Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-11-2010) 08-02-2011, n. 4584

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- C.F. ricorre avverso l’ordinanza del Tribunale della Libertà di Bari del 3 maggio 2010, che in sede di rinvio da questa Corte, aveva confermato il provvedimento custodiate con cui quel GIP aveva disposto la sua carcerazione per il delitto di partecipazione all’associazione per delinquere di tipo mafioso noto come "clan Strisciuglio" in periodo successivo al gennaio 2007, ritenendo l’attualità delle esigenze cautelari, ad onta della sua condizione di detenzione.

Questa Corte aveva annullato la precedente ordinanza del 5 ottobre 2009, osservando che le dichiarazioni dei collaboranti di giustizia Q. e V., che avevano affermato che il C., come tutti gli altri aderenti al clan Strisciuglio, percepiva una paga settimanale durante la sua carcerazione, non apparivano sufficientemente dimostrative della partecipazione attuale dell’indagato al sodalizio illecito, demandando alla sede del rinvio un più approfondito esame sul punto. L’ordinanza impugnata, in ottemperanza della regola di giudizio dettata da questa Corte, ha riesaminato gli elementi indiziari facendone più attento scrutinio, ribadendo infine il rigetto della richiesta di riesame.

Deduce il ricorrente che l’ordinanza oggetto del ricorso aveva disatteso le indicazioni date da questa Corte con la sentenza del 2 marzo 2010, incorrendo negli stessi vizi rilevati nel provvedimento annullato.

2.- Il ricorso è destituito di fondamento.

Contrariamente a quanto assume il ricorrente, infatti, il Tribunale del Riesame ha fatto puntuale applicazione della regola di giudizio dettata da questa Corte, provvedendo a più ampio e puntuale scrutinio dei dati indizianti che nel provvedimento annullato erano stati meramente enunciati.

Ha chiarito infatti l’ordinanza impugnata come le propalazioni dei collaboranti di giustizia V.G. e Q.N. fossero particolarmente attendibili, atteso che il primo rivestiva nel clan Strisciuglio una posizione apicale che gli aveva consentito di affermare senza incertezze come il C., detto "(OMISSIS)", fosse intraneo al sodalizio illecito (tra l’altro è nipote di Ca.Le., capo del gruppo che operava nel quartiere), e percepiva pertanto anche durante la detenzione "la spartenza"; il secondo era stato detenuto nella stessa cella con il ricorrente, ed aveva perciò potuto constatare direttamente come quest’ultimo percepisse "la settimana", come tutti gli altri sodali detenuti, sia per il suo sostentamento che per pagare gli avvocati.

Osserva poi l’ordinanza impugnata che il C. era stato già in passato condannato con sentenza passata in giudicato per la partecipazione, fino all’anno 2004, allo stesso sodalizio;

l’assistenza economica di cui s’è detto dimostra inconfutabilmente, ad avviso del Tribunale, come il vincolo associativo si fosse protratto e fosse ancora in atto nel 2007.

Quanto poi alla persistente pericolosità dell’indagato, osserva correttamente l’ordinanza impugnata che, ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, il titolo del reato contestato impone la detenzione carceraria come adeguata in via esclusiva a sopperire alle esigenze cautelari, considerato che non solo non v’è modo di affermare che queste non sussistono, ma anzi deve affermarsi il contrario, come risulta dalla appartenenza attuale dell’indagato alla associazione di tipo mafioso.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8147 Accertamento

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Svolgimento del processo

1. – C.R., funzionario della Banca del Monte di Lucca, impugnava gli avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio delle II.DD. di Viareggio gli aveva contestato i redditi derivanti dall’attività di rivendita dei preziosi rimasti invenduti che egli stesso, quale stimatore dell’istituto di credito, in base al Regolamento del servizio pegni aveva l’obbligo di acquistare. Veniva, in particolare, contestata la valenza probatoria delle presunzioni cui era ricorso l’Ufficio, deducendosi che le vendite degli oggetti preziosi era avvenuta "sottocosto". 1.1 – La Commissione tributaria regionale della Toscana, con la decisione indicata in epigrafe, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente, relativamente all’entità delle sanzioni), accoglieva l’appello proposto dal C., affermando, anche sulla base dell’esito del giudizio penale conclusosi in maniera favorevole per il C., che nell’ipotesi – giudicata non inverosimile – che il funzionario avesse rivenduto a prezzi inferiori a quelli di costo i beni preziosi, la pretesa sarebbe risultata infondata non solo sotto il profilo del "quantum", ma anche relativamente "all’an".

Si aggiungeva che non era stata eseguita un’indagine accurata circa i prezzi di rivendita, osservandosi che, non potendosi teoricamente escludere margini di guadagno per il venditore, l’accertamento non appariva equamente fondato.

1.2 Avverso detta sentenza propongono ricorso il Ministero dell’economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, chiedendone la cassazione sulla base di tre motivi.

1.2 – L’intimato non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

2. – Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 degli artt. 2697, 2727 e 2728 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. 2.1 – Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 2, 7 e 36, mentre con il terzo si prospetta la violazione dell’art. 654 c.p.p..

In sostanza, si censura la violazione dei criteri di natura probatoria applicabili alla fattispecie, ponendosi in evidenza, da un lato, l’incongruenza consistente nel rigetto della pretesa fiscale solo perchè ritenuta eccessiva (essendo il giudice tributario dotato del potere di ridurla entro i limiti della congruità) e, dall’altro, l’erronea attribuzione di rilevanza al giudicato formatosi in ambito penale.

2.2 – Detti motivi, tra loro intimamente connessi, possono essere congiuntamente esaminati.

Il ricorso è fondato.

La decisione impugnata si presenta sotto molti profili contraddittoria, implicando per altro le soluzioni adottate la denunciata violazione di legge.

Va premesso che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, non può darsi rilievo all’esito di un giudizio penale, stante l’autonomia del procedimento tributario, fondato, per altro, a differenza del primo, anche su presunzioni (Cass., 18 gennaio 2008, n. 1014).

Sotto tale profilo, vale bene richiamare il costante orientamento di questa Corte secondo cui l’accertamento sintetico, con metodo induttivo, consentito all’amministrazione finanziaria dalle norme contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, consiste nell’applicazione di presunzioni, in virtù delle quali l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto (nel caso di specie, acquisti di preziosi per somme di rilevante entità, sproporzionate rispetto al reddito di lavoro) a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva). La suddetta presunzione genera peraltro l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà (Cass., 15 giugno 2010, n. 14434).

La Commissione tributaria regionale, anzichè esaminare la valenza delle presunzioni dedotte dall’Ufficio ed analizzare le difese, di natura probatoria, del contribuente, ha contrapposto al dato presuntivo una mera illazione, vale a dire la possibilità, del tutto ipotetica (per altro non corrispondente all’id quod plerumque accidit), che tutte le rivendite fossero avvenute a prezzo di costo, così valorizzando una circostanza che, per quanto sopra evidenziato, avrebbe dovuto essere dimostrata dal C..

Ma vi è di più. Si giunge a sostenere che "pur non essendo teoricamente esclusi margini di guadagno per il venditore, l’accertamento così come operato non appare equamente fondato".

Codesta affermazione si fonda sul precedente rilievo inerente al giudizio di inadeguatezza per eccesso della "percentuale di ricarico del settore orafo".

L’assunto, a ben vedere, si colloca in posizione nettamente contraddittoria con l’affermata (sia pure in base a una mera ipotesi) insussistenza di redditi, e comunque implica una grave violazione di legge, che attinge la natura stessa del processo tributario, che, sia pure attraverso l’impugnazione di un atto, coinvolge, nei limiti della devoluzione, il rapporto sottostante.

In altri termini, il giudice tributario non può limitarsi ad annullare un atto sol perchè giudichi la pretesa eccessiva, avendo il potere e il dovere di determinarne la portata, anche utilizzando gli strumenti istruttori e valutativi dei quali può legittimante disporre.

2.4 – La decisione impugnata, risultando il ricorso fondato sotto tutti i profili dedotti, deve essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana, che esaminerà senza incorrere nel rilevato vizio motivazionale – il gravame alla luce dei principi enunciati, provvedendo altresì al regolamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana.

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Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-05-2011, n. 10338 Improcedibilità

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Svolgimento del processo

Con ordinanza n. 1067, emessa il 22 settembre 2006, il Tribunale di Roma ha dichiarato improcedibile ai sensi dell’art. 348 cod. proc. civ., comma 2, l’appello proposto dal Condominio di (OMISSIS), avverso la sentenza del Giudice di pace, nella controversia avente ad oggetto l’opposizione proposta dal Condominio contro l’avviso di liquidazione del canone c.o.s.a.p., emesso dal Comune di Roma.

Il Condominio propone due motivi di ricorso per cassazione.

Resiste il Comune di Roma con controricorso.
Motivi della decisione

1.- L’appello è stato dichiarato improcedibile a causa della mancata comparizione delle parti alla prima udienza, fissata per il 17 marzo 2006, nonchè alla successiva udienza del 22 settembre 2006, a cui la prima è stata rinviata ai sensi dell’art. 181 c.p.c..

2.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 168 bis cod. proc. civ., sul rilievo che la sua mancata comparizione alla prima udienza di trattazione (17 marzo 2006) è da ritenere giustificata dal fatto che non gli è stata data alcuna comunicazione dalla Cancelleria della data in cui era stata fissata la prima udienza, come sarebbe stato doveroso, trattandosi di udienza alla quale il Giudice aveva differito la trattazione, rispetto alla data fissata nell’atto di citazione.

La successiva udienza del 22 settembre 2006 – di cui gli è stata data regolare notizia mediante avviso del rinvio da parte della Cancelleria – sarebbe dunque da ritenere l’unica ritualmente svoltasi ed, in quanto tale, non avrebbe autorizzato l’applicazione dell’art. 348 cod. proc. civ., che presuppone la mancata comparizione delle parti a due udienze successive.

3.- Il motivo non è fondato.

Le censure del ricorrente si fondano sul presupposto (non esplicitato) che la prima udienza fissata nell’atto di citazione sia stata dal Giudice designato rinviata a data diversa da quella immediatamente successiva in base al suo ruolo, mediante apposito decreto ai sensi dell’art. 168 bis cod. proc. civ., comma 5.

In tal caso la Cancelleria è tenuta a dare comunicazione alle parti del rinvio; mentre, quando si tratta di rinvio d’ufficio, disposto ai sensi dell’art. 168 bis cod. proc. civ., comma 4, la legge non impone di dare alcun avviso, trattandosi del rinvio alla prima udienza immediatamente successiva a quella fissata nell’atto di citazione, la cui data è agevolmente conoscibile dalle parti, tramite il calendario delle udienze pubbliche di ogni magistrato, che è atto ufficiale, di cui le parti possono prendere visione.

Il ricorrente non ha fornito alcuna prova in primo luogo del fatto che, nel caso in esame, la prima udienza sia stata rinviata, rispetto a quella fissata nell’atto di citazione; in secondo luogo del fatto che sia stata rinviata ai sensi dell’art. 168 bis, comma 5.

Le censure attinenti al mancato avviso sono quindi ininfluenti.

4.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli art. 163 e 164 cod. proc. civ., per il fatto che egli, avendo rilevato la nullità del primo atto di citazione per il mancato rispetto del termine di comparizione, ha notificato alla controparte altro atto di citazione, fissando come data di prima comparizione proprio l’udienza del 22.9.2006, alla quale la causa era stata la prima volta rinviata.

Essendo il primo atto di citazione nullo, l’udienza del 22.9.2.006 sarebbe da considerare come la prima udienza, in relazione al secondo atto di citazione, che era l’unico valido; pertanto la mancata comparizione delle parti non poteva giustificare la pronuncia di estinzione del processo.

4.1.- Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, poichè il ricorrente non ha specificato nel ricorso di avere prodotto in questo giudizio l’atto di citazione, nè ha indicato come e dove esso sia reperibile fra gli atti e documenti di causa, come prescritto a pena di inammissibilità dalla citata norma, con riguardo ai documenti su cui il ricorso si fonda (cfr. fra le tante, Cass. civ. 14 aprile 2003 n. 5886; Cass. civ. Sez. 3^, 18 marzo 2005 n. 5974; Cass. civ. S.U. 25 marzo 2010 n. 7161).

5.- Il ricorso deve essere rigettato.

6.- Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 500,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

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Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-03-2011) 24-03-2011, n. 11781 Ricorso

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 12 novembre 2010, il Tribunale di Tarante, sezione per il riesame, confermava l’ordinanza del GIP in sede con la quale era stata disposta la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di D.G., perchè gravemente indiziato di partecipazione ad associazione criminale finalizzata alla commissione di delitti di usura e di estorsione, il cui ruolo di vertice era ricoperto da Do.Lu., nonchè della commissione del delitto di estorsione in danno di D.C.A..

Il Tribunale muoveva dalla verifica della gravità indiziaria in ordine al delitto di estorsione di cui al capo M1 (ascritto al ricorrente in concorso con Do.) ed osservava che essa si incentrava sulle dichiarazioni della persona offesa, della quale esaminava approfonditamente l’attendibilità. La circostanza che altra vittima del Do. e quindi del D. (tale D.S.) avesse negato di esser stato intimorito non deponeva nel senso indicato dalla difesa, ben potendo essersi così comportato per timore di ulteriori ritorsioni. Restava la tenuta logica del narrato della persona offesa, che aveva indicato anche il nome di altro importante collaboratore del Do., cioè C.. Quanto al delitto associativo, la sua esistenza doveva ritenersi fuori discussione per l’accertata deliberazione di un programma criminoso avente ad oggetto reati di usura, estorsione, riciclaggio e ricettazione degli assegni provenienti dall’usura; la consumazione dei reati fine; la pluralità degli associati e la frequenza dei rapporti intrattenuti con ripartizione di compiti D. aveva fornito consapevole contributo per il ruolo ricoperto nell’interesse di D. in occasione dell’estorsione in danno di D.C. non potendo la condotta estorsiva ritenersi fatto episodico od occasionale, per come risulta da analogo episodio in danno di D. B.. La circostanza che abbia interagito solo con Do. non esclude la sua consapevolezza del contributo prestato all’intera associazione. Le esigenze cautelari erano ravvisabili sia nel pericolo di inquinamento delle prove che del pericolo di reiterazione in ragione della sua personalità e delle allarmanti modalità dei fatti contestati.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’indagato, che ne ha chiesto l’annullamento per carenza e illogicità della motivazione stante la carenza del requisito della gravita degli indizi esaminati, perchè in maniera apodittica si afferma la prova di condotta continuativa per il recupero dei crediti usurari vantati, correttamente enunciato in ordine alla valenza intimidatrice del comportamento serbato dall’indagato.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al delitto associativo e rinvia per nuovo esame sul capo al Tribunale di Taranto.

Dichiara nel resto inammissibile il ricorso.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

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