Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 06-07-2011) 29-09-2011, n. 35532

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.E. ricorre per cassazione contro la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la Corte di Appello di Napoli ha confermata la sentenza di condanna emessa dal giudice di primo grado per il reato di cui all’art. 334 c.p., comma 2, per avare utilizzato un veicolo, di sua proprietà, sottoposto a sequestro amministrativo e affidato alla sua custodia, e ne chiede l’annullamento, denunciando violazione di legge in riferimento alla non corretta qualificazione giuridica del fatto.

Il ricorso è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte con la recente sentenza delibata all’udienza del 28/10/2010 nel procedimento penale n.10939/10 ha accolto la tesi della inapplicabilità dell’art. 334 c.p., alla fattispecie della mera circolazione di mezzo sottoposto a sequestro amministrativo.

Poichè dalla lettura della sentenza impugnata e dal medesimo ricorso emerge una fattispecie di mera circolazione, va preso atto di tale autorevole insegnamento, cui consegue ovviamente l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perchè il fatto non è previsto come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il fatto non è previsto come reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-03-2012, n. 4374 Leasing

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Svolgimento del processo

Il 15 settembre del 1990, a seguito del tamponamento da parte di un veicolo assicurato presso la SAPA s.p.a., un incendio distrusse, con l’intero suo contenuto, un furgone di proprietà della Technoleasing s.p.a. e da questa concessa in locazione finanziaria, nell’aprile del 1990, alla Dangel Furs.

Con altra convenzione del 13 settembre del 1990, la concedente aveva altresì trasferito in leasing alla medesima utilizzatrice un arredo completo di mobili per negozi di abbigliamento.

A seguito della perdita del veicolo, venuto meno l’oggetto di uno dei due contratti, la società di leasing richiese alla controparte il pagamento dei residui canoni attualizzati relativi al furgone.

Inevasa tale richiesta, non avendo ricevuto l’indennizzo assicurativo e avendo l’utilizzatrice sospeso la corresponsione dei canoni per il leasing relativo ai mobili, la Technoleasing chiese la risoluzione di diritto dei due contratti, ottenendo dal pretore di Sondrio un decreto ingiuntivo nei confronti della Dangel avente ad oggetto tanto le somme dovute a titolo di pagamento dei canoni di leasing scaduti relativi ai due contratti (per un importo pari ad oltre 48 milioni di lire) quanto quelle relative ai mobili da arredamento.

A seguito di opposizione proposta dall’odierna ricorrente, il giudice di primo grado confermò il provvedimento monitorio, con sentenza a sua volta confermata dal Tribunale di Sondrio ma cassata con rinvio da questa Corte che, rilevata l’incompetenza per valore del pretore e dichiarata la nullità del decreto ingiuntivo, rinviò la causa alla corte di appello di Milano.

La corte meneghina, investita del procedimento a seguito di riassunzione da parte di entrambi i soggetti in lite, avendo in limine rilevato la cessazione della materia del contendere quanto ai mobili da arredamento, condannò la società utilizzatrice al pagamento dei canoni di leasing insoluti con riferimento ad entrambi i contratti. La sentenza è stata impugnata dalla Dangel Furs con ricorso per cassazione articolato in un unico, complesso motivo motivo di doglianza.

Resiste con controricorso la Bancaperta s.p.a. (già Technoleasing).

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo ed unico motivo, si denuncia congiuntamente (e senza ulteriori specificazioni) un vizio di violazione di legge e contraddittorietà della motivazione. Entrambe le doglianze, da esaminarsi congiuntamente/attesane la intrinseca connessione sono del tutto infondate, sotto concorrenti profili.

La corte territoriale, in sede di giudizio di rinvio (in consonanza con quanto già statuito dal tribunale di Sondrio) ha, con motivazione scevra da vizi logico-giuridici, ritenuto del tutto legittima la pretesa della società concedente all’adempimento delle obbligazioni scaturenti dai due contratti di leasing tanto con riferimento ai canoni relativi al furgone – in relazione al quale nessun indennizzo fu mai erogato dalla compagnia assicuratrice -, in applicazione dell’art. 13 della convenzione negoziale stipulata inter partes e senza che assumesse giuridica rilevanza l’avviso del sinistro comunicato dalla concedente alla assicuratrice, ovvero che il mancato versamento dell’indennizzo stesso potesse in alcun modo essere ascritto a mala fede della concedente, quanto ai canoni dovuti per i mobili da arredo.

Le critiche mosse alla sentenza si infrangono, pertanto, sul corretto e condivisibile impianto motivazionale che la sorreggono, mentre il richiamo alla normativa dettata in tema di tutela del consumatore che, all’epilogo del motivo in esame, viene formulato dalla ricorrente (f. 28) deve ritenersi inammissibile (al di là della sua evidente infondatezza nel merito) per patente novità della doglianza, che non risulta mai proposta nel corso del giudizio, senza che, in spregio del principio di autosufficienza del ricorso, la difesa della Dangel Furs stata tempestivamente sollevata e illegittimamente pretermessa.

A quanto sinora esposto consegue il rigetto del ricorso.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 200,00 per spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-04-2012, n. 6495 Lavoro a termine

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.A.F. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Roma, pubblicata il 18 dicembre 2007, che ha rigettato l’appello e confermato quindi la decisione con la quale il Tribunale di Roma aveva respinto il suo ricorso nei confronti del Nuovo Teatro Eliseo.

La ricorrente fu assunta dall’Eliseo con un primo contratto a termine dal 1 febbraio al 6 maggio 2001 quale addetta serale alla sala (settimo livello) e con un secondo contratto quale addetta serale alla sala sesto livello, dal 9 ottobre 2001 al 2 giugno 2002.

La Corte d’appello ha ribadito che entrambi i termini apposti ai contratti erano legittimi ai sensi della L. n. 230 del 1962 e del D.P.R. n. 1525 del 1963, art. 49. Ha escluso che le clausole di contingentamento riguardino assunzioni a termine basate su tali norme e non su contratti collettivi ed ha escluso la violazione del diritto di precedenza dedotta dalla ricorrente, in modo generico e senza indicare il fondamento contrattuale e legislativo. Ha infine affermato la legittimità del mutamento di mansioni intervenuto in vigenza del secondo contratto.

La ricorrente propone sei motivi di ricorso. Il Teatro ha notificato e depositato controricorso, nonchè una memoria per l’udienza.

Con il primo motivo si denunzia violazione della L. n. 230 del 1962 e del D.P.R. n. 1525 del 1963. Il quesito è così formulato: "se lo svolgimento delle mansioni di "maschera" nell’ambito della struttura teatrale stabile come quella dell’Eliseo stante il perdurare delle mansioni praticamente per 10 mesi l’anno, come attesta il secondo contratto a termine, legittimi eventualmente solo la stipula di un contratto part-time verticale, mentre non rientri nè nel punto e) della L. 230 del 1960, nè nel D.P.R. n. 1525 del 1963, art. 49".

Il motivo, a parte la dubbia ammissibilità del quesito, è infondato per varie ragioni. In primo luogo perchè afferma che l’attività di maschera in un teatro "stabile" non può rientrare nell’ambito della disciplina richiamata dalla Corte. Il carattere "stabile" della struttura non implica certo che non possa stipulare contratti a tempo determinato con i propri dipendenti se sussistono i requisiti indicati dalla legge. In secondo luogo, si afferma che l’attività di maschera non rientra in nessuna delle ipotesi previste dalla L. n. 230, art. 1 e dal n. 49 del D.P.R. n. 1525 del 1963. La tesi non è fondata per le ragioni analiticamente esposte da questa Corte con le sentenze 18 marzo 2000, n. 3199 e 23 ottobre 1993, n. 10401, che devono essere qui richiamate e ribadite.

Con il secondo motivo si denunzia "omessa" motivazione sul riferimento del primo contratto alla stagione teatrale posto che riguarda il periodo tra febbraio e maggio 2001. Con il terzo motiva si denunzia ancora un vizio di motivazione, questa volta ritenuta carente contraddittoria rispetto alla qualificazione del rapporto.

Anche con il quarto motivo si denunzia un vizio di motivazione carente e contraddittoria circa rispetto al diritto di precedenza richiesto dalla ricorrente. Analoga censura viene formulata con il sesto motivo.

Tutte questi motivi di ricorso sono inammissibili perchè riguardano pretesi vizi di motivazione su questioni d’interpretazione della norma giuridica, mentre, a seguito della riforma del 2006, il vizio di motivazione è denunziabile in cassazione solo quando concerna un "fatto". "Il motivo di ricorso con il quale – ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo. (Cass., ord., 5 febbraio 2010, n. 2805; Cass. 29 luglio 201 l,n. 16655).

In tutti i questi motivi del ricorso concernenti vizi di motivazione, il fatto non viene specificato, nè tanto meno si spiega perchè lo stesso fosse controverso e perchè fosse decisivo.

Con il quinto motivo si denunzia violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., perchè la sentenza avrebbe erroneamente interpretato il contenuto della lettera di assunzione del 18 giugno 2002, ritenuta dalla ricorrente una lettera di assunzione "ex novo".

Anche questo motivo è inammissibile perchè la motivazione sul punto specifico è adeguata e priva di contraddizioni, oltre che conforme ai criteri ermeneutici fissati dall’art. 1362 c.c., e segg., sicchè la censura si risolve in una richiesta di diversa valutazione di merito, che non rientra nell’ambito del processo di legittimità.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese devono essere, per legge, poste a carico della parte che perde il giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione al controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 30,00, nonchè Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

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Cass. civ. Sez. V, Sent., 25-05-2012, n. 8347 Cessazione della materia del contendere

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Preso atto che le parti concordemente hanno dichiarato che la controversia è stata definitiva in via amministrativa con la procedura di condono attivata dall’ente locale con apposita delibera a seguito della L. n. 289 del 2002;

Considerato che entrambi le parti hanno chiesto che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere a spese compensate.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara cessata la materia del contendere per intervenuta definizione della lite. Compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.