Cons. Stato Sez. V, Sent., 25-01-2011, n. 537

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
con sentenza appellata i Primi Giudici hanno accolto il ricorso proposto da F.R. avverso gli atti relativi alla procedura indetta dal Comune di S. per la nomina di difensore civico;
Rilevato che con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno ritenuto fondato sia il motivo volto a contestare la legittimità del provvedimento di esclusione adottato dai danni del ricorrente in ragione della mancata presentazione della relativa candidatura ad opera di almeno 1/10 dei consiglieri comunali o da duecento elettori, sia il motivo diretto a stigmatizzare la nomina del controinteressato P.P. nonostante il difetto del requisito dell’iscrizione nell’albo professionale dei Procuratori ed Avvocati da almeno dieci anni,
Rilevato che la sentenza appellata merita conferma alla stregua dei rilievi che seguono:
a)è infondata l’eccezione di tardività del ricorso originario in quanto le note del Segretario comunale del 20 marzo 2009, prot. n 6959 e 30 marzo 2009, prot. n. 7666, non hanno carattere provvedimentale e, in ogni caso, la lesione definitiva della sfera giuridica del ricorrente è derivata dall’adozione del provvedimento del Consiglio comunale che ha recepito l’avviso espresso dal Segretario comunale in merito all’incompletezza della documentazione allegata alla domanda originariamente presentata;
b) sia il dato letterale che l’argomento teleologico suffragano l’assunto sostenuto dal Primo Giudice secondo cui la mozione di accompagnamento presentata da un decimo dei consiglieri comunali non costituisce documento da allegare al momento della presentazione delle dichiarazioni di manifestazione di disponibilità da parte degli aspiranti, da farsi pervenire al protocollo dell’ente entro il termine perentorio di 20 giorni dalla pubblicazione dell’avviso, in quanto non rientra tra i i documenti da allegare alla domanda, di cui alle lettere da a) ad e) dell’avviso, relativi ai requisiti di idoneità generale e tecnicoprofessionale e costituisce una manifestazione di gradimento da parte dell’organo rappresentativo dell’ente locale rispetto al candidato che abbia già acquisto tale qualifica per effetto della presentazione della domanda (si veda anche l’art. 42 dello Statuto che disciplina la procedura, ad iniziativa del Presidente del Consiglio comunale, ai fini della presentazione della candidatura fissando una tempistica che non è collegata all’avviso di gara ed alla presentazione della domanda bensì alla scadenza del difensore civico in carica ed alla data fissata per la convocazione del Consiglio comunale chiamato all’elezione);
c) è illegittima l’ammissione dell’appellante alla fase di votazione, stante il pacifico difetto in capo allo stesso del ragionevole requisito dell’iscrizione da almeno dieci anni nell’albo professionale degli avvocati e procuratori legali;
d)non è computabile il periodo di iscrizione nel diverso e meno qualificante albo dei praticanti procuratori legali in quanto la lex specialis, in attuazione della disciplina regolamentare, ricollega l’iscrizione nell’albo professionale alla già acquisita qualifica di avvocato (o, in passato, procuratore legale), e tanto in relazione all’esigenza di comprovare l’effettivo e sostanziale espletamento dell’attività professionale onde comprovare il possesso di comprovata competenza ed esperienza giuridicoamministrativa;
e)l’appellante non ha dimostrato la sussistenza dei puntuali e tassativi requisiti alternativi sanciti dall’art. 3 del regolamento del difensore civico e dall’avviso pubblico;
Reputato, in definitiva, che l’appello merita reiezione mentre la mancata costituzione della parte appellata esime il Collegio dalla statuizione sulle spese di giudizio;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
respinge l "appello e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata.
Nulla per le spese.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Calogero Piscitello, Presidente
Marzio Branca, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere, Estensore
Roberto Chieppa, Consigliere

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Cass. pen., sez. I 27-11-2008 (18-11-2008), n. 44336 Espulsione dello straniero condannato per reati in materia di stupefacenti – Ambito di operatività

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OSSERVA
In data 20.03.2008 la Corte di Appello di Torino, in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile l’istanza proposta da G.R.G., cittadino rumeno, volta alla declaratoria di inefficacia o di ineseguibilità della misura dell’espulsione disposta in suo danno, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15 da quella stessa Corte di Appello con la sentenza 12.1.2007.
La Corte distrettuale motivava la sua decisione richiamando la nota sentenza delle sezioni unite di questa Corte (Cass., Sez. un,, 27 sett. 2007, n. 15, ric. Megera) ed i principi ivi affermati in ordine alla irretroattività delle norme extrapenali che hanno modificato lo status comunitario dei cittadini rumeni e la circostanza che la sentenza dispositiva dell’espulsione sarebbe stata pronunciata in epoca successiva a quella dell’ingresso della Romania nella Comunità Europea, con la conseguenza che eventuali violazioni normative connesse al nuovo status assunto dall’imputato, potendo essere fatte valere nel corso del processo, assumevano la veste di error in iudicando, denunciagli attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione.
Ricorre avverso detto provvedimento G.R.G., con l’assistenza del suo difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento giacchè viziato, secondo prospettazione difensiva, da violazione della legge penale e difetto di motivazione. Lamenta in particolare il ricorrente la mancanza di motivazione da parte del giudice a quo in ordine all’argomento che il provvedimento di espulsione non potrebbe legittimamente essere eseguito in danno di un cittadino rumeno, dappoichè dal 1.1.2007 tali cittadini sono cittadini comunitari, tanto che gli stessi ministeri dell’Interno e della Solidarietà sociale, con una congiunta circolare, hanno disposto la cessazione di ogni provvedimento di espulsione.
Deduceva altresì il ricorrente, che contrariamente a quanto affermato nel provvedimento impugnato, le misure di sicurezza, quale quella oggetto del gravame, non accompagnano la definitività della sentenza che le dispone, restando comunque esse sempre revocabili avendo le stesse natura amministrativa, sottoposte al controllo circa l’attualità dei richiesti requisiti, in primis quello relativo alla pericolosità sociale del destinatario. E nel caso di specie tale revocabilità, sempre ad avviso del ricorrente, sarebbe doverosa, in quanto mutata la disciplina sostanziale che l’aveva resa possibile ed in quanto applicabile, ai sensi dell’art. 200 c.p., comma 2 la normativa in vigore attualmente, in forza della quale il cittadino rumeno non può essere espulso ed in quanto, anche nella dimensione dell’espulsione quale misura di sicurezza, sarebbe doveroso l’accertamento della pericolosità sociale, del tutto assente nel caso di specie.
Con motivata requisitoria scritta il P.G. in sede si pronunciava per la inammissibilità dell’impugnazione.
In data 12.11 u.s. il ricorrente, sempre assistito dal suo difensore di fiducia, depositava memoria di replica ai sensi dell’art. 611 c.p.p. con la quale ribadiva, ulteriormente illustrandole, le ragioni della doglianza.
Il ricorso è manifestamente infondato.
L’espulsione disposta con la sentenza del 12.1.2007 dalla Corte di appello di Torino costituisce una misura di sicurezza, adottata dall’A.G. sulla base di un giudizio di pericolosità sociale del suo destinatario.
Ciò posto privo di rilievo si appalesa la circostanza che il ricorrente sia cittadino comunitario dal 1.1.2007, dappoichè tale misura, disciplinata dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 86 legittimamente può essere disposta in danno di un cittadino comunitario (Cass. 3.5.2007, n. 22511, sez. 4) trattandosi di previsione che non contrasta con la normativa comunitaria che disciplina la libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio degli Stati membri (artt. 18, 39 e 46 del Trattato istitutivo della Comunità Europea), giacchè questa fa esplicitamente salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica e sanità pubblica ed essendo all’uopo necessario (come, del resto, statuito più volte dalla Corte di giustizia Europea) solo che la misura di sicurezza non venga adottata in modo automatico, bensì previa valutazione della pericolosità della persona sottopostavi (Cass. 17.9.2004 n. 40808: conformi Cass. 21.2.1996 n. 2544; Cass. 8.2.1999 n. 11167; Cass. 2.10.2002 n. 39648).
Nel caso in esame la Corte territoriale che ha pronunciato la sentenza di condanna e la conseguente espulsione ha ampiamente motivato, ancora di recente, in ordine alla pericolosità del ricorrente, dato peraltro, quest’ultimo, ininfluente rispetto alla cognizione alla quale il Collegio è chiamato dalla impugnazione di legittimità avverso il decreto del giudice distrettuale che ha rigettato, come innanzi premesso, l’istanza volta alla declaratoria di ineseguibilità ovvero di intervenuta inefficacia della misura disposta con la predetta sentenza, ormai passata in giudicato.
Tanto premesso e considerati logicamente assorbiti nella motivazione di cui innanzi ogni altra censura proposta, il ricorso va dichiarato inammissibile ed alla declaratoria di inammissibilità consegue sia la condanna al pagamento delle spese del procedimento, sia quella al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo determinare in Euro 1.000.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cassazione, Sez. II, 9 giugno 2010, n. 13878 Condominio, tocca all’amministratore uscente dare la prova del proprio credito per anticipazioni effettuate

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Fatto

Il condominio del fabbricato in omissis proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale era stato intimato ad esso opponente il pagamento di L. 3.077.505 in favore di P.P.. Il condominio contestava la pretesa del P. e, in particolare, l’esistenza del credito vantato dall’opposto ed avente titolo nel rapporto di amministrazione condominiale sino al 31/12/1998 e nell’asserita anticipazione diretta di spese di gestione.

Il P., costituitosi, chiedeva il rigetto dell’opposizione sostenendone l’infondatezza.

Il giudice di pace di Cagliari, con sentenza 24/7/2002, accoglieva l’opposizione accertando l’inesistenza del credito.

Avverso la detta sentenza il P. proponeva appello al quale resisteva il condominio.

Con sentenza 27/7/2004 la corte di appello di Cagliari rigettava il gravame osservando: che erano fondate le doglianze dell’appellante in ordine alla violazione delle regole processuali concernenti l’attività istruttoria avendo il giudice di pace dato incarico al P. “di fare ricerche presso il proprio studio al fine di reperire il blocco delle ricevute attestante i versamenti a qualunque titolo effettuati dai condomini”; che il provvedimento era “extra ordinem” non rispondendo ad alcuno dei mezzi istruttori consentiti al giudice nel processo civile; che la consulenza di ufficio era stata disposta per svolgere accertamenti di fatto e per supplire a deficienze di allegazioni e di prove il che non era consentito; che l’appello era infondato nel merito; che non era fondata l’impugnazione riferita al mancato riconoscimento dell’efficacia probatoria della ricognizione di debito al verbale “di passaggio delle consegne” del 22/3/1999; che dal documento non emergeva alcuna formale ricognizione di debito, ma semplicemente una sottoscrizione da parte del nuovo amministratore del condominio per l’attestazione della consegna dei documenti elencati nel verbale; che il giudice di primo grado non aveva applicato il principio secondo cui, in tema di mandato, al diritto del mandatario di ottenere il rimborso delle anticipazioni e delle spese sostenute per l’esecuzione del mandato (art. 1720 c.c.), corrisponde l’obbligo dello stesso di rendere conto del suo operato al mandante e di rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato (art. 1713 c.c.) con conseguente esigenza di un rendiconto preciso e documentato idoneo a stabilire con esattezza le rispettive ragioni di credito e di debito; che l’amministratore cessato doveva fornire in giudizio la specificazione contabile delle entrate, delle uscite e del saldo finale, oltre che tutti gli elementi idonei a ricostruire le rispettive ragioni di credito e di debito; che tale onere non era stato assolto.

La cassazione della sentenza del tribunale di Cagliari è stata chiesta da P.P. con ricorso affidato a due motivi. Il condominio dell’edificio in omissis ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria.

Diritto

Con il primo motivo di ricorso P.P. denuncia vizi di motivazione deducendo che il tribunale ha rigettato l’appello proposto da esso ricorrente con motivazione illogica, insufficiente e contraddittoria. Ha infatti preso atto della nutrita documentazione versata in atti e l’ha ritenuta irrilevante ai fini della ricostruzione delle entrate e delle uscite del condominio senza considerare che esso P., proprio sulla scorta dei documenti prodotti, aveva descritto nelle note autorizzate del 7/12/01 tutti i movimenti finanziari (nel dettaglio riportati in ricorso) confermati da una consulenza contabile che aveva suffragato la fondatezza della domanda. Identico saldo attivo in favore di esso P. è ricavabile dalla consulenza contabile il cui risultato matematico non è stato contestato e che deve essere considerato come un dato probatorio dal quale non è possibile prescindere senza una valida motivazione. Il tribunale non ha valutato – omettendo qualsiasi motivazione sul punto – che esso ricorrente aveva ricostruito interamente il bilancio della sua gestione con operazione che ben poteva essere effettuata dallo stesso tribunale attraverso semplici somme algebriche tenendo conto che la consulenza contabile aveva confermato la ricostruzione del credito di esso P. e l’esattezza dei conteggi predisposti nel bilancio. Il tribunale ha affermato che la documentazione agli atti impediva una completa ricostruzione delle uscite nel loro complesso e “soprattutto delle entrate e della provenienza delle somme utilizzate per i pagamenti”.

La produzione di fatture e ricevute costituisce invece prova della destinazione delle uscite. È poi sorprendente il riferimento alla ricostruzione delle entrate quasi che incombesse all’attore provare il mancato pagamento degli oneri condominiali e non al debitore esibire e provare pagamenti per importi superiori rispetto a quelli riconosciuti nel bilancio predisposto da esso P..

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2702 e 2719 c.c. dell’art. 191 c.p.c. e segg. in relazione all’art. 116 c.p.c., nonché vizi di motivazione, sostenendo che il tribunale ha disatteso le prove in atti ed ha trascurato i documenti legittimamente acquisiti e la consulenza contabile che sugli stessi documenti era pervenuta a precise conclusioni. Il tribunale era libero di discostarsi dai documenti prodotti e dalla stessa c.t.u., ma aveva l’obbligo di motivare adeguatamente il percorso logico attraverso seguito per pervenire a tale decisione. Il giudice di appello ha ritenuto di non utilizzare le risultanze della c.t.u. in ragione della anomala formulazione dei quesiti. Nella specie, però, la consulenza ha comunque il contenuto di consulenza contabile avendo ricostruito il bilancio – prendendo spunto dai documenti prodotti da esso P. – e pervenendo al saldo dell’amministrazione.

L’elaborato peritale – non censurato dal condominio – non poteva essere trascurato dal tribunale in assenza di una adeguata motivazione.

La Corte rileva l’infondatezza delle dette censure che possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutte, quale più quale meno e sotto diversi aspetti e profili, le stesse questioni o questioni collegate e che si risolvono essenzialmente, pur se titolate come violazione di legge e come difetto di motivazione, nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità, nonché nella pretesa di contrastare valutazioni ed apprezzamenti dei fatti e delle risultanze probatorie che sono prerogativa del giudice del merito e la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità se sufficiente ed esente da vizi logici e da errori di diritto: il sindacato di legittimità è sul punto limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nell’impugnata sentenza. Spetta infatti solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Né per ottemperare all’obbligo della motivazione il giudice di merito è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti essendo sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali fonda il suo convincimento e dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata.

Nel caso in esame non sono ravvisabili né il lamentato difetto di motivazione, né l’asserita violazione di legge: la sentenza impugnata è corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto.

In particolare il giudice di secondo grado – come sopra riportato nella parte narrativa che precede – ha prima fatto corretto riferimento al principio giurisprudenziale secondo cui in tema di condominio negli edifici, poiché il credito per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio si fonda, ex art. 1720 c.c. sul contratto di mandato con rappresentanza che intercorre con i condomini, l’amministratore deve offrire la prova degli esborsi effettuati presentando un rendiconto del proprio operato che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale.

Il tribunale ha poi precisato – sulla base di un insindacabile apprezzamento di merito in relazione alla valutazione delle risultanze processuali – che nella specie il P. aveva prodotto una “nutrita documentazione” inidonea a dimostrare “in ipotesi anche attraverso una vera e propria consulenza contabile una completa ricostruzione delle uscite nel loro complesso e, soprattutto, delle entrate e della provenienza delle somme utilizzate per i pagamenti”.

In difetto dei detti elementi il giudice di appello ha inoltre coerentemente escluso la possibilità di accogliere la richiesta del P. di emettere la pronuncia di ordine di esibizione.

Il tribunale ha dato conto delle proprie valutazioni circa i riportati accertamenti in fatto, esaminando compiutamente le risultanze istruttorie ed esponendo adeguatamente il proprio convincimento. Il procedimento logico – giuridico sviluppato nell’impugnata decisione a sostegno delle riportate affermazioni e conclusioni è ineccepibile in quanto coerente e razionale.

Alla detta valutazione il ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.

Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta chiaro che la corte territoriale, nel porre in evidenza gli elementi probatori favorevoli alle tesi del condominio (attuale resistente) ha implicitamente espresso una valutazione negativa delle contrapposte tesi del P. (attuale ricorrente).

Deve altresì evidenziarsi che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta che – come sostenuto dal ricorrente – il condominio non abbia contestato la documentazione prodotta dal P. ed i risultati cui era pervenuto il c.t.u..

Va poi aggiunto che il P. in sostanza denuncia l’errata interpretazione e valutazione della relazione del nominato c.t.u. e della documentazione prodotta senza riportare il contenuto specifico e completo di tali risultanze processuali il che non consente di ricostruirne – alla luce esclusivamente di alcune isolate parti – il senso complessivo ed i punti salienti ed importanti. Ciò impedisce a questa Corte di valutare – sulla base delle sole deduzioni contenute in ricorso – l’incidenza causale del denunciato difetto di motivazione e la decisività dei rilievi al riguardo mossi dai ricorrenti.

Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l’onere (per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione) di specificare il contenuto delle prove non esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo dell’asserito vizio di valutazione: tale onere non è stato nella specie rispettato.

Per quanto infine riguarda la denunciata violazione delle norme indicate nel secondo motivo di ricorso è appena il caso di rilevare che il tribunale si è attenuto ai seguenti principi più volte affermati da questa Corte:

– nell’ipotesi di mandato oneroso il diritto del mandatario al compenso e al rimborso delle anticipazioni e spese sostenute è condizionato alla presentazione al mandante del rendiconto del proprio operato, che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale (sentenza 28/4/1990 n. 3596);

– in tema di condominio negli edifici, poiché il credito per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio si fonda, ex art. 1720 c.c., sul contratto di mandato con rappresentanza che intercorre con i condomini, l’amministratore deve offrire la prova degli esborsi effettuati (sentenza 30/3/2006 n. 7498);

– l’obbligo di rendiconto può legittimamente dirsi adempiuto quando il mandatario abbia fornito la relativa prova attraverso i necessari documenti giustificativi non soltanto della somma incassata (oltre che, se del caso, della qualità e della quantità dei frutti percetti) e dell’entità causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione ed al vaglio delle modalità di esecuzione dell’incarico, onde stabilire (anche in relazione ai fini da perseguire ed ai risultati raggiunti) se il suo operato si sia adeguato, o meno, a criteri di buona amministrazione (sentenza 23/11/2006 n. 24866);

– l’esibizione a norma dell’art. 210 c.p.c. non può in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante (sentenza 8/8/2006 n. 17948).

In definitiva devono ritenersi insussistenti le asserite violazioni di legge ed i denunciati vizi di motivazione che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00 oltre Euro 1.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 18-01-2011, n. 283 Annullamento d’ufficio o revoca dell’atto amministrativo Legittimità o illegittimità dell’atto

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Svolgimento del processo

Il sig. B.L., dipendente del Comune di Pozzuoli in servizio presso la piscina comunale, al quale è stato assegnato un alloggio di servizio sito nell’edificio scolastico Artiaco con provvedimento del Sindaco di Pozzuoli n. 70757 del 10.11.1987 (e non del 10.11.1987 come indicato nel provvedimento impugnato) stante la necessità di custodia del Plesso scolastico, in occasione del passaggio del personale A.T.A. dai ruoli comunali a quelli dello Stato ex art. 8 della L. n. 124 del 1999 ha optato per l’Ente di appartenenza, conservando lo status di dipendente comunale.

Pur essendo stato destinato presso la piscina comunale di Lucrino con funzioni di sorveglianza con disposizione del Dirigente del II Dipartimento del Comune suddetto prot. n. 779/IST del 17.4.2001, ha continuato a svolgere dette mansioni di custodia della scuola media Artiaco, conformemente a quanto disposto dalla Giunta comunale di Pozzuoli, con provvedimento n. 808 del 7.12.1999, per altri dipendenti.

Con provvedimento del Dirigente del II Dipartimento, Servizio Patrimonio, del Comune di Pozzuoli n. 3915/BP del 15.9.2006, premesso che "essendo stato il dipendente in questione trasferito in altra sede, sono venuti a mancare i presupposti che determinarono tale assegnazione" è stato emanato l’ordine di rilascio del suddetto alloggio occupato quale custode ed è stato avviato il procedimento di revoca del provvedimento sindacale di assegnazione delle mansioni di custodia.

Con ricorso al T.A.R. Campania, Napoli, il suddetto dipendente ha impugnato il sopra citato provvedimento, nonché, a seguito di motivi aggiunti, ha impugnato il provvedimento con il quale è stata fissata la data per procedere alle operazioni di sgombero coatto.

La V Sezione di detto T.A.R., con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto il ricorso in primo luogo ritenendo che i dedotti vizi procedurali fossero comunque superabili alla stregua dell’art.. 21octies della legge n. 241 del 1990 e successive modifiche e integrazioni, tanto più che, sul piano sostanziale, risultava pacifica la sopravvenuta rimozione del presupposto del beneficio del godimento dell’alloggio, costituito dalle specifiche esigenze di servizio; in secondo luogo rilevando che la deliberazione di giunta comunale n. 808 del 7 dicembre 1999 non era utilmente invocabile a sostegno della posizione del ricorrente (poiché precedenti atti favorevoli a terzi soggetti, ove non ne sia acclarata e ne resti discutibile la legittimità, non sono utilmente invocabili a proprio vantaggio, né valgono ad integrare il parametro di riferimento per eventuali doglianze di disparità di trattamento) e che la deliberazione stessa era da ritenere superata dal venir meno del presupposto costituito dall’affidamento delle mansioni di custodia all’interessato.

Con il ricorso in appello in epigrafe indicato il dipendente di cui trattasi ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza deducendone la erroneità per i seguenti motivi:

1.- Violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 1971. Difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, "error in judicando", violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del T.U. n. 267 del 2000, incompetenza, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per difetto di istruttoria, dei presupposti e di motivazione. Omessa ponderazione della situazione contemplata, travisamento, sviamento, perplessità e manifesta ingiustizia.

Il T.A.R. non ha considerato che la delibera n. 808 del 1999 (di conferma della detenzione dell’alloggio per altri dipendenti) era stata oggetto di generale applicazione da parte del Comune di Pozzuoli, né che le esigenze di servizio in base alle quali era stato confermato il godimento dell’alloggio di servizio non erano occasionali e temporanee, né che con il provvedimento impugnato è stata applicata alla fattispecie la disciplina di cui alla L. R. n. 18 del 1997, pur escludendo l’art. 1 della legge stessa gli alloggi di servizio dalla sua applicazione, né che l’art. 30 di detta L. R. attribuisce il relativo potere al Sindaco (peraltro quale Ufficiale di Governo) e non al Dirigente.

2.- Violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 19 71. Difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, "error in judicando", violazione di legge, violazione e falsa applicazione dei principi di cui all’art. 97 della Costituzione e degli artt. 7, 8, 9, 10 e 21 octies della L. n. 241 del 1990. Violazione del giusto procedimento, eccesso di potere perplessità, manifesta ingiustizia, difetto di motivazione, contraddittorietà ed erroneità del presupposto.

Con il provvedimento impugnato è stato contestualmente informato l’appellante dell’avvio del procedimento di revoca del provvedimento di assegnazione dell’alloggio n. 70757 del 1987 ed ordinato lo sgombero dell’appartamento.

Detto provvedimento è anche viziato dalla omessa indicazione, ex art. 8, I c., lettera cbis, della L. n. 241 del 1990, del termine entro il quale avrebbe dovuto concludersi il procedimento di revoca della nota sindacale n. 70757 del 1987.

Comunque è stato violato l’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990.

3.- Violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 1971. Difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, "error in judicando", violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990. Violazione dei principi in materia di atti di ritiro e del principio del "contrarius actus". Violazione del giusto procedimento, difetto di istruttoria e di motivazione, erroneità del presupposto e contraddittorietà.

Il provvedimento impugnato è comunque illegittimo sia perché è stato adottato senza considerare che l’appellante espleta tuttora le mansioni di custode a suo tempo affidategli, sia poiché è motivato solo con riferimento alla esigenza di utilizzazione di tutto il complesso della scuola media Artiaco per le esigenze della Direzione didattica, senza esternare le ragioni per le quali il pubblico interesse prevaleva su quello del privato, sia perché non è stato considerato che l’appellante usufruiva legittimamente dell’alloggio.

Con memoria depositata il 5.11.2010 si è costituito in giudizio il Comune di Pozzuoli, che ha dedotto la infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.

Con memoria depositata il 5.11.2010 parte ricorrente ha ribadito tesi e richieste.

Alla pubblica udienza del 19.11.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1.- Con il ricorso in appello, in epigrafe specificato, il sig. B.L., dipendente del Comune di Pozzuoli in servizio presso la piscina comunale, al quale è stato assegnato un alloggio di servizio sito nell’edificio scolastico Artiaco con provvedimento del Sindaco di Pozzuoli n. 70757 del 10.11.1987 stante la necessità di custodia del Plesso scolastico, e con dimora nell’apposito alloggio situato all’interno dell’edificio stesso, ha impugnato la sentenza del T.A.R. Campania, Napoli, Sezione V, n. 03967 del 2007, di reiezione del ricorso proposto contro il provvedimento del Comune di Pozzuoli n. 3915/BP del 15.9.2006, recante ordine di rilascio di detto alloggio occupato e avvio del procedimento di revoca del provvedimento sindacale n. 70757 del 1987, nonché contro il provvedimento n. 1027 del 24.2.1004, di sgombero coatto di occupanti abusivi.

2.- Con il primo motivo di appello sono stati dedotti violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 1971, difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, "error in judicando", violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del T.U. n. 267 del 2000, incompetenza, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per difetto di istruttoria, dei presupposti e di motivazione. Omessa ponderazione della situazione contemplata, travisamento, sviamento, perplessità e manifesta ingiustizia.

2.1.- Il T.A.R. non avrebbe, secondo l’appellante, considerato che la delibera n. 808 del 1999 (di conferma della detenzione dell’alloggio per altri dipendenti) era stata oggetto di generale applicazione da parte del Comune di Pozzuoli, né che le esigenze di servizio in base alle quali era stato confermato il godimento dell’alloggio di servizio da parte sua non erano occasionali e temporanee, né che con il provvedimento impugnato il Dirigente del II Dipartimento, Servizio Patrimonio, del Comune de quo aveva applicato alla fattispecie de qua la disciplina relativa alla assegnazione di alloggi E.R.P. di cui alla L. R. n. 18 del 1997, pur escludendo l’art. 1 della legge dalla sua applicazione gli alloggi di servizio, né che l’art. 30 di detta L. R., in base al quale detto Dirigente ha ordinato lo sgombero dell’alloggio, attribuisce il relativo potere al Sindaco e non al Dirigente.

2.1.- La censura non può essere valutata positivamente dalla Sezione, atteso che il provvedimento 3915/BP del 2006 impugnato è basato sul rilievo che erano venuti a mancare i presupposti che avevano determinato la assegnazione all’appellante dell’alloggio de quo in qualità di custode a seguito del suo trasferimento ad altra sede, sicché è irrilevante la circostanza che fosse stata a suo tempo confermata la detenzione dell’alloggio per altri dipendenti comunali (peraltro con atto avente valenza particolare e non generale) e che le esigenze di servizio poste a base del provvedimento di assegnazione non fossero temporanee, essendo comunque venuti meno i compiti di custodia dell’immobile de quo che giustificavano la assegnazione dell’alloggio al dipendente in questione.

Neppure possono essere apprezzate in senso positivo le censure relative alla violazione della L. R. n. 18 del 1997 (applicabile agli alloggi realizzati, recuperati ed acquistati da Enti pubblici a totale carico o con il concorso o contributo a qualsiasi titolo dello Stato o della Regione, delle Province o dei Comuni nonché a quelli acquistati, realizzati o recuperati da Enti pubblici non economici, ma utilizzati per le finalità sociali proprie dell’ Edilizia Residenziale Pubblica), sia perché essa non è richiamata nel provvedimento impugnato, sicché non può essere stato violato il suo art. 1 (che esclude la applicazione della legge stessa agli alloggi di servizio), né il successivo art. 30 (che prevede che il Sindaco dispone con propria ordinanza il rilascio degli alloggi di edilizia residenziale pubblica occupati senza titolo), proprio perché in base al citato art. 1 all’immobile de quo non possono essere applicate le disposizioni emanate con la legge in questione, quindi nemmeno l’art. 30.

2.2.- E’ dedotto inoltre con il motivo di appello in esame che comunque la diffida de qua, se avesse avuto carattere contingibile ed urgente, avrebbe dovuto essere adottata dal Sindaco quale Ufficiale di Governo ed in base ad attenta e non difettosa ponderazione della situazione contemplata.

Il Comune avrebbe quindi dovuto munirsi di un titolo giudiziale innanzi al Giudice ordinario per poter agire esecutivamente contro l’occupante abusivo.

2.2.1.- La Sezione non può condividere la censura, sia perché in nessuna parte del provvedimento impugnato è affermato che esso è stato adottato in base a ragioni contingibili ed urgenti e sia poiché esso provvedimento appare assistito da sufficiente motivazione circa le circostanze di fatto poste a base dello stesso, cioè, in sostanza, il trasferimento del custode de quo ad altra sede, con venir meno delle ragioni poste a base dell’assegnazione allo stesso dell’alloggio all’interno del complesso edilizio che era tenuto a custodire.

3.- Con il secondo motivo di gravame sono stati dedotti violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 1971, difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, "error in judicando", violazione di legge, violazione e falsa applicazione dei principi di cui all’art. 97 della Costituzione e degli artt. 7, 8, 9, 10 e 21 octies della L. n. 241 del 1990. Violazione del giusto procedimento, eccesso di potere perplessità, manifesta ingiustizia, difetto di motivazione, contraddittorietà ed erroneità del presupposto.

3.1.- E’ dedotto con il motivo in esame che con il provvedimento impugnato è stato contestualmente informato l’appellante dell’avvio del procedimento di revoca del provvedimento di assegnazione dell’alloggio n. 70757 del 1987 ed ordinato lo sgombero dell’appartamento, in violazione dei principi posti a base della L. n. 241 del 1990, con preclusione per l’interessato ad intervenire ed a presentare memorie che l’Amministrazione aveva l’obbligo di valutare.

Il provvedimento impugnato sarebbe anche viziato dalla omessa indicazione, ex art. 8, I c., lettera cbis, della L. n. 241 del 1990, del termine entro il quale avrebbe dovuto concludersi il procedimento di revoca della nota sindacale n. 70757 del 1987 e dalla omessa considerazione della perdurante efficacia della delibera n. 808 del 1999.

Comunque sarebbe stato violato l’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, non essendo palese che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato e non avendo l’Amministrazione dimostrato in giudizio la legittimità del suo operato.

3.1.1. – Osserva la Sezione che ai sensi dell’art. 21 quinques, della L. 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dall’art. 14, della L.11 febbraio 2005 n. 15, tre sono i presupposti che in via alternativa legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca di un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole da parte dell’Autorità emanante ovvero da altro organo previsto dalla legge, cioè sopravvenuti motivi di pubblico interesse, mutamento della situazione di fatto e nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

L’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, introdotto dalla L. n. 15 del 2005, è relativo all’annullamento del provvedimento amministrativo, che non è effettuabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Quest’ultima parte della norma si applica anche all’attività discrezionale della Amministrazione, quando il contenuto del provvedimento a seguito dell’intervento partecipato del privato non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato.

Ritiene la Sezione che la anzidetta disposizione abbia introdotto un principio generale in base al quale perché possa ritenersi priva di efficacia invalidante l’omissione dell’avviso di avvio del procedimento di adozione di atti di autotutela (quindi anche di revoca) si rende necessario che emerga in giudizio che il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere diverso da quello effettivamente adottato.

Nel caso che occupa la revoca de qua era pienamente giustificata dal mutamento della situazione di fatto e di diritto che aveva comportato l’assegnazione dell’alloggio de quo (essendo stato il dipendente con compiti di custodia che lo occupava trasferito ad altre mansioni) e dalla ritenuta prevalenza dell’interesse pubblico alla utilizzazione di tutti i locali della Direzione didattica di cui trattasi per le esigenze della Direzione su quello del privato, che faceva affidamento al mantenimento delle posizioni consolidatesi in capo ad esso in base all’atto da revocare, sicché il contenuto del provvedimento di revoca assegnazione dell’alloggio n. 3915/BP del 2006 non poteva essere diverso da quello adottato e conseguentemente è da considerare irrilevante il mancato rispetto della normativa attinente alla partecipazione del privato al procedimento ed il mancato riferimento alla delibera n. 808 del 1999, peraltro ininfluente perché relativa ad altri dipendenti e non avente carattere generale.

4.- Con il terzo motivo di appello sono stati dedotti violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 1971, difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, "error in judicando", violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990. Violazione dei principi in materia di atti di ritiro e del principio del "contrarius actus". Violazione del giusto procedimento, difetto di istruttoria e di motivazione, erroneità del presupposto e contraddittorietà.

4.1.- Il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo anche sotto il profilo sostanziale perché è stato adottato senza considerare che l’appellante "espleta tuttora le mansioni di custode presso la Scuola Media Artiaco", non di fatto, ma in virtù di un provvedimento amministrativo avente rilevanza esterna, in particolare la delibera n. 808 del 1999.

Inoltre deduce il motivo in esame che il provvedimento impugnato è motivato solo con riferimento alla esigenza di utilizzazione di tutto il complesso della scuola media Artiaco per le esigenze della Direzione didattica, senza esternazione delle ragioni per le quali il pubblico interesse prevaleva su quello del privato, soprattutto perché è stato adottato un atto di ritiro, a distanza di anni, di una precedente determinazione ampliativa della sfera giuridica del soggetto interessato che aveva generato in esso affidamento. Neppure sarebbe stato considerato che la infondata esigenza di ripristino della legalità adombrata nel provvedimento de quo si scontrava con la circostanza che l’appellante da anni assicurava la custodia e la salvaguardia dell’edificio di cui trattasi.

4.1.1. – La censura non è ritenuta dalla Sezione suscettibile di accoglimento, innanzitutto perché la generica affermazione che l’appellante espletava ancora le mansioni di custode a suo tempo affidategli è smentita dalla asserzione contenuta nel provvedimento impugnato e facente fede fino a querela di falso, che "il dipendente in questione" è stato "trasferito in altra sede".

4.1.2.- In secondo luogo il motivo non può essere apprezzato in senso positivo perché l’art. 21 quinquies, I c., della citata L. n. 241 del 1990 stabilisce che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Conseguentemente il provvedimento di revoca deve essere adeguatamente motivato quando incide su posizioni in precedenza acquisite dal privato, non solo con riferimento ai motivi di interesse pubblico che giustificano il ritiro dell’atto, ma anche in considerazione delle posizioni consolidate in capo al privato e all’affidamento ingenerato nel destinatario dell’atto da revocare, salvo quando la revoca dell’atto costituisce un vero e proprio dovere dell’Amministrazione che è tenuta a porre rimedio alle sfavorevoli conseguenze derivate dal perdurare dell’efficacia del provvedimento del quale sono venute meno le ragioni giustificatrici, non sussistendo in questo caso uno specifico obbligo di motivazione, atteso che l’interesse pubblico all’adozione dell’atto è in re ipsa quando ricorre una indebita assegnazione di alloggio pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato.

Il provvedimento impugnato si presentava nel caso che occupa quale atto dovuto e l’interesse pubblico alla sua adozione consisteva nella porre fine agli effetti di un atto che aveva perduto le ragioni giustificanti la sua adozione (in ossequio ai principi di buon andamento cui deve conformarsi l’operato della P.A.), ritenuto prevalente sulle posizioni consolidate e sull’affidamento ingeneratosi nel privato sulla base della sufficiente motivazione che i locali in questione erano necessari al buon funzionamento del Circolo didattico.

Non si è trattato, dunque, di un atto di mero ripristino della legalità, interesse questo che la giurisprudenza, anche più risalente, non ritiene mai sufficiente a sostenere il provvedimento di autotutela (Consiglio di Stato, sezione V, 25 settembre 2006, n. 5622), ma della adozione di un atto dovuto, nell’esercizio dell’interesse al corretto esercizio del potere amministrativo che deve garantire il buon andamento dell’azione amministrativa, che non comportava la necessità di minuziosa esternazione delle ragioni per le quali il pubblico interesse prevaleva su quello del privato, essendo esse ragioni in re ipsa.

4.1.3. – In terzo luogo la censura è insuscettibile di condivisione perché la circostanza che l’appellante usufruiva legittimamente dell’alloggio in virtù della deliberazione n. 808 del 1999, mai revocata, è irrilevante, essendo venute meno, (a prescindere dalla portata non generale della delibera, riferita ad altri dipendenti) a seguito dell’avvenuto trasferimento del dipendente ad altra sede (contenuto nell’impugnato atto facente fede in assenza di querela di falso), le ragioni giustificanti la (a suo tempo legittima) assegnazione al suddetto dell’alloggio stesso, essendo da ritenere, da ciò stesso, smentita l’affermazione che fosse infondata la asserzione contenuta nel provvedimento impugnato che erano venuti meno i presupposti di fatto e di diritto dell’assegnazione a suo tempo avvenuta.

5.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

6.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo sull’appello indicato in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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