Cons. Stato Sez. V, Sent., 03-02-2011, n. 797 Strade pubbliche e private

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

E’ impugnata la sentenza del T.A.R. Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 3 del 12 gennaio 2010, che ha respinto il ricorso n. 335/08 proposto dagli odierni appellanti per l’annullamento dell’ordinanza n 115 del 21 maggio 2008 con cui il Dirigente dell’Urbanistica del Comune di Vasto ha ordina ai ricorrenti la rimozione della recinzione installata sulla strada comunale, nonché del permesso a costruire n. 278 del 15 maggio 2006 e della concessione dell’uso di area pubblica per l’utilizzo del passo carrabile n. 7868 dell’11 novembre 2007 rilasciati ai controinteressati.

I ricorrenti, odierni appellanti, sono tutti proprietari di una serie di fabbricati adiacenti ad una strada senza uscita; sul lato opposto si colloca la proprietà dei controinteressati, separata dalla strada da una rete metallica. La strada è stata sempre utilizzata dai ricorrenti come corte comune.

Sennonché il Comune con delibera n 202 del 1970 incluse la strada tra quelle pubbliche, peraltro per una larghezza di m 4.

I ricorrenti hanno poi provveduto a sostituire la rete metallica ormai fatiscente, anche per ragioni di sicurezza, stante il dislivello esistente sul terreno, notiziandone il Comune.

I vicini instauravano dianzi al Tribunale di Vasto una causa di reintegrazione e manutenzione del possesso, risoltasi in modo favorevole agli odierni ricorrenti, con ordinanza n. 437/08.

Ciò premesso in via di fatto, i ricorrenti illustravano i seguenti motivi di ricorso:

1. Motivazione carente ed illogica, errore nei presupposti di fatto e diritto. La strada non è mai stata acquisita al patrimonio comunale, come emerge dalle risultanze catastali. Lo stesso elenco delle strade comunali comprende solo la larghezza di metri 4, per cui la parte rimanente è di proprietà privata. I vicini poi godono di un accesso alle loro proprietà da altre strade.

2. Violazione dell’art. 35 del dPR 380 del 2001 e dell’art 7 della legge 241 del 1990. E’ mancata una previa diffida.

3. Contraddittorietà e perplessità della motivazione.

4. Violazione degli articoli 3, 6, 22 e 37 del dPR 380 del 2001, contraddittorietà e mancanza di motivazione. Si tratta di un intervento suscettibile di DIA per cui la recinzione non deve essere demolita. La struttura è comunque precaria.

Resisteva il Comune che eccepiva l’inammissibilità dell’impugnazione del permesso a costruire n. 278 del 15 maggio 2006 e della concessione dell’uso di area pubblica per l’utilizzo del passo carrabile n. 7868 dell’11 novembre 2007 rilasciati ai controinteressati, per tardività, quantomeno dal 29 gennaio 2008, data della chiamata in causa nel giudizio dinanzi al Tribunale civile di Vasto; il Comune contestava anche nel merito il ricorso concludendo per il rigetto.

Resistevano in giudizio anche i controinteressati.

Il Tribunale adìto, con la sentenza impugnata, in via preliminare, dichiarava l’inammissibilità dell’impugnazione del permesso a costruire n. 278 del 15 maggio 2006 e della concessione dell’uso di area pubblica per l’utilizzo del passo carrabile n. 7868 dell’11 novembre 2007, rilasciati ai controinteressati, in quanto i ricorrenti erano a conoscenza del contenuto dei due provvedimenti citati almeno a far tempo dalla loro chiamata in causa dianzi al Tribunale civile di Vasto, cioè dal 29 gennaio 2008 e in quanto nel ricorso non venivano sollevate censure direttamente contro tali due provvedimenti, per cui l’inammissibilità è derivata anche da tale circostanza.

Il Tribunale, poi, affermava che l’ ordinanza n. 6 del 2008 con cui si ordinava agli ignoti autori di rimuovere la recinzione sita in via Pergolesi, risulta revocata il 21 gennaio 2008 a seguito della segnalazione con cui gli odierni ricorrenti comunicavano al Comune di essere loro gli autori di detta recinzione, per cui, essendo la revoca motivata unicamente con la circostanza che gli autori erano stati ormai identificati, essa non implica alcuna adesione alla tesi dei ricorrenti sulla natura privata della strada e, inoltre, che nessuna argomentazione circa la natura privata o pubblica della strada può desumersi dalla decisione del Tribunale ordinario di Vasto del 5 maggio 2008, adito dai controinteressati per l’emissione di un provvedimento di reintegra o manutenzione del possesso della strada de qua, in quanto esso si è limitato a rigettare l’istanza, evidenziando la mancata prova del potere di fatto sulla cosa, ma non ha certo statuito sulla proprietà privata o pubblica del bene in oggetto, argomento del resto estraneo al giudizio.

Ciò premesso, e passando ad affrontare la questione della proprietà della strada denominata via Pergolesi, su cui si incentra la prima articolata censura, il giudice di prime cure rilevava che, anche se dal catasto la strada risulta privata, definita come corte comune, essa è stata inserita con la delibera del Consiglio comunale n. 202 del 14 dicembre 1970 nell’elenco delle strade pubbliche e che accanto a tale dato formale risulta anche di fatto l’uso pubblico della stessa in collegamento con via Donizetti. In altri termini, nel caso risulterebbero soddisfatti entrambi i criteri previsti dalla giurisprudenza per considerare pubblica una strada, il dato formale, nel caso indiscutibile e risalente al 1970, e il dato fattuale, l’uso pubblico della strada, anche questo dimostrato in causa anche per la ragione che i ricorrenti stessi affermano di utilizzare abitualmente la strada, sia pure ad altro titolo.

Il T.A.R., poi, esaminando un altro aspetto evidenziato dai ricorrenti, secondo i quali, comunque la strada, nell’elenco allegato alla delibera del Consiglio comunale n. 202 del 1970, viene indicata con una larghezza di metri 4, per cui per la larghezza eccedente tale misura la strada sarebbe privata, cioè di loro proprietà, con conseguente legittimità della recinzione che insisterebbe su tale spicchio di proprietà privata, affermava di non condividere tale argomentazione di parte ricorrente, innanzi tutto perchè dalla cartografia esistente emerge come al suo inizio la strada è effettivamente larga solo 4 metri, e ciò proprio in corrispondenza della proprietà C. e, inoltre, perchè dalla delibera n. 202 del 1970 emerge come la larghezza delle strade classificate comunali non intendeva precisare l’esatta misura della larghezza di tutta la strada, ma solo un’indicazione di massima, non trattandosi quindi di un’indicazione atta a limitare la classificazione della strada ai metri ivi indicati, ma di un’identificazione di massima della strada stessa.

Inoltre i ricorrenti presuppongono che i quattro metri vadano misurati a partire dal loro lato della strada, mentre alla stessa stregua essi si potrebbero misurare a partire dal lato opposto di via Pergolesi.

Infine, in ordine alla seconda e terza censura, il Tribunale affermava che il motivo posto alla base dell’impugnata ordinanza di demolizione della recinzione risiede sia nell’impedimento all’uso pubblico della strada sia nel fatto che essa impedisce l’uso del passo carraio afferente alla proprietà dei controinteressati, trattandosi, quindi, di una motivazione che non consente alcuna possibilità di sanatoria edilizia, trattandosi appunto di una questione di rispetto della proprietà pubblica e di una concessione già rilasciata e non contestabile. Più che una sanzione edilizia, dunque, si tratterebbe di un’ordinanza a tutela della demanialità della strada e del suo uso pubblico, di cui l’accesso concesso ai controinteressati risulta solo un aspetto accessorio che rientrava comunque nella facoltà autorizzatoria comunale.

Quanto al mancato rispetto dell’articolo 7 della legge 241 del 1990, evidenziato nella seconda doglianza, per mancato avviso di avvio del procedimento, il T.A.R. osservava da un lato come in presenza dei cennati presupposti si tratta di un atto dovuto, per cui opera l’esimente di cui all’art. 21 octies della ripetuta legge 241 del 1990, e dall’altro come vi fosse urgenza a provvedere stante la concessione già rilasciata ai controinteressati e la necessità di utilizzare l’accesso su via Pergolesi anche ai fini del cantiere e, infine, che gli interessati avevano partecipato al procedimento sfociato nella prima ordinanza n. 6/08 del 3 gennaio 2008, tra l’altro facendo presente di essere stati loro a collocare sulla strada la recinzione.

La sentenza è impugnata, in quanto ritenuta erronea ed ingiusta, sotto cinque articolati motivi di gravame.

Resistono sia il Comune di Vasto che i controinteressati, che chiedono il rigetto dell’appello, con vittoria delle spese.

In vista dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie illustrative.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 15 ottobre 2010.
Motivi della decisione

L’appello è infondato.

I motivi di appello nn. 1, 2 e 4, ed anzi, più esattamente, il secondo ed il quarto, concretizzandosi il primo, come emerge dalla sua stessa epigrafe ("sintesi della sentenza impugnata"), in una illustrazione del contenuto della sentenza, possono essere trattati congiuntamente.

Cominciando dal secondo motivo (intitolato "essenziali precisazioni sul fatto e sull’interesse degli appellanti"), in esso si afferma esplicitamente che l’interesse che ha mosso gli odierni appellanti a promuovere l’azione non riguarda affatto la questione della recinzione metallica ("la vicenda assume rilievo per gli appellanti non per la recinzione metallica in sé": pag. 9 dell’atto di appello), bensì quella della realizzazione sul fondo dei frontisti di un fabbricato (regolarmente assentito dall’Amministrazione nel 2006). Gli appellanti ammettono, così, la strumentalità dell’azione posta in essere, concretizzatasi nell’impugnazione dell’ordine di rimozione della recinzione n. 115/2008, rispetto a quello volto a censurare il permesso di costruire sotteso alla realizzazione del fabbricato di cui si è detto.

Da qui un evidente profilo di inammissibilità dell’appello, avendo gli appellanti dichiarato di non avere interesse all’annullamento della predetta ordinanza n. 115/2008 (interesse che del resto dovrebbe comunque considerarsi venuto meno, essendo stato detto ordine di rimozione eseguito).

L’oggetto del contendere non verte, dunque, intorno alla "modesta recinzione" (pag. 10 dell’appello), ma intorno al diritto dei frontisti di far uso della relativa area di sedime.

Secondo la tesi degli appellanti, infatti, detta recinzione, ed anzi più esattamente il solo passo carrabile (essendo oggi detta recinzione non più esistente), insisterebbe illegittimamente su un’area privata, e ciò in quanto la strada (via G. Pergolesi) sarebbe di loro esclusiva proprietà.

A tale aspetto, invero rilevante rispetto alla materia del contendere, gli appellanti dedicano il quarto motivo di appello, che dunque può essere trattato congiuntamente ai motivi 1 e 2 esaminati sopra.

A tale riguardo, premesso che l’accertamento avente valore costitutivo circa la natura pubblica o privata della strada fuoriesce dai limiti della giurisdizione amministrativa (cfr. Cons. St., Sez. IV, 7.9.2006, n. 5209), nella specie appaiono sussistere i requisiti perché la strada in questione (via G. Pergolesi) possa essere considerata pubblica, vale a dire: 1) il passaggio esercitato iuris servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, 2) la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via (nella specie via Donizetti) e 3) il titolo valido (nella specie, delibera consiliare n. 202 del 14.12.1970, che la include tra le vie pubbliche) a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico (v. Cons. St., Sez. V, 4.2.2004, n. 373).

Tali presupposti prescindono, a ben vedere, dalle risultanze catastali, che peraltro hanno valore meramente dichiarativo

Né appare condivisibile quanto affermato dagli appellanti in subordine (a pag 22 dell’atto di appello), laddove hanno sostenuto la tesi secondo la quale (almeno) una porzione di via Pergolesi non potrebbe essere ritenuta riconducibile alle strade di cui alla delibera comunale n. 2020 del 1970, avendo detto provvedimento indicato una larghezza delle dette strade di metri 4,00, cosicché, a detta degli appellanti, la parte eccedente tale misura – e corrispondente a quella ove era stata realizzata la recinzione – sarebbe di proprietà privata.

Ciò in quanto, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure nella sentenza impugnata, la larghezza delle strade classificate comunali non intendeva precisare l’esatta misura della larghezza di tutte le strade, ma si trattava di un’indicazione di massima e non di un’indicazione atta a limitare la classificazione della strada ai metri ivi indicati.

Infine, nella parte finale del quarto motivo (pag. 24), gli appellanti censurano la sentenza laddove ha ritenuto che la recinzione si appaleserebbe illegittima anche perché si porrebbe in contrasto con il permesso di costruire e con il passo carrabile, in quali presuppongono entrambi l’accesso sulla via Pergolesi, fatto che, invece, non sarebbe decisivo, in quanto prevarrebbe la (asserita) natura privata della strada.

La censura è priva di fondamento poiché essa si fonda sulla natura privata della strada, che, invece, per quanto si è detto sopra, è da escludere; in ogni caso, come giustamente sottolineato dal Tribunale, "la concessione edilizia, con la previsione di un garage la cui entrata è dalla via Pergolesi, e il corrispondente permesso di passo carraio rilasciati ai controinteressati risultano tali per cui, in ogni caso, la recinzione, ancorché collocata in ipotesi su proprietà privata, impedirebbe comunque l’accesso dalla strada pubblica al passo carraio e si porrebbe quindi in contrasto sia con la concessione edilizia sia con l’autorizzazione al passo carraio".

Con il terzo motivo di appello si contesta il capo della sentenza che ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione del permesso di costruire n. 278 del 15 maggio 2006 e della concessione dell’uso dell’area pubblica per l’utilizzo del passo carrabile n. 7868 dell’11 novembre 2007, rilasciati ai controinteressati sigg.ri C..

In relazione a tale profilo il giudice di prime cure, condividendo quanto eccepito dalla difesa dell’Amministrazione, ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnativa sia in quanto i ricorrenti erano a conoscenza del contenuto dei due provvedimenti citati almeno a far tempo dalla loro chiamata in causa dianzi al Tribunale civile di Vasto, cioè dal 29 gennaio 2008 e sia in quanto nel ricorso non venivano sollevate censure direttamente contro tali due provvedimenti, per cui l’inammissibilità è derivata anche da tale circostanza.

A tale proposito nell’appello (pag. 11) i sigg.ri T. ammettono che " non hanno mosso alcuna contestazione contro i detti atti amministrativi, per quanto riguarda il manufatto autorizzato, poiché il loro interesse si appunta solo sul rispetto del diritto di proprietà della strada", e che "in effetti, l’interesse dei ricorrenti si soddisfa se viene riconosciuta legittima l’apposizione della rete di recinzione a protezione della loro proprietà, non coltivando altro interesse allo stato e, quindi, ciò spiega la ragione per la quale non hanno addotto alcun motivo di illegittimità contro la costruzione, in sé, del manufatto edilizio".

Ora, da tale chiara ed espressa ammissione deriva, come conseguenza, la correttezza della statuizione del primo giudice in ordine al profilo di inammissibilità sul punto del ricorso, che in questa sede non può che trovare conferma.

Anche il quinto motivo, nelle sue articolazioni, è privo di pregio.

L’Amministrazione comunale ha concesso – nel rispetto della normativa urbanistica esistente – un permesso di costruire (peraltro non contestato) ed un passo carrabile su pubblica via, correlato all’assentito intervento edilizio al legittimo proprietario del fondo che a detta via accede, irrilevante essendo la circostanza se in astratto in altro sito si poteva immaginare un accesso al lotto, rientrando la migliore localizzazione di un passo carrabile nella discrezionalità del proprietario del lotto in sede di domanda e del Comune in sede di assentibilità della stessa.

Considerata la natura pubblica del suolo, la individuazione tramite atto confessorio dei responsabili dell’abuso, la circostanza che questo fosse stato dichiarato con nota del 18 gennaio 2008 e l’urgenza di eliminare un’interferenza all’uso pubblico della strada giustificavano, dunque, un provvedimento come quello emesso (ordine di rimozione).

Per le suesposte considerazioni l’appello in esame, dunque, deve essere respinto in quanto infondato nel merito.

Las peculiarità della vicenda giustifica la compensazione integrale fra le parti delle spese, competenze ed onorari del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-10-2010) 23-02-2011, n. 7090 Sequestro preventivo

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Forlì ricorre avverso l’ordinanza pronunciata il 23 giugno 2010 da quel Tribunale della Libertà che, pronunciando in sede di rinvio da questa Corte, aveva respinto l’appello proposto dal P.M. avverso il provvedimento del GIP che aveva rigettato la sua richiesta di convalida del sequestro preventivo di un "cutter", rinvenuto da personale di P.G. nel corso di un controllo a bordo dell’autovettura di D. A., indagato per il reato di porto ingiustificato di strumento atto ad offendere.

Il GIP non aveva convalidato il sequestro preventivo assumendo che si trattava invece di un sequestro probatorio, nè aveva provveduto in ordine alla sorte del cutter, sostenendo che non ve ne era necessità, atteso che l’attrezzo si trovava comunque in sequestro e non ne era stata chiesta la restituzione. L’assunto era stato confermato dal Tribunale di Forlì con l’ordinanza annullata da questa Corte, che aveva dettato al giudice del rinvio la regola di giudizio in virtù della quale non compete al GIP qualificare il sequestro in modo diverso da quello prospettato dal P.M., incombendo a detto giudice il solo compito di verificare la sussistenza dei presupposti della cautela reale invocata. Aveva peraltro aggiunto questa Corte che comunque era necessario provvedere sulla sorte dell’attrezzo, che in difetto di un provvedimento formale sarebbe rimasto soggetto di fatto a cautela reale "sine titulo".

Il Tribunale ha fatto corretta applicazione della suddetta regola, e riesaminata la fattispecie concreta, non ha convalidato il sequestro, ritenendo la validità di quanto il D. aveva addotto a giustificazione del porto, dichiarando di essere muratore; di servirsi abitualmente del cutter in guisa di attrezzo da lavoro; di tenerlo nella sua autovettura con gli altri attrezzi necessari.

Deduce il ricorrente manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, non avendo considerato il Tribunale che il D. era stato fermato alle 21,30, orario non certo di lavoro; aveva dichiarato di essere stato a cena, e quindi non proveniva dal luogo di lavoro; il cutter era stato rinvenuto nel vano portaoggetti.

Il motivo che avrebbe giustificato il porto dello strumento atto ad offendere pertanto a suo avviso non rivestiva il carattere dell’attualità.

Il ricorso è destituito di fondamento, avendo il Tribunale ritenuto che il porto del cutter appariva del tutto giustificato alla luce di quanto risultava dalla documentazione fotografica allegata agli atti, dalla quale poteva rilevarsi come oltre al cutter a bordo della vettura vi fossero effettivamente anche altri attrezzi da lavoro di uso comune per i muratori, di modo che non sussistevano i presupposti per l’adozione del sequestro.

Del resto le ragioni addotte dal P.M. non convincono, poichè era logico che il cutter e gli altri strumenti necessari al D. per l’esercizio della sua professione di muratore, si trovassero a bordo dell’auto con cui l’indagato raggiungeva quotidianamente il posto di lavoro, nè mette conto che l’indagato stesse tornando da una cena, non potendo arguirsi da detta circostanza che non fosse attuale il motivo addotto a giustificazione del porto, che ragionevolmente costituiva un costante quotidiana della vita del D..

La motivazione dell’ordinanza impugnata è pertanto logica e conseguente, e d’altra parte ove il ricorrente intendesse prospettare il riesame del merito, che in questa sede di legittimità è precluso, il ricorso sarebbe inammissibile.

Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-02-2011) 09-03-2011, n. 9291 Rinuncia all’impugnazione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 29 aprile del 2010, confermava quella resa con il rito abbreviato dal giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale della medesima città, con cui A.L.G.S. era stato condannato alla pena ritenuta di giustiziatale responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis e art. 61 c.p., n. 11 bis per avere detenuto a fine di spaccio grammi 36,208 di cocaina e di quello di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis e art. 337 c.p. per resistenza ai pubblici ufficiali, che volevano trarlo in arresto per la detenzione della cocaina, in tali reati assorbito quello di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis. Fatti commessi in (OMISSIS).

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore deducendo:

l’erronea applicazione dell’art. 73, comma 5 per l’omesso riconoscimento dell’attenuante della lieve entità;

la violazione dell’art. 81 c.p. per l’eccessivo aumento di pena per la continuazione avuto riguardo al fatto che trattasi di reati di modesta entità;

violazione di legge ed illogicità della motivazione con riferimento all’omessa concessione delle attenuanti generiche;

Successivamente il ricorrente ha rinunciato al ricorso.

La rinuncia al ricorso determina la sopravvenuta inammissibilità dello stesso.

Dall’inammissibilità del ricorso discende l’obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in Euro 300,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 616 c.p.p.;

DICHIARA Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 300,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, Sent., 22-03-2011, n. 1626 Edilizia e urbanistica

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Svolgimento del processo

La parte ricorrente si duole che il Comune di Orta di Atella abbia disposto, in autotutela, l’annullamento della concessione edilizia n. 274 del 18.9.2000 e le successive varianti n. 1 del 24.9.2004 e n. 2 del 21.9.2005.

Ha pertanto articolato tre motivi con cui deduce la violazione di legge ( L. 241/1990; T.U. 380/2001) e l’eccesso di potere sotto molteplici profili. Conclude per l’accoglimento.

2.- Resiste l’amministrazione. Conclude per la reiezione del gravame.

3.- All’udienza indicata la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

4.- Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

4.1.- L’Ufficio urbanistico del Comune di Orta di Atella ha adottato il provvedimento impugnato sulla base di una articolata motivazione che qui può sintetizzarsi come segue.

L’attività edilizia dei ricorrenti si è sviluppata nel tempo: ad una prima concessione dell’anno 2000 per la edificazione di un fabbricato per uso commerciale (costituito da un piano cantinato, un piano terra, un primo piano ed un piano rialzato), si sono succeduti due varianti.

Con la prima, è stata autorizzata l’edificazione di tre corpi di fabbrica ("ognuno di altezza pari a metri 10 per un volumetria complessiva di mc. 7315,16"); con la seconda, rilasciata il 21.09.2005, "le altezze del fabbricato sono aumentate", così raggiungendo una "volumetria complessiva pari a mc. 11.266,67".

In data 3.11.2008 l’amministrazione comunale ha poi adottato un provvedimento di demolizione di alcune opere.

Quanto alla motivazione dell’atto di annullamento, il provvedimento gravato evidenzia:

nella zona de qua ("produttiva di tipo D3") gli interventi sono subordinati alla preventiva (ex art. 28 NTA) predisposizione di Piani di insediamento produttivo ad iniziativa pubblica, ovvero mediante piani di lottizzazione ad iniziativa privata: pianificazione di dettaglio nella specie mancante e che per le condizioni dei luoghi non può ritenersi "superflua";

– gli indici planovolumetrici prescritti sono risultati "stravolti" dai provvedimenti assentiti;

Ha quindi concluso rilevando una effettiva necessità del ripristino della violata legalità ediliziourbanistica, esigenza resa ancora più viva dal disposto scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni camorristiche.

4.2.- Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta di aver presentato delle osservazioni, dopo l’avviso dell’avvio del procedimento autocaducatorio, che non sarebbero state recepite nell’atto gravato.

Il mezzo non ha pregio giuridico. L’analitica e puntuale esposizione di tutte le emergenze fattuali e giuridiche contenute nel provvedimento impugnato, lo rende insuscettibile della critica espressa, atteso che la completa disamina amministrativa (tale certamente anche in risposta alle sollecitazioni di parte) esime la p.A. da qualsivoglia necessità di ulteriore indicazione confutativa di elementi apportati dagli interessati.

Con il secondo motivo gli istanti censurano la disfunzione del potere di autotutela in relazione all’interesse pubblico concreto ed attuale, fondativo dell’autoannullamento.

Il rilievo -sviluppato dalla difesa attorea anche nelle successive fasi e da ultimo, all’udienza pubblica- non resiste ad un approfondito esame.

Invero, è dirimente:

La accuratezza evidenziata dalla amministrazione nell’enucleare le gravi illegittimità di una attività edificatoria assentita nel corso del tempo (fra l’anno 2000 e il 2005);

Il conseguente sconvolgimento degli indici edificatori;

L’assenza della previa pianificazione che, va sottolineato, nel caso in esame, si connette al governo di una zona a vocazione produttiva: zona "D3" di "insediamenti produttivi di tipo commerciale e direzionale e servizi";

La sussistenza di un allarmante quadro amministrativo in cui – come si evince dal provvedimento- si è giunti allo scioglimento per infiltrazioni camorristiche del Consiglio Comunale anche per la "commistione dell’attività di indirizzo politico con quella di gestione": il Tribunale, al di là del carattere oggettivamente preoccupante del dato, ritiene che lo stesso concreti, in via immediata, proprio una esemplificazione tipica circa la sussistenza dell’interesse pubblico attuale e concreto che legittima un autoannullamento.

In altri termini, a fronte di un attività edilizia palesemente illegittima, assentita con varianti che la stessa amministrazione non esita, con affermazione vibrata, a definire "di pura urbanistica creativa", la concomitanza di una sana e specifica esigenza di ripristino della legalità non lascia adito a dubbi sul rispetto delle condizioni basiche per l’adozione dell’atto autoannullativo.

La motivazione è quindi completa e convincente, non intaccata, contrariamente a quanto si sostiene con l’ultimo mezzo, dall’inciso che il provvedimento "non avrebbe avuto ancora esecuzione", in quanto è chiaro, dal complessivo asserto motivazionale, che le opere sono state realizzate e su tale dato di fatto si è sviluppata la ponderata scelta della amministrazione di autocaducare, sicchè quell’ultima espressione virgolettata, è solo un refuso, anche visivamente estraneo alla esternazione delle ragioni caducanti.

L’altro aspetto del motivo che preme confutare, è quello relativo alla mancata ponderazione dell’interesse delle attuali parti istanti.

Il Tribunale ritiene infatti che -richiamati i descritti presupposti- alcun affidamento apprezzabile spetti alle stesse.

Innanzitutto, sul piano temporale: posto che, se effettivamente la iniziale concessione edilizia è datata all’anno 2000, le due varianti, fortemente implementative della costruzione, sono ben posteriori giungendo, come sopra ricordato, al settembre 2005, nel mentre già nel 2007 fu adottata una ordinanza di contestazione circa le opere realizzate in difformità dal titolo concessorio.

Ma, soprattutto, è sul piano delle regole operative dell’affidamento che la tutela dei ricorrenti non appare condivisibile.

E’ pur vero che il rilascio di provvedimenti concessori tutela il destinatario degli stessi circa la presumibile legalità del suo agire, ma non può obliterarsi che residua pur sempre un vasto margine accertativo, presidiato dallo statuto della autoresponsabilità: canone di diretta proiezione sia dei principi della solidarietà sociale che dell’art. 27 Cost., posto che tale ultima norma (trascendendo la materia penalistica) affianca al rilievo della colpevolezza quale presidio di garanzia da addebiti incolpevoli, anche quello di stimolo a condotte comunque non intrinsecamente connotate da colpevoli illegalità.

Nel caso in esame, l’ordinaria diligenza, allertata anche dal(l’evidentemente) notorio degrado delle istituzioni burocratiche locali, avrebbe dovuto comportare una attenta vigilanza circa la supina adesione all’accoglimento di una richiesta palesemente eccedentaria dai limiti legali.

Circostanza la cui presenza -si ribadisce- rende l’intera fattispecie inidonea a generale legittimi affidamenti. (Per completezza espositiva si richiamano le responsabilizzanti formule notarili degli atti di compravendita depositati, afferenti ai luoghi di causa, ove puntualmente si attesta che "La parte… dichiara di essere a conoscenza della situazione urbanistica dei cespiti acquistati").

Nel delineato contesto non può quindi certo assumere ad una sorta di scriminante, la presenza di una intensa edificazione che, peraltro, si ignora se legittima o meno e che, come si dovrebbe ritenere sulla base dello stesso ricorso, forse è oggetto di molteplici, necessitati atti di autoannullamento.

In argomento, il Tribunale intende dare seguito alla sua giurisprudenza -mutuata da quella del superiore giudice amministrativo- in base a cui: "A mente dell’art. 9, t.u. ed. costituisce regola generale ed imperativa, in materia di governo del territorio, il rispetto delle previsioni del p.r.g. che impongano, per una determinata zona, la pianificazione di dettaglio: tali prescrizioni – di solito contenute nelle n.t.a. – sono vincolanti e idonee ad inibire l’intervento diretto costruttivo (cfr. Cons. St., sez. IV, 30 dicembre 2008, n. 6625)".

"Corollari immediati di tale principio fondamentale sono: a) che quando lo strumento urbanistico generale prevede che la sua attuazione debba aver luogo mediante un piano di livello inferiore, il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed efficace, ovvero quando è concluso il relativo procedimento (cfr. Cons. St., sez. V, 1 aprile 1997, n. 300); b) che in presenza di una normativa urbanistica generale che preveda per il rilascio del titolo edilizio in una determinata zona l’esistenza di un piano attuativo, non è consentito superare tale prescrizione facendo leva sulla situazione di sufficiente urbanizzazione della zona stessa (cfr. Cons. St., sez. IV, 3 novembre 2008, n. 5471); c) l’insurrogabilità dell’assenza del piano attuativo con l’imposizione di opere di urbanizzazione all’atto del rilascio del titolo edilizio" (CdS 3699/2010).

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese di causa possono tuttavia interamente compensarsi, stante la peculiarità della questione.
P.Q.M.

pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese di causa interamente compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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