Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-10-2011) 11-11-2011, n. 41167 Affidamento in prova

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

O.D., detenuto in espiazione della pena di anni 7, mesi due di reclusione e mesi 4 di arresto giusto il cumulo di pena della Procura della Repubblica di Torre Annunziata del 23.8.2010, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza 23.2/4.3.2011 del tribunale di sorveglianza di Potenza, di rigetto, tra l’altro, della di lui istanza di affidamento in prova al servizio sociale, censurando, con il richiamo all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) la motivazione giudiziale nella parte in cui l’osservazione scientifica della sua personalità non è stata ritenuta, favorevole ai fini della concessione del beneficio.

I giudici della sorveglianza hanno fatto riferimento esclusivo all’osservazione dell’equipe della casa circondariale di Foggia, all’esito della quale era stato formulato un piano trattamentale in forma strettamente intramuraria, per via del condizionante giudizio di scarsa capacità di autocritica del detenuto verso il vissuto deviante.

Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la manifesta contraddittorietà della motivazione per via che, da un lato, i giudici della sorveglianza hanno ritenuto necessario l’aggiornamento della osservazione dell’ O. presso la casa circondariale di Melfi, dove il detenuto era stato da ultimo trasferito, dall’altro non ne hanno atteso l’esito esplicitato da una relazione di sintesi, datata 8.2.2011, di contenuto opposto alla relazione pregressa, nel senso che in quest’ultima si proponeva un trattamento aperto ai permessi premio, nonchè una misura extra-muraria sostenuta dal lavoro.

La relazione viene allegata al ricorso.

Ne consegue la rilevazione di una falla determinante nel discorso giustificativo giudiziale nella misura in cui si ritiene, da un lato, elemento costitutivo, per la decisione, verificare gli esiti del trattamento nell’ultima sede carceraria del detenuto, dall’altro di non attendere, nè sollecitare, la trasmissione della documentazione relativa, sintetizzata in una relazione pur redatta 13 giorni prima della decisione.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al tribunale di sorveglianza di Potenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 04-01-2012, n. 17 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che, pur avendo il Presidente fornito in udienza alle parti l’avviso ex art. 73, u.co. c.p.a., in ordine ad un eventuale profilo di irricevibilità per tardività del deposito dell’odierno ricorso, tuttavia, il Collegio ritiene possibile pervenire ad una diversa definizione, sempre in rito, del gravame, che tenga conto della produzione documentale tardiva dell’amministrazione, avvenuta in data 29.11.2011, ove si rappresenta l’esistenza di una nuova convocazione dei ricorrenti per la data del 6.12.2011.

Ritenuto che, in tali evenienze, non possa più ravvisarsi alcun interesse alla decisione dell’odierno gravame, poiché, anche ammesso che al momento del deposito il ricorso fosse assistito dal prescritto interesse, esso è venuto meno a seguito della convocazione da parte dell’amministrazione, come sopra documentata.

Considerato, in tal senso, che la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse può essere pronunciata al verificarsi di una situazione di fatto o di diritto del tutto nuova e sostitutiva rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere priva di qualsiasi residua utilità giuridica, ancorché meramente strumentale o morale, una pronuncia del giudice adito sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9.9.2009, n. 5402; id., 11.10.2007, n. 5355; Cons. St., Sez. V, 6.7.2007, n. 3853; e, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 10 settembre 2010, n. 6549).

Per le precedenti considerazioni, il Collegio dichiara la improcedibilità del ricorso in epigrafe specificato, per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.

Quanto alle spese, il Collegio ritiene sussistano valide ragioni, ricavabili dalla suesposta motivazione, per addivenire ad una integrale compensazione delle stesse fra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Giovanni Zucchini, Primo Referendario

Concetta Plantamura, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 14-01-2011, n. 57

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Svolgimento del processo

Con l’odierno ricorso la ricorrente, che nell’aprile del 1999 aveva acquistato dal Fallimento della C.P.I. Spa un terreno ad uso industriale sito nel Comune di Brigherio, ha impugnato l’ordinanza sindacale in epigrafe specificata, con la quale le viene imposto di provvedere "entro 15 giorni dal ricevimento della presente all’immediata messa in sicurezza d’urgenza, in ottemperanza e secondo le modalità di cui all’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 e ss….", nonché, "entro 30 giorni dalla messa in atto degli interventi di messa in sicurezza d’urgenza, alla presentazione di un piano di caratterizzazione del sito ai sensi dell’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 e ss.".

I profili di illegittimità denunciati dalla E. fanno essenzialmente leva:

1) sulla violazione di legge e l’eccesso di potere, in quanto si assume la violazione della regola che prevede l’obbligo di messa in sicurezza e di formazione del piano di caratterizzazione esclusivamente in capo al responsabile dell’inquinamento (che, nel caso di specie, non sarebbe da individuare nella ricorrente, che non svolge attività industriale, ma nella società in precedenza proprietaria del terreno contaminato).

2) sull’incompetenza, poiché ex art. 244 d.lgs. cit. spetterebbe alla Provincia il potere di diffidare il responsabile dell’inquinamento, di che trattasi.

3) violazione degli artt. 50 e/o 54 d.lgs.n. 267/2000, per difetto dei relativi presupposti.

Con ordinanza n. 137 del 27 gennaio 2009 la Sezione, valorizzando la pregnanza della determinazione dirigenziale n. 39 del 14.3.2003, richiamata come atto presupposto di quello impugnato, ha disposto, da un lato, l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Provincia di Milano, e, dall’altro, apposita istruttoria onde accertare la presenza, sui terreni de quibus, della lamentata contaminazione da cromo.

Con memoria depositata il 27 marzo 2009 si è costituita la Provincia di Milano, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie.

Con ordinanza n. 452 del 7 aprile 2009 è stata concessa una proroga del termine per il deposito degli incombenti istruttori come sopra disposti.

Con ordinanza n. 609 del 20 maggio 2009, tenuto conto delle risultanze della disposta istruttoria, la Sezione ha respinto la formulata domanda incidentale di sospensione (ordinanza non riformata dal Consiglio di Stato in occasione dell’appello n. 5930/2009, deciso con ordinanza n. 4337/2009).

Alla pubblica udienza del 9 novembre 2010 il Collegio ha trattenuto la causa per la decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il Collegio non ritiene di doversi discostare dalla decisione assunta in sede di cognizione sommaria, a proposito, sia, della situazione fattuale in atto sul terreno di proprietà della ricorrente, interessato dalla contaminazione delle acque di falda da parte dei terreni posti in corrispondenza del piezometro C2 (cfr. risultanze istruttorie in atti) interno alla proprietà dell’esponente, sia degli impegni assunti dalla stessa esponente, in qualità di soggetto subentrante nella proprietà dell’area interessata dalle contaminazioni de quibus, in forza del provvedimento dirigenziale n. 39/2003, richiamato nelle premesse di quello gravato, a suo tempo non impugnato.

In tal senso, non hanno pregio le cesure assunte col primo motivo di ricorso, con cui si vorrebbe sostenere la estraneità dell’odierna ricorrente ai fatti di causa, atteso che:

– la stessa era presente in qualità di attuale proprietaria dell’area contaminata, alla conferenza di servizi in data 3.12.2002, fra – tra gli altri – il Comune di Brugherio, la Provincia di Milano, l’ARPA e la curatela Fallimentare della società ex proprietaria dell’area medesima, ove si erano concordemente definite, alla stregua di "vincoli da applicarsi sull’area" (cfr. pg. 2 del verbale della cit. conferenza), sia la periodicità che la tipologia dei monitoraggi da eseguirsi a carico dei rispettivi proprietari;

– con disposizione dirigenziale n. 39/2003, ormai inoppugnabile e assunta ad atto presupposto della determinazione comunale qui gravata, la Provincia di Milano, richiamate le determinazioni assunte in sede di conferenza di servizi cit., ha confermato, sia l’assoggettamento della proprietà dell’area all’esecuzione delle operazioni di monitoraggio ambientale, che l’impegno della proprietà medesima, nel caso in cui i dati emergenti dal monitoraggio lo rendessero necessario, di "rivalutare le nuove condizioni accertate presentando un nuovo progetto da autorizzarsi da parte del Comune e con l’eventuale realizzazione degli interventi che si rendessero necessari, per il raggiungimento delle condizioni di sicurezza, conformemente a quanto previsto dalla normativa vigente" (cfr. deliberazione provinciale n. 39 cit. p. 2 e 3).

Emerge da ciò come l’ordinanza impugnata altro non rappresenti che un provvedimento consequenziale rispetto agli impegni posti a carico della proprietà con la determinazione provinciale n. 39, a sua volta recettiva delle determinazioni assunte, anche con la partecipazione dell’esponente, in sede di Conferenza di Servizi.

Nessuna violazione della normativa ambientale è stata posta in essere con l’impugnata ordinanza, atteso che, in disparte il profilo della inoppugnabilità degli atti ad essa presupposti, lo stesso sistema di garanzie previsto in subjecta materia per l’esecuzione degli obblighi di bonifica e/o di messa in sicurezza non esclude una responsabilità anche del proprietario del sito inquinato. In tal senso, va rammentato come il d.lg. n. 22 del 1997, espressamente richiamato nella ordinanza provinciale n.39 già cit. ed applicabile, ratione temporis, sia alla conferenza di servizi del 2002 che alla ridetta determinazione provinciale, preveda – accanto alle responsabilità dell’inquinatore e ad ulteriore garanzia dell’esecuzione degli interventi previsti – quella del proprietario del sito inquinato. Sul punto, si può richiamare quanto affermato anche di recente dal Consiglio di Stato, secondo cui: "La responsabilità dell’inquinatore e quella del proprietario si fondano su presupposti giuridici diversi e hanno differente natura. La responsabilità dell’autore dell’inquinamento, ai sensi dell’art. 17 comma 2, d.lg. n. 22 del 1997, costituisce una vera e propria forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree inquinate. Dalla natura oggettiva della responsabilità in questione è desumibile che l’obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge, in base all’art. 17 comma 2, d.lg. n. 22 del 1997, in connessione con una condotta "anche accidentale", ossia a prescindere dall’esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in capo all’autore dell’inquinamento. Ai fini della responsabilità in questione è comunque pur sempre necessario il rapporto di causalità tra l’azione (o l’omissione) dell’autore dell’inquinamento e il superamento – o pericolo concreto ed attuale di superamento – dei limiti di contaminazione, in coerenza con il principio comunitario "chi inquina paga", principio che risulta espressamente richiamato dall’art. 15, direttiva n. 91/156, di cui il d.lg. del 1997 costituisce recepimento. Sensibilmente diversa si presenta, invece, la posizione del proprietario del sito, per la responsabilità del quale occorre fare riferimento al comma 10 dell’art. 17, che dispone che gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale costituiscono onere reale sulle aree inquinate, nonché al comma 11 del medesimo articolo, secondo cui le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, esercitabile anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile. Ne consegue che chi subentra nella proprietà o possesso del bene subentra anche negli obblighi connessi all’onere reale, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza. Quella posta in capo al proprietario dall’art. 17 commi 10 e 11, è pertanto una responsabilità "da posizione", non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l’apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione. È quindi evidente che il proprietario del suolo – che non abbia apportato alcun contributo causale, neppure incolpevole, all’inquinamento – non si trova in alcun modo in una posizione analoga od assimilabile a quella dell’inquinatore, essendo tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione dell’esistenza dell’onere reale sul sito" (così, Consiglio Stato, sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4561).

Ebbene, nel caso di specie, la società ricorrente era ben consapevole dell’esistenza dei vincoli inerenti la messa in sicurezza dell’area in questione, gravanti sull’area medesima nei tempi e nei modi di cui al cit. verbale della conferenza di servizi, ribaditi nell’ordinanza n. 39, mai impugnata (neppure, a quanto consta, successivamente alla conoscenza acquisitane in occasione della notifica dell’atto qui impugnato).

Neppure sussiste il lamentato profilo di incompetenza, atteso che – in presenza di una contaminazione della falda acquifera – non può negarsi la competenza del Sindaco ad adottare ordinanze a tutela della salute pubblica, ai sensi dell’art. 50, co.V° d.lgs. n.267/2000.

Ciò, senza contare quanto già sopra evidenziato, a proposito dell’espressa previsione dell’obbligo, a carico della proprietà, di presentazione del progetto di bonifica proprio al Comune di Brugherio, chiamato, quindi, a vigilare sull’adempimento delle richiamate prescrizioni.

In definitiva, le censure come sopra formulate devono ritenersi infondate e il ricorso come in epigrafe proposto deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Pone le spese di lite a carico della ricorrente e a favore della Provincia di Milano nella misura di euro 2.000,00 oltre accessori se dovuti. Nulla per il resto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Adriano Leo, Presidente

Concetta Plantamura, Referendario, Estensore

Ugo De Carlo, Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 31-01-2013) 07-05-2013, n. 19482

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello di Bologna, giudicando su rinvio della Corte Suprema, che aveva ritenuto il vizio di contraddittorità della motivazione nell’assoluzione dei due imputati per mancanza di dolo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bologna del 20.12.2002, riduceva la pena inflitta ai due imputati confermando nel resto. Avverso tale sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati, S.A. per mezzo del suo difensore di fiducia, F.G., personalmente, chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo a motivo di gravame:

S.:

il vizio di motivazione per manifesta illogicità, avendo la Corte fatto riferimento al reddito dei due imputati, dato non certo e puramente ipotetico, per giustificare l’affermazione che la droga era in parte sicuramente diretta allo spaccio.

L’affermazione di responsabilità, pertanto, sarebbe frutto di una semplice congettura ovvero di una massima di esperienza indimostrata.

F.:

il vizio di motivazione per manifesta contraddittorietà della motivazione perchè dopo aver affermato l’esiguità dei redditi dei due imputati la Corte ha attribuito ai due, e non alla raccolta di denaro tra gli amici, l’ingente disponibilità necessaria per effettuare l’acquisto illecito.

Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili in quanto basati su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.

La motivazione della Corte di merito è assai più complessa e completa di quella richiamata nei motivi di ricorso, in ordine alla quale i ricorrenti articolano le censure. La Corte di merito, infatti, dopo aver dato atto che i due giovani furono trovati in possesso di 187 pastiglie di LSD; che in sede di interrogatorio S. asseriva che avevano acquistato le pastiglie anche per conto di amici, che il loro consumo prò capite era molto elevato, anche 10 pastiglie a notte, circostanza confermata da F. il quale aggiungeva che si erano rivolti ad un "grossista" che vendeva a prezzi contenuti, ma solo per quantitativi elevati, e che gli avevano consegnato L. un milione e mezzo, ha affermato che la destinazione della droga all’uso di gruppo – destinazione che, al pari dell’utilizzo personale, esclude la configurabilità del reato in capo a colui che la detiene – deve risultare inequivocabilmente.

In motivazione si rileva che gli imputati sono stati generici sul punto, parlando di non meglio specificati amici, non riferendo il loro numero, nè le loro generalità e neppure le modalità e circostanze con cui si perfezionò il mandato di questi ultimi a loro favore e con cui fu effettuata la raccolta di danaro. Per quanto concerne la possibilità che la droga fosse destinata al solo consumo personale, la Corte ha poi rilevato che esclusa l’attribuibilità in parte uguali ai due imputati del quantitativo di droga, perchè il quantitativo globale andava attribuito a ciascuno per l’intero, la sproporzione tra il valore delle pastiglie, – compreso tra L. 3.500.000 e L. 4.500.000, con valore unitario a pastiglia compreso tra L. 18.000 e L. 23.000 come riferito dal consulente, – e le disponibilità economiche deducibili dall’attività lavorativa dichiarata dagli imputati al momento dell’arresto (magazziniere quanto a S.A. e muratore, quanto al F.) comprova che almeno una parte era destinata a terzi.

Con la suddetta motivazione la Corte, in modo completo e non censurabile, ha rielaborato, secondo il principio indicato dal rinvio, la valutazione della precedente Corte di merito, giungendo al risultato nettamente diverso, nella pienezza delle argomentazioni possibili.

I ricorsi sono pertanto inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00, ciascuno, alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2013
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