decisione che ha dichiarato inammissibile l’appello concernente la seconda cartella).
Il ricorso dell’INPS è fondato, alla luce del dato normativo e delle affermazioni del recente intervento delle Sezioni unite.
La L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208 così recita: "Qualora i soggetti di cui ai precedenti commi esercitino contemporaneamente, anche in un’unica impresa, varie attività autonome assoggettabili a diverse forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, sono iscritti nell’assicurazione prevista per l’attività alla quale gli stessi dedicano personalmente la loro opera professionale in misura prevalente. Spetta all’Istituto nazionale della previdenza sociale decidere sulla iscrizione nell’assicurazione corrispondente all’attività prevalente. Avverso tale decisione, il soggetto interessato può proporre ricorso, entro 90 giorni dalla notifica del provvedimento, al consiglio di amministrazione dell’Istituto, il quale decide in via definitiva, sentiti i comitati amministratori delle rispettive gestioni pensionistiche". Sulla interpretazione di tale comma è intervenuto il D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 11, convertito nella L. 122 del 2010, che così si esprime: "la L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208 si interpreta nel senso che le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all’assicurazione prevista per l’attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell’Inps. Restano, pertanto, esclusi dall’applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208 i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26".
Interpretando questo articolato normativo le Sezioni unite, con la sentenza n. 17076 del 2011, hanno affermato il seguente principio di diritto: "In tema di iscrizione assicurativa per lo svolgimento di attività autonome, il D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 11, convertito, con modificazioni, nella L. n. 122 del 2010 – che prevede che la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, si interpreta nel senso che le attività autonome per le quali opera il principio di assoggettamento all’assicurazione prevista per l’attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell’INPS, mentre restano esclusi dall’applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, – costituisce norma dichiaratamente ed effettivamente di interpretazione autentica, diretta a chiarire la portata della disposizione interpretata e, pertanto, non è, in quanto tale, lesiva del principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, trattandosi di legittimo esercizio della funzione legislativa garantita dall’art. 70 Cost.".
Da ultimo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 15 del 23 gennaio 2012, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11, sollevata, con l’ordinanza della Corte d’appello di Genova, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento all’art. 3 Cost., all’art. 24 Cost., comma 1, all’art. 102 Cost., all’art. 111 Cost., comma 2, e all’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848. L’applicazione di questi principi comporta che per il C. sono dovuti entrambi i contributi, tanto quelli da versare da parte della società alla gestione separata di cui alla L. n. 6132 del 2005, art. 2, comma 26, quanto i contributi dovuti, personalmente, alla gestione commercianti.
Il ricorso dell’INPS è quindi fondato. La sentenza deve essere cassata e la controversia può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti, con il rigetto della opposizione.
La complessa evoluzione normativa e giurisprudenziale della materia e la situazione di obiettiva incertezza anteriore alla emanazione del D.L. n. 78 del 2010, giustificano la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione alla cartella n. (OMISSIS), compensa le spese dell’intero giudizio. Nulla sulle spese di Equitalia nomos spa (già Uniriscossioni spa).
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2012

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