Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-10-2011, n. 21408 Opposizione

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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 5 novembre 2007 la Corte d’appello dell’Aquila, confermando la decisione assunta in primo grado dal Tribunale di Vasto, ribadì l’inammissibilità dell’opposizione tardiva proposta, a norma dell’art. 650 c.p.c., dalla società Sinecofin s.p.a. avverso un decreto ingiuntivo emesso il 17 aprile 1999 dal presidente di quel tribunale, che le aveva ingiunto di pagare al Comune di Dogliola la somma di L. 35.500.000, oltre agli interessi ed alle spese processuali.

La corte aquilana ritenne, infatti, che l’opponente non avesse fornito prova idonea di non aver avuto conoscenza del decreto ingiuntivo, a cagione dell’irregolarità della notifica a mezzo posta di tale atto, essendo stato lasciato avviso nella sede della destinataria del deposito dell’atto stesso, poi per due volte restituito al mittente per compiuta giacenza.

Avverso tale sentenza la Sinecofin ha proposto ricorso per cassazione, al quale il Comune di Dogliola ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

E’ giurisprudenza ormai costante di questa corte quella secondo cui, ai fini della legittimità dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, proposta a norma dell’art. 650 c.p.c., non è sufficiente l’accertamento dell’irregolarità della notificazione del provvedimento monitorio, ma occorre anche la prova – il cui onere incombe sull’opponente – che a causa di detta irregolarità l’ingiunto non abbia avuto tempestiva conoscenza del suddetto decreto e non sia stato in grado di proporre una tempestiva opposizione (Cass. 24 ottobre 2008, n. 25737; Cass. 28 settembre 2007, n. 20391;

Sez. un. 22 giugno 2007, n. 14572; Cass. 17 maggio 2007, n. 11515;

Cass. 1 settembre 2006, n. 18943; Sez. un. 12 maggio 2005, n. 9938, ed altre conformi). Detta prova, concernendo un fatto negativo, può essere fornita anche mediante presunzioni, ed è da ritenersi raggiunta tutte le volte che, tenuto conto delle modalità di esecuzione della notificazione e di eventuali altri elementi, si possa ragionevolmente ipotizzare che l’atto non sia pervenuto tempestivamente nella sfera di conoscibilità del destinatario (in tal senso, tra le altre, Cass. n. 18943/06, cit.); ma non può certo esaurirsi nella mera deduzione della nullità della notificazione (Sez. un. n. 9938/05, cit.).

Nel caso in esame, la corte d’appello ha fatto puntuale applicazione di tale principio, rilevando che, se per un verso il non preciso adempimento delle formalità prescritte per il perfezionamento della notifica a mezzo posta in caso di mancato ritiro dell’atto da parte del destinatario effettivamente aveva comportato un’irregolarità della notifica (nozione che, ai fini indicati dal citato art. 650, comprende i casi di nullità della notifica stessa), per altro verso l’opponente, limitandosi a sostenere di avere avuto conoscenza del decreto solo attraverso la notifica del precetto, non aveva in realtà fornito elementi di sorta per dimostrare che dalla suaccennata irregolarità era scaturito un effettivo impedimento della conoscenza tempestiva del decreto. Dalle concrete modalità con le quali la (irregolare) notifica è avvenuta la corte d’appello ha anzi tratto la convinzione dell’inverosimiglianza del fatto che l’ingiunta ne fosse venuta a conoscenza solo all’incirca due anni dopo, in occasione della notifica del precetto; e trattasi di una valutazione immune da vizi logici o errori di diritto, rimessa per il resto al giudice di merito e quindi non censurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 20391/07, cit.).

Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-11-2011, n. 23604 Notificazione degli atti

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Svolgimento del processo

La srl Gestioni Patrimoniale in liquidazione, già IGM 1 srl, propone ricorso per cassazione, illustrato con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Siracusa, ha ritenuto che la cartella esattoriale recante l’iscrizione a ruolo di somme a titolo di IRPEG e ILOR, e di sanzioni e di interessi, all’esito del controllo della dichiarazione per l’anno 1996, era stata notificata tempestivamente alla srl IGM 1 Impresa Generale Manutenzioni srl il 19 settembre 2002, essendo stato consegnato il ruolo al concessionario per la riscossione il 25 maggio 2001.

La notifica della cartella era stata infatti eseguita in un momento in cui il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25 era stato modificato e non erano previsti termini di scadenza per la notifica.

E ciò, considerando che con la L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 9 i termini per il controllo formale delle dichiarazioni presentate per gli anni dal 1994 al 1998 erano stati prorogati al 31 dicembre 2000, e che nella specie i ruoli erano stati formati e resi esecutivi entro tale data.

L’amministrazione non ha depositato controricorso, ma atto di costituzione per l’eventuale partecipazione alla discussione della causa.

La Montepaschi SERIT spa non ha svolto attività nella presente sede.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la contribuente deduce l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle entrate nei confronti della decisione che abbia reso una pronuncia in relazione alla sola tardività della notifica, vizio proprio della cartella, e quindi censura sentenza d’appello che, in assenza di impugnazione del concessionario, non abbia rilevato la mancanza di legittimazione e di interesse ad impugnare dell’Agenzia.

Il motivo è infondato, in quanto "in materia di impugnazione della cartella esattoriale, la tardività della notificazione della cartella non costituisce vizio proprio di questa, tale da legittimare in via esclusiva il concessionario a contraddire nel relativo giudizio. La legittimazione passiva spetta pertanto all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, al quale, se è fatto destinatario dell’Impugnazione, incombe l’onere di chiamare in giudizio l’ente predetto, se non vuole rispondere all’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario" (Cass. n. 22939 del 2007, n. 369 del 2009 e n, 14032 del 2011).

Con il secondo motivo assume che l’allegazione da parte dell’Agenzia di una data di consegna del ruolo al concessionario diversa ("25 maggio 2001") da quella ("nell’anno 2000") dedotta dal contribuente – di guisa da non essere violato il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 nella formulazione successiva all’abrogazione del termine di quattro mesi – sia avvenuta per la prima volta in appello e sia perciò motivo nuovo.

Con il terzo motivo lamenta omessa pronuncia e vizio di motivazione in ordine alle eccezioni concernenti la data della consegna del ruolo e la normativa conseguentemente applicabile.

Con il quarto motivo si duole dell’applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 in relazione alla data dell’effettiva consegna del ruolo al concessionario. La decorrenza dei detto termine di quattro mesi comporterebbe l’inapplicabilità della disciplina transitoria recata dal D.L. n. 106 del 2005, dovendo considerarsi il rapporto esaurito.

In subordine, viene sollevata eccezione di legittimità costituzionale della normativa recata dal "regime transitorio" previsto dal D.L. n. 106 del 2005.

Anche il quarto motivo è infondato, in quanto "il D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1 convertito con modificazioni nella L. 31 luglio 2005, n. 156 – dando seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2005, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25 nella parte in cui non prevedeva un termine di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alle imposte liquidate D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36 bis -, ha fissato, al comma 5-bis, i termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni, ed ha stabilito all’art. 5-ter, sostituendo il comma 2 del D.Lgs. 29 febbraio 1999, n. 46, art. 36 che per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento debba essere notificata, a pena di decadenza, per le dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione: il termine si applica, in mancanza di notifica della cartella di pagamento, qualora sia stato notificato il solo avviso di mora – sul presupposto dell’equivalenza del relativo contenuto -, anche a tale atto. La norma, di chiaro ed inequivoco valore transitorio, trova applicazione, come tale, non solo alle situazioni tributarie, anteriori alla sua entrata in vigore, pendenti presso l’ente impositore, ma anche a quelle ancora "sub iudice" (Cass. n. 4745 e n. 1435 del 2006).

L’esame del secondo e del terzo motivo è conseguentemente assorbito.

Quanto all’eccepita illegittimità costituzionale del regime transitorio del D.L. n. 106 del 2005, il rilievo appare manifestamente infondato, atteso che i termini ivi fissati per il passaggio dal previgente sistema, censurato dal giudice delle leggi per la sua indeterminatezza, a danno delle ragioni di tutela del contribuente, ed il nuovo quadro normativo, anche in relazione ai termini fissati all’amministrazione per l’accertamento, non si palesano come irragionevoli.

Con il quinto motivo la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia da parte del giudice d’appello sulla dedotta mancata instaurazione del contraddittorio, prima dell’iscrizione a ruolo, "prevista a pena di nullità della stessa iscrizione a ruolo" dalla L. 7 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5.

Il Collegio osserva che "alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto" (Cass. n. 2313 del 2010).

Ed in proposito si rileva come questa Corte ha affermato che "in tema di riscossione delle imposte, l’avviso bonario con cui, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5 prima di procedere all’iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione di un tributo risultante da una dichiarazione ovvero nel caso in cui emerga la spettanza di un minor rimborso d’imposta rispetto a quello richiesto, si invita il contribuente a fornire chiarimenti o a produrre documenti mancanti, deve essere inviato dall’amministrazione finanziaria, a pena di nullità, nei soli casi in cui sussistono incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione e non anche se non risulti dall’atto impositivo l’esistenza di incerte e rilevanti questioni interpretative" (Cass. n. 795 del 2011, n. 26316 del 2010).

Vanno pertanto rigettati il primo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso, assorbito l’esame del secondo e del terzo motivo.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso, assorbito l’esame del secondo e del terzo motivo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-03-2011) 13-07-2011, n. 27428 Misure cautelari

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Catania con sua ordinanza resa in sede di riesame e in esito all’udienza camerale del 22/11/2010, ha confermato la ordinanza impugnata che aveva applicato in data 2/11/2010 a V. G., indagato per furto aggravato denunziato il 9/5/2007, la custodia cautelare in carcere.

Il V. propone ricorso per cassazione avverso la ordinanza fin qui menzionata per ottenerne l’annullamento.

All’udienza camerale del 15/3/2011 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

Motivi della decisione

Parte ricorrente denunzia:

illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale in relazione al trascurato decorso del tempo che ha interposto tra la data del fatto addebitato e la emissione della ordinanza cautelare uno spazio tale (oltre tre anni) da eliminare ogni attualità delle esigenze cautelari. La motivazione in concreto articolata avrebbe ignorato la mancanza di attualità della pericolosità dell’indagato e il complessivo affievolimento delle esigenze cautelari, così omettendo ogni motivazione anche in ordine alla adeguatezza della applicazione di misure meno afflittive.

Osserva questa Corte che la attualità e l’importanza delle esigenze cautelari è affidata, nel provvedimento del riesame, alla esistenza di gravi indizi di colpevolezza scaturiti dalle indagini svolte su una impronta papillare rinvenuta sul vetro infranto per entrare nella casa, poi corroborati dalla ammissione dei fatti contestati in sede di interrogatorio davanti al Gip, dalla particolare gravita del fatto costituito dall’accesso, per un furto in abitazione, mediante effrazione e dalla contiguità temporale tra il reato per cui è causa e fatti di rapina in concorso e porto d’armi commessi nel marzo e nel maggio 2007. L’ordinanza di applicazione di misura cautelare è stata adottata dal Gip il 2/11/2010 e dunque il ricorso è anzitutto generico laddove misura la distanza temporale tra data del fatto e applicazione della misura, senza specificare il tempo della raggiunta certezza della responsabilità dell’odierno ricorrente. Si tratta alla evidenza di una dimensione temporale interna al procedimento, che può affievolire a sua volta la rilevanza pur fondamentale, del tempo trascorso dalla commissione del fatto. Ma il dato della distanza cronologica dalla commissione del fatto-reato è uno solo degli elementi che integrano la concretezza e l’attualità delle esigenze cautelari (Cass. Pen. sez. 1 22/3/2005 n. 11518), e qui bene la motivazione impugnata ha dato spazio ad un imponente quadro complessivo che indipendentemente dal decorso di un triennio conserva la attualità e la cogenza delle esigenze cautelari, delle quali il provvedimento impugnato ha ben motivatamente rimarcato la rilevanza capace di conservarsi nel tempo.

Il provvedimento impugnato all’esito della descrizione della rilevanza dei fatti e della formulazione di un giudizio prognostico di reiterazione commisurato su quella rilevanza, ha motivato in ordine alla necessità della misura carceraria come unica idonea a soddisfare le esigenze cautelari e con una tale comparazione assoluta che ha affermato anche l’assenza di capacità di autocontrollo dell’imputato, ha escluso la utilizzabilità di misure cautelari meno afflittive.

Il ricorso è in conclusione infondato in ogni sua parte e deve essere rigettato. Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

Devono essere compiuti a cura della cancelleria gli adempimenti prescritti dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter in considerazione dello stato di detenzione del ricorrente risultante dagli atti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’istituto Penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito nell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-05-2011) 26-07-2011, n. 29876 Violenza sessuale

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – La Corte d’appello, con la sentenza, qui impugnata, ha respinto l’appello proposto da F. e dichiarato inammissibile l’appello incidentale di B..

Entrambi, gli odierni ricorrenti, erano stati condannati, in primo grado per la violazione dell’art. 609 bis e ter c.p..

Più precisamente, a B. sono stati ascritti più episodi (in tempi diversi) di violenza sessuale commessi, da minorenne, in danno della propria sorella M. (minore degli anni 14) nonchè dell’altra sorella, N., minore degli anni dieci (capi a), b) e c)); a F., fratello della madre di M. e N. sono stati ascritti vari episodi analoghi (commessi in un arco di tempo compreso tra il secondo semestre 1996 ed il mese di luglio 1998) in danno della nipotina M. in un’epoca in cui anche F. era minorenne.

Avverso la decisione della Corte, gli imputati hanno proposto ricorso, B., personalmente e F. tramite il difensore, deducendo:

B.:

1) violazione di legge e vizio di motivazione ( art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in rel. all’art. 595 c.p.p.) criticando, cioè, la motivazione dei giudici di secondo grado che hanno ritenuto la inammissibilità dell’appello in quanto avente ad oggetto capi e punti della sentenza diversi da quelli impugnati da F.. Si fa, infatti, notare che l’atto di appello di quest’ultimo ha legato indissolubilmente le due posizioni perchè la valutazione della attendibilità delle due sorelle minori riverbera sulla dichiarazioni di responsabilità anche del B.;

F.:

1) violazione di legge e vizio di motivazione ( art. 606 c.p.p., lett. b), c) d) ed e), in rel. all’art. 192) con riferimento alla valutazione della prova. Muovendo dal rilievo che l’accusa si è basata esclusivamente sulle dichiarazioni delle pp.oo., si fa notare che l’istruttoria dibattimentale non ha dato riscontro alle loro accuse e che le loro parole non sono state valutate adeguatamente in considerazione dell’età, delle condizioni sociali ed emozionali e di tutti i parametri offerti dalla giurisprudenza a riguardo.

Vengono evidenziate alcune discrasie come, ad esempio, l’erronea attribuzione dell’età di 18 anni al F. (che, invece, all’epoca dei fatti ne aveva 15) e si fa notare che l’istruttoria ha acclarato che la presenza della B. in casa dell’imputato era stata sporadica e, comunque, sempre alla presenza della nonna e di F.A. (sorella dell’imputato e madre della minore) che, per parte loro, non avevano confermato le dichiarazioni delle minorenni;

2) violazione di legge e vizio di motivazione ( art. 606 c.p.p., lett. b), c) d) ed e), in rel. all’art. 157 c.p.) in quanto i fatti, alla data della sentenza di secondo grado, erano estinti per prescrizione;

3) violazione di legge e vizio di motivazione ( art. 606 c.p.p., lett. b), c) d) ed e), in rel. all’art. 62 bis c.p.) per eccessività della pena ed ingiustificato diniego delle attenuanti generiche.

Entrambi i ricorrenti concludono invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

2. Motivi della decisione – Il ricorso di B. è manifestamente infondato e, come tale inammissibile.

Questa S.C. si è già espressa chiaramente in ordine all’ambito di estensione dell’appello incidentale precisando che è inammissibile quello che abbia ad oggetto capi della decisione non investiti dall’appello principale.

Ed infatti, secondo la previsione dell’art. 595 c.p.p. esso ha natura eminentemente accessoria rispetto all’impugnazione principale, "con la conseguenza che non può avere ad oggetto capi diversi da quelli investiti dall’appello principale, in quanto, in caso contrario, sarebbe vanificato il sistema dei termini per proporre impugnazione, tassativamente stabiliti a pena di decadenza dal codice di rito" (sez. 6i, 20.6.06, Tarulli, Rv. 234732; conf.: Sez. 5, 22.2.06, Furfaro, Rv. 233982; Sez. 4, 22.4.04, Lattanti, Rv. 228841).

Nella specie, il ricorrente assume che l’elemento che accomuna i ricorsi sarebbe rappresentato dalla necessità di apprezzare, in entrambi, l’attendibilità della p.o..

In realtà, già il semplice fatto, obiettivo, che F. sia chiamato a rispondere del reato di cui al capo d) – che riguarda fatti commessi in epoca del tutto diversa da quelle relative ai reati sub a), b) e c) ascritti al B. – sarebbe prova adeguata ad escludere che il ricorso incidentale di quest’ultimo riguardi gli stessi "capi" di imputazione. In ogni caso, anche ammesso e non concesso che il punto della attendibilità possa considerarsi astrattamente "comune", di certo esso non lo potrebbe essere in concreto per la obiettiva diversità degli episodi sui quali ha riferito la persona offesa (che ben potrebbe essere giudicata attendibile per alcuni fatti e non per altri).

La decisione della Corte di appello di dichiarare inammissibile il ricorso di B. è dunque ineccepibile.

La conseguente declaratoria di inammissibilità anche in questa sede non comporta, tuttavia, condanna al pagamento di spese perchè trattasi di imputato minorenne (s.u. 31.5.00, Radulovic, Rv. 216704).

Per quel che attiene, invece, alle doglianze per F., la infondatezza del primo e del terzo motivo, non può impedire di rilevare che, però, è fondato, ed assorbente, il secondo motivo con cui si sottolinea che il reato ascritto a tale imputato era già prescritto all’epoca della sentenza di secondo grado.

La condanna nei suoi confronti, ribadita con la decisione impugnata, è quindi affetta da violazione di legge che ne impone l’annullamento senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Visto l’art. 615 c.p.p., e segg.;

annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto al reato ascritto al capo d) perchè estinto per prescrizione dichiara inammissibile il ricorso di B..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.