Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. – Con il ricorso meglio indicato in epigrafe il Signor Giuseppe Fiore, dipendente dell’Amministrazione delle finanze ed in quiescenza dal 2 gennaio 2000 ha impugnato, in via principale, la nota n. 11799 del 15 aprile 1999 con la quale il Direttore reggente dell’Ufficio del territorio di Roma lo ha sollevato dall’incarico di gerente del II reparto della circoscrizione di Roma 2. Nello stesso tempo l’odierno ricorrente chiede il reintegro nelle mansioni svolte ovvero in mansioni equivalenti e comunque il riconoscimento, sia ai fini dell’inquadramento che della condanna al pagamento delle differenze retributive, delle superiori mansioni svolte nel corso della sua carriera lavorativa.
Egli riferisce i vari passaggi che hanno contraddistinto la sua attività lavorativa alle dipendenze dell’Amministrazione finanziaria, significando i numerosi incarichi affidati e le funzioni di rilievo esercitate anche con attribuzione del potere di firma e lamentando che l’Amministrazione non ha mai provveduto ad inquadrarlo nella posizione corrispondente all’attività effettivamente esercitata, soprattutto da quando, nel giugno 1997 fu nominato "secondo gerente" della Conservatoria dei registri di Roma III. Ritenendo illegittimo il provvedimento interno assunto nei suoi confronti nell’aprile 1999 dal responsabile dell’Ufficio che lo ha rimosso dall’incarico di secondo gerente, il Signor Fiore ne chiede ora il giudiziale annullamento con riconoscimento giuridico ed economico delle superiori mansioni svolte nel corso della carriera e con condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti per lesione della propria dignità e professionale.
2. – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione finanziaria intimata eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso in quanto il richiesto annullamento dell’atto impugnato non avrebbe più potuto recare vantaggi al ricorrente che, precedentemente rispetto alla proposizione del ricorso è stato collocato a riposo per dimissioni. Nel merito la difesa erariale ha contestato analiticamente le avverse prospettazioni chiedendo la reiezione del gravame.
All’udienza pubblica del 13 aprile 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
3. – Il Collegio, in via preliminare, registra che il giorno successivo allo svolgimento dell’udienza (cioè il 14 aprile 2011) la difesa della parte ricorrente ha depositato nella Segreteria del Tribunale documentazione relativa alla sorte del giudizio parallelamente avviato dalla medesima parte ricorrente nei confronti dell’odierna Amministrazione resistente dinanzi al Giudice del lavoro con l’identico oggetto e colà proponendo identiche domande rispetto a quelle avanzate nella presente sede. Trattandosi di documentazione che si compendia esclusivamente in sentenze giudiziali pubblicate il Collegio decide di acquisirle al solo scopo di riferimento rispetto allo scrutunio da svolgersi in sede di valutazione della fondatezza o meno del ricorso proposto, provvedendosi quindi a ricondurre ad una successiva Camera di consiglio (il 24 maggio 2011) l’assunzione della decisione.
Premesso quanto sopra emerge chiaramente da tutta la documentazione depositata e, soprattutto, dalla piana lettura dell’atto introduttivo del presente giudizio, che il Signor Fiore, nel dubbio circa la corretta individuazione del plesso giurisdizionale cui competesse la conoscenza della questione controversa, ha proposto l’identico giudizio dinanzi al giudice amministrativo ed a quello ordinario in funzione di giudice del lavoro.
In quest’ultima sede, il processo ha concluso tutti i gradi di giudizio, in particolare definendosi con le sentenze 27 settembre 2005 n. 4484 della Corte d’appello, Sezione lavoro, di Roma e 2 aprile 2008 n. 8457 delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, con la dichiarazione di difetto di giurisdizione per quanto riguarda le richieste di riconoscimento delle mansioni superiori ai fini dell’inquadramento e delle differenze retributive e con la reiezione della domanda risarcitoria.
Residua dunque a questo giudice il compito di definire le questioni controverse sollevate dal ricorrente con riferimento alla illegittimità della rimozione dall’incarico di gerente e le richieste inerenti il riconoscimento delle mansioni superiori.
4. – Con riferimento alla richiesta di annullamento della nota n. 11799 del 15 aprile 1999 con la quale il Direttore reggente dell’Ufficio del territorio di Roma lo ha sollevato dall’incarico di gerente del II reparto della circoscrizione di Roma 2, in disparte dalla eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa erariale, il Collegio deve rilevare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere la ridetta domanda di annullamento.
Essa, infatti, è chiaramente rivolta nei confronti di un atto intervenuto in costanza di rapporto di lavoro pubblico (contrattualizzato) in epoca successiva al 2 luglio 1998 e quindi oltre la "data fatale" che mutamento del plesso giurisdizionale dinanzi al quale il dipendente può rivolgere doglianze relative al rapporto di lavoro c.d. pubblico.
5. – Come è noto e ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza sia civile che amministrativa (cfr., da ultimo, la sentenza T.A.R. Lazio, Sez. II, 5 gennaio 2011 n. 22 che, ricalcando una ipotesi giuridicamente simile a quella qui in esame, verrà riprodotta per ampi stralci e qui di seguito con riferimento ai richiami giurisprudenziali in essa contenuti), nel sistema di riparto della giurisdizione delineato dapprima dall’art. 68 del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, nel testo sostituito dall’art. 29 del decreto 31 marzo 1998 n. 80 e ora dall’art. 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, sono state devolute alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni (salvo quelle relative alle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti nonché quelle concernenti il personale in regime di diritto pubblico) incluse le controversie concernenti le assunzioni, gli incarichi dirigenziali, e le indennità di fine rapporto, anche se vengono in questione atti presupposti, che qualora siano rilevanti vengono disapplicati se illegittimi.
La ratio della normativa si rinviene nell’intenzione del Legislatore di affermare – nel settore del pubblico impiego – la logica gestoria propria del datore di lavoro privato.
In particolare e per quel che è qui di interesse, all’art. 45 comma 17° del decreto legislativo n. 80 del 98 è stata disciplinata la fase transitoria del nuovo riparto di giurisdizione, prevedendo, che vanno devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, mentre le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e debbono essere proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000.
La predetta disposizione, abrogata dal decreto legislativo n. 165 del 2001, risulta ora assorbita dall’art. 69 dell’appena citato decreto, che testualmente al comma 7° recita: "sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’articolo 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000".
6. – Per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, le sopra riportate espressioni (periodo del rapporto di lavoro successivo e anteriore al 30 giugno 1998) sono basate su locuzioni volutamente generiche e atecniche ed hanno attribuito rilievo al dato storico costituito dall’avverarsi delle circostanze poste a base della pretesa sollevata in sede giurisdizionale: esse non vanno interpretate attribuendo decisivo rilievo alla data dell’atto che abbia fatto sorgere la controversia, all’ambito temporale dei suo effetti o al momento in cui è sorta la controversia o è stata instaurata la lite in sede giurisdizionale (cfr. Cass., Sez. II, 20 novembre 1999 n. 808)
Tanto premesso, le Sezioni Unite della Cassazione hanno ripetutamente affermato, al fine del riparto della giurisdizione sulla base del discrimine temporale fissato dal suddetto art. 45, diciassettesimo comma del decreto legislativo n. 80 del 1998, che se la lesione del diritto del lavoratore è prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento alla data di adozione di tale atto, mentre laddove la pretesa abbia origine da un comportamento illecito permanente del datore di lavoro, si deve fare riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso e, quindi, al momento della cessazione della permanenza (cfr. tra le altre: Cass. 4 marzo 2004 n. 4430, 18 ottobre 2002 n. 14835, 7 novembre 2000 n. 1154 e Cass. 24 febbraio 2000 n. 41).
Pertanto, per la verifica della giurisdizione in relazione a controversie concernenti un atto negoziale di gestione del rapporto posto in essere dall’amministrazione datrice di lavoro, occorre avere riguardo al momento in cui l’atto è stato posto in essere.
7. – Il Collegio, dunque, ritiene condivisibile l’oramai granitico approccio giurisprudenziale alla interpretazione delle norme disciplinanti il periodo transitorio di applicazione del passaggio della cognizione giurisdizionale delle controversie sul c.d. pubblico impiego contrattualizzato dal giudice amministrativo a quello ordinario in funzione di giudice del lavoro.
Peraltro il Tribunale ancora di recente ha ribadito che non vi è ragione per disattendere il consolidato orientamento della Corte di Cassazione in materia di rapporti di lavoro contrattualizzato alle dipendenze di Pubbliche amministrazioni secondo il quale deve essere dato rilievo, per la ripartizione della giurisdizione tra giudice ordinario (in qualità di giudice del lavoro) e giudice amministrativo, al dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze – così come posti a base della pretesa avanzata con il ricorso – in relazione ai quali sia insorta la controversia (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. III, 11 agosto 2010 n. 30692).
Deriva da quanto sopra che la domanda di annullamento proposta dal Signor Fiore avente ad oggetto la nota n. 11799 del 15 aprile 1999 e quindi l’impugnazione di un atto adottato in epoca successiva rispetto al 30 giugno 1998 (per come risulta evidente in atti) ed inerenti il rapporto di lavoro allora intercorrente tra l’odierno ricorrente e l’Amministrazione intimata, non può essere conosciuta dal giudice amministrativo sprovvisto, ratione temporis, del potere giurisdizionale di scrutinare tale contenzioso.
8. – Per quanto concerne la parte di ricorso proposto per il riconoscimento sia ai fini giuridici che economici dello svolgimento di mansioni superiori, evidentemente nella parte in cui sono riferite anche ad un periodo precedente il 30 giugno 1998, la decisione di questo giudice amministrativo non può che essere di inammissibilità similmente a quanto sopra statuito ma per ragioni diverse.
Come è noto, anche in questo caso per costante interpretazione giurisprudenziale delle disposizioni di cui all’art. 69 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di pubblico impiego anteriore al 30 giugno 1998 restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se proposte con ricorso non solo notificato ma anche depositato entro il 15 settembre 2000, che è termine decadenziale comportante la perdita radicale del diritto e non mero limite temporale della persistenza della giurisdizione, posto che nel processo amministrativo la notificazione ha solo l’effetto di evitare la decadenza dal termine che la legge prevede per l’impugnazione degli atti amministrativi, mentre il deposito dell’atto di impugnazione già notificato costituisce l’adempimento integrante per il giudice il poteredovere di rendere la pronuncia richiesta Solo quest’ultima formalità quindi va ritenuta idonea a far considerare introdotta la lite, dovendosi considerare assolutamente minoritario l’orientamento secondo il quale andrebbe attribuito rilievo alla sola notificazione dell’atto di impugnazione, potendo lo stesso essere depositato anche dopo il 15 settembre 2000, purché nel rispetto di quanto previsto dall’art. 21, comma 2, legge 6 dicembre 1971 n. 1034, ovvero entro trenta giorni dall’ultima notificazione (cfr., da ultimo ed in tal senso, Cons. Stato, Sez. V, 11 agosto 2010 n. 5634 secondo cui va valorizzato il fondamentale rilievo che nel processo amministrativo la notificazione ha solo l’effetto di evitare la decadenza dal termine che la legge prevede per l’impugnazione degli atti amministrativi, mentre il deposito dell’atto di impugnazione già notificato costituisce l’adempimento integrante per il giudice il poteredovere di rendere la pronuncia richiesta, per cui quest’ultima formalità va ritenuta capace di far considerare introdotta la lite, anche per evitare la produzione dell’effetto decadenziale previsto dall’art. 45, comma 17, del decreto legislativo n. 80 del 1998).
Avendo l’odierno ricorrente notificato (tempestivamente) il ricorso in questione in data 6 settembre 2000 ma depositato lo stesso (tardivamente) in data 16 settembre 2000, andrebbe dichiarato inammissibile per difetto (assoluto) di giurisdizione.
9. – Tuttavia, volendo ritenere possibile ammettere l’errore scusabile nella fattispecie (tenendo conto della giurisprudenza ormai consolidata ed incline ad affermare come, ai fini del riconoscimento dell’errore scusabile, che consente la rimessione in termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale, è necessario che l’errore tragga origine da incertezze e difficoltà obiettive di interpretazione della legge, dalla novità della questione, ovvero dall’oscillazione della giurisprudenza, circostanze tutte che devono essere accertate prudentemente dall’interprete per verificare la diligenza del ricorrente nel prendere conoscenza degli atti da impugnare, escludendosi che tale istituto processuale possa essere utilizzato per eludere il termine di decadenza per la proposizione del ricorso (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. V, 3 ottobre 2003 n. 5758) e ritenendo che nella specie si possa considerare, all’epoca della proposizione del ricorso, ancora sussistente una difficoltà interpretativa della norma circa la data fatale per la proposizione dei ricorsi dinanzi al giudice amministrativo in materia di c.d. pubblico impiego), la domanda di riconoscimento delle mansioni superiori svolte non può trovare accoglimento in nessuna delle due prospettive segnalate.
Quanto all’inquadramento, infatti, è consolidato il principio secondo il quale in difetto di espresse previsioni normative che consentano l’utilizzo del dipendente in posizione diversa da quella formalmente rivestita ed attribuiscano a questa destinazione effetti modificativi del suo status di dipendente, vige il principio di irrilevanza delle mansioni superiori svolte in via di fatto, agli effetti sia dell’inquadramento che della retribuzione; ostano alla attribuzione di effetti giuridici alla destinazione in via di mero fatto diversi elementi (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2011 n. 758):
a) il carattere rigido delle dotazioni di organico delle amministrazioni e i relativi flussi di spesa;
b) l’assenza di un potere del preposto al vertice dell’ufficio di gestire in via autonoma la posizione di status dei dipendenti e il relativo trattamento economico;
c) la garanzia della parità di trattamento di tutti i soggetti che operano nella struttura organizzativa e che possano aspirare di accedere alle mansioni di qualifica superiore in condizioni di parità, trasparenza e non discriminazione
Ciò posto, riguardo alla posizione del ricorrente non emergono elementi utili a considerare che gli incarichi attribuiti e le funzioni affidate siano riconducibili a posizioni che normativamente (ivi compresa la fonte contrattuale) possano consolidare nel destinatario di quei compiti una posizione giuridica o, anche solo, economica differenziata rispetto a quella di inquadramento, dovendosi conseguentemente, sotto lo stretto profilo giuridico, considerare tali mansioni svolte in via di fatto nonostante che il dipendente sia stato destinatario di atti organizzativi di attribuzione, sicuramente rilevanti nell’ambito della distribuzione del lavoro e delle funzioni tra i dipendenti, ma ininfluenti giuridicamente sulle condizioni del rapporti di impiego intercorrenti tra il dipendente e l’Amministrazione di appartenenza.
10. – In ragione delle suesposte considerazioni il ricorso va in parte dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione ed in parte respinto. Per la parte dichiarata inammissibile non si può far luogo all’istituto della traslatio iudicii stante la definizione, in tutti i gradi, del giudizio dinanzi al giudice del lavoro ed avente ad oggetto le stesse domande proposte dal ricorrente nella presente sede (come i suoi difensori hanno testualmente affermato a pag. 2 del ricorso introduttivo).
Le spese seguono il principio della soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c. come richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., liquidandosi nella misura complessiva di Euro 3.000,00 (euro tremila/00), come da dispositivo.
P.Q.M.
pronunciando in via definitiva sul ricorso indicato in epigrafe, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge.
Condanna il Signor Giuseppe Fiore a rifondere le spese di giudizio in favore del Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
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