T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 28-09-2011, n. 2311 Contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La ricorrente impugna il provvedimento con il quale la Provincia di Lecco ha disposto il divieto di prosecuzione dell’attività presso il sito produttivo di Mandello del Lario e quello dell’Albo nazionale delle Imprese che svolgono la gestione dei rifiuti che ha archiviato la domanda di iscrizione al registro presentata dalla ricorrente per i seguenti motivi.

I) Violazione dell’art. 33 c. 1 del D. Lgs. 22/1997 e dell’art. 216 del D. Lgs. 152/2006 ed eccesso di potere in quanto il ricorrente avrebbe ottenuto l’autorizzazione semplificata all’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti per silenzio assenso, con la conseguenza che il provvedimento della Provincia di Lecco sarebbe tardivo.

II) Violazione dell’art. 33 c. 1 del D. Lgs. 22/1997 e dell’art. 216 del D. Lgs. 152/2006 ed eccesso di potere in quanto la procedura semplificata permetterebbe di svolgere l’attività di recupero dei rifiuti in via accessoria e strumentale senza i requisiti richiesti in via ordinaria.

III) Illegittimità del provvedimento provinciale per carenza di motivazione in quanto non sarebbero stati indicati in modo specifico, neppure per relationem, i requisiti mancanti.

IV) Violazione dell’art. 33 c. 1 del D. Lgs. 22/1997 e dell’art. 216 del D. Lgs. 152/2006 ed eccesso di potere nella nota della Sezione Regionale dell’Albo Nazionale delle imprese che svolgono attività di smaltimento rifiuti in quanto l’attività della ricorrente avrebbe i requisiti richiesti dalla legge.

V) Illegittimità derivata del provvedimento dell’Albo in conseguenza dei vizi del provvedimento provinciale.

Con il ricorso per motivi aggiunti la ricorrente contesta che l’amministrazione avrebbe integrato la motivazione dei provvedimenti impugnati in giudizio mediante le proprie difese e controbatte alle difese della Provincia.

La difesa della Provincia chiede la reiezione del ricorso.

All’udienza del 5 luglio 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è infondato.

L’articolo 33 del decreto legislativo 5 luglio 1997 n. 22, ed oggi l’art. 216 del T.U. Ambientale prevede una procedura semplificata, mediante denunzia d’inizio d’attività, di autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti. Il comma 1 dispone che l’attività possa essere intrapresa decorsi novanta giorni dalla comunicazione d’inizio di attività alla provincia territorialmente competente, il comma 3 prevede che entro quel termine la provincia verifichi d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti per l’esercizio dell’attività, e il comma 4 prevede che, accertato il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la provincia disponga il divieto d’inizio o di prosecuzione dell’attività.

Benché la comunicazione di cui trattasi sortisca effetto già per il decorso del termine di 90 giorni, in assenza di specifici divieti o richieste di integrazioni documentali da parte della Provincia, sulla scorta dei meccanismi tipici del silenzio assenso, la comunicazione medesima, pur sortendo l’effetto operativo di legittimare l’attività con il decorso dei termini di legge, soggiace alle disposizioni richiamate dall’art. 31, ultimo comma, del D. Lgs. 22/97 (oggi art. 214 del T.U. Ambiente), ovvero le statuizioni sulla veridicità delle comunicazioni rese e dei relativi atti che la compongono, nonché il divieto di conformazione se si siano rese dichiarazioni false e l’espressa previsione di applicazione della sanzione prevista dall’articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

Inoltre poiché la disposizione del terzo comma dell’art. 216 prevede espressamente che la Provincia verifica la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti, disponendo non solo il divieto di inizio ma anche quello di prosecuzione della medesima, si deve ritenere che tale potere di controllo sia esercitabile anche in caso di accertamento successivo alla decorrenza dei termini di inizio attività, qualora si verifichino irregolarità od il mancato rispetto della norma tecnica a presupposto della quale viene svolta l’attività, senza che sia necessaria la rimozione del provvedimento di assenso tacito.

Ne consegue che nessuna consumazione del potere di controllo provinciale si è verificata per il fatto che il diniego di autorizzazione è stato emanato oltre un anno dopo la presentazione della domanda.

Il secondo motivo è infondato in quanto l’art. 126 del D. Lgs. 152/2006 stabilisce al primo comma che l’autorizzazione semplificata opera "a condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all’articolo 214, commi 1, 2 e 3".

Ne consegue che non si può ritenere che la previsione della comunicazione di inizio di attività costituisca una forma di liberalizzazione dell’attività.

In secondo luogo poiché condizione indispensabile per l’utilizzo della procedura semplificata è, nel caso in questione, il rispetto del D.M. 05/02/1998 per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, non è possibile ritenere che la mera accessorietà dell’attività di recupero dei rifiuti rispetto all’attività principale giustifichi il mancato rispetto della normativa ambientale.

Sebbene, infatti, tra gli scopi del T.U. ambientale vi sia anche quello di favorire il recupero dei rifiuti rispetto alle tradizionali attività di smaltimento, la legge non ha voluto, con gli artt. 214 ss. del D. Lgs. 152/2006, ritenere che il recupero sia attività irrilevante dal punto di vista ambientale, quanto piuttosto sottoporla ad un regime amministrativo ambientale semplificato e di favore, a condizione però che siano rigidamente osservati i limiti stabiliti dal D.M. 05/02/1998 per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi. Solo il rispetto di fatto di queste condizioni legittima la piena efficacia della d.i.a. e la conseguente iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali.

Non è possibile quindi ritenere che l’attività di recupero non sia soggetta alla normativa ambientale ma a quella dell’attività principale.

Il terzo motivo di ricorso, incentrato sul difetto di motivazione, è infondato in quanto la mancanza dei requisiti richiesti dal DM 05.02.1998 per la gestione dei rifiuti non pericolosi risulta dal confronto diretto tra le foto del verbale dell’ispezione effettuata dalla Provincia il 7 giugno 2007 e la normativa violata. In particolare risultano cumuli scoperti mentre l’allegato 5 al DM citato richiede che "lo stoccaggio in cumuli di rifiuti che possano dar luogo a formazioni di polveri deve avvenire in aree confinate; tali rifiuti devono essere protetti dalle acque meteoriche e dall’azione del vento a mezzo di appositi sistemi di copertura anche mobili".

Ne consegue che nessun difetto di motivazione può imputarsi al provvedimento amministrativo in quanto la mancata indicazione della specifica disposizione vietata all’interno del DM citato costituisce una mera irregolarità in quanto non rende perplesso il contenuto del provvedimento.

Il quarto motivo di ricorso è irricevibile per tardività in quanto la comunicazione dell’Albo dei Gestori dei rifiuti, trattandosi di atto che ha interrotto il procedimento di iscrizione e direttamente impediente l’esercizio dell’attività, avrebbe dovuto essere impugnato dalla ricorrente nei termini di legge decorrenti dalla conoscenza del provvedimento.

Il motivo è quindi irricevibile per tardività.

Da ultimo va respinto anche il quinto motivo di ricorso ove il ricorrente contesta che il diniego di iscrizione da parte dell’Albo sarebbe viziato da illegittimità derivata dal provvedimento della Provincia che ordina la cessazione dell’attività in quanto quest’ultimo è ritenuto legittimo.

Anche il ricorso per motivi aggiunti è infondato.

In primo luogo non sussiste integrazione postuma della motivazione del provvedimento in quanto la difesa della Provincia ha operato mediante gli atti difensivi una specificazione dei profili di violazione del DM 05/02/1998 che non costituisce integrazione della motivazione.

Infatti la giurisprudenza ha chiarito che in caso di atti vincolati, qual è quello in questione, è sufficiente l’indicazione dei fatti e delle norme giuridiche che attribuiscono all’amministrazione il potere di provvedere (c.d. giustificazione: Cons. Stato, sez. IV 22 giugno 2006 n. 3962). Nel caso in questione i fatti e la fonte normativa che fonda il potere dell’amministrazione erano stati specificati nel provvedimento, mentre la successiva attività difensiva si è limitata a specificare il profilo della violazione perpetrata dal ricorrente, senza che ciò abbia aggiunto nulla al contenuto del provvedimento.

Gli altri motivi del ricorso per motivi aggiunti non costituiscono invece motivi nuovi ma mere repliche alle difese dell’amministrazione e quindi non debbono essere autonomamente esitate.

In definitiva quindi anche il ricorso per motivi aggiunti dev’essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, e sul ricorso per motivi aggiunti, li respinge.

Condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali a favore dell’amministrazione provinciale, che liquida in euro 2.500,00 oltre IVA e CPA se dovuti. Compensa le spese nei confronti dell’Albo dei Gestori Ambientali sezione regionale della Lombardia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Adriano Leo, Presidente

Ugo De Carlo, Referendario

Alberto Di Mario, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 16-02-2012, n. 2236 Spese della comunione e del condominio

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Svolgimento del processo

Con atto di riassunzione del 26/9/2002 a seguito di declaratoria di incompetenza territoriale, S.G. conveniva in giudizio B.A. chiedendone la condanna al rimborso di spese da lui sostenute per la manutenzione ordinaria di un immobile del quale egli era nudo proprietario; assumeva che le spese dovevano far carico alla convenuta in quanto usufruttuaria. Con sentenza del 30/3/2004 il Giudice di Pace di Desio rigettava la domanda attrice.

Il S. proponeva appello al quale resisteva la B..

Il Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio decidendo quale giudice di appello, con sentenza del 19/7/2005 accoglieva l’impugnazione e condannava l’usufruttuaria al rimborso delle spese condominiali sostenute dall’attore rilevando che tali spese in quanto non pertinenti alla manutenzione straordinaria, dovevano gravare sull’usufruttuaria e che non poteva essere opposta al nudo proprietario la non debenza per mancato godimento dei servizi comuni, trattandosi di contestazione che avrebbe dovuto essere sollevata in sede di impugnazione della delibera condominiale. B.A. propone ricorso fondato su un unico motivo.

Resiste con controricorso S.G. che propone ricorso incidentale fondato su un unico motivo.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso, così testualmente rubricato "insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in violazione di quanto previsto dall’art. 1004 c.c. e dall’art. 1123 c.c., n. 2 e dall’art. 61 disp. att. c.c." la ricorrente deduce che il giudice di appello con motivazione carente e contraddittoria:

non ha considerato che il CTU ha escluso che l’usufruttuaria potesse godere dei servizi che le vanivano addebitati nel riparto delle spese condominiali;

– ha dapprima affermato che non era in discussione ed esaminabile il rapporto tra nudo proprietario e usufruttuario da un lato e condominio dall’altro e poi, contraddicendosi, ha negato che l’usufruttuaria potesse sollevare contestazioni sulla debenza delle spese ritenendo che tali contestazioni avrebbero dovuto essere sollevate impugnando la delibera condominiale;

– non ha considerato che essa deducente non era in condizione di impugnare la delibera di ripartizione delle spese perchè nella delibera nessuna spesa era posta a suo carico e, quindi, non aveva interesse all’impugnazione.

2. Occorre premettere che, in tema di ripartizione degli oneri condominiali tra nudo proprietario ed usufruttuario, questa Corte, contrastando sia la tesi per la quale le spese condominali dovessero gravare unicamente sul nudo proprietario, con diritto di questi di rivalersi, con l’azione di regresso, sull’usufruttuario, sia la tesi della solidarietà del debito del nudo proprietario dell’usufruttuario, ha da tempo affermato che, in applicazione degli artt. 1004 e 1005 cod. civ., il nudo proprietario non è tenuto, neanche in via sussidiaria o solidale al pagamento delle spese condominiali, nè può essere stabilita dall’assemblea una diversa modalità di imputazione degli oneri stessi in deroga alla legge; si è infatti osservato che il pagamento degli oneri condominiali costituisce una obbligazione propter rem, quindi tipica, per cui la qualità di debitore dipende da quella di proprietario o di titolare di altro diritto reale sulla cosa e che le norme relative alla ripartizione delle spese tra usufruttuario e nudo proprietario sono opponibili al condominio, il quale, anzi, è tenuto ad osservarle anche in sede di approvazione dei bilanci, distinguendo le spese a carico del proprietario da quelle a carico dell’usufruttuario (Cass. 27/10/2006 n. 23291; Cass. 28/7/8/2008 n. 21774).

Ciò premesso in ordine alla cornice dei principi giuridici all’interno della quale valutare la correttezza motivazionale della sentenza impugnata, si deve osservare che la censura di contraddittorietà è fondata.

Il giudice di appello ha, da un lato, affermato che era in discussione il rapporto diretto tra nudo proprietario e usufruttuario, con ciò, implicitamente, escludendo che il primo esercitasse un regresso o una rivalsa (ed infatti, esclusa la solidarietà tra i due soggetti per le spese condominiali, non si vede a quale titolo il nudo proprietario avrebbe potuto agire in regresso), ma poi, del tutto contraddittoriamente, non ha attribuito alcun rilievo alla contestazione relativa al mancato godimento da parte dell’usufruttuaria dei servizi comuni oggetto delle spese delle quali era chiesto il pagamento e non già giudicando sulla debenza o meno di quelle spese, ma ritenendo che quella contestazione sul merito delle spese dovesse essere fatta valere impugnando la delibera condominiale e così nuovamente contraddicendosi rispetto alla precedente affermazione secondo la quale in causa si discuteva unicamente del rapporto tra il nudo proprietario e l’usufruttuario;

da questo presupposto il giudice avrebbe dovuto trarre la conclusione che se il proprietario chiedeva il pagamento di spese di manutenzione (non essendo contestato in causa il diritto del proprietario a chiedere il rimborso delle spese se dovute e non essendo quindi consentito a questa Corte affrontare tale tematica), quanto meno all’usufruttuario doveva esserne consentita la contestazione.

E’ inoltre insufficiente la motivazione per la quale l’usufruttuaria avrebbe dovuto contestare il debito impugnando la delibera condominiale perchè altrimenti la sua negligenza verrebbe a gravare sul nudo proprietario che si troverebbe a pagare spese non di sua pertinenza; la motivazione trascura completamente di considerare che, come rilevato in ricorso, all’usufruttuaria nulla era stato richiesto dal condominio con la delibera condominiale; nè potrebbe affermarsi che il nudo proprietario era comunque tenuto a pagare; siccome l’obbligazione non era solidale, il debito per spese ordinarie non gravava su di lui e pertanto proprio il nudo proprietario avrebbe potuto impugnare la delibera proprio contestando che le spese erano a lui illegittimamente addebitate.

4. In conclusione il ricorso deve essere accolto sotto il profilo della insufficiente e contraddittoria motivazione, nonchè della erronea applicazione dell’art. 1004 c.c. non essendo stato correttamente applicato il principio per il quale l’usufruttuario è direttamente tenuto, nei confronti del condominio, al pagamento delle spese condominiali di amministrazione e manutenzione ordinaria, mentre non vi è tenuto il nudo proprietario, neppure in via sussidiaria o solidale; la sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio al Tribunale di Monza in persona di altro giudice, che si dovrà uniformare al principio di diritto sopra enunciato e a quanto statuito da questa Corte.

Il ricorso incidentale diretto all’annullamento della sentenza per quanto attiene all’omessa pronuncia sulla domanda di restituzione di quanto versato per effetto della sentenza riformata in appello, resta assorbito dall’annullamento della sentenza impugnata.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione del Tribunale di Monza.

Dichiara assorbito il ricorso incidentale.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 12-11-2011, n. 8739 Esclusioni dal concorso

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Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 26 ottobre 2001 e depositato il successivo 8 novembre, la ricorrente impugna gli atti indicati in epigrafe e ne chiede l’annullamento.

Riferisce di aver presentato domanda di partecipazione al concorso pubblico a n. 2 posti di Dirigente medico di ortopedia e traumatologia, indetto dall’Azienda Sanitaria Locale n. 3 di Lagonegro (Pz) con delibera n. 1068 del 7 dicembre 2000.

Con nota del 20 giugno 2001 le è stato richiesto il titolo di specializzazione nella disciplina di ortopedia e traumatologia ovvero di altro titolo equipollente, cui la ricorrente ha dato riscontro con una dichiarazione e attestato di servizio, da cui risultava la qualità di dirigente medico "di ruolo" in ortopedia e traumatologia presso una struttura privata accreditata della medesima. A ciò, tuttavia, ha fatto seguito il provvedimento impugnato, che ha disposto l’esclusione della ricorrente per non aver dichiarato né comprovato il possesso della specializzazione nella disciplina di ortopedia e traumatologia o in disciplina equipollente o affine, in quanto dipendente di casa di cura privata e, quindi, non destinataria dell’esenzione di cui all’art. 56, co. 2, del d.P.R. n. 483 del 1997.

Deduce:

1. violazione della legge n. 421 del 1992, del d.lgs. n. 502 del 1992 e s.m.i., degli artt. 22 e 56 del d.P.R. n. 483 del 1997. Eccesso di potere per sviamento, illogicità, arbitrarietà.

2. Nuova violazione delle disposizioni legislative richiamate nella prima rubrica e violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Disparità di trattamento, illogicità manifesta. Illegittimità derivata con riguardo all’impugnativa della norma regolamentare.

Si sono costituiti, con solo atto formale, sia il Ministero della Salute che la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

All’Udienza del 12 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

La ricorrente sostiene l’illegittimità del provvedimento di esclusione dalla procedura concorsuale, per titoli ed esami, a n. 2 posti di Dirigente medico nella disciplina di ortopedia e traumatologia, motivato dal fatto che il sanitario di livello dirigenziale presso una casa di cura privata accreditata con il Servizio sanitario nazionale fosse sprovvisto della specializzazione richiesta.

Con il primo articolato motivo la ricorrente censura l’interpretazione che l’Azienda U.S.L. n. 3 ha dato all’art. 56, comma 2, del D.P.R. n. 483/1997, ritenendola in contrasto con la ratio della norma regolamentare medesima, nonché con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, nonché affetta da eccesso di potere.

In buona sostanza assume che il servizio presso una clinica accreditata dovrebbe essere equiparato a tutti gli effetti a quello presso il servizio sanitario, e, a tal fine, adduce una ampia ricostruzione della disciplina del settore, evidenziando l’effetto unificante che sarebbe da attribuire alla soppressione della posizione di assistente medico e la fusione con quella dell’aiuto.

In caso contrario, si creerebbe, in dispregio del principio generale di parità tra strutture pubbliche e private accreditate, una ingiustificata disparità di trattamento tra medici dipendenti delle une e delle altre, svolgenti medesime funzioni ed aventi uguali responsabilità.

Le censure, ancorché bene argomentate, non sono condivisibili.

In verità, la disposizione dell’art. 56, comma 2, D.P.R. n. 483/1997 (Regolamento per i concorsi per la dirigenza del S.S.N.) è chiara nel riferimento al "personale del ruolo sanitario in servizio di ruolo alla data di entrata in vigore del presente decreto" quale specifica ipotesi di esenzione "dal requisito della specializzazione" (nella disciplina relativa al posto di ruolo già ricoperto alla predetta data) per la partecipazione a concorsi presso le UU.SS.LL. diverse da quella di appartenenza.

La disposizione regolamentare (come ha chiarito la giurisprudenza, vedi T.A.R. Lazio, Sez. III, 22.04.2004, n. 3445, nonché T.A.R. Molise, 03.05.1999, n. 374) si riferisce al ruolo sanitario, e non ad altri ruoli, e quando ha voluto estendere la disciplina transitoria favorevole al personale inquadrato in altri ruoli, lo ha espressamente previsto come nel caso del funzionario psicologo del Ministero della Sanità o delle Regioni, come emerge dal D.P.R. n. 484/1997, art. 11 (Regolamento per l’accesso al secondo livello dirigenziale per il personale del ruolo del S.S.N.).

Né tale differenziazione (tra ruolo sanitario ed altri ruoli) appare – in linea astratta – in contrasto con i principi di uguaglianza e buon andamento, poiché la stessa trova fondamento nella diversità delle modalità di accesso a ciascuna tipologia di ruolo professionale e delle esperienze professionali acquisite nell’esercizio della funzione.

D’altro canto la più recente giurisprudenza del Giudice di appello (Consiglio di stato, sez. V, 17 gennaio 2011, n. 212) ha precisato che la norma applicata dall’Amministrazione non si presta ad equivoci circa la concessione dell’esonero della specializzazione a favore del solo personale appartenente al Servizio sanitario nazionale, né si individuano argomenti per sostenere l’irrazionalità di tale disciplina.

Ha, altresì, chiarito, che il fondamento della differenziazione del trattamento tra il personale pubblico e quello privato va individuato nella circostanza che il rapporto con la struttura pubblica si instaura sulla base di una specifica disciplina destinata a garantire la preparazione del candidato al posto di ruolo, mentre analoghe formalità non sono prescritte per l’assunzione presso istituzioni sanitarie private.

Tale differenziazione trova conferma nell’art. 22 del d.P.R. 483 del 1997, che riconosce il servizio prestato nelle strutture private accreditate nella misura del 25%. Il minor punteggio riconosciuto a tale servizio comporta che la equiparazione si realizza solo attraverso la prestazione di un servizio di durata maggiore rispetto all’altro.

Alla luce delle suddette argomentazioni non è ravvisabile alcuna disparità di trattamento, essendo diverse le situazioni in cui versano le due categorie di medici

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Sussistono ragioni per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 30-11-2011, n. 9395

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il provvedimento 4063642008/34790/ds4 del 3.3.2009 il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – ha irrogato al ricorrente la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di diritto:

1) Difetto di istruttoria; violazione dei principi sul procedimento amministrativo, violazione L. 241/90 e DPR 3/57; artt. 101 / 120, violazione art. 16, 4, D.Lgs. 449/92; eccesso di potere per sproporzione tra addebito e sanzione disciplinare irrogata;

2) Travisamento dei fatti, arbitrarietà; manifesta illogicità; grave irragionevolezza, difetto di motivazione, violazione art. 3 L. 241/90; travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, sviamento di potere, illogicità e irragionevolezza gravi e manifeste.

Con ord. n. 2432/09 è stata respinta la domanda cautelare ed è stato precisato che "l’Amministrazione – tenuto anche conto dell’equiparazione delle sentenze di patteggiamento a quelle di condanna, attuata dalla legge n. 97 del 2001 – ha compiutamente accertato la rilevanza disciplinare dei fatti ascritti".

Con successiva ordinanza il Consiglio di Stato (cfr., n. 3920/2009) ha confermato la precedente ord. n. 2432/09 in base al presupposto che il ricorrente "ha riportato sentenza emessa dal GIP presso il Tribunale di Milano il 19.9.2008 di applicazione della pena di anni 1 di reclusione ed 800 Euro di multa".

Nel merito, il ricorso è infondato.

Con i motivi di ricorso l’interessato lamenta il difetto di istruttoria, di motivazione e la mancata autonoma valutazione in sede amministrativa dei fatti contestati.

Come risulta dalla documentazione in atti e dalla ricostruzione degli eventi fatta da controparte:

a). il ricorrente è stato condannato per il reato di cui all’art. 640 c.p. (truffa a danno dello Stato) e falsità materiale in atti commessa dal pubblico ufficiale fuori dall’esercizio delle sue funzioni, giusta sentenza del GIP presso il Tribunale di Milano il 19.9.2008 di applicazione della pena di anni 1 di reclusione;

b). sul punto è evidente che la vicenda di cui il ricorrente si è reso protagonista (anche a prescindere dagli esiti del procedimento penale) avuto riguardo alle modalità di tempo e di luogo in cui è maturata e si è sviluppata, rileva non solo la mancanza del senso dell’onore e del senso morale ma dimostra anche la dolosa violazione dei doveri istituzionali, con grave pregiudizio all’amministrazione di appartenenza.

Pertanto, rileva in senso negativo il comportamento di un agente di Polizia penitenziaria, istituzionalmente preposto alla tutela dell’ordine, il quale, agisca in contrasto con i doveri di lealtà e correttezza assunti con il giuramento.

Inoltre, la riscontrata mancanza di affidamento sulle doti morali e caratteriali del soggetto, che sostanzialmente sono alla base della destituzione, presuppone un apprezzamento di natura tecnico discrezionale da parte dell’amministrazione, che nel caso in esame non appare censurabile.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando:

Respinge il ricorso, come in epigrafe proposto.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del resistente per complessivi Euro 2000,00 (duemila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.