Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2011) 25-10-2011, n. 38682

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Svolgimento del processo

1. B.M. propone ricorso avverso il provvedimento dell’8 giugno 2011 con il quale il Tribunale di Milano ha respinto l’appello proposto nei confronti del provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca o modifica dell’ordinanza di custodia cautelare, pronunciato dal gip di quella città.

Si valorizza a fondamento dell’impugnazione la modifica dell’interpretazione dei fatti che inizialmente avevano condotto il gip ad emettere l’ordinanza restrittiva, conducendo successivamente il P.m. a concludere che il denaro oggetto dell’estorsione contestata al ricorrente non fosse di pertinenza di un soggetto terzo, la procedura fallimentare, contrariamente a quanto inizialmente ritenuto, ma dell’odierno appellante, modifica che doveva incidere sulla qualificazione dei fatti come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

A fronte di tali allegazioni, il Tribunale si è limitato a confermare la qualificazione giuridica più grave, dichiaratamente prescindendo dalla dedotta legittimità del credito vantato, mentre si osserva, in senso contrario, che proprio tale elemento di fatto realizza invece il discrimine tra le due ipotesi delittuose.

Si lamenta inoltre che, dallo sviluppo motivazionale dell’ordinanza, si desume l’intervenuta valorizzazione di elementi di fatto, quale la presenza di un mandato conferito da esso ricorrente ad un terzo al fine di riscuotere il credito, totalmente superati dagli accertamenti successivi; si rileva inoltre che nell’impugnazione erano stati posti in dubbio i rapporti pregressi tra B. e F., mentre il Tribunale ha ribadito tale circostanza di fatto fondandola esclusivamente sulle dichiarazioni di P., di cui non è stata valutata neppure l’attendibilità, malgrado risultasse che lo stesso dichiarante aveva contatti illeciti con F. indipendenti da B., circostanza che esigeva una motivazione più stringente;

inoltre lo stesso P. aveva dichiarato che le pressioni operate dal gruppo a suo carico erano dirette ad ottenere altro, non le utilità in favore di B., ed anche rispetto a tale aspetto non è stata sviluppata alcuna motivazione di segno contrario.

Peraltro sul punto, malgrado nell’impugnazione proposta si fosse indicato il diverso senso da attribuire alle dichiarazioni del coindagato P., il Tribunale non ha argomentato alcunchè a riguardo.

2. In ricorso si contesta inoltre la sussistenza della pericoiosità di esso ricorrente, posto che i fatti risalgono a molti anni prima, e non risultano rapporti di sorta tra il gruppo illecito ed il B., nè la consumazione da parte di questi di alcuna attività illecita, mentre si ritiene che il provvedimento non abbia motivato in maniera compiuta sull’attualità del pericolo, reiterando sostanzialmente le argomentazioni già sviluppate in sede di riesame, malgrado la sopraggiunta modifica del quadro di fatto in cui si colloca l’imputazione.

Ritenendo pertanto l’ordinanza affetta da nullità, per difetto di motivazione, si sollecita l’annullamento del provvedimento impugnato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso risulta inammissibile, riproponendo censure in fatto che non possono costituire oggetto della presente fase processuale.

Deve premettersi che, vertendo l’impugnazione su appello proposto avverso il rigetto dell’istanza di revoca o sostituzione della misura, devono considerarsi rilevanti al fine di decidere esclusivamente i fatti nuovi sopraggiunti alla conclusione della fase cautelare con la proposizione del riesame o con la perenzione del termine per proporlo. In relazione a tale scansione temporale l’unico dato nuovo sarebbe quindi l’intervenuto accertamento di una ragione di credito personale da parte di B., che comporterebbe la qualificazione del fatto secondo la meno grave fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

In realtà sul punto il Tribunale ha, sia pur sinteticamente, osservato in maniera corretta che questo solo elemento non è sufficiente a giustificare la diversa qualificazione del fatto, per cui è richiesta razionabilità del credito dinanzi al giudice, situazione difficilmente prospettabile nella specie, ove si fa chiaro riferimento a somme che riguardavano la parte del prezzo della cessione che non risultava dichiarato.

Esclusa la rilevanza dell’elemento di novità dedotto, gli ulteriori motivi sulla base dei quali è stata avanzata la richiesta di revoca della misura, non costituiscono che la riposizione di valutazioni di fatto su circostanze preesistenti, già oggetto della fase cautelare, quale la scarsa credibilità di P., che si ritiene dimostrata con richiamo alle intercettazioni ambientali preesistenti all’imposizione della misura, ed a generiche dichiarazioni rese da terzi, e contrastati con il portato della parte lesa, che non sono in alcun modo indicate o allegate, con conseguente violazione del principio di autosufficienza del ricorso (Sez. 6, Sentenza n. 29263 del 08/07/2010, dep. 26/07/2010, imp. Cavanna Rv. 248192).

Nè può costituire oggetto del presente giudizio la contestata assenza di coerenza interna delle dichiarazioni di P., sulla base delle quali sarebbe stata dichiarata l’autonomia delle pretese economiche della compagine illecita rispetto alle rivendicazioni dell’odierno ricorrente, in quanto, non risulta neppure dedotto che tali affermazioni siano il portato di nuovi elementi forniti dal denunciante dopo l’imposizione della misura, sicchè non risulta dimostrato che tale ricostruzione costituisca il novum richiesto per superare il ed giudicato cautelare (Sez. U, Sentenza n. 26 del 12/11/1993, dep. 27/01/1994, imp. Galluccio Rv. 195806, nonchè successivamente da ultimo Sez. 6, Sentenza n. 7375 del 03/12/2009, dep. 24/02/2010, imp. Bidognetti Rv. 246026).

Anche la diversa chiave di lettura attribuita nell’atto introduttivo alle dichiarazioni del coimputato P. realizza mera prospettazione alternativa della ricostruzione in fatto, per di più inammissibile per il richiamato giudicato.

Analoghe osservazioni devono essere svolte riguardo la confermata valutazione di pericolosità, e la conseguente sussistenza delle esigenze cautelari, fondandosi tale assunto sulla richiamata dimostrazione successiva della insussistenza dei fatti, per quanto detto non ravvisabile, e quanto alle ulteriori argomentazioni, sulla prospettazione dei medesimi rilievi già proposti in sede di riesame.

Conseguentemente, dichiarare l’inammissibilità del gravame, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del grado, nonchè di un importo, ritenuto equo nella misura indicata dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-10-2011) 11-11-2011, n. 41050 Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Questa Corte, con sentenza n. 45542 del 28 ottobre 2010, ha deciso – rigettandolo – il ricorso proposto da T.F. avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona emessa il 13 novembre 2007.

Avverso tale decisione il T. propone ricorso ex art. 625 bis c.p.p. deducendo che la Corte sarebbe caduta in due errori materiali o di fatto, avendo omesso di esaminare sia uno degli aspetti del primo motivo di ricorso, sia l’intero terzo motivo.

Osserva inoltre che costituirebbe ulteriore vizio revocatorio l’omessa dichiarazione dell’intervenuta prescrizione del reato.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il primo motivo di ricorso riguardava un vizio di notificazione verificatosi nel corso del giudizio di primo grado. In particolare, il T. sostiene che costituiva oggetto di censura in sede di legittimità la nullità della notificazione sia del decreto di citazione a giudizio sia dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare e che la Corte avrebbe invece esaminato la questione della notificazione solamente del secondo dei due atti.

La doglianza è formulata in termini oltremodo generici e risulta inammissibile sotto vari profili. Innanzitutto, va rilevata la violazione del principio di autosufficienza del ricorso. Infatti, la mancata allegazione dell’originario ricorso in Cassazione rende impossibile accertare quali fossero le doglianze effettivamente prospettate dal T. innanzi a questa Corte. Le stesse non possono essere ricavate neppure tramite la lettura sentenza che oggi è censurata come erronea: la sentenza parla infatti di "omessa notificazione all’imputato del decreto di fissazione dell’udienza preliminare e dell’udienza che dispone il giudizio" ed è evidente che la frase contiene una incomprensibile ripetizione che rende impossibile ricostruire chiaramente quali fossero le doglianze del T..

Tale incertezza accresce pure a prestar fede al solo ricorso ex art. 625 bis c.p.p.: infatti, il T. parla oggi di "notificazione del decreto di citazione a giudizio" e dello "avviso di fissazione dell’udienza preliminare". Egli fa univoco riferimento agli atti previsti rispettivamente agli artt. 552 e 429 c.p.p.. Sennonchè i due atti sono logicamente incompatibili nel medesimo processo, in quanto il primo ricorre – in alternativa al secondo – quando l’imputato è tratto direttamente a dibattimento dal P.M., anzichè passare attraverso il filtro dell’udienza preliminare. E quindi impossibile che, nell’ambito di un unico procedimento, figurino entrambi gli atti, a prescindere dalla circostanza che la loro notificazione sia viziata o meno.

Allo stato delle superiori considerazioni, non è quindi possibile identificare quale fosse il secondo atto viziato di cui questa Corte avrebbe omesso l’esame. Tali conclusioni impongono, già da sole, di dichiarare in parte qua il ricorso inammissibile.

E’ utile aggiungere, però, che l’argomento impiegato da questa Corte per disattendere le doglianze del T. è applicabile a tutte le notificazioni effettuate nella fase iniziale del processo a suo carico. E’ stato infatti affermato il principio secondo cui le notificazioni effettuate presso il domicilio dichiarato dall’imputato, benchè egli abbia successivamente comunicato una nuova elezione di domicilio, non sono assolutamente nulle, tranne nei casi in cui esse risultino assolutamente inidonee al raggiungimento dello scopo (in astratto o in concreto). Pertanto, dal momento che il vizio è stato denunciato per la prima volta con l’atto d’appello, è stata confermata la statuizione di primo grado che ha ritenuto tardiva l’eccezione.

Consegue che, ove pure fosse vero che il giudizio di legittimità avesse ad oggetto il vizio di notificazione di due distinti atti, e non di uno solo, la sentenza non risulta gravata da un errore materiale di percezione dotato di influenza decisiva nella formazione della volontà del collegio. Piuttosto, in mancanza di diversi elementi forniti dal T., deve concludersi che – al più – la sentenza di questa Corte si sia semplicemente "dimenticata" di chiarire che il principio vale per tutte le notificazioni censurate.

Si tratterebbe, quindi, di un semplice refuso ininfluente.

E appena il caso di aggiungere che le ulteriori censure relative all’esistenza o meno dell’elezione di domicilio, oltre che del tutto indimostrate nel presente giudizio, attengono al merito della decisione (trattandosi di questione ritenuta, in punto di fatto, già dalla corte d’appello) e non valgono come errore materiale della sentenza di legittimità.

La seconda doglianza è ancora più generica della prima. Il T. afferma infatti che la Corte avrebbe "omesso di valutare il terzo motivo di ricorso", in quanto "seppure sfornito di una numerazione progressiva a pag. 4) del ricorso è contenuto un ulteriore motivo che non è stato trattato" (pag. 6). Quale sia il contenuto di questo ipotetico ulteriore motivo di ricorso non è dato però sapere. Solo incidentalmente, a pag. 2 del ricorso ex art. 625 bis c.p.p., fra le premesse di fatto si legge che nel corso del giudizio veniva sollecitato il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. in relazione alla sopravvenuta abrogazione del reato. Se questo fosse davvero il quesito sul quale la Corte avrebbe omesso di pronunziarsi o meno non è possibile accertarlo con certezza, anche perchè il T. ha omesso produzione del ricorso originario e quindi non ha fornito elementi da cui possa ricavarsi il contenuto dell’attuale doglianza. La censura è quindi assolutamente generica ed inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

Potendosi ravvisare elementi di colpa nella presentazione di un ricorso inammissibile, il ricorrente va condannato al pagamento, oltre che delle spese processuali, anche di una somma alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

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Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 05-01-2012, n. 48 Procedimento

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe indicata il T.A.R. Palermo ha accolto il ricorso proposto dalla Società oggi appellata avverso il silenzio tenuto dall’Amministrazione su una richiesta di valutazione di impatto ambientale e rilascio dell’autorizzazione unica alla realizzazione ed esercizio di un impianto fotovoltaico ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387 del 2003.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dalla Amministrazione soccombente la quale ne ha chiesto l’integrale riforma.

Si è costituita la società appellata.

Le parti hanno presentato memorie.

Nella camera di consiglio del 20 ottobre 2011 l’appello è stato trattenuto in decisione per essere definito – come da avviso alle parti – mediante sentenza succintamente motivata.

Risulta dagli atti che la istanza della società è stata sottoposta, dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, alla valutazione della Conferenza di servizi ed è stata positivamente esitata.

Diversamente da come sostiene l’Avvocatura, la pronuncia espressa dell’Amministrazione fa venire radicalmente meno l’interesse della stessa a coltivare un appello proposto nell’ambito del rito del silenzio.

L’appello va quindi dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Ogni altro motivo od eccezione può essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Le spese di questo grado del giudizio sono compensate visto l’andamento del procedimento di autorizzazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Compensa tra le parti spese e onorari di questo grado del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo, il 20 ottobre 2011 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in Camera di Consiglio, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Antonino Anastasi, estensore, Guido Salemi, Pietro Ciani, Alessandro Corbino, Componenti.

Depositata in Segreteria il 5 gennaio 2012.

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T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 14-01-2011, n. 298

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Svolgimento del processo

Con il ricorso introduttivo del giudizio la parte ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe deducendo vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, ed evidenziando quanto segue.

In data 27.9.2000 lo Stato Maggiore della Difesa, con provvedimento prot. n. 182/0940/20.15.4 ha ordinato al Ten. Col. G.V., in servizio presso lo Stato Maggiore della Difesa – Centro Interforze Verifica Armamenti in Roma, di partecipare alla missione all’estero per la costituzione del neo organismo internazionale RACVIAC. L’Ufficiale è stato inviato in regime di missione ordinaria nelle more del passaggio al trattamento di cui alla legge n. 642 del 1961 all’atto della firma del MUO (atto di costituzione formale del Regional Arms Control Verification and Implementation Assistance Center, finalizzato a supportare il processo di stabilizzazione nei Balcani) tra Italia e Croazia. Con provvedimento del 22.12.2001 l’interessato è stato informato del possibile prolungamento della missione. Con successivo provvedimento del 23.10.2001 prot. n. BL/II/2/15981/M.4.2 è stata decretata l’attribuzione dell’indennità speciale ex art. 3, l.n. 642/1961 di 1.800 dollari mensili con decorrenza 2.10.2001. A tale provvedimento, tuttavia, non ha fatto seguito la corresponsione dell’indennità. In data 8.3.2001 è stato è stato firmato l’accordo tra Germania e Croazia con il quale è stato costituito formalmente l’organismo MUO, di fatto già nato nell’ottobre 2000 con l’arrivo in sede del personale militare inviato in missione dalle nazioni aderenti all’iniziativa.

L’Italia, pur avendo aderito sin dall’inizio all’iniziativa – inviando in missione sin dall’ottobre del 2000 il proprio personale militare – solo nel settembre del 2002 ha ratificato il MOU. Ma anche successivamente alla citata ratifica al V. non è stata attribuita alcuna indennità, ivi compresa l’indennità speciale di cui al provvedimento adottato nell’ottobre 2001.

In data 9 ottobre 2002 si è conclusa per il Ten. Col. V. la missione biennale presso l’organismo internazionale RACVIAC. L’Ufficiale è, quindi, rientrato in Italia ed in data 23 maggio 2003 ha notificato all’Amministrazione un atto di diffida chiedendo la corresponsione dell’indennità prevista dalla legge 642/61 per il periodo di servizio 1° ottobre 2000 – 9 ottobre 2002, svolto presso l’organo RACVIAC con sede in Zagabria. Non avendo avuto riscontro, il 7 ottobre 2003 l’interessato ha diffidato la medesima Amministrazione a concludere il procedimento amministrativo avviato con l’istanza del 23 maggio 2003.

In data 24 novembre 2003 è stato notificato al V. il provvedimento prot. n. DGPM/IV/12/143537/10/D.21 datato 24 novembre 2003 con il quale l’indennità speciale di cui all’art. 3 della legge n. 642/61 è stata riconosciuta a decorrere dal 20 settembre 2002, posto che il MOU era stato ratificato solo nel settembre di tale anno.

Ritenendo illegittimo tale provvedimento, l’interessato lo ha impugnato dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

Con successive memorie la parte ricorrente ha argomentato ulteriormente le proprie posizioni.

All’udienza del 17 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione

1. Il Collegio osserva che avverso il provvedimento impugnato il ricorrente, con un articolato motivo di ricorso, ha dedotto i seguenti vizi: violazione e falsa applicazione della legge 8 luglio 1961, n. 642; eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità e contraddittorietà manifesta.

In particolare, il ricorrente, richiamando gli artt. 1, 2 e 3 della citata legge, ha rilevato che l’attribuzione dell’indennità in questione è ancorata al servizio prestato per oltre sei mesi presso "delegazione o rappresentanza militare all’estero’. Nella fattispecie ricorrevano tali condizioni e, quindi, l’Amministrazione avrebbe dovuto corrispondere l’indennità. A nulla, sotto questo profilo, rileva il fatto che l’Italia abbia formalmente ratificato il MOU nel settembre 2002 e, cioè, due anni dopo l’invio in missione dell’Ufficiale, perché le mansioni svolte nel frattempo dal V. sono state le medesime e, con atti ufficiali, sin dall’inizio, l’Amministrazione aveva stabilito che l’indennità sarebbe stata corrisposta (cfr. provvedimenti del 27.9.2000 e 17.10.2001). Risulta, quindi, illegittimo negare la corresponsione dell’indennità sulla base del fatto che la ratifica del MOU da parte dell’Italia sia avvenuta, formalmente, solo nel settembre 2002, in quanto, nella sostanza e con atti concreti, l’Italia aveva condiviso l’iniziativa dal momento del suo avvio, aderendo all’organismo internazionale sin dalla Conferenza di Berlino del 7.7.2000, inviando in missione il V. e dandone atto nel Libro bianco della Difesa del marzo 2002 (anteriore alla ratifica del MOU).

2. L’Amministrazione si è limitata a costituirsi in giudizio senza depositare memorie difensive.

3. Il Collegio ritiene che il ricorso sia parzialmente fondato e debba essere accolto nei limiti e per le ragioni di seguito indicate.

Il trattamento economico del personale dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica destinato isolatamente all’estero presso Delegazioni o Rappresentanze militari ovvero presso enti, comandi od organismi internazionali, all’epoca dei fatti, era disciplinato dalla legge 8 luglio 1961, n. 642 (abrogato ex art. 2268, comma 1, n. 489, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, con la decorrenza prevista dall’art. 2272, comma 1 del medesimo decreto legislativo).

La normativa di riferimento stabiliva che: – il personale militare dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica destinato isolatamente presso Delegazioni o Rappresentanze militari all’estero, per un periodo superiore a 6 mesi, percepisce lo stipendio o la paga e gli altri assegni a carattere fisso e continuativo previsti per l’interno, un assegno di lungo servizio all’estero in misura mensile ragguagliata a 30 diarie intere come stabilito dalle norme in vigore per il Paese di destinazione e le indennità che possono spettare ai sensi delle disposizioni contenute negli articoli e seguenti (art. 1, comma 1); – le disposizioni che precedono si applicano altresì in caso di destinazione all’estero presso enti, comandi od organismi internazionali dai quali non siano corrisposti stipendi o paghe; eventuali particolari indennità o contributi alle spese connesse alla missione, direttamente corrisposti ai singoli dai predetti enti, comandi od organismi, saranno detratti dal trattamento di cui al primo comma dell’articolo 1 (art. 1, comma 2); – l’assegno di lungo servizio all’estero compete dal giorno successivo a quello di arrivo nella sede di servizio all’estero a quello di cessazione dalla destinazione (articolo 2); – al personale di cui all’art. 1 può essere attribuita, qualora l’assegno di lungo servizio all’estero non sia ritenuto sufficiente in relazione a particolari condizioni di servizio, una indennità speciale da stabilirsi nella stessa valuta dall’assegno di lungo servizio all’estero, con le modalità previste dall’art. 27 della legge 26 marzo 1958, n. 361 (articolo 3).

L’interpretazione autentica delle disposizioni relative all’assegno di lungo servizio e all’indennità di cui ai citati articoli 1, 2 e 3 (richiamati dal ricorrente a sostegno delle proprie pretese), è stata fornita con l’art. 39vicies semel, comma 39, del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione 23 febbraio 2006, n. 51, e dell’art. 16, D.L. 17 gennaio 2006, n. 10, i quali stabiliscono che l’articolo 1 del regio decreto 3 giugno 1926, n. 941, gli articoli 1, primo comma, lettera b), e 3 della legge 8 luglio 1961, n. 642, e l’articolo 4, comma 1, lettera a), della legge 27 dicembre 1973, n. 838, si interpretano nel senso che i trattamenti economici ivi previsti hanno natura accessoria e sono erogati per compensare disagi e rischi collegati all’impiego, obblighi di reperibilità e disponibilità ad orari disagevoli, nonché in sostituzione dei compensi per il lavoro straordinario.

Alla luce di tale quadro normativo va considerata la tesi del ricorrente secondo cui egli avrebbe diritto alla corresponsione dell’indennità di cui alla l.n. 642/1961 per il servizio prestato all’estero presso l’organo RACVIAC in Zagabria dal 1.10.2000 al 9.10.2002.

Al riguardo, va anzitutto rilevato che l’Amministrazione non ha contestato che il Regional Arms Control Verification and Implementation Assistance Center (finalizzato a supportare il processo di stabilizzazione nei Balcani) sia qualificabile quale "organismo internazionale" ai sensi della normativa richiamata, in quanto negli stessi atti dello Stato Maggiore della Difesa depositati in giudizio il RACVIAC viene indicato come tale, né è stata contestata, in astratto, la spettanza dell’indennità di cui alla legge n. 642 del 1961.

Ciò che è in discussione è la decorrenza di tale indennità.

Sul punto, a parere del Collegio, la normativa di riferimento va intesa nel senso che l’indennità spetta in presenza di due condizioni: la destinazione del personale militare presso uno dei Soggetti indicati e l’effettivo servizio ivi prestato all’estero per un periodo superiore a 6.

E’ evidente che il primo requisito non è dato né dal semplice invio in missione dell’interessato (come sostiene il ricorrente, indicando la data dell’1°.10.2000), né dalla ratifica del MOU da parte dell’Italia (come sostiene l’Amministrazione, indicando la data del 20.9.2002), ma dalla "costituzione" del RACVIAC.

Il ricorrente ha affermato e l’Amministrazione non ha contestato che l’accordo tra Germania e Croazia relativo al MUO (atto di costituzione formale del Regional Arms Control Verification and Implementation Assistance Center, finalizzato a supportare il processo di stabilizzazione nei Balcani) è stato firmato in data 8.3.2001 e, quindi, è da tale data che l’Amministrazione avrebbe dovuto corrispondere all’interessato l’indennità in questione, posto che in quel momento l’interessato prestava servizio presso la sede estera ivi inviato in missione proprio per la costituzione del neo organismo internazionale RACVIAC (cfr. provvedimento dello Stato Maggiore della Difesa prot. n. 182/0940/20.15.4 del 2000) e considerato che non è in discussione la ricorrenza della seconda della condizioni fissate dalla legge per il riconoscimento del beneficio economico in questione (il prolungamento del servizio per oltre sei mesi).

Prima di tale data, e, cioè, dall’ottobre 2000 e fino alla costituzione del RACVIAC, deve ritenersi che le nazioni aderenti all’iniziativa abbiano inviato in sede il personale militare al fine di collaborare alla costituzione del citato organismo ma, per questo, è stata correttamente corrisposta agli interessati solo l’ordinaria indennità di missione, nelle more del passaggio al trattamento ex l.n. 642/1961 (come emerge dal provvedimento del 22.12.2000).

Risulta, quindi, illegittimo, nei limiti anzidetti, il provvedimento impugnato con il quale è stato riconosciuto al ricorrente il trattamento di cui alla legge n. 642 del 1961 per soli 20 giorni, dalla data di ratifica del MUO (atto di costituzione formale del Regional Arms Control Verification and Implementation Assistenze Center) da parte dell’Italia (avvenuta il 19.9.2002) alla data di cessazione della missione del V. (9.10.2002).

4. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia parzialmente fondato nel senso che il ricorrente ha diritto alla corresponsione dell’indennità di cui alla legge n. 642 del 1961 dall’8.3.2001 e fino al 9.10.2002, fermo restando quanto previsto dal secondo comma dell’art. 1, l.n. 642/1961 circa il fatto che eventuali particolari indennità o contributi alle spese connesse alla missione, direttamente corrisposti ai singoli dagli enti, comandi od organismi di appartenenza, devono essere detratti dal trattamento di cui al primo comma del medesimo articolo.

5. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità della vicenda e alle difficoltà interpretative della disciplina applicabile alla fattispecie – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo accoglie nei limiti indicati in motivazione e, conseguentemente, annulla il provvedimento impugnato;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Silvio Ignazio Silvestri, Presidente

Franco Angelo Maria De Bernardi, Consigliere

Roberto Proietti, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.