Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-11-2010) 27-04-2011, n. 16521 Sentenza

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Svolgimento del processo

1- Con ordinanza del 31/7/2009 il Tribunale di Napoli in composizione monocratica (ed in funzione di giudice dell’esecuzione), prese in esame le istanze proposte nell’interesse del condannato T.L. – dirette: alla declaratoria di non esecutività di due sentenze, alla applicazione del regime della continuazione tra i fatti oggetto di dieci sentenze specificatamente indicate ed alla revoca ex art. 673 c.p.p. di alcune sentenze di condanna – nonchè le richieste del P.M. – dirette: alla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena applicato in favore del T. con le sentenze indicate ai numeri 10 e 19 del certificato del casellario giudiziario nonchè all’applicazione dell’indulto ex L. n. 241 del 2006 nella misura di Euro 8.251,14 di multa.

– ha dichiarato la non esecutività della sentenza emessa nei confronti del T. il 19/12/2003 dal Tribunale di Napoli;

– ha dichiarato estinta nei confronti del T. la pena pecuniaria di cui al provvedimento di determinazione delle pene emesso dal P.M. in data 9/3/2009 nella misura di Euro 8,251,14 di multa;

– ha rigettato le ulteriori richieste come sopra specificate.

Quanto all’istanza relativa alla non esecutività della sentenza 22/1/2005 del Tribunale di Napoli, riformata dalla sentenza 30/11/2007 della Corte di Napoli e divenuta esecutiva il 3/4/2008, il Tribunale ha rilevato che la tesi dell’istante – per la quale la notifica della sentenza d’appello sarebbe stata nulla perchè effettuata al precedente difensore e non già all’avv. Alberto Tortolano, nuovo difensore di fiducia del T. ammesso al patrocinio a spese dello Stato con provvedimento 5/4/2007 – non era fondata, emergendo bensì l’ammissione al predetto patrocinio ma non già alcuna indicazione del nuovo difensore, con la conseguenza per la quale, corrette la notifica in data 7/2/2008 al T., a mani della moglie convivente, e la notifica in data 4/3/2008 al precedente difensore, mai espressamente revocato, la sentenza era divenuta esecutiva il 3/4/2008.

Quanto alla richiesta di applicazione della disciplina della continuazione il Tribunale ha ritenuto che fossero carenti i presupposti per il suo accoglimento, essendo state le condotte illecite poste in essere in un amplissimo arco temporale (dal 5/10/95 al 13/12/2003), dato questo che non consentiva di ritenere le violazioni parti integranti di un programma deliberato fin dall’inizio nelle linee essenziali.

Quanto alle ulteriori richieste del T. aventi ad oggetto la revoca delle sentenze di condanna per il reato previsto dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c) e d), per effetto della sentenza Schwibbert emessa dalla Corte di Giustizia Europea, e per il reato previsto dall’art. 648 c.p. (limitatamente alle ricettazioni commesse fino al (OMISSIS)), per effetto della sentenza di questa Corte a Sezioni Unite 20/12/2005 n. 29, il Tribunale ha rilevato che esse erano inaccoglibili, considerato che nella specie non si era verificata alcuna abolitici criminis ma solo un succedersi di diversi orientamenti giurisprudenziali in materia.

2- Successivamente, avendo il T. depositato altra istanza nella quale, allegata la rinvenuta nomina del difensore di fiducia nella persona dell’avv. Alberto Tortolano, nomina depositata il 22/3/2007, aveva chiesto nuovamente la declaratoria di non esecutività della sopra citata sentenza 30/11/2007 della Corte di Appello di Napoli, il Tribunale, con decreto 13/10/2009 esteso a margine della istanza stessa, ha confermato de plano la precedente ordinanza 31/7/2009. 3- Avverso i provvedimenti adottati dal Tribunale di Napoli i difensori del T. hanno proposto due distinti ricorsi.

3.1- Con il ricorso a firma dell’avv. Tortolano si chiede l’annullamento del provvedimento 13/10/2009, deducendo la violazione dell’art. 666 c.p.p., commi 2 e 3 per avere il giudice provveduto con decreto in una ipotesi nella quale, non trattandosi di una mera riproposizione di istanza disattesa ma di istanza contenente fatti nuovi non esaminati, si sarebbe dovuto procedere in contraddittorio delle parti, ed altresì rilevando la ancora aperta questione dell’esecutività della sentenza 30/11/2007. 3.2- Con il ricorso a firma dell’avv. Sperlongano si chiede l’annullamento dell’ordinanza 31/7/2009 nella parte in cui si erano rigettate le richieste di applicazione della disciplina della continuazione e di revoca delle sentenze di condanna, così come specificato nell’originaria istanza, deducendo al riguardo violazione di legge sotto plurimi profili. In particolare, quanto alla denegata continuazione, il ricorrente ha sottolineato che la Corte di Appello di Napoli aveva già riconosciuto il vincolo della continuazione fra gruppi di reati commessi nell’arco temporale intercorrente tra il (OMISSIS), sicchè, quanto meno in relazione agli ulteriori reati commessi entro siffatto periodo, doveva riconoscersi il medesimo disegno criminoso, tanto più se correttamente valutata la sussistenza di indici sicuramente rilevatori di esso. Quanto alla questione della revoca delle sentenze di condanna il ricorrente ha rilevato, avuto riguardo allo stato della legislazione nazionale e comunitaria in materia ed al tenore della sentenza Schwibbert nonchè di alcune sentenze di legittimità, che l’obbligo di comunicare alla Commissione Unione Europea le regole tecniche introdotte nell’ordinamento italiano vale per tutte le regole istituite dopo l’entrata in vigore della direttiva CE n. 189 del 28/3/1983 e che conseguentemente, in caso di non assolvimento di tale obbligo, la detenzione, commercializzazione e noleggio di supporti privi di contrassegno SIAE (la cui apposizione è appunto imposta da "regola tecnica" da comunicare alla Commissione Europea) non può ritenersi integrare fattispecie penalmente rilevante e le eventuali condanne intervenute per siffatte fattispecie devono essere revocate. Analogo iter argomentativo deve essere svolto, secondo il ricorrente, in relazione alle condotte ex art. 648 c.p. commesse fino al (OMISSIS) (data di entrata in vigore del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 68) atteso che, pur dopo l’abrogazione della L. n. 248 del 2000, art. 16 e la sua sostituzione con il nuovo testo della L. n. 633 del 1941, art. 174 ter, gli effetti abolitivi prodottisi con la detta L. n. 248 del 2000, art. 16 non possono essere posti nel nulla.
Motivi della decisione

4- In relazione alla censurata reiezione della richiesta di revoca delle sentenze di condanna, che il ricorrente prospetta essere in contrasto con la normativa Europea, il Collegio rileva quanto segue.

4.1- L’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE è stato previsto dalle varie disposizioni succedutesi nel tempo prima per le sole opere cartacee (art. 12 regol. per l’esecuzione della L. n. 633 del 1941) e poi, via via, per le opere "tecnologiche" costituite dalle videocassette riproducenti opere cinematografiche ( D.L. 26 gennaio 1987, n. 9 convertito nella L. 27 marzo 1987, n. 121), da videocassette, musicassette od altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento ( D.Lgs. 16 novembre 1994, n. 685 introduttivo della prima versione della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter), da supporti contenenti programmi per elaboratore o multimediali nonchè da supporti contenenti suoni, voci o immagini in movimento, recanti la fissazione di opere o parti di opere specificatamente indicate ( L. 18 agosto 2000, n. 248 introduttiva nella L. n. 633 del 1941 dell’art. 181 bis e delle modificate fattispecie di cui agli artt. 171 bis e 171 ter), così venendo siffatto obbligo ad assumere nel tempo non solo un carattere meramente civilistico, la cui violazione costituiva mero inadempimento contrattuale, ma una funzione pubblicistica, presidiata anche penalmente, volta a consentire una verifica di autenticità dei prodotti e nel contempo ad assicurare la tutela dei diritti relativi alle opere dell’ingegno.

4.2- Su tale quadro legislativo ha indubbiamente inciso la normativa comunitaria laddove ha imposto una procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (direttive CE n. 189 del 1983 e n. 34 del 1998), conseguentemente ponendo problemi interpretativi in ordine ai rapporti tra norma comunitaria e legislazione interna ed in ordine agli eventuali effetti su decisioni passate in giudicato.

Al proposito deve essere ricordata la sentenza Schwibbert emessa dalla Corte di Giustizia in data 8/11/2007 che ha affermato: che l’apposizione del contrassegno SIAE costituisce "specificazione tecnica" ex art. 1 punto 3 della direttiva CE n. 34 del 1998 nonchè "regola tecnica" ai sensi dell’arti punto 11 della medesima direttiva, obbligatoria de iure per la commercializzazione dei prodotti contemplati; che tale obbligo di apposizione, in quanto regola tecnica, doveva nella specie essere comunicato dallo Stato Italiano alla Commissione Europea in conformità a quanto previsto dalla direttiva CE n. 189 del 1983; che al riguardo non poteva condividersi la tesi di una pregressa previsione dell’obbligo di apposizione del contrassegno (e, quindi, della non necessità di una comunicazione al riguardo), essendo stato esso – nella sua nuova connotazione e per il tipo di prodotto oggetto della controversia – in realtà previsto solo nel 1994 a seguito del D.Lgs. n. 685 del 1994 e, pertanto, successivamente alla direttiva CE sopra citata.

4.3- Tenuto conto di quanto sopra questa Corte, preso atto della efficacia diretta nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria in questione perchè contenente "disposizioni precise e determinate", tali da non essere la loro applicazione condizionata dalla necessità di ulteriori interventi normativi delle Autorità nazionali (cfr. ex multis: Cass. sentenze nn. 13816/2008, 13819/2008, 21579/2008), ed affermata la estensibilità dei principi di cui alla sentenza Schwibbert anche ai supporti diversi dai dischi compatti contenenti opere d’arte figurativa (oggetto della sentenza in questione), ha riconosciuto che il dictum dei giudici comunitari "stabilisce un principio generale secondo il quale la violazione dell’obbligo di comunicare alla Commissione ogni istituzione del contrassegno SIAE successiva alla data di entrata in vigore della direttiva per i supporti di ogni specie (cartaceo, magnetico, plastico, etc.) e di ogni contenuto (musicale, letterario, figurativo, etc.) rende inapplicabile contro i privati l’obbligo del contrassegno stesso" (cfr. Cass. sentenze nn. 13810/2008, 13816/2008, 21579/2008, 34266/2008, 34553/2008, 30493/2009, 30595/2010).

5- Ebbene, tutto ciò premesso, restano da valutare i riflessi della disapplicazione, per le ragioni di cui sopra, delle norme sul contrassegno su quelle sanzionanti penalmente le condotte a vario titolo riguardanti i supporti privi del predetto contrassegno (detenzione di supporti privi di contrassegno, commercializzazione di tali prodotti, commercializzazione di supporti illecitamente duplicati o riprodotti).

5.1- Al riguardo è certamente condivisibile l’orientamento giurisprudenziale per il quale, allorquando la fattispecie penale contestata contempli quale elemento costitutivo tipico (negativo) il contrassegno SIAE, deve concludersi per la non più sussistente rilevanza penale del fatto, ove posto in essere dopo l’emanazione della direttiva CE n. 189 del 1983 e prima del completamento della procedura di notifica della regola tecnica alla Commissione Europea a mezzo del D.P.C.M. 23 febbraio 2009, n. 31: ciò vale per le fattispecie previste dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 bis e art. 171 ter, comma 1, lett. d). In ordine alla formula di proscioglimento, pur preso atto anche di un diverso orientamento in proposito, il Collegio condivide quello che ha ritenuto applicabile la formula "perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato".

E ciò in quanto il fatto materiale contestato in imputazione si è verificato ed è accertato, ma esso non costituisce illecito penale:

perchè la norma che prevede l’obbligo di apposizione del contrassegno non è valevole nei confronti dell’imputato ai sensi delle citate direttive comunitarie (fino al completamento della procedura di comunicazione della regola tecnica alla Commissione Europea), perchè in ragione della prevalenza e della diretta efficacia del diritto comunitario la norma sovranazionale può restringere l’ambito del penalmente rilevante, perchè il precetto penale è venuto meno a seguito, appunto, della norma sovranazionale (cfr. Cass. sentenze nn. 34266/2008, 34553/2008, 30493/2009, 34376/2010, 30595/2010).

5.2- Di contro, in relazione alle diverse fattispecie che sanzionano penalmente la illecita duplicazione o riproduzione di supporti ovvero la detenzione di tali supporti a fini commerciali, senza prevedere tra gli elementi costitutivi del reato l’assenza del contrassegno SIAE (art. 171 ter, comma 1, lett. a, b e c L. cit.), il disvalore penale del fatto permane, non implicando la fattispecie alcuna disapplicazione delle norme sul contrassegno in conseguenza della relativa normativa comunitaria, sempre che, naturalmente, sia stata acquisita la prova della sussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato.

5.3- Quanto infine agli effetti derivanti dalla disapplicazione delle norme sul contrassegno relativamente alle sentenze passate in giudicato, ritiene il Collegio che una interpretazione costituzionalmente corretta della norma consenta una applicazione in via analogica del disposto dell’art. 673 c.p.p. pur quando non trattasi di abrograzione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice ma anche quando, come nella specie, trattasi di sopravvenuta inapplicabilità di una norma nazionale per effetto di una pronuncia della Corte Europea, ipotesi certamente assimilabile dal punto di vista logico a quelle espressamente indicate nel citato art. 673 c.p.p., in siffatto caso sostanzialmente verificandosi una sorta di abolitio criminis e non già un mero mutamento giurisprudenziale (cfr. a conferma: Cass. sentenze n. 30595/2010 e n. 34376/2010). Del resto il ruolo di qualificato interprete del diritto comunitario svolto dalla Corte di Giustizia connota autoritariamente la pronuncia emessa da tale Corte, sicchè la sentenza interpretativa di una norma, dalla Corte emanata, si incorpora nella norma stessa e ne integra il precetto con efficacia immediata (cfr. sentenze Corte Cost. nn. 13/85, 389/89, 168/91).

6- Alla stregua delle considerazioni sopra svolte si impongono dunque l’annullamento sul punto dell’ordinanza impugnata ed il rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame; il Giudice del rinvio dovrà esaminare le sentenze di condanna indicate nell’istanza e verificare, tenuto conto dei principi di diritto sopra esposti, se i fatti per i quali è stata pronunciata condanna rientrino o meno nelle ipotesi di cui ai paragrafi 5.1 o 5.2 e trarre le dovute conseguenze.

7- In relazione alla censurata reiezione della richiesta di revoca delle sentenze di condanna pronunciate ai sensi dell’art. 648 c.p. il Collegio rileva quanto segue.

Il ricorrente indica a sostegno della richiesta di revoca delle pronunzie di condanna per ricettazione la sentenza n. 47164 resa da questa Corte a Sezioni Unite in data 20/12/2005, assumendo che "…gli effetti abolitivi prodottisi con la L. n. 248 del 2000, art. 16 non possono essere posti nel nulla per effetto della sua successiva abrogazione…". L’assunto difensivo è privo di fondatezza. Ed infatti se, da un lato, deve condividersi il giudizio negativo del Tribunale di Napoli che ha perspicuamente osservato come a sostegno della richiesta di revoca si prospetti inammissibilmente il consolidarsi di un orientamento giurisprudenziale (a risoluzione di un contrasto verificatosi in materia), deve, dall’altro lato, sottolinearsi come la citata sentenza 47164/2005 abbia, a seguito di un articolato argomentare, statuito la ammissibilità del concorso – pur in costanza della L. n. 248 del 2000 – delle condotte di acquisto o ricezione punite dall’art. 648 c.p. con le successive condotte di immissione in commercio punite dalla L. n. 633 del 1941, art. 173 ter, nonchè la configurabilità del delitto di ricettazione in tutti i casi di acquisto o ricezione di supporti illecitamente prodotti a fini di immissione in commercio e senza previo concorso con i produttori o rivenditori dei supporti illecitamente prodotti, altresì differenziando ipotesi e fattispecie.

In conseguenza di quanto precisato, dunque, deve escludersi che si versi in una delle ipotesi previste dall’art. 673 c.p.p..

8- In relazione al censurato diniego di applicazione della disciplina della continuazione il Collegio rileva quanto segue.

Il Tribunale di Napoli ha ritenuto carenti i presupposti per l’applicazione della disciplina della continuazione sottolineando, a sostegno della decisione negativa, l’ampio arco temporale nel quale risultavano essere stati commessi i vari illeciti e la insufficienza del dato costituito dalla identità od analogia dei reati. Ebbene, pur esatte in via di principio tali osservazioni, deve tuttavia rilevarsi la sommarietà dell’analisi effettuata, non essendosi tenuto conto degli ulteriori elementi valutabili ai fini che qui interessano (modalità e luogo di commissione dei fatti, oggetto degli illeciti, provenienza di tali oggetti, etc), della difforme decisione del Giudice della cognizione relativamente ad alcuni analoghi fatti commessi in un arco di tempo in cui risultano commessi anche altri illeciti (necessitando il discostarsi in sede esecutiva da siffatta decisione un argomentato dissenso e non essendo sufficiente l’apodittica affermazione di "non decisività" della diversa valutazione effettuata in sede di cognizione), della possibilità di unificazione per gruppi di reati.

Alla stregua di quanto sopra si impone dunque, in accoglimento dei rilievi di cui in ricorso, l’annullamento anche su tale punto dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

9- In relazione alla censurata adozione de plano del provvedimento 13/10/2009 il Collegio rileva quanto segue.

Il motivo di ricorso è fondato. L’adozione di un provvedimento de plano è infatti possibile solo nelle ipotesi espressamente previste dall’art. 666 c.p.p., comma 2 (difetto delle condizioni di legge, reiterazione di richiesta già rigettata, richiesta basata sui medesimi elementi), ossia quando la mancanza di fondamento dell’istanza è rilevabile ictu oculi senza necessità di valutazioni di sorta. E poichè nella specie la nuova istanza difensiva era accompagnata da documentazione introduttiva di elementi in precedenza non valutati si imponeva una nuova disamina in contraddittorio con le parti, previa fissazione di udienza in camera di consiglio.

Il provvedimento 13/10/2009 deve dunque essere annullato senza rinvio. Gli atti devono essere trasmessi al Tribunale di Napoli (al quale già pervengono a seguito dell’annullamento con rinvio dell’ordinanza 31/7/2009) per l’esame della richiesta in contraddittorio tra le parti.
P.Q.M.

Sciogliendo la riserva di cui alla camera di consiglio del 30/11/2010, così decide: annulla senza rinvio il Decreto 13/10/2009;

annulla l’ordinanza 31/7/2009 e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-02-2011) 12-05-2011, n. 18632 Misure alternative

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 1 luglio 2010 il Tribunale di sorveglianza di Bari ha respinto la domanda di C.A., in espiazione della pena di venti anni di reclusione inflittagli per i delitti di omicidio e tentato omicidio commessi il 6 maggio 1999, con fine pena previsto al 29 settembre 2013, diretta ad ottenere la misura della detenzione domiciliare per motivi di salute, riportando, a sostegno, sia gli esiti dell’ultima osservazione della personalità del detenuto, in data 22 giugno 2010, segnalanti un percorso ancora incompiuto di elaborazione critica del grave fatto commesso (omicidio per difendere i propri beni), con parere degli operatori del trattamento favorevole alla detenzione domiciliare solo nel caso di accertata incompatibilità delle condizioni fisiche del condannato con la prosecuzione dell’esecuzione in carcere; sia gli accertamenti medici, di cui al certificato in data 19 maggio 2010 dell’ufficio sanitario della casa circondariale di Foggia, attestante che il C. era affetto da ipertensione arteriosa in trattamento farmacologico, donde la ritenuta insussistenza dei requisiti previsti dagli artt. 146 e 147 cod. pen., trattandosi di patologie gestibili in ambito detentivo anche con l’eventuale ricorso ai ricoveri in strutture esterne ai sensi dell’art. 11 Ord. Pen., ferma l’esecuzione in carcere.

2. Avverso la predetta ordinanza ricorre personalmente a questa Corte il C., denunciando violazione di legge e vizio della motivazione.

Quanto alla prima il ricorrente rileva che, essendo egli ultrasessantenne, il richiesto beneficio della detenzione domiciliare, ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1, Ord. Pen., non postula necessariamente l’incompatibilità delle sue condizioni di salute col regime carcerario di espiazione della pena, come erroneamente ritenuto dal Tribunale; quanto al difetto di motivazione, il ricorrente si duole del fatto che il Giudice specializzato, nel respingere la sua domanda, non abbia tenuto conto:

a) del suo sincero pentimento manifestato anche con lettere invocanti il perdono dai congiunti della vittima e dall’invio di somme di denaro, sia pure simboliche, a titolo risarcitorio; b) del suo ottimo comportamento intramurario con partecipazione a tutte le attività trattamentali e anche al lavoro interno, compatibilmente con le sue condizioni di età e di salute, al punto di meritare costantemente il beneficio della liberazione anticipata; c) della regolare fruizione di ben 17 permessi premio; d) della mancanza di pericolosità sociale, essendo il delitto in espiazione, che risale ad 11 anni fa, l’unico commesso nella sua vita ed essendo egli estraneo a contesti criminali, come emerso anche dalle informazioni di polizia; e) del dimostrato peggioramento delle sue condizioni di salute dal 2004 al 2010, come rappresentato dal sanitario di sua fiducia che lo ha visitato in istituto, profilandosi pertanto il suo mantenimento in carcere contrario al senso di umanità; f) della sua umile estrazione sociale e della propria radicata cultura contadina, in relazione alle quali avrebbe dovuto essere valutato il suo percorso rieducativo.
Motivi della decisione

Entrambi i motivi di ricorso, come sopra enucleati dall’impugnazione personalmente proposta, sono infondati.

Non sussiste la violazione di legge denunciata, poichè, pur non richiedendo l’art. 47-ter, comma 1, lett. d), ord. pen., nel caso di condannati ultrasessantenni che debbano espiare una pena non superiore a quattro anni, tuttavia postula l’inabilità seppure parziale dell’istante, ciò che il Tribunale ha escluso, con riguardo al C., precisando che la sua unica patologia è rappresentata dall’ipertensione arteriosa in trattamento farmacologico, come da richiamato certificato, in data 19 maggio 2010, dell’ufficio del sanitario della casa circondariale dove il ricorrente è detenuto;

nè il C. ha contestato di essere affetto dalla sola ipertensione arteriosa sulla base di atti del procedimento specificamenet indicati nei motivi di gravame, limitandosi ad un generico riferimento al peggioramento delle proprie condizioni di salute dal 2004 al 2010 secondo il medico legale di sua fiducia che lo avrebbe visitato in carcere.

Parimenti infondato è il denunciato vizio motivazionale, di cui non si specifica neppure il profilo di nullità per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, che, al contrario, è adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, risolvendosi pertanto le censure ad essa mosse in contestazioni di mero fatto non deducibili in questa sede di legittimità.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-09-2011, n. 20065 Ammissione al passivo

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con ricorso depositato il 4.12.1992 C.R. ha proposto opposizione allo stato passivo del fallimento Ca. dinanzi al Tribunale di Modica. Fissata l’udienza del 18.3.1993, l’opponente ha notificato il ricorso ed il decreto al curatore ma non ha provveduto all’iscrizione della causa a ruolo omettendo di coltivare il giudizio fino al 18.11.2000, data nella quale ha chiesto la fissazione di una nuova udienza per la prosecuzione del giudizio, fissata la quale, nella contumacia del curatore fallimentare, l’opposizione è stata dichiarata inammissibile con sentenza del 2.7.2002, confermata dalla Corte di appello di Catania con sentenza del 28.7.2006.

Contro la sentenza di appello il C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Non ha svolto difese la curatela intimata.

1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.

2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 165 c.p.c., della L. Fall., art. 98, e art. 71 disp. att. c.p.c. e formula il seguente quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: "se gli adempimenti espletati dall’opponente possano essere sufficienti a perfezionare la costituzione in giudizio anche in mancanza di deposito della nota di iscrizione a ruolo". 2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione delle norme di cui all’art. 2727 c.c. e segg. e formula il quesito: se la motivazione della sentenza della Corte di merito sia da ritenere congrua dal punto di vista logico ed immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni.

3.- Osserva la Corte che, sebbene le questioni giuridiche poste col ricorso siano state già ritenute infondate con una pronuncia resa in fattispecie analoga (Sez. 1, Sentenza n. 14061 del 2007) nella concreta fattispecie – l’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., posto che nessuno dei due quesiti formulati dal ricorrente è rispettoso dei criteri dettati dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366- bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una "regula iuris" suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

In altri termini, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Sez. 3, ordinanza n. 19769 del 17/07/2008) E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge perchè, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Sez. U, Sentenza n. 26020 del 30/10/2008). Nulla va disposto in ordine alle spese state la mancanza di attività difensiva dell’intimata curatela.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 04-03-2011) 10-06-2011, n. 23403 Archiviazione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In data 20.3.2010 M.L. propone ricorso per Cassazione avverso il decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Foggia, in data 18.2.2010, nel procedimento nei confronti di Ma.Iv..

Il ricorrente chiede quindi l’annullamento del predetto decreto di archiviazione, la riassunzione delle prove già fornite nella opposizione alla richiesta di archiviazione e la riapertura delle indagini per il reato di usura.

In data 25.2.2011, il difensore di Ma.Iv. deposita memoria con la quale chiede che venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto personalmente dalla parte offesa e per motivi di merito.

Il ricorso è inammissibile.

In primo luogo, M.L. non era legittimato a proporre ricorso per Cassazione. Infatti, la persona offesa dal reato non ha il diritto di proporre personalmente ricorso per cassazione, sottoscrivendo il relativo atto, poichè per la valida instaurazione del giudizio di legittimità si applica la regola dettata dall’art. 613 c.p.p., secondo cui l’atto di impugnazione deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti all’apposito albo (v. Cass. S.U. sent. n. 24/1998).

In secondo luogo, l’ordinanza di archiviazione è impugnabile soltanto nei rigorosi limiti fissati dall’art. 409 c.p.p., comma 6 il quale rinvia all’art. 127 c.p.p., comma 5 che sanziona con la nullità la mancata osservanza delle norme concernenti la citazione e l’intervento delle parti in camera di consiglio. Ne consegue che non è mai consentito il ricorso per cassazione per motivi diversi, cioè attinenti al merito della "notitia criminis".

Considerato che il provvedimento di archiviazione è stato pronunciato a seguito di fissazione della camera di consiglio, con citazione rituale della parte offesa, e che il ricorso attiene al merito del provvedimento, il ricorso è inammissibile anche sotto tale profilo.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa del e ammende.

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