T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 20-09-2011, n. 7443 Annullamento dell’atto in sede giurisdizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti espongono che, nel periodo dal 13 al 19 settembre 2005, la Consob ha effettuato una verifica ispettiva presso B.A. in relazione ai lavori di revisione sul bilancio al 31 dicembre 2004 di G.C. S.p.a., società all’epoca quotata in borsa, la cui relazione di certificazione è stata rilasciata dalla B. il 15 aprile 2005.

Soggiungono che la Consob, in data 4 settembre 2009, ha formulato a B.A. una richiesta di chiarimenti ai sensi dell’art. 162, co. 2, lett. b) e c) TUF e, in data 30 marzo 2010, ha formulato contestazioni ai sensi dell’art. 2, ultimo comma, l. 216/1974 e 10 l. 241/1990 nonché dell’art. 163 TUF.

La Consob, con delibera n. 17697 del 16 marzo 2011, ai sensi dell’art. 163, co. 1, lett. a), d.lgs. 58/1998 (nel testo vigente all’epoca dei fatti), ha intimato alla società di revisione B.A. di non avvalersi nell’attività di revisione del dott. R.S. per un periodo di diciotto mesi dalla data di notifica della delibera.

Di talché la società B.A. ed il dott. R.S. hanno proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi:

Violazione art. 28 l. 689/1981. Carenza di potere. Eccesso di potere per intervenuta prescrizione, mancanza dei presupposti, difetto di motivazione, illogicità manifesta.

Ai provvedimenti sanzionatori di cui all’art. 163, co. 1, lett. b) e c), TUF si applicherebbero le norme dettate dalla l. 689/1981 per le sanzioni amministrative e, in particolare, l’art. 28 che prevede la prescrizione quinquennale del diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni a decorrere dal giorno in cui è stata commessa la violazione.

Il termine di prescrizione quinquennale si applicherebbe in generale a tutti gli illeciti amministrativi, ivi compreso quello contestato ai ricorrenti, tanto più che lo stesso sarebbe oggi sanzionato anche con la sanzione pecuniaria "pura".

Violazione art. 14 l. 689/1981. Eccesso di potere per violazione dei principi del giusto procedimento e di ragionevole durata del procedimento, difetto di istruttoria, illogicità e irragionevolezza manifesta.

Sarebbe stato superato anche il termine previsto dall’art. 14 l. 689/1981, secondo cui la violazione deve essere contestata entro novanta giorni dall’accertamento; il dies a quo dovrebbe essere individuato nel giorno in cui la valutazione avrebbe potuto e, quindi, dovuto essere compiuta.

La giurisprudenza amministrativa valuterebbe la congruità del tempo necessario all’accertamento in ragione della complessità dell’accertamento stesso e, comunque, individuerebbe il dies a quo nel momento in cui l’amministrazione acquisisce piena conoscenza della condotta illecita.

Nel caso di specie, il procedimento sarebbe rimasto quiescente per quattro anni visto che una richiesta di informazioni è stata inoltrata a B.A. solo nel settembre del 2009 e in detta richiesta sarebbero già contenute le censure poi contestate all’interessato.

Violazione art. 2 l. 241/1990. Violazione art. 2, co. 10, l. 216/1974. Violazione dei principi del giusto procedimento e di ragionevole durata del procedimento. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, illogicità ed irragionevolezza manifeste.

La delibera impugnata sarebbe comunque illegittima perché intervenuta dopo la scadenza dei termini procedimentali perentori stabiliti dalla legge per la conclusione del procedimento.

Né potrebbe dirsi rispettato il termine di 360 giorni dall’apertura del procedimento fissato dal regolamento Consob adottato con delibera n. 12697 del 2 agosto 2000, atteso che tale regolamento, nella parte in cui fissa un termine così ampio per la conclusione del procedimento, sarebbe illegittimo sia per contrasto con una norma di legge di rango superiore, quale l’art. 2, co. 10, l. 216/1974, sia perché individua un termine palesemente ed irragionevolmente lungo e superiore a quello di 30 giorni previsto in via generale dall’art. 2 l. 241/1990.

Violazione art. 2 l. 241/1990. Violazione art. 2, co. 10, l. 216/1974. Violazione art. 6 regolamento Consob n. 12697 del 2.8.2000 e ss.mm. Eccesso di potere per violazione del principio della ragionevole durata del procedimento, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità ed irragionevolezza manifeste. Carenza di potere.

La data di avvio del procedimento, in ogni caso, non potrebbe coincidere con la data di contestazione formale del 30 marzo 2011 in quanto dovrebbe farsi riferimento al momento nel quale la Consob ha acquisito piena conoscenza dei fatti oggetto della contestazione.

Collegare l’avvio del procedimento alla formale contestazione degli addebiti consentirebbe alla Consob di formulare nuove richieste di informazioni, strumentali a spostare la data di avvio del procedimento. La data di inizio del procedimento, pertanto, non potrebbe essere la data di formale contestazione degli addebiti, ma dovrebbe coincidere con la data in cui questa sarebbe potuta avvenire, vale a dire con il momento in cui la Consob ha acquisito piena conoscenza dei fatti, per cui, a tutto voler concedere, nel caso di specie, il dies a quo sarebbe il 4 settembre 2009, data in cui ai ricorrenti furono sottoposte richieste di chiarimenti che già contenevano le contestazioni oggetto dell’atto del 30 marzo 2010.

Il procedimento non avrebbe rispettato il principio dell’equa e ragionevole durata.

Eccesso di potere per carenza dei presupposti, illogicità e irragionevolezza manifeste. Difetto assoluto di motivazione e di istruttoria.

L’amministrazione, per poter legittimamente applicare una sanzione dopo un lasso temporale così lungo, avrebbe dovuto dare conto del concreto interesse pubblico attuale, diverso dal mero ripristino della legalità.

Violazione art. 163, co. 1, d.lgs. 58/1998. Errata applicazione del principio di revisione. Documento n. 500 par. 2, 3, 7 e 10 anche in riferimento ai principi del documento n. 230 par. 7, 10, 11, 27 e 28a e al principio contabile n. 23, in relazione agli slittamenti SIL/SAL nonché al documento n. 620 par. 6 in relazione alle "riserve". Incongruenza tra contestazioni e sanzione. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità manifesta, travisamento dei fatti.

Nessun principio di revisione prescriverebbe la verifica fisica nei cantieri.

Il controllo sulla regolarità della tenuta delle scritture contabili avrebbe la funzione di verificare che nelle stesse sia stata correttamente effettuata la trasposizione dei documenti evidenzianti i fatti di gestione; il revisore non sarebbe tenuto a verificare "mattone per mattone" la veridicità e l’esattezza delle attestazioni sulla produzione rilasciate dai responsabili di commessa.

L’esiguità della percentuale delle riserve iscritte nel bilancio 2004 troverebbe conferma nella prassi e costituirebbe una corretta applicazione dei principi vigenti in materia e, in particolare, di quelli estrinsecati nel principio contabile n. 23.

Violazione art. 163, co, 1, d.lgs. 58/1998. Errata applicazione principio di revisione documento n. 500 in relazione al "fondo rimanenze". Incongruenza tra contestazioni e sanzione. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione. Illogicità manifesta, travisamento dei fatti.

La Consob, nelle contestazioni, si sarebbe doluta della non congruità del fondo svalutazione rimanenze in base ad evidenze ricavate dal foglio E30 delle carte di lavoro, ma non vi sarebbe corrispondenza tra contestazione e sanzione.

Violazione art. 163, co, 1, d.lgs. 58/1998. Errata applicazione principio di revisione documento n. 500 par. 2, documento n. 505 par. 9, 11, 32 e 36, documento n. 501, par. 31 in relazione agli swap. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione. illogicità manifesta, travisamento dei fatti.

L’importo su cui sarebbe nata la contestazione non sarebbe significativo sul bilancio di un’impresa delle dimensioni di Garboli.

Violazione art. 163, co. 1, d.lgs. 58/1998. Eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità, ed irragionevolezza manifesta. Incongruità palese della sanzione. Violazione del principio di proporzionalità della sanzione. Violazione del principio di retroattività della sanzione più favorevole.

Il provvedimento sarebbe comunque illegittimo nella parte in cui determina il tipo e l’entità della sanzione da applicare ai ricorrenti.

La Consob, con analitica memoria, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.

Le parti hanno prodotto altre memorie a sostegno ed illustrazione delle rispettive ragioni.

All’udienza pubblica del 13 luglio 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1. La Consob, con delibera n. 17697 del 16 marzo 2011, ai sensi dell’art. 163, co. 1, lett. a), d.lgs. 58/1998 (nel testo vigente all’epoca dei fatti), ha intimato alla società di revisione B.A. di non avvalersi nell’attività di revisione del dott. R.S. per un periodo di diciotto mesi dalla data di notifica della delibera.

Il provvedimento è stato adottato:

vista la relazione di revisione rilasciata, senza rilievi, il 15 aprile 2005 dal dott. R.S. (partner responsabile dei lavori di audit per conto della società B.A. s.r.l.), sul bilancio di esercizio al 31 dicembre 2004 di G.C. s.p.a.;

considerato che, nell’ambito dell’attività di vigilanza condotta dalla Consob, è stata effettuata, nel periodo dal 13 al 19 settembre 2005, una verifica ispettiva presso B.A. s.r.l. al fine di acquisire la documentazione dei lavori di revisione svolti sul bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2004 di G.C. s.p.a.;

vista la nota del 18 settembre 2009, con la quale B.A. s.r.l., facendo seguito ad una richiesta di comunicazione formulata, ai sensi dell’art. 162, co. 2, lett. b) e c), d.lgs. 58/1998, dalla Divisione EmittentiUfficio Controlli Societari, ha fornito chiarimenti con riferimento ai lavori di revisione sul bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2004 da G.C. s.p.a.;

viste le lettere di contestazione del 30 marzo 2010 con le quali, in esito all’attività di vigilanza complessivamente svolta, la Divisione EmittentiUfficio Controlli Societari ha contestato alla B.A. s.r.l. e al dott. R.S., ai sensi dell’art. 163 d.lgs. 58/1998, (nel testo vigente all’epoca dei fatti), la non conformità, con riferimento ai lavori di revisione sul bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2004 da G.C. s.p.a., a determinati principi di revisione.

2. Il ricorso è fondato e va di conseguenza accolto.

Il Collegio ritiene fondate le censure relative alla eccessiva ed irragionevole durata del procedimento.

In particolare, è fondata la doglianza con cui è stata dedotta la violazione dell’art. 14, co. 2, l. 689/1981, secondo cui gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni dall’accertamento.

L’art. 12 della stessa legge stabilisce che le disposizioni del capo I, di cui fa parte l’art. 14, si osservano, in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale; specifica altresì che tali disposizioni non si applicano alle violazioni disciplinari.

La Consob ha eccepito che la norma di cui all’art. 14 l. 689/1981, così come quella di cui all’art. 28 della stessa legge, non sarebbe applicabile al caso di specie sia perché la sanzione impugnata ha natura interdittiva e non prevede il pagamento di una somma di denaro sia perché la sanzione di cui all’art. 163, co. 1, del TUF è prevista a fronte di violazioni di carattere disciplinare.

Il Collegio, invece, ritiene che un’interpretazione sistematica dell’art. 14 l. 689/1981 consenta di ritenere che lo stesso sia applicabile anche alla fattispecie in esame.

In primo luogo, occorre considerare che se, all’epoca dei fatti, le misure previste dall’art. 163 d.lgs. 58/1998 erano di carattere esclusivamente interdittivo, non essendo previste sanzioni amministrative pecuniarie, la c.d. legge sul risparmio, vale a dire la legge 28 settembre 2005, n. 262, ha sostituito l’originario primo comma dell’art. 163, stabilendo che la Consob, quando accerta irregolarità nello svolgimento dell’attività di revisione, tenendo conto della loro gravità, può:

a) applicare alla società di revisione una sanzione amministrativa pecuniaria da diecimila a cinquecentomila euro;

b) intimare alle società di revisione di non avvalersi nell’attività di revisione contabile, per un periodo non superiore a cinque anni, del responsabile di una revisione contabile al quale sono ascrivibili le irregolarità;

c) revocare gli incarichi di revisione contabile ai sensi dell’articolo 159, comma 6;

d) vietare alla società di accettare nuovi incarichi di revisione contabile per un periodo non superiore a tre anni.

L’adozione dei principi di legalità, irretroattività e di divieto di applicazione dell’analogia di cui all’art. 1 l. 689/1981 comporta l’assoggettamento del comportamento illecito alle legge del tempo in cui il fatto è stato commesso, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore, anche se eventualmente più favorevole.

Tuttavia, non sussiste dubbio che, a far tempo dal 12 gennaio 2006, data di entrata in vigore della l. 262/2005, l’art. 163, co. 1, del TUF prevede, in alternativa, la possibile adozione di sanzioni pecuniarie o interdittive, il che vuol dire che, accedendo alla tesi dell’amministrazione resistente, si perverrebbe alla non accettabile conclusione che la stessa, nello scegliere quale delle sanzioni applicare, può unilateralmente e discrezionalmente determinare l’applicabilità o meno alla sua azione della disciplina contenuta nelle norme di cui agli artt. 14 e 28 l. 689/1981.

Il Collegio, viceversa, è dell’avviso che una corretta interpretazione dell’art. 12 l. 689/1981 porta a ritenere come, per tutte le violazioni per le quali è prevista la possibile applicazione di una sanzione pecuniaria, anche quindi quando tale sanzione sia alternativa a sanzioni interdittive, debbano applicarsi le disposizioni del capo I della legge e, quindi, anche quelle contenute negli artt. 14 e 28 l. 689/1981.

Di talché, mentre, essendo stati i fatti commessi nei primi mesi del 2005 (la relazione di revisione è stata rilasciata senza rilievi dal dott. Simonetti il 15 aprile 2005 sul bilancio di esercizio al 31 dicembre 2004 di G.C. s.p.a.), la Consob non avrebbe comunque potuto applicare una sanzione pecuniaria in quanto a suo tempo non prevista dalla legge, non sussistono ragioni per escludere che, a decorrere dal 12 gennaio 2006 (data di entrata in vigore della l. 262/2005, che ha sostituito l’art. 163, co. 1, d.lgs. 58/1998), avendo la norma di legge previsto la possibile irrogazione di una sanzione pecuniaria, si applicano le disposizioni di cui al capo I della l. 689/1981 e, quindi, anche l’art. 14 di tale legge per tutti i procedimenti sanzionatori per i quali gli estremi della violazione non siano stati ancora contestati.

Né a tale opzione interpretava può ostare, in quanto non condivisibile, la considerazione che le violazioni attribuite al dott. Simonetti hanno natura disciplinare.

La Sezione, infatti, ha già avuto modo di chiarire come la sanzione irrogata con il provvedimento impugnato opera su un piano distinto rispetto a quella disciplinare irrogata dal Ministero della Giustizia su proposta della Commissione per i revisori contabili, atteso che ha come destinataria immediata la società di revisione, alla quale è precluso di avvalersi, nell’attività di revisione e certificazione, delle persone alle quali sono ascrivibili le irregolarità, e solo in via mediata a queste ultime, alle quali non è inibito lo svolgimento di altre attività nella stessa o in altre società ovvero l’esercizio autonomo della professionalità di cui siano eventualmente dotate (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, I 9 maggio 2006, n. 3367).

Lo scopo della specifica sanzione interdittiva è quello di tutelare, da un lato, la credibilità delle società di revisione, costringendole ad utilizzare, sia pure per un periodo di tempo determinato, revisori diversi da quelli incorsi in irregolarità, dall’altro, l’affidabilità dei bilanci certificati che risulterebbe minata in radice dal sospetto di certificazioni compiacenti, per cui tale sanzione non consiste esclusivamente in una punizione del soggetto ritenuto colpevole (cfr. Cons. St., VI, 10 luglio 2002, n. 3845 richiamata dalla citata sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, I, 3367/2006).

Pertanto, escluso il carattere disciplinare della violazione e, quindi, della sanzione, l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 14 l. 689/1981 determina inevitabilmente l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto risulta violato il termine perentorio, stabilito dal secondo comma, di novanta giorni dall’accertamento del fatto per la contestazione degli addebiti.

In proposito – pur evidenziando che il momento dell’accertamento non coincide né con la data di consumazione della violazione, né con la mera percezione del fatto, ma con il compimento di tutte le indagini volte ad acquisire la piena conoscenza del fatto che siano ritenute necessarie da parte degli organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa inflitta nel caso concreto e, quindi, pur aderendo all’orientamento secondo cui il dies a quo del termine per la notifica degli estremi della violazione deve essere inteso come comprensivo del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti agli elementi oggettivi e soggettivi dell’infrazione – il Collegio ritiene che detto termine non possa essere discrezionalmente ed unilateralmente dilatato ma debba essere ancorato ad un momento storico in cui l’amministrazione, in un tempo ragionevole, aveva concretamente espletato gli opportuni accertamenti.

Nel caso di specie, non è logicamente ipotizzabile, che, effettuata dalla Consob una verifica ispettiva presso B.A. dal 13 al 19 settembre 2005 al fine di acquisire la documentazione dei lavori di revisione svolti sul bilancio di esercizio al 31 dicembre 2004 da G.C. s.p.a., l’accertamento dei fatti possa considerarsi compiuto soltanto in una data compresa nei novanta giorni antecedenti alla data del 30 marzo 2010, in cui è stata inoltrata la lettera di contestazione.

Né possono assumere rilievo, a fronte di un così lungo intervallo temporale (circa quattro anni e mezzo tra la verifica ispettiva e la contestazione degli addebiti), le considerazioni che l’attività istruttoria condotta negli ultimi mesi del 2005 è stata svolta da uffici diversi da quelli incaricati della vigilanza sui revisori e che le due attività, verifica della correttezza del bilancio finalizzata alla sua impugnazione e verifica della regolarità del comportamento del revisore, siano diverse e compiute in tempi distinti, atteso che comunque si tratta di attività istituzionali svolte da unità organizzative della stessa Autorità, tra le quali dovrebbe quantomeno sussistere un flusso informativo idoneo a mettere in condizione l’organo di vigilanza sui revisori di agire con una certa tempestività.

Peraltro, anche ove volesse ritenersi che alla misura interdittiva applicata dalla Consob non fosse specificamente applicabile il termine di cui all’art. 14, co. 2, l. 689/1981, il provvedimento risulterebbe comunque illegittimo in quanto il procedimento non ha rispettato il principio, immanente al sistema, della sua ragionevole durata.

In particolare, ove si volesse ritenere che la sanzione irrogata ha natura disciplinare, la stessa Corte costituzionale, sia pure nell’ambito dei procedimenti disciplinari a carico di lavoratori dipendenti, con sentenza n. 109 del 1991, ha fatto presente che l’orientamento della Corte si è evoluto in uno sviluppo coerente e dall’iniziale affermazione che esigenze di civiltà giuridica richiedono che l’azione disciplinare "deve essere promossa senza ritardi ingiustificati, o peggio arbitrari, rispetto al momento della conoscenza dei fatti cui si riferisce" (sentenza n. 145 del 1976) è approdata a più pregnanti puntualizzazioni allorché ha ritenuto che "la sperimentabilità sine die del procedimento disciplinare costituisce di certo un eccesso di tutela del prestigio"… "cedevole a fronte delle garanzie dovute al singolo (sentenza n. 1128 del 1988); tali garanzie- ha ulteriormente precisato la Corte (nella sentenza n.264 del 1990)- "costituiscono espressione di un principio generale ricollegabile all’esigenza che i procedimenti disciplinari abbiano svolgimento e termine in un arco di tempo ragionevole, onde evitare che il pubblico dipendente rimanga indefinitivamente esposto alla irrogazione di sanzioni disciplinari".

Da ultimo la Corte, nel ribadire il "principio di una sollecita definizione della posizione dell’incolpato" ha enucleato un vero e proprio "diritto alla decisione" (ricadente peraltro nell’ambito della copertura costituzionale garantita dall’art. 24 Cost.).

D’altra parte, l’art. 103, co. 2, d.P.R. 3/1957, testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, stabilisce espressamente che per i fatti non punibili con la sanzione della censura, l’amministrazione contesta "subito" gli addebiti all’impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni.

La ratio sottostante alla esigenza della rapida contestazione degli addebiti al soggetto destinatario degli stessi è mutatis mutandis presente in qualunque ipotesi di procedimento disciplinare e quindi, eventualmente, anche al di fuori del rapporto di impiego, sicchè, anche ove volesse ritenersi che la sanzione irrogata abbia carattere disciplinare, con conseguente non applicazione dell’art. 14 l. 689/1981, il provvedimento nondimeno sarebbe illegittimo per avere violato il principio di ragionevole durata del procedimento.

Il Collegio, in proposito, fa in ogni caso presente che, a prescindere dalla concreta applicabilità alla fattispecie dell’art. 14 l. 689/1981 e dalla qualificazione della natura della sanzione irrogata, tra i principi generali dell’attività amministrativa, enunciati e desumibili dagli artt. 1 e 2 l. 241/1990, è ricompreso anche il principio della ragionevole durata del procedimento e, a fronte di un’attività svolta nel 2005, è senz’altro irragionevole che il relativo procedimento, volto ad accertare la regolarità del comportamento del revisore, si sia concluso nel 2010.

Il principio della ragionevole durata del procedimento, insomma, non può tollerare che per il suo avvio l’amministrazione competente rimanga inerte per un considerevole intervallo temporale, pari, nel caso di specie, a circa quattro anni (dalla verifica ispettiva condotta nel settembre 2005 alla richiesta di comunicazioni del settembre 2009).

Ne consegue che, nella fattispecie in esame, si rivela fondata anche la relativa censura.

3. La fondatezza delle indicate censure comporta, assorbite le ulteriori doglianze, la fondatezza del ricorso ed il suo accoglimento e, per l’effetto, l’annullamento della delibera Consob n. 17697 del 16 marzo 2011.

4. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in Euro 3.000,00 (tremila,00), sono poste a carico dell’amministrazione resistente ed a favore, in parti uguali, dei ricorrenti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla la delibera Consob n. 17697 del 16 marzo 2011.

Condanna la Consob al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in Euro 3.000,00 (tremila,00), in favore, in parti uguali, dei ricorrenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-07-2011) 26-09-2011, n. 34840

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza del 16-4-2010 la Corte d’Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza 29-11-2007 del Tribunale di Mistretta, riconosceva la responsabilità di F.G. per i reati di minaccia, violazione di domicilio aggravata, lesioni personali e porto ingiustificato di coltello.

La pronuncia era basata sulle dichiarazioni delle persone offese Fi.Gi. e D.M.P., ritenute attendibili e confermate dalla certificazione medica delle lesioni patite dalla D. M., nonchè, circa il movente (rappresentato dal fatto che il prevenuto riteneva le pp.oo. responsabili di furto di ovini ai suoi danni), dalla testimonianza di C.G..

Ricorre F. tramite il difensore avv. Giuseppe Francesco Scillia con sei motivi.

1) Vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 2, lett. c, d, in relazione alla ritenuta utilizzabilità della trascrizione della registrazione della telefonata tra le pp.oo e C. benchè eseguita dalla PG con proprie attrezzature, pur nella consapevolezza di uno dei due interlocutori.

2) Erronea valutazione e travisamento del risultato delle testimonianze delle pp.oo., ritenute convergenti ed attendibili, mentre sono contraddittorie, tra loro discordanti e in contrasto con le altre risultanze (come risulterebbe dalla dettagliata analisi comparata, eseguita attraverso citazioni testuali). Mancata assunzione di prova decisiva rappresentata dalla perizia per la trasposizione in italiano della telefonata in dialetto siciliano, e dall’accertamento se F. avesse all’epoca denunciato un furto di agnelli (la negatività di tale accertamento deporrebbe per l’assenza del movente ritenuto nelle sentenze di merito).

3) Mancata valutazione di prove decisive a discarico (sul punto dell’autovettura di proprietà dell’imputato, che non corrisponde a quella usata la sera dei fatti, e sull’ubicazione dell’azienda zootecnica del F.).

4) Violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi dei reati.

5) Mancanza di motivazione in ordine al giudizio di equivalenza, e non di prevalenza, delle attenuanti generiche, e in ordine alla determinazione della pena base.

6) Mancanza di motivazione in ordine alle statuizioni civili.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso dovendo peraltro rilevarsi l’intervenuta prescrizione, già prima della sentenza di secondo grado, del reato sub e), che determina l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata sotto tale limitato profilo e l’eliminazione della pena relativa. 1) Le censure di cui al primo motivo, al di là della valutazione della loro possibile fondatezza, sono irrilevanti in quanto il contenuto della telefonata registrata, di cui era stata effettuata la trascrizione con perizia disposta dal primo giudice, non è stato di fatto utilizzato ai fini della decisione, nè nella sentenza di primo nè in quella di secondo grado, che pure ne ha ritenuto l’utilizzabilità. 2) Il secondo motivo, dietro la prima, apparente, censura di travisamento della prova, è per contro totalmente ed esclusivamente incentrato sulla prospettazione di una ricostruzione alternativa degli esiti delle testimonianze delle persone offese, a fronte della plausibile e logica interpretazione offertane dai giudici di merito, con il sostegno della certificazione medica delle lesioni patite dalla D.M., nonchè, circa il movente della condotta del prevenuto (verosimilmente rappresentato dal fatto che questi riteneva le pp.oo. responsabili di furto di ovini ai suoi danni), della testimonianza di C.G.. Infatti il ricorrente, pur deducendo il vizio di cui sopra, porta argomenti che si pongono invece come censura sul significato e sulla interpretazione dei dati acquisiti, non prospettabile in questa sede, essendo estraneo al giudizio di legittimità ogni discorso meramente confutativo del significato della prova, e della sua capacità dimostrativa: ogni censura, cioè, con la quale si prospetti, in via di mera contrapposizione dialettica, l’esistenza di argomenti che attengono alla plausibilità della valutazione compiuta dai giudici del merito.

D’altra parte nessun brano di verbalizzazione (quali gli stralci delle testimonianze delle pp.oo. riportati nel ricorso), per quanto significativo, può essere interpretato fuori del contesto in cui è inserito, che questa corte non conosce e non può valutare.

A diversamente ritenere, si trascurerebbe che gli aspetti del giudizio interni all’ambito della discrezionalità nella valutazione degli elementi di prova e degli apprezzamenti del fatto, attengono interamente al "merito", e non ai possibili vizi del percorso formativo del convincimento, i soli rilevanti in questa sede.

Il secondo profilo di doglianza, relativo alla mancata assunzione di prova decisiva -la perizia per la trasposizione in italiano della telefonata in dialetto siciliano e l’accertamento se F. avesse all’epoca denunciato un furto di agnelli (la negatività del quale deporrebbe per l’assenza del movente ritenuto nelle sentenze di merito)-, è, sotto il primo aspetto, a parte ogni altra considerazione, irrilevante per non essere stato utilizzato, ai fini della decisione, il contenuto della telefonata, infondato sotto il secondo, avendo la corte territoriale argomentato, con motivazione logica, circa l’irrilevanza, in ordine al movente della condotta, della eventuale negatività di tale accertamento, in quanto F. potrebbe aver preferito non denunciare il furto di ovini subito.

3) Quanto all’asserita mancata valutazione di prove decisive a discarico (la mancata corrispondenza dell’autovettura di proprietà dell’imputato a quella usata la sera dei fatti, e l’ubicazione dell’azienda zootecnica del F.), si osserva che, mentre la corte territoriale ha puntualmente risposto sulla prima questione, già oggetto dei motivi d’appello, rilevando che non poteva escludersi che per la spedizione punitiva l’imputato si fosse servito dell’autovettura di altri (conclusione resa tra l’altro plausibile dalla circostanza che era accompagnato da un terzo, rimasto non identificato), la seconda appare di non chiara rilevanza, non avendo le decisioni di merito fatto leva su una diversa ubicazione dell’azienda.

4) Sul punto della violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi dei reati (fatta eccezione per il reato sub a, per quale e intervenuta assoluzione in secondo grado), va rilevato che il motivo costituisce reiterazione di analoga doglianza già prospettata con i motivi d’appello, a fronte di congrua ed esauriente motivazione dei giudici di primo e secondo grado. Il reato sub e) è peraltro colpito, come già ricordato, dalla causa estintiva della prescrizione.

5) e 6) Manifestamente infondato il quinto motivo del ricorso avendo la corte adeguatamente motivato, attraverso il richiamo alle caratteristiche dei fatti – spedizione notturna ai danni di persone immerse nel sonno, in una casa in cui si trovavano dei bambini – e alla personalità del prevenuto, censurato, la conferma del trattamento sanzionatorio, mentre è del tutto generico il sesto, con il quale si contesta la causazione di un danno.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo e) per essere il reato estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di giorni quindici di reclusione; rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, Sent., 08-11-2011, n. 618

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’attuale ricorrente gestisce da tempo una rivendita di generi di monopolio ed una ricevitoria del lotto nel Comune di L’Aquila.

L’Ufficio regionale AAMS di Pescara, avendo rilevato che la raccolta delle giocate del lotto era inferiore in un biennio al limite annuo stabilito dall’art. 4 del decreto direttoriale 12 dicembre 2003, così come modificato dal decreto direttoriale 16 maggio 2007 (pari ad Euro 25.530,53 all’anno), ha dato comunicazione all’interessata dell’avvio del procedimento di revoca della concessione.

Una volta ricevute le controdeduzioni dell’interessata, con le quali era stato fatto riferimento all’evento sismico verificatosi nel Comune, il Direttore della Sezione distaccata di Pescara dell’AAMS con provvedimento 20 gennaio 2011, n. 2223/VIII, ha disposto la revoca della ricevitoria del lotto in quanto gli incassi realizzati dalla ricevitoria negli anni 2008 e 2009 erano stati di gran lunga inferiori a quelli minimi richiesti. In particolare, con tale atto si è testualmente rilevato che le circostanze evidenziate non erano suscettibili di accoglimento in quanto "non afferiscono ad oggettivi, provati e documentati impedimenti alla raccolta del gioco del lotto, bensì vengono puramente ed esclusivamente legate ed imputate a motivi di forza maggiore dipendenti dall’evento sismico verificatosi nel Comune di L’Aquila e paesi limitrofi il 6 aprile 2009, che non possono essere ritenute, nel caso di specie, motivazioni pertinenti al fine dì assicurare il mantenimento in vita della concessione stessa". Ha, inoltre, messo in evidenza che le somme riscosse era inferiori al minimo previsto relativamente all’esercizio finanziario 2008 ed nei primi mesi del 2009 "non interessati dall’evento sismico".

Con il ricorso in esame l’interessata è insorta dinanzi questo Tribunale avverso tale atto, deducendo le seguenti censure:

1) che nessuna norma di legge (ed, in particolare, l’art. 33 della L. 724/94) prevede un incasso minimo annuale che ciascun punto di raccolta deve raggiungere, pena la revoca della concessione;

2) che era stato violato il principio di tutela dell’affidamento in quanto nella concessione della ricorrente non era riportata tale condizione limitativa;

3) che la motivazione posta a base dell’atto impugnato era illogica ed ingiusta in presenza di un impedimento quale quello derivante dal terremoto;

4) che tale motivazione, peraltro, contrastava anche con la circolare del 23 aprile 2006 della Direzione Generale dell’AAMS, che considerava quali esimenti, tra l’altro, la "chiusura della ricevitoria per causa di forza maggiore" o "eventi temporanei che abbiano provocato un temporaneo sviamento dei normali flussi di clientela", con obbligo per gli Uffici Regionali di informare Direzione Generale.

Tali doglianze la parte ricorrente ha ulteriormente illustrato con memoria depositata l’8 settembre 2011.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito, depositando in giudizio oltre a tutti gli atti del procedimento anche una analitica relazione dell’Amministrazione in ordine alle censure dedotte.

Alla pubblica udienza del 20 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta a decisione.

Motivi della decisione

L’impugnato provvedimento con il quale il Direttore della Sezione distaccata di Pescara dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato ha disposto la revoca della ricevitoria del lotto n. AQ338 è testualmente motivato con riferimento alla seguente testuale considerazione:

"Viste e valutate le controdeduzioni prodotte e ritenuto che le circostanze addotte dalla S. V. non siano suscettibili di accoglimento in quanto non afferiscono ad oggettivi, provati e documentati impedimenti alla raccolta del gioco del lotto, bensì vengono puramente ed esclusivamente legate ed imputate a motivi di forza maggiore dipendenti dall’evento sismico verificatosi nel Comune di L’Aquila e paesi limitrofi il 6 aprile 2009, che non possono essere ritenute, nel caso di specie, motivazioni pertinenti al fine dì assicurare il mantenimento in vita della concessione stessa, atteso che gli incassi realizzati dalla ricevitoria lotto in questione negli anni 2008 e 2009 sono stati di gran lunga inferiori a quelli minimi richiesti considerato peraltro che, anche con riferimento all’esercizio finanziario 2008, di pieno funzionamento non interessato dall’evento sismico, l’incasso realizzato è stato pari Euro 20.897,50 (contro Euro 25.530,53 di incasso minimo consentito) e quello relativo all’esercizio finanziario 2009…. pari ad Euro 6.103,00".

In estrema sintesi, con l’atto impugnato è stata disposta la revoca in quanto gli incassi realizzati dalla ricevitoria negli anni 2008 e 2009 erano stati inferiori a quelli minimi richiesti; mentre si è ritenuto che l’evento sismico verificatosi nel Comune di L’Aquila e paesi limitrofi il 6 aprile 2009 non costituiva da solo un "oggettivo, provato e documentato impedimenti alla raccolta del gioco del lotto", anche in relazione al fatto che le somme riscosse erano inferiori al minimo previsto relativamente all’esercizio finanziario 2008 ed nei primi mesi del 2009 "non interessati dall’evento sismico".

Tale ricorso, va subito precisato, è fondato.

Va al riguardo premesso che relativamente alla controversia in questione sussiste la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo in quanto l’ordinamento riserva allo Stato il gioco del lotto, per cui la relativa gestione deve essere considerata un "pubblico servizio" ed i concessionari delle ricevitorie debbono essere considerati, a loro volta, gestori di un pubblico servizio (cfr. T.A.R. Sicilia, sede Palermo, sez. I, 21 dicembre 2009, n. 2163, e nello stesso senso T.A.R. Abruzzo, sede L’Aquila, 26 ottobre 2010, n. 716); per cui trattandosi di controversia rientrante nella giurisdizione esclusiva non appare rilevante, ai fini del decidere, la qualificazione della posizione giuridica soggettiva della ricorrente (se sia cioè di diritto soggettivo o di interesse legittimo).

Ciò detto, può prescindersi dall’esaminare le questioni proposte con i primi due motivi di ricorso – in ordine alle quali, come è noto, la giurisprudenza amministrativa non ha assunto un atteggiamento univoco (cfr. a favore della tesi della ricorrente, da ultimo, T.A.R. Abruzzo, sede L’Aquila, 26 ottobre 2010, n. 716, e TAR Puglia, sede Bari, sez. II, 27 ottobre 2008, n. 2390; contra e più di recente TAR Lazio, sede Roma, sez. II, 12 aprile 2011, n. 3198), in quanto appaiono al Collegio fondate le censure dedotte con il terzo e con il quarto motivo di gravame.

Con tali censure, come già sopra precisato, la ricorrente si è nella sostanza lamentata del fatto che la motivazione posta a base dell’atto impugnato era illogica ed ingiusta in presenza di un impedimento quale quello derivante dal terremoto e che tale motivazione contrastava anche con la circolare del 23 aprile 2006 della Direzione Generale dell’AAMS, che aveva considerato, quali esimenti al mancato raggiungimento nel biennio del predetto incasso minimo, tra l’altro, la "chiusura della ricevitoria per causa di forza maggiore" o "eventi temporanei che abbiano provocato un temporaneo sviamento dei normali flussi di clientela".

Ritiene il Collegio che tali censure siano fondate in quanto, contrariamente a quanto ipotizzato dall’Amministrazione, l’evento sismico che ha interessato il Comune in cui ha sede la ricevitoria in questione per la sua forza e per la sua rilevante capacità distruttiva costituisce, di certo, un evento che ha provocato un "temporaneo sviamento dei normali flussi di clientela".

Né appare al riguardo rilevante la circostanza, pure evidenziata nell’atto impugnato, secondo cui dell’esercizio finanziario 2008 ed nei primi mesi del 2009 "non interessati dall’evento sismico" non si era raggiunto l’incasso previsto.

Basta, invero, opporre al riguardo che i decreti direttoriali sopra ricordati, che hanno disciplinato la materia, hanno tutti fatto riferimento agli introiti prodotti dalla ricevitoria nel "biennio", intendendo con ciò precisare che dalla insufficiente produzione del reddito in un anno o in alcuni mesi non può farsi discendere alcune conseguenza pregiudizievole nei confronti del concessionario. In altri termini, una sanzione così grave, come quella della revoca, avrebbe potuto, in ipotesi, essere comminata sono a seguito di una insufficiente raccolta delle giocate per un "biennio" consecutivo.

Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto impugnato.

Le spese, come di regola (art. 26 del codice del processo amministrativo ed art. 92 del cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 45, n. 11, della L. 18 giugno 2009, n. 69), seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato provvedimento 20 gennaio 2011, n. 2223/VIII, del Direttore della Sezione distaccata di Pescara dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato.

Condanna l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato al pagamento a favore della ricorrente delle spese e degli onorari di giudizio che liquida nella complessiva somma di Euro 2.000 (duemila) oltre agli accessori di legge (IVA, CAP e spese generali) ed al rimborso del contributo unico versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 23-11-2011, n. 6163

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Viene in decisione l’appello proposto dalla società A. e dalla Piccola Società Cooperativa A., per ottenere la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, di estremi indicati in epigrafe.

2. In primo grado, le società odierne appellanti hanno impugnato gli atti con i quali il Comune di Marciana Marina ha: a) deciso di rendersi concessionario esclusivo di gran parte dell’ambito portuale, comprese le aree utilizzate da A., rilasciando a se medesimo la relativa concessione demaniale; b) approvato un progetto di riassetto delle opere e funzioni in ambito portuale; c) dato atto e confermato di non essere in possesso dell’idoneità tecnicogestionale per esercitare la concessione e dunque avviato una gara per l’affidamento, ai sensi dell’art. 45bis, cod. nav., della gestione dei servizi aeroportuali nel compendio assunto in concessione.

3. La sentenza di primo grado ha dichiarato il ricorso inammissibile sotto diversi profili: in parte per difetto di interesse (sul presupposto che anche dopo la concessione che il Comune si è autorilasciato, le navi delle odierne appellanti potrebbero comunque seguitare a svolgere i propri servizi nel porto); in parte per tardività (rispetto alla decisione di rilascio della concessione), in parte, infine, per difetto di interesse (rispetto all’impugnazione degli atti della procedura di gara per l’affidamento della subconcessione, perché le appellanti non hanno partecipato alla relativa procedura comparativa).

4. Le appellanti contestano le statuizioni di irricevibilità (per tardività) e di inammissibilità (per difetto di interesse e di legittimazione) e ripropongono, nel merito, i motivi fatti valere in primo grado.

4. Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

5. L’appello non merita accoglimento.

5.1. Oggetto centrale del presente giudizio è la legittimità della concessione che il Comune di Marciana Marina ha rilasciato a se stesso. Come le società ricorrenti affermano espressamente nell’atto di appello (pag. 17). l’impugnazione dei successivi provvedimenti (tra cui gli atti di gara per il rilascio della subconcessione) è avvenuta in via tuzioristica, per non sentirsi eccepire l’improcedibilità o inammissibilità del ricorso avverso la concessione, e ciò risulta del resto evidente dal fatto che non sono stati dedotti motivi specifici contro quegli atti, ma semplicemente ne è stata lamentata l’illegittimità derivata rispetto a quella della concessione.

5.2. Occorre, pertanto, innanzitutto esaminare il ricorso avverso il provvedimento con il quale il Comune di Marciano Marina si è autoassegnata la concessione dello specchio acqueo, di cui le ricorrenti lamentano l’illegittimità per violazione delle norme nazionali e comunitarie che impongono che il rilascio delle concessioni demaniali avvenga previa procedura comparativa, rispettosa dei principi di pubblicità, trasparenza ed imparzialità.

Il Tribunale amministrativo ha ritenuto che tale ricorso fosse tardivo, perché notificato nel giugno 2009, a fronte delle delibere già lesive del Consiglio comunale n. 66 del 28 dicembre 2008 e della Giunta comunale n. 14 del 4 febbraio 2009.

Deducono le appellanti che il Tribunale amministrativo ha errato perché quelle delibere – in coerenza con la natura di organi di governo che spetta al Consiglio e alla Giunta – contenevano solo indirizzi e nulla disponevano in via concreta ed immediata. Pertanto, correttamente esse sarebbero state impugnate solo come atti presupposti, quando le appellanti hanno avuto notizia dell’effettiva lesione provocata dagli atti attuativi, ovvero del rilascio della concessione al Comune, nonché del rilascio della subconcessione.

5.3. Il motivo non ha pregio.

Il Collegio ritiene, infatti, che la quantomeno la delibera della Giunta comunale n. 38 del 4 febbraio 2009, n. 14, dichiarata immediatamente esecutiva e pubblicata l’11 febbraio 2009, già possa ritenersi atto lesivo, perché ha un contenuto preciso e incondizionato e manifesta una chiara volontà provvedimentale. Di conseguenza, questa doveva essere immediatamente impugnata nel termine di decadenza.

In tale delibera, infatti, si dispone che: a) il Comune avrebbe detenuto lo specchio acqueo, individuato nella planimetria allegata alla delibera, a titolo concessorio; b) il Comune, in seguito al rilascio della concessione demaniale a suo favore, avrebbe poi affidato la relativa gestione a terzi, sulla base del progetto delineato dallo stesso Comune, le cui tavole 1), 1A), e 2) sono state allegate alla medesime delibera.

Come emerge dal suo contenuto specifico, la delibera già manifesta in maniera netta, in tutti i suoi elementi essenziali, anche di dettaglio, la decisione del Comune di rilasciare a se stesso la concessione e di affidarla poi in subconcessione a terzi.

Poiché, come sopra si diceva, tutto il ricorso si incentra sulla scelta, da parte del Comune, di assumere in proprio la concessione demaniale, deve ritenersi che l’atto che arreca la denunciata lesione è la ricordata delibera del 4 febbraio 2009, n. 14 (pubblicata l’11 febbraio 2009).

La riscontrata tardività, e quindi l’irricevibilità, del ricorso avverso tale atto rende, di conseguenza, improcedibili per difetto di interesse i successivi ricorsi avverso gli atti consequenziali, atteso che, in tali ricorsi, sono ormai preclusi motivi volti a contestare il provvedimento di autoassunzione della concessione demaniale da parte del Comune. In altri termini, la lesione denunciata dalle ricorrenti, consolidatasi per effetto della mancata impugnazione nei termini della citata delibera del 4 febbraio 2009, non potrebbe essere rimossa, stante il divieto di disapplicare gli atti amministrativi definitivi, in sede di decisione dei successivi gravami.

6. L’appello, quindi, deve essere respinto e la sentenza di primo grado, sia pure con motivazione in parte differente, deve essere confermata.

Sussistono i presupposti per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.