T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 20-06-2011, n. 5466 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte Suprema di Cassazione, con sentenza n. 19872/10 del 20.9.2010, notificata presso il domicilio legale dell’amministrazione convenuta, in data 11.1.2001, accoglieva la domanda del ricorrente proposta ai sensi della legge n. 89/2001 e condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in suo favore della somma di Euro 6.250,00 (oltre gli interessi legali e le spese di giudizio).

A fronte dell’inadempienza della pubblica amministrazione, parte ricorrente chiede che venga nominato un Commissario ad acta al fine di procedere, senza indugio, e con piena funzione sostitutoria, all’esecuzione della sentenza di cui in epigrafe.

La sentenza in questione è stata notificata in data 11.1.2011 ed è passata in giudicato il 12 marzo 2011.

In data 14.10.2010, la sentenza è stata notificata anche presso il domicilio reale del Ministero.

L’Avvocatura dello Stato non si è costituita in giudizio, ma il Ministero della Giustizia ha fatto pervenire una propria relazione.

Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla camera di consiglio dell’8 giugno 2011.

2. Il ricorso è fondato.

Secondo la prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, formatasi nel vigore degli art. 27, n. 4, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 37 l. 6 dicembre 1071, n. 1034 (sez. IV, n. 3427/2005 e, da ultimo, 10 dicembre 2007, n. 6318; sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2158; sez. IV, 18 giugno 2009, n. 3983; sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4600; sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3253; sez. IV, 27 maggio 2010, n. 3383) il decreto di condanna emesso ai sensi dell’art. 3 della c. d. legge Pinto, n. 89/2001, ha natura decisoria su diritti soggettivi e, essendo idoneo ad assumere valore ed efficacia di giudicato, vale ai fini della ammissibilità del ricorso contemplato dai citt. artt. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 27 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054.

Ciò vale a maggiore ragione nel caso di specie, in cui è intervenuta anche una sentenza, di merito, della Corte di Cassazione.

Il giudizio per l’ ottemperanza dell’amministrazione al giudicato del Giudice ordinario è esperibile, in particolare, anche per l’esecuzione di una condanna al pagamento di somme di denaro, alternativamente o congiuntamente rispetto al rimedio del processo civile di esecuzione, con il solo limite dell’impossibilità di conseguire due volte le stesse somme (Cons. Stato, VI, 16 aprile 1994, n. 527; Cass., SS. UU., 13 maggio 1994, n. 4661; Cons. Stato, IV, 25 luglio 2000, n. 4125 e 15 settembre 2003, n. 5167).

Nessun dubbio può, peraltro, esservi oggi, alla luce del codice del processo amministrativo (cfr., in particolare, l’art. 112, comma 2, lett. c), secondo il quale l’azione di ottemperanza può essere proposta per ottenere l’esecuzione "delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato", ulteriormente precisandosi, in punto di competenza territoriale, che, in tal caso, il ricorso si propone al TAR nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l’ottemperanza.

Il ricorso pertanto (sussistendo il presupposto dell’inoppugnabilità per decorso dei termini previsti ex lege, non contestato dall’intimata amministrazione), deve essere accolto, con conseguente ordine al Ministero della Giustizia di provvedere entro trenta giorni al pagamento delle somme recate dal citato titolo esecutivo oltre gli interessi legali fino al soddisfo.

Nella eventualità di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina fin da ora quale Commissario ad acta, il Ragioniere Generale dello Stato, con facoltà di delega.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, ordina all’amministrazione intimata di provvedere all’esecuzione, in favore del ricorrente, della sentenza indicata in epigrafe, e al pagamento delle somme allo stesso dovute, nei sensi di cui in motivazione, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla comunicazione o notificazione (se anteriore) della presente sentenza, alla scadenza del quale il Ragioniere generale dello Stato, o un funzionario da lui delegato, nominato fin da ora quale Commissario ad acta, provvederà, ad istanza di parte, ad ogni adempimento necessario per il pagamento, entro i successivi 30 giorni dall’istanza.

Condanna l’amministrazione alle rifusione delle spese di giudizio, che si liquidano complessivamente in euro 500,00 (cinquecento/00) oltre agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-03-2011) 01-07-2011, n. 26014

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

H.M. ricorre tramite difensore di fiducia avverso la sentenza della corte di appello di Bologna del 12 gennaio 2010 che, per quanto qui interessa, aveva confermato la condanna pronunciata a suo carico in primo grado per il reato di falso, secondo l’ipotesi di accusa da lui commesso con l’esibire a personale della polizia stradale una patente contraffatta, apparentemente rilasciata dall’autorità croata. Deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione di legge ed illogicità della motivazione, contestando alla corte territoriale di non aver applicato l’art. 49 c.p. e rilevato l’inidoneità dell’azione, atteso che a suo dire la patente era chiaramente ed evidentemente falsa, come aveva immediatamente rilevato la polizia stradale, di modo che si versava in ipotesi di falso grossolano. Deduce poi immotivato diniego della concessione di attenuanti generiche.

Il ricorso è inammissibile perchè generico, atteso che il ricorrente ripropone esattamente gli stessi motivi già prospettati con l’appello, tutti puntualmente e motivatamente delibati dalla corte territoriale. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-12-2011, n. 26141 Contratto a termine

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Lucca dichiarava la nullità della clausola appositiva del termine ai contratti di lavoro stipulati tra D. S. e P.L. e la società Poste Italiane, rispettivamente l’11 aprile 2000 ed il 19 ottobre 1998 per le esigenze eccezionali derivanti dal processo di riorganizzazione in atto ex art. 8 del c.c.n.l. 1994 e successivi accordi collettivi;

l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dalle date indicate, condannando la società Poste al pagamento delle retribuzioni dalla data di esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione.

Con sentenza depositata il 4 ottobre 2006, la Corte d’appello di Firenze respingeva il gravame proposto dalla società Poste. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società Poste Italiane, affidato a duplice motivo. Resistono con controricorso il D. e la P.. Entrambe le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

E’ stata autorizzata la motivazione semplificata della presente sentenza.

1. -Con i primi due motivi la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e artt. 1362 e 1363 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, lamentando che la corte territoriale non aveva correttamente valutato che le parti sociali, a seguito dell’ampia delega loro conferita dall’art. 23, L. cit., erano libere di prevedere nuove e diverse ipotesi di assunzione a termine rispetto a quelle previste dalla L. n. 230 del 1962, e non potevano ritenersi soggette ad alcun limite temporale sino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001. Denuncia inoltre insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ravvisato nella erronea subordinazione della legittimità dell’assunzione alla sussistenza di un nesso causale rispetto alle esigenze dedotte.

I motivi, stante la loro connessione, possono essere congiuntamente trattati e risultano infondati.

La sentenza impugnata, infatti, non ha ritenuto le pattuizioni collettive, in tema di individuazione di nuove ipotesi di contratto a tempo determinato L. n. 56 del 1987, ex art. 23, soggette ai requisiti di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, ma solo che esse avessero inteso prevedere un limite temporale alle specifiche esigenze organizzative legittimanti le assunzioni a termine di cui al c.c.n.l. 26 novembre 1994 e successivi accordi integrativi. L’assunto è pienamente conforme al consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, Cass. 9 giugno 2006 n. 13458, Cass. 20 gennaio 2006 n. 1074, Cass. 3 febbraio 2006 n. 2345, Cass. 2 marzo 2006 n. 4603), conseguendone l’illegittimità dei contratti a termine stipulati, per la causale in questione e come nel caso oggetto del presente giudizio, oltre il 30 aprile 1998, restando così assorbita l’ulteriore censura.

Non essendovi alcun motivo inerente l’aspetto patrimoniale della vicenda, è inammissibile la richiesta, contenuta nella memoria della società Poste ex art. 378 c.p.c., di applicazione dello ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7.

Ed invero va chiarito che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

3. – Il ricorso deve essere pertanto respinto. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro 50,00, Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 02-09-2011, n. 4922 Silenzio-accoglimento, silenzio-rifiuto e silenzio-rigetto della pubblica Amministrazione

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Svolgimento del processo

1. Il signor N. S. M. S., con ricorso n. 3891 del 2010 proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, ha impugnato il silenzio rifiuto sull’istanza di accesso ai documenti amministrativi, deducendo che:

in data 9 gennaio 2009 era stato avvisato dell’avvio nei suoi confronti di un procedimento amministrativo volto al rifiuto della istanza di rilascio del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro;

prodotti scritti difensivi e documenti entro il termine di dieci giorni dal ricevimento del predetto avviso, in data 18 gennaio 2009, tramite il proprio difensore aveva presentato memoria ex art. 10bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 con contestuale istanza di sospensione del procedimento amministrativo;

non avendo ricevuto riscontro alla memoria presentata, sempre a mezzo del mezzo del proprio difensore – e precisamente in data 11 gennaio 2010 e, nuovamente, in data 15 febbraio 2010 – aveva presentato alla Questura di Roma, Ufficio Immigrazione, istanza di accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241 del 1990, con la richiesta di conoscere lo stato della pratica nonché il nominativo del funzionario responsabile del procedimento, al fine di ottenere un appuntamento con lo stesso prima della definizione del procedimento amministrativo in corso;

non avendo provveduto l’Amministrazione a rispondere alla istanza di accesso, il sign. N. S. M. S. ha dedotto la illegittimità del silenzio serbato dalla Amministrazione chiedendo l’accoglimento della istanza.

2. Il Tribunale amministrativo ha accolto il ricorso e condannato l’Amministrazione al pagamento delle spese processuali a favore del ricorrente liquidate in complessivi euro 1.500,00, oltre IVA e CPA.

Nella sentenza di primo grado la pretesa fatta valere è giudicata fondata apparendo legittima e supportata da idonea giustificazione l’istanza di accesso presentata dal ricorrente ed essendo decorso il termine di legge entro il quale l’Amministrazione avrebbe dovuto rilasciare copia degli atti richiesti. Viene ordinato quindi alla Questura di Roma il rilascio, nei confronti del ricorrente, di copia di tutti gli atti richiesti con le istanze dell’11 gennaio 2010 e del 15 febbraio 2010 ed è anche accolta la domanda di nomina di un Commissario ad acta, perché, nell’ipotesi di ulteriore inadempienza dell’Amministrazione, provveda in via sostitutiva, ritenendo corretta la giurisprudenza per la quale, in caso di accoglimento del ricorso sul silenzio e se richiesto dai ricorrenti, si procede anche alla contestuale nomina del commissario ad acta per evitare l’inutile aggravio di un’ulteriore, autonoma domanda giurisdizionale.

3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado.

Nell’appello si censura la sentenza impugnata poiché il ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, in quanto: a) proposto avverso il silenzio rifiuto nei termini di cui all’art. 21bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 mentre, trattandosi di diniego di accesso a documentazione amministrativa avrebbe dovuto essere applicato l’art. 25 della legge n. 241 del 1990, il cui comma 4, primo periodo, prevede un’ipotesi di silenzio significativo con formazione di silenziorigetto e conseguente termine di trenta giorni per l’impugnazione giurisdizionale, risultando, dalla erronea applicazione del rito, l’erroneità della nomina del commissario ad acta non prevista dall’art. 25 della legge n. 241 del 1990; b) anche tardivo, ai sensi del rito di cui all’art. 25 della legge n. 241 del 1990, essendo stata presentata l’ultima istanza di accesso in data 15 febbraio 2010, formato il silenzio rigetto il 17 marzo 2010, notificato il ricorso giurisdizionale il 20 aprile 2010. Il ricorso è comunque inammissibile, si soggiunge, anche applicando il rito sul silenzio non significativo, poiché il comma 3 dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, in vigore alla data dell’istanza, stabiliva in novanta giorni il termine per la conclusione del procedimento, comportando ciò la formazione del silenzio in data 15 maggio 2010, con evidente prematurità del ricorso in quanto notificato il 20 aprile 2010.

4. Alla camera di consiglio dell’8 ottobre 2010 il Collegio ha ritenuto necessario, al fine del decidere, acquisire dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio il fascicolo del giudizio di primo grado mancante, allo stato, agli atti di causa; ha rinviato quindi alla camera di consiglio del 17 dicembre 2010 per il prosieguo, restando riservata al definitivo ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese.

5. Alla camera di consiglio del 17 dicembre 2010 il Collegio, constatata la mancata acquisizione del fascicolo di primo grado, ha confermato la necessità di acquisirlo al fine del decidere, e, riservata al definitivo ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese, ha fissato la camera di consiglio dell’1 marzo 2011 per il prosieguo. Alla camera di consiglio dell’1 marzo 2011 il Collegio, constatata la perdurante mancata acquisizione del fascicolo di primo grado, ha confermato la necessità di disporne al fine del decidere, e, riservata al definitivo ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese, ha fissato la camera di consiglio del 19 luglio 2011 per il prosieguo.

6. Pervenuto il 24 marzo 2011 il fascicolo di primo grado, alla camera di consiglio del 19 luglio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1. L’appello è fondato.

Infatti.

con il ricorso di primo grado si è chiesto al giudice, con formulazione sostanzialmente identica sia nella parte motiva sia nel petitum, di "dichiarare l’illegittimità del silenzio inadempimento serbato dalla Questura di Roma – Ufficio Immmigrazione- in ordine al proprio obbligo di provvedere in merito alla richiesta di accesso agli atti amministrativi inoltrata dal ricorrente e quindi di ordinare all’Amministrazione "di provvedere in merito alla detta istanza", con la nomina del commissario ad acta in caso di protratto inadempimento;

ciò richiamato si deve rilevare la irricevibilità del ricorso per tardività, in quanto presentato nel rito dell’accesso come disciplinato dalla normativa vigente ratione temporis di cui all’art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241, essendosi formato nella specie il silenzio rigetto di cui al comma 4 (decorsi al 17 marzo 2010 trenta giorni dall’ultima richiesta di accesso in data 15 febbraio 2010) ed essendo stato notificato il ricorso il 20 aprile 2010, scaduti i trenta giorni per l’impugnazione del silenzio rigetto previsti dal comma 5 del medesimo articolo;

si deve comunque rilevare l’inammissibilità del ricorso, in quanto ascrivibile al rito del silenzio, all’epoca regolato dall’art. 21bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, alla luce dell’art. 2, comma 3, della legge n. 241 del 1990 da applicare ratione temporis, essendo ivi stabilito in novanta giorni il termine per la conclusione del procedimento e non essendo decorso tale termine (in scadenza il 15 maggio 2010) alla data della notificazione del ricorso, presentato perciò in mancanza del presupposto del silenzio inadempimento.

2. Per quanto considerato l’appello è fondato e deve perciò essere accolto.

Le spese seguono, come di regola, la soccombenza. Esse sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello in epigrafe, n. 7596 del 2010, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso originario.

Condanna l’appellato, signor N. S. M. S., al pagamento delle spese del giudizio a favore dell’Amministrazione appellante, che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre gli accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.