Cass. pen., sez. V 29-10-2008 (02-10-2008), n. 40374 Falsa attestazione – In sede di istanza di partecipazione a gare per l’affidamento di lavori pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
I.P. ricorre avverso la sentenza 5.3.08 della Corte di appello di Trento con la quale è stata confermata quella del locale tribunale, in data 16.2.07, che lo ha condannato, in concorso di attenuanti generiche, alla pena – dichiarata interamente condonata – di mesi quattro di reclusione, per il reato di cui all’art. 483 c.p., consistito nell’avere, quale legale rappresentante della s.r.l.
"Beton Asfalti", falsamente attestato, nelle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà allegate a cinque domande di partecipazione a gare per l’affidamento di lavori pubblici, che non esisteva alcuna delle cause di esclusione previste dalla legge, mentre invece ad I.A., amministratore della società nel triennio precedente e componente del c.d.a., era stata applicata, ex art. 444 c.p.p., e ss., la pena, con sentenza 16.4.03, per i reati di falsità ideologica in atto pubblico, truffa in danno di ente pubblico e corruzione attiva propria.
Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione alla L.P. n. 26 del 1993, art. 35, comma 1, Regolamento alla L.P. n. 26 del 1993, art. 20, e art. 483 c.p., in quanto, con riferimento alle gare di appalto c.d.
"sotto soglia comunitaria" (capi C e D della rubrica), e quindi disciplinate dalle leggi provinciali della provincia autonoma di Trento, andava dichiarata, per la partecipazione alle gare di appalto, ai sensi della L. n. 26 del 1993, artt. 35 e art. 20 del relativo regolamento L.P., solo "la posizione penale degli amministratori muniti di rappresentanza per le società di capitali nonchè di direttori tecnici e degli eventuali procuratori che rappresentino l’impresa nella procedura di gara", ma poichè all’epoca delle dichiarazioni ((OMISSIS)) I.A. – come risultava dal verbale del c.d.a. della "Beton Asfalti" del (OMISSIS) – non aveva alcun potere di rappresentanza per la società (cessato dal 26.4.03, cioè dieci giorni dopo aver patteggiato la pena di cui al precedente ritenuto non dichiarato), essendo solo munito di deleghe di carattere esclusivamente interno non riferite ai rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni, quindi senza la rappresentanza della società in sede di gara, affidata al solo I.P., presidente del c.d.a., e poichè per la punibilità ex art. 483 c.p. occorre la preesistenza di una norma di legge che imponga al soggetto l’obbligo di dire la verità in ordine alla diversa dichiarazione trasfusa nell’atto pubblico, poichè I. A. non possedeva il requisito previsto dalle suindicate norme di legge, i suoi precedenti penali non dovevano essere indicati nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e/o insufficiente motivazione con riferimento alla dichiarazione resa al Comune di Trento il (OMISSIS) per la partecipazione alla gara per gli interventi stradali sulla strada provinciale n. (OMISSIS), lotto (OMISSIS) (proc. n. 1230/06, poi riunito a quello n. 138/07), avendo operato i giudici territoriali una anomala estensione della fattispecie penale, senza sufficiente argomentazione giuridica, dal momento che l’avere omesso che era stata pronunciata sentenza di condanna di I.A., passata in giudicato, per non esserne a conoscenza, non poteva essere considerato penalmente rilevante per la generica motivazione, che ampliava il concetto espresso dalla legge, secondo cui scopo della normativa provinciale era quello di evitare l’instaurazione di rapporti contrattuali tra pubblica amministrazione e società di diritto privato governate da amministratori di dubbia affidabilità morale e professionale, laddove proprio due mesi prima della dichiarazione resa al Comune di Trento il 15.12.04 il c.d.a. della società aveva ribadito che la rappresentanza della stessa in capo ad I.A. era limitata alla mera definizione della strategia aziendale di ricerca e sviluppo di nuovi mercati e alla rappresentanza del c.d.a. per la qualità, selezione dei fornitori e sviluppo delle trattative di acquisto, selezione del personale e sua formazione. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per inosservanza ed erronea applicazione del D.P.R. n. 544 del 1999, art. 75, comma 1, lett. b) e c), in relazione all’art. 45, c.p., con riferimento alla dichiarazione intervenuta il (OMISSIS) (capo A) relativa alla partecipazione a gare c.d. "soprasoglia", inusuali per la "Beton Asfalti", che operava solo in ambito locale. In tale contesto, il contenuto della dichiarazione sostitutiva di atto notorio era stato il frutto di un errore di fatto in quanto il dichiarante aveva in quel periodo la convinzione che la sentenza di patteggiamento emessa il 16.4.03 a carico di I. A. non fosse divenuta irrevocabile poichè non compariva sul certificato del casellario giudiziale, quale unico documento ufficiale richiesto cui fare riferimento per conoscere e dichiarare la qualità di terzi.
Non appena avvedutasi dell’errore, la società aveva provveduto a revocare l’offerta presentata rendendo così privo di conseguenza l’errore materiale commesso, per cui andava esclusa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Con il quarto, ed ultimo motivo, si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea applicazione del D.P.R. n. 544 del 1999, art. 75, comma 1, lett. b) e c) e D.P.R. n. 445 del 2000, art. 46, con riferimento alla dichiarazione (capo B) in cui l’imputato aveva affermato "di non essere a conoscenza del verificarsi delle situazioni di cui al D.P.R. n. 544 del 1999, art. 75, comma 1, lettere B e, C riguardo, fra gli altri, a I. A.", cioè aveva dichiarato di ignorare il passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento, circostanza vera poichè l’unico elemento cui la società si era potuta riferire era stato il certificato del casellario giudiziale che indicava "nulla", laddove inoltre in applicazione del citato D.P.R., art. 75 l’amministrazione richiedeva che venissero dichiarati non tutti i precedenti penali, ma solo quelli da ritenersi pregiudizievoli in quanto incidenti "sull’affidabilità morale e professionale" dei soggetti titolari o legali rappresentanti dell’impresa, anche cessati, in tal modo imponendo al dichiarante di fornire una valutazione di esclusiva spettanza invece della p.a., come tale non suscettibile di essere definita come vera o inveritiera.
Si chiedeva pertanto l’annullamento dell’impugnata sentenza.
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, non vi è stata la lamentata violazione di legge, avendo la Corte di merito correttamente osservato che I. A., al momento delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio, rilasciate dall’imputato il 25.6.04 (capo C) e il 12.7.04 (capo D), rivestiva la carica di vicepresidente della "Beton Asfalti" (da cui si è dimesso solo il (OMISSIS)), in virtù della quale era legittimato a sostituire il presidente in ogni affare sociale, senza limiti di delega. I.A. aveva inoltre, al momento delle dichiarazioni "incriminate", i poteri di rappresentanza conferitigli dal c.d.a. del 25.3.04, nell’ambito delle "deleghe per la definizione della strategia aziendale, ricerche e sviluppo di nuovi mercati, rappresentante del CDA per la qualità, selezione dei fornitori, sviluppo delle trattative di acquisto, selezione del personale e formazione marketing immagine aziendale, gestione dei rapporti bancali", rientrando pertanto nella previsione normativa di cui alla L.P. n. 26 del 1993, art. 35 e relativo regolamento L.P., art. 20, quale "amministratore munito di rappresentanza per le società di capitali" in ordine al quale era fatto obbligo di indicare le sentenze di condanna emesse a suo carico, tra cui devono farsi rientrare anche quelle di applicazione della pena su richiesta (Cass., sez. 5, 24 febbraio 2004, Vittoria, in C.E.D. Cass., n. 228021), nella specie quella emessa dal G.u.p. di Trento il 16.4.03 per i delitti di concorso in falsità ideologica commessa da p.u., truffa e corruzione, reati cioè che minano l’affidabilità morale e professionale di un amministratore di società".
In ordine al secondo motivo non possono che valere le superiori argomentazioni, dovendosi considerare assolutamente adeguata e logica la motivazione della Corte trentina secondo cui scopo della normativa provinciale richiamata è quello di evitare l’instaurazione di rapporti contrattuali tra p.a. e società di diritto privato governate da amministratori di dubbia affidabilità morale e professionale, dal momento che l’art. 20 del regolamento della Provincia di Trento prevede che, proprio al fine di determinare le cause di elisione di cui alla L.P. n. 26 del 1993, art. 35, comma 1, lett. c), "deve essere dichiarata la posizione penale degli amministratori muniti di rappresentanza per le società di capitali", ragion per cui, essendo I.A. depositario dei poteri di rappresentanza della "Beton Asfalti", nei termini sopra indicati, l’imputato ne avrebbe dovuto indicare l’intervenuta condanna.
In ordine al terzo motivo, concernente la ritenuta sussistenza di un errore di fatto, cui si era posto rimedio, una volta accertato, con la revoca della offerta presentata, è irrilevante l’assunto della buona fede basato sulla circostanza per cui l’ignoranza della definitività della sentenza di patteggiamento emessa nei confronti di I.A. derivava dalla omessa annotazione sul certificato del casellario giudiziale richiesto, dal momento che la dichiarazione del 30.9.03 (capo A) – come perspicuamente rilevato dalla Corte di merito – è intervenuta ben dopo il passaggio in giudicato della sentenza a carico di I.A. (3.6.03), in epoca quindi in cui la notizia era facilmente attingibile e senza che possa avere rilievo neanche la asserita completa dissociazione, dal momento che – come ancora osservato dai giudici di secondo grado in maniera logica ed esaustiva sul punto – se pure l’assemblea dei soci il (OMISSIS) aveva deliberato l’azione di responsabilità contro I.A., tale delibera non era però mai stata eseguita fino a quel momento, ma addirittura, con delib. 25 marzo 2004, I.A. era poi stato reintegrato nel c.d.a. e nominato vice presidente.
Nè può avere rilevanza, sempre ai fini di escludere l’elemento soggettivo del reato, l’intervenuta revoca della domanda di partecipazione alla gara di appalto, dal momento che il reato di cui all’art. 483 c.p. deve ritenersi integrato anche nel caso in cui quanto dichiarato possa essere altrimenti verificato dal successivo destinatario dell’atto, dal momento che in tale ipotesi deve escludersi la configurabilità del falso innocuo, atteso che l’innocuità del falso in atto pubblico non va ritenuta con riferimento all’uso che si intende fare del documento – che non è necessario ad integrare la condotta incriminata – ma solo se si esclude l’idoneità dell’atto falso ad ingannare comunque la fede pubblica (Cass., sez. 5, 30 settembre 1997, Brasola, in Cass. pen. 1999, p.856), circostanza che nella specie non ricorre.
Infine, quanto al quarto motivo di gravame, non possono che valere le precedenti osservazioni, non potendosi ritenere corrispondente al vero la dichiarazione dell’imputato, rilasciata il 6.2.04 (capo B), "di non essere a conoscenza del verificarsi delle situazioni indicate dal D.P.R. n. 544 del 1999, art. 75, comma 1, lett. b) e c) riguardo a I.A., legale rappresentante cessato", in quanto nei confronti di I.A. era già stata emessa il 16.4.03 la sentenza ex art. 444 c.p.p., e ss., (irrevocabile il 3.6.03), circostanza nota all’imputato sia per la sua posizione apicale all’interno della "Beton Asfalti", sia perchè – come del tutto logicamente evidenziato dalla Corte di appello – l’I.A. proprio a motivo di tale sentenza (e dopo soli dieci giorni dalla sua pronuncia) aveva rassegnato le dimissioni dagli incarichi direttivi ricoperti.
Obbligo dell’odierno ricorrente – secondo il dettato di cui al D.P.R. n. 544 del 1999, art. 75 – era pertanto quello di indicare, nella dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio del 6.2.04, la sentenza con cui ad I.A. era stata applicata la pena "patteggiata" dal G.u.p. di Trento per i reati di concorso in falsità ideologica commessa da p.u., truffa e corruzione, certamente incidenti sull’affidabilità morale e professionale dell’ I.A., giudizio che peraltro non era di certo richiesto al dichiarante in sede di autocertificazione, al quale era invece imposto solo l’obbligo di riferire un "fatto", appunto l’intervenuta condanna di I.A. a pena patteggiata, spettando poi alla p.a. ogni valutazione al riguardo sull’affidabilità morale e professionale del soggetto raggiunto da siffatta pronuncia. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cassazione, Sez. II, 30 marzo 2010, n. 7744 Nullità della notifica a mezzo posta mediante consegna al portiere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

1. – Sabrina Bernardi impugna la sentenza n. 51350 del 2005 del Giudice di Pace di Roma con cui veniva rigettato il suo ricorso ex articolo 22 della legge 689 del 1981 avverso la cartella esattoriale n. 097 2004 03797203 e dichiarato inammissibile il suo ricorso avverso altra cartella esattoriale. L’odierno ricorso riguarda soltanto la pronuncia relativa alla cartella n. 097 2004 0379720. In particolare, tale cartella riguardava sei infrazioni al Codice della Strada per un importo complessivo di euro 540,48. Veniva dedotto come motivo di opposizione la mancata notifica dei verbali, effettuata a mezzo posta, ma senza seguire le previsioni di cui all’articolo 139 c.p.c. L’ufficiale postale avrebbe infatti effettuato la notifica del portiere, senza inviare successivamente alcun avviso e senza rispettare l’ordine delle ricerche imposto dalla predetta norma.

2. – Il Giudice di Pace respingeva l’opposizione, ritenendo regolarmente eseguita la notifica dei verbali nel rispetto delle previsioni di legge. Riteneva a tal fine inconferente il richiamo all’articolo 139 c.p.c., trattandosi di notifica col mezzo postale al quale tale norma non era applicabile.

3. – La ricorrente articola un unico motivo, l’amministrazione intimata resiste con controricorso.

4. – Attivatasi procedura ex art. 375 CPC, all’udienza camerale la causa veniva rinviata alla pubblica udienza, nella quale le parti presenti hanno concluso come da epigrafe.

5. – Il ricorso è fondato e va accolto.

Sussiste la denunciata nullità della notifica della cartella esattoriale eseguita a mezzo posta a mani del portiere. Al riguardo, il Giudice di Pace non ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte in materia, condivisa da questo collegio, secondo la quale «è nulla la notifica [a mezzo posta] effettuata a mani del portiere dello stabile, allorquando la relazione dell’ufficiale postale non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento del destinatario o del rifiuto o assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto in posizione preferenziale (persona di famiglia, addetta alla casa o al servizio)» (Cass. 2007 n. 6021, nonché Cass. SU 2005 n. 8214; Cass. SU 2000 n. 1097).

6. – Il ricorso va accolto e il provvedimento impugnato va cassato nella parte in cui respinge l’opposizione alla cartella esattoriale n. 097 2004 03797203. Sussistendone i presupposti, ai sensi dell’art. 384 cpc, questa Corte può pronunciare sul merito, e, in accoglimento dell’opposizione originariamente proposta avverso la cartella esattoriale n. 097 2004 03797203, annulla la cartella in questione.

Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa senza rinvio il provvedimento impugnato nella parte in cui respinge l’opposizione alla cartella esattoriale n. 097 2004 03797203. Decidendo sul merito, in accoglimento dell’opposizione originariamente proposta avverso la cartella esattoriale n. 097 2004 03797203, annulla la cartella in questione.

Condanna la parte intimata alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 500,00 euro per onorari e diritti e 100,00 per spese, oltre accessori di legge per il giudizio di merito e in 400 euro per onorari e 200 curo per spese, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-12-2010) 21-01-2011, n. 2217 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza del 17.6.10 il Tribunale di Napoli, sezione riesame, dichiarava inammissibile l’appello proposto da C.C. (indagato per concorso, con B.F. e Ca.Ca., in concussione commessa in qualità di funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Napoli 4) contro l’ordinanza con cui il 20.4.10 il GIP dello stesso Tribunale aveva respinto la richiesta di sostituzione o di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari con altra meno afflittiva.

Ricorreva personalmente il C. contro detta ordinanza, di cui chiedeva l’annullamento per un solo articolato motivo con il quale lamentava vizio di motivazione nella parte in cui la gravata, pronuncia non aveva esplicitato i concreti elementi da cui desumere la possibilità di reiterazione del reato, commesso in concorso con i funzionali autori della verifica fiscale, senza i quali non avrebbe mai potuto commettere concussioni analoghe a quelle per cui era sotto processo;

inoltre, i presunti correi B. e Ca. erano stati arrestati e licenziati, il ricorrente non aveva avuto più alcun contatto con loro nè con l’Ufficio (era stato sospeso dal servizio) e nel frattempo le sue stesse mansioni (che già non prevedevano più alcun suo potere direttivo e dispositivo) erano state modificate;

inoltre, era trascorso lungo tempo dalla data di commissione dei reati (marzo 2006) e mancava la prova positiva e specifica dell’ipotizzato periculum in libertate. Quanto al supposto rischio di inquinamento probatorio – proseguiva il ricorrente – esso era escluso dal rilievo che, già da tempo concluse le indagini preliminari, il 6.7.10 si era anche celebrata la prima udienza dibattimentale e che le prove era costituite essenzialmente da intercettazioni telefoniche, documenti relativi a verifiche fiscali, sommarie informazioni delle persone offese che non avevano avuto alcun contatto con il C. e che nulla sapevano del suo presunto coinvolgimento.

1 – Il ricorso è infondato.

Premesso che, essendosi in presenza di una doppia pronuncia conforme, le motivazioni delle due ordinanze vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in un unico complesso argomentativo (cfr.

Cass. Sez. 2^ n. 5606 del 10.1.2007, dep. 8.2.2007; Cass. Sez. 1^ n. 8868 del 26.6.2000, dep. 8.8.2000; v. altresì, nello stesso senso, le sentenze n. 10163/02, rv. 221116; n. 8868/2000, rv. 216906; n. 2136/99, rv. 213766; n. 5112/94, rv. 198487; n. 4700/94, rv. 197497;

n. 4562/94, rv. 197335 e numerose altre), si noti che il ripristino dello status libertatis dell’odierno ricorrente è stato negato per pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede e per rischio di inquinamento probatorio.

In proposito i giudici del merito, facendo corretta applicazione dell’art. 274 c.p.p., lett. c), hanno desunto, con motivazione immune da vizi logico – giuridici, il persistente pericolo di reiterazione di analoghi delitti dal numero nonchè dalle modalità e dalla gravita dei fatti per cui si procede, tali da porre in risalto la permanente pericolosità sociale del C. suscettibile di esprimersi anche attraverso l’influenza sulle determinazioni dei colleghi in servizio, il che prescinde dalla esatta natura delle nuove competenze che sarebbero affidate al ricorrente ove tornasse al lavoro.

Quanto al pericolo di inquinamento probatorio, è appena il caso di rammentare che anche le sommarie informazioni rilasciate dalle persone offese possono, al momento della verifica dibattimentale, essere inquinate dal successivo intervento dell’imputato, così come il tenore di determinate conversazioni oggetto di intercettazioni telefoniche può essere strumentalmente "aggiustato" da un teste infedele.

Tale rischio di manipolazione d’un compendio probatorio ancora in itinere, in astratto immanente nella formazione in dibattimento della prova e come tale non rilevante a fini di determinazioni cautelari, è stato però in concreto esplicitato dai giudici del merito non mediante generico richiamo alla struttura accusatoria del processo penale, ma attraverso il rinvio alle pregresse attività svolte dal C. per frapporre ostacoli all’accertamento, come esplicitamente riportato nell’ordinanza genetica, circostanza di fatto contro la quale nulla ha concretamente opposto l’odierno ricorrente.

Per il resto, le argomentazioni svolte nell’atto di impugnazione mirano soltanto a sollecitare una nuova delibazione in punto di fatto circa il peso da attribuire agli elementi che militano contro l’adozione di misura meno afflittiva, il che è precluso in sede di legittimità. 2 – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Ex art. 616 c.p.p., consegue la condanna del ricorrente alle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 14-03-2011, n. 5952 Amministrazione Pubblica

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La controversia ha ad oggetto la richiesta di condanna al risarcimento dei danni da responsabilità extracontrattuale riportati a seguito dell’allagamento dell’azienda, proposta dal titolare della medesima T.M. nei confronti, tra gli altri, della Regione Molise, ritenendo il movimento franoso e la conseguente esondazione del fiume (OMISSIS) riconducibili ad attività commissiva ed omissiva della Regione e degli altri enti convenuti in giudizio in primo grado.

Il Tribunale adito – all’esito degli accertamenti tecnici compiuti – accoglieva la domanda, ritenendo responsabile la sola Regione;, risultando la sua totale inerzia, perchè, pur a conoscenza della situazione della frana e potendone prevedere i verosimili sviluppi, poi verificatisi, aveva omesso ogni intervento idoneo ad evitare o limitare l’evento dannoso.

La Corte d’Appello di Campobasso, con la sentenza depositata il 24.11.07, confermava le statuizioni relative alla responsabilità della Regione e si limitava a compensare le spese del primo grado.

Propone ricorso per cassazione la Regione sulla base di cinque motivi; resiste il T. con controricorso, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Con il primo motivo, la Regione lamenta violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 140, comma 1, lett. "e", e, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 103 Cost., riproponendo, sotto i due profili, l’eccezione di difetto di giurisdizione respinta dai giudici di merito.

La trattazione di questi motivi, prospettanti questione di giurisdizione, da parte di questa Sezione semplice è stata autorizzata con provvedimento della Prima Presidenza del 26.1.2011.

Le censure – che possono trattarsi congiuntamente data l’intima connessione – sono manifestamente prive di pregio. Invero, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, le domande di risarcimento danni proposte nei confronti della Pubblica amministrazione in base all’art. 2043 c.c., in materia di acque pubbliche (R.D. 11 dicembre 1933, n. 1715, art. 140, lett. e)) sono devolute alla competenza dei Tribunali Regionali delle Acque Pubbliche solo nel caso in cui vengano coinvolti apprezzamenti circa la delibera, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche o, comunque, scelte dell’amministrazione per la tutela di interessi generali correlati al regime delle acque (Cass. S.U. nn. 1066 del 2006; Cass., sez. 1^, n. 3755 del 2006, 8536 del 2005 e 19286 del 2004; Cass., sez. 3^, n. 368 del 2007 e 9026 del 2009). Sono, invece, riservate al giudice ordinario le domande che si ricollegano a fatti connessi solo in via meramente occasionale con le vicende relative al governo delle acque, come le controversie in cui si deduca la violazione delle comuni regole di prudenza e diligenza che, dovendo essere osservate per evitare lesioni all’altrui diritto, non richiedono valutazioni ed apprezzamenti tecnici, restando nell’ambito di un’attività doverosa per evitare pericoli a terzi. Tanto premesso in linea generale, con riferimento alla domanda proposta dal T. deve concludersi che la soluzione della controversia non implica la valutazione di scelte discrezionali collegate al regime delle acque, essendo stato ascritto il danno, con la citazione introduttiva, all’inosservanza, da parte della Regione, delle regole tecniche ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza nell’ambito delle attività di sistemazione e manutenzione idrogeologica del territorio, e in particolare dell’alveo del fiume (OMISSIS). Ciò dimostra che la decisione ha correttamente individuato l’organo dotato di giurisdizione anche sotto il profilo della causa petendi.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 2043 c.c., in combinato disposto al D.P.R. n. 616 del 1977, art. 69, e agli artt. 63 e 64, n. 523/1904, per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto la Regione unica responsabile, senza considerare gli obblighi e gli oneri ricadenti sui proprietari dei fondi, per riconoscerne un concorso di colpa, data la loro inerzia nel predisporre le opere di scolo normativamente previste.

La sentenza resiste alla censura mossa, la quale viene formulata, peraltro, senza dare conto di quanto affermato dalla Corte territoriale sul punto: "la costante e sempre più accentuata, nel corso degli anni, erosione degli argini del (OMISSIS) prescinde da singoli interventi sulla proprietà frazionata, come tali del tutto inorganici e privi di collegamento unitario". Aggiungevano i giudici di appello che "l’eccezione evidenziava un’ulteriore lacuna dell’attività della Regione poichè, se erano possibili ed utili singoli interventi a carico dei proprietari, doveva la Regione con i suoi poteri autoritativi imporre la conservazione della proprietà fondiaria, così svolgendo fra l’altro la suddetta necessaria attività di coordinamento delle singole opere dei privati". Tale ragionamento, peraltro non specificamente censurato nelle sue decisive articolazioni, è immune da vizi logici e giuridici ed è conforme alla "ripartizione" dei doveri tra Regione e proprietari frontisti desumibile dalla giurisprudenza di questa S.C., secondo cui i proprietari di fondi latistanti ad un torrente sono obbligati ( R.D. 25 luglio 1904, n. 523, ex art. 12) solo alla costruzione delle opere a difesa dei loro beni, mentre spetta all’Autorità amministrativa (ex art. 2, R.D. cit.) provvedere al mantenimento delle condizioni di regolarità dei ripari e degli argini o di qualunque altra opera fatta entro gli alvei e contro le sponde, sicchè fa carico alla Regione, alla quale sono state trasferite le competenze amministrative in materia di opere idrauliche, provvedere alla manutenzione dell’argine di un torrente, sito al di là della proprietà privata ed appartenente al demanio, con conseguente responsabilità della stessa (ex art. 2051 c.c.) per i danni derivati dall’omissione di tale manutenzione salvo che l’estensione e la configurazione del bene non rendano praticamente impossibile l’esercizio di un controllo che valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi (Cass., S.U., n. 9502 e 8588/97).

Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2043 c.c., in combinato disposto all’art. 2697 c.c., e, con il quinto motivo, insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, deducendo che la sentenza impugnata avrebbe violato i principi che governano l’onere probatorio, non avendo ritenuto necessario che il creditore producesse le prove idonee a dimostrare l’elemento soggettivo della colpa e, comunque, genericamente motivando riferendosi solo a "numerosi solleciti" e "richieste d’intervento". La censura – ancorchè inammissibile, non puntualizzando con quali illegittime o inadeguate affermazioni la Corte territoriale abbia violato le regole sull’onere probatorio o come risulti viziata la motivazione sul relativo punto – non coglie nel segno, posto che la Corte d’Appello, con congrua e corretta motivazione ha motivato che non poteva dirsi che il fenomeno fosse improvviso o inopinabile, perchè – sulla base degli elementi di fatto risultati anche dalla c.t.u. – era naturale conseguenza della mancanza di qualsiasi opera di risanamento delle sponde, lasciate per anni in una fase di pre – rottura, che aveva preparato la successiva frana; mentre la Regione non aveva allegato nessun intervento compiuto in riscontro sulle ripetute segnalazioni degli smottamenti e della progressiva erosione del territorio.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00, per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.