Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 24-10-2011, n. 700 Atti amministrativi diritto di accesso

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con istanza del 31.8.2010 la Ditta odierna appellante – premessi cenni sulla propria legittimazione derivante dalla titolarità di una autorizzazione all’installazione, su suolo privato, di un impianto pubblicitario per la pubblicità per conto terzi – ha richiesto al comune di Alcamo di poter esaminare ed estrarre copia dei seguenti documenti:

a) autorizzazioni all’installazione degli impianti pubblicitari a palo ubicati lungo il margine della strada provinciale S.P. 55 e sulle fasce di pertinenza della stessa che da Alcamo conduce sino ad Alcamo Marina e dei relativi nulla osta della Provincia Regionale di Trapani;

b) autorizzazioni all’installazione degli impianti pubblicitari a palo ubicati nelle aree private poste lungo la strada provinciale S.P. 55 del Comune di Alcamo e dei relativi nulla osta della Provincia Regionale di Trapani, ivi comprese le autorizzazioni all’installazione degli impianti pubblicitari posti in corrispondenza ed in prossimità dell’accesso allo svincolo per l’autostrada A 29;

c) autorizzazioni all’installazione degli impianti pubblicitari a palo ubicati nelle aree private poste lungo la strada provinciale S.P. 47;

d) autorizzazioni all’installazione degli impianti pubblicitari a palo ubicati su suolo pubblico esistenti lungo il viale (…);

e) autorizzazioni all’installazione degli impianti pubblicitari a palo ubicati su suolo pubblico esistenti nel corso Generale dei Medici in prossimità della confluenza nella via Gammara;

f) autorizzazione all’installazione dell’impianto pubblicitario a palo "Simply" ubicato sul marciapiede esistente all’incrocio tra il viale (…) e la via Santa Maria;

g) provvedimenti adottati dal comune per inibire l’esercizio dell’attività di pubblicità da parte dei veicoli stazionanti nella piazza (…), nel viale (…) nella via Maria Riposo, nella piazza (…) e Borsellino;

h) autorizzazione all’installazione dell’impianto pubblicitario "Gisa" esistente su terreno privato nel viale (…).

Il Comune di Alcamo ha però denegato l’accesso, eccependo la propria incompetenza per quanto riguarda gli impianti installati sulle strade provinciali e sottolineando, quanto agli altri impianti, la natura esplorativa dell’istanza, finalizzata ad un inammissibile controllo generalizzato dell’operato della P.A.

Il diniego comunale è stato impugnato dalla società avanti al T.A.R. Palermo il quale, con la sentenza in epigrafe indicata, ha però dichiarato inammissibile il ricorso condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del comune e della società controinteressata. A sostegno del decisum l’adito Tribunale ha osservato per un verso che la ricorrente, svolgendo la sua attività imprenditoriale in un settore diverso da quello inerente la gestione di impianti pubblicitari, difettava di legittimazione all’accesso ai documenti richiesti; per l’altro che la richiesta presentata dalla Pierre risultava connotata da un inammissibile intento esplorativo.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dalla soccombente la quale ne domanda l’integrale riforma, deducendo due motivi di appello.

Il comune e la società controinteressata non hanno svolto attività difensiva.

Alla camera di consiglio del 14 luglio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione per essere definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell’art. 116 del codice del processo amministrativo.

L’appello è infondato e va pertanto respinto.

Con la seconda parte del primo motivo di impugnazione, che ragioni di economia processuale inducono ad esaminare in via prioritaria, l’appellante deduce che ha errato il primo Giudice nel qualificare l’istanza di accesso da essa proposta come avente contenuto esplorativo e come finalizzata, di conseguenza, all’esercizio di una indiscriminata attività di controllo sull’operato dell’amministrazione comunale nel settore degli impianti di pubblicità.

In proposito osserva l’appellante che la richiesta di accesso concerne impianti specifici e ben individuati al dichiarato fine di verificare in primis la esistenza di regolari autorizzazioni e in via gradata la conformità a legge dell’attività autorizzatoria posta in essere dal comune.

Il mezzo non merita positiva considerazione e va pertanto disatteso.

L’art. 24 della legge n. 241 del 1990, nel testo vigente, nell’individuare i documenti sottratti al diritto di accesso specifica espressamente al comma 3 che "Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni".

Interpretando tale disposizione la concorde giurisprudenza ha chiarito che la disciplina sull’accesso è volta a tutelare solo il diritto alla conoscenza di particolari documenti da parte di chi vi abbia un interesse qualificato e non già la pretesa di poter effettuare un controllo generico e generalizzato sull’attività dell’amministrazione, allo scopo di verificare la possibilità di eventuali, future lesioni della sfera dei privati.

Il diritto di accesso ai documenti non si configura quindi come una sorta di azione popolare, volta ad ottenere una verifica in via generale della trasparenza e legittimità dell’azione amministrativa tanto più che, specularmente rispetto al diritto alla conoscenza degli atti, sussiste la legittima pretesa dell’Amministrazione a non subire intralci alla propria attività istituzionale, possibili in ragione della presentazione di istanze strumentali e/o dilatorie tali da produrre un appesantimento dell’azione amministrativa in contrasto con il canone fondamentale dell’efficienza ed efficacia dell’azione stessa di cui all’art. 97 Cost. (cfr. ex multis IV Sez. n. 6899 del 2010).

Applicando questo condivisibile indirizzo ermeneutico al caso in esame, rileva il Collegio che, come esattamente sottolineato dal T.A.R., l’istanza di accesso presentata dalla odierna appellante ha un sostanziale carattere esplorativo mirando non già ad ottenere l’esibizione di documenti quanto piuttosto, come si è detto, a verificare se l’attività autorizzatoria complessivamente posta in essere dal comune nel settore de quo sia o meno conforme al dettato legale.

Con il secondo motivo l’appellante censura il capo di sentenza portante la sua condanna al pagamento delle spese di lite nei confronti del comune e soprattutto della società controinteressata costituitasi nel giudizio di prime cure.

Anche questo mezzo deve essere disatteso.

Infatti, secondo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente e dal quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, nel giudizio di appello la sentenza del giudice di primo grado recante la condanna alle spese del giudizio è sindacabile solo quando esse sono state poste a carico di una parte non soccombente, oppure quando la relativa statuizione risulti manifestamente irrazionale, e non quando la condanna è stata disposta in base al criterio della soccombenza, cui deve ritenersi assimilabile la declaratoria di inammissibilità del ricorso (cfr. per tutte IV Sez. n. 3564 del 2008).

In conclusione l’appello va quindi respinto, restando confermata la sentenza impugnata. Ogni altro motivo od eccezione può essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Nulla per le spese di questo grado del giudizio, in difetto di costituzione delle parti appellate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello.

Nulla per le spese di questo grado del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-07-2011) 12-10-2011, n. 36849 Costruzioni abusive Reati edilizi

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza del 19.10.2009 il Tribunale di Salerno, set. dist. di Amalfi, in composizione monocratica, applicava a B.G., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che equivalenti alle contestate aggravanti e ritenuta la diminuente per la scelta del rito, la pena concordata ex art. 444 c.p.p. di anni 1 di reclusione, convertito nella corrispondente sanzione della libertà controllata per anni due, e di Euro 200,00 di multa per par i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, art. 349 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 64 e 71, 93 e 95, art. 734 c.p., unificati sotto il vincolo della continuazione.

2) Propone ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica di Salerno per erronea applicazione dell’art. 445 c.p.p., comma 1 in relazione all’omesso ordine di demolizione delle opere abusive. Secondo consolidata giurisprudenza tale ordine ha natura di sanzione amministrativa e non di pena accessoria, per cui è applicabile anche in caso di pena concordata tra le parti ex art. 444 c.p.p..

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente all’omessa statuizione della demolizione delle opere abusive.

2.1) Ricorre per cassazione anche il B., denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione del disposto di cui all’art. 129 cpv. c.p.p. ed alla omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza, con conseguente irrogazione di una pena nel minimo edittale.

3) Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione delle stesse, sull’entità della pena, su eventuali benefici. Da parte sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato che non emerga in modo evidente una della cause di non punibilità previste dall’art. 129 cpv. c.p.p. Ne consegue che, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art. 444 c.p.p., non si possono rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie perchè essi sono coperti dal patteggiamento.

Con il ricorso per cassazione, pertanto, possono essere fatti valere errores in procedendo ed il mancato proscioglimento ex art. 129 c.p.p..

3.1) Tra i vizi che possono essere dedotti rientra certamente quello inerente la mancata applicazione dell’ordine di demolizione previsto dalla L. n. 47 del 1985, art. 7 (ora dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9). L’ordine di demolizione costituisce, invero, atto dovuto in quanto obbligatoriamente previsto, dalla normativa in vigore, in relazione alle opere abusivamente realizzate. Tale sanzione, pur formalmente giurisdizionale, ha natura sostanzialmente amministrativa di tipo ablatorio che il giudice deve disporre, non trattandosi di pena accessoria nè di misura di sicurezza, anche nella sentenza applicativa di pena concordata tra le parti ex art. 444 c.p.p. a nulla rilevando che l’ordine medesimo non abbia formato oggetto dell’accordo intercorso tra le parti. L’ordine di demolizione, infatti, essendo atto dovuto, non è suscettibile di valutazione discrezionale ed è sottratto, conseguentemente, alla disponibilità delle parti; di tale obbligatoria sanzione l’imputato, pertanto, deve tener conto nell’operare la scelta del patteggiamento, (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 3123 del 28.9.1995; conf. Cass. sez. 3 n. 296 del 13.10.1997; Cass. sez. 3, n. 3107 del 25.10.1997).

Ne deriva che, anche in caso di patteggiamento, la manifestazione di volontà delle parti non può investire la misura amministrativa:

pertanto così come non può essere ritenuto valido un accordo che preveda la esclusione della demolizione, ugualmente il mancato riferimento all’ordine di demolizione, nella richiesta e nell’accettazione del patteggiamento, non esime il giudice dal provvedere ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 7 (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9).

Il disposto di cui all’art. 445 c.p.p., comma 1 riguarda il divieto di applicare, con la sentenza che recepisce l’accordo delle parti, pene accessorie.

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è, ormai, assolutamente pacifica a partire dalla decisione a sezioni unite, dal momento che la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti è equiparata ad una sentenza di condanna a tutti gli effetti diversi da quelli espressamente previsti dall’art. 445 c.p.p., comma 1 (cfr.

Cass.sez.un.15.5.1992 n.5777).

3.1.1) In accoglimento del ricorso del PG, la sentenza impugnata va pertanto annullata, per violazione di legge, limitatamente alla mancata applicazione dell’ordine di demolizione che, stante la sua obbligatorietà, va disposto direttamente da questa Corte senza necessità di rinvio ( art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l).

3.2) Il ricorso del B. è, invece manifestamente infondato.

Quanto alla mancata applicazione dell’art. 129 cpv. c.p.p., questa Corte ha costantemente affermato che occorre una specifica indicazione "soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione anche implicita che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p." (ex multis sez.un.27.3.1992- Di Benedetto; sez.un.27.9.1995 n. 18 – Serafino).

Il GUP ha effettuato la necessaria verifica, evidenziando che dai verbali di sequestro e dai rilievi fotografici emergeva la prova dei reati ascritti.

In ordine alle generiche, il Gup ha ratificato l’accordo tra le parti che prevedeva la equivalenza delle stesse con le aggravanti.

Quanto, infine, alla congruità della pena, secondo la giurisprudenza di questa Corte "In mancanza di elementi macroscopicamente rivelatori di incongruità, per eccesso o per difetto, il giudizio in ordine alla ritenuta congruità della pena patteggiata nei limiti di cui all’art. 27 Cost., comma 3, può dirsi adeguatamente motivato, quando il giudice si limiti ad esplicitare la propria valutazione in tal senso, allorchè risulti dal contesto dell’intera decisione che, nella valutazione complessiva, egli ha tenuto presenti quegli elementi che possono assumere rilevanza determinante, come le circostanze del reato e la condizione personale dell’imputato" (cfr.

Cass. sez.6, ord. n.549 dell’11.2.1994). Sicchè "Nella motivazione della sentenza applicativa della pena richiesta dalle parti appare sufficiente il rilievo che detta pena, ricompresa nei limiti di legge inderogabili, è congrua: ciò dimostra l’avvenuto controllo da parte del giudice di tale rilevante elemento dell’accordo intervenuto tra imputato e P.M. e la valutazione favorevole operata ai fini dell’art. 27 Cost., comma 3" (Cass. sez. 1, n.1878 del 28.3.1995).

Il GUP ha effettuato il controllo richiesto ed ha ritenuto congrua la pena concordata tra le parti anche ai fini di quanto previsto dall’art. 27 Cost..

3.2.1) Il ricorso del B. deve, quindi, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende della somma che pare congruo determinare in Euro 1.500,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del B. che condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.500,00.

Annulla senza rinvio, in accoglimento del ricorso del P.G., la sentenza impugnata limitatamente all’omesso ordine di demolizione, ordine che dispone.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-10-2011) 28-10-2011, n. 39249Sequestro preventivo

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 23-25.5.2011 il Tribunale di Napoli, decidendo in sede di appello avverso la reiezione da parte del locale GIP il 19- 22.11.2010 della richiesta di revoca del sequestro preventivo dei conti correnti di C.G., ritenuto prestanome di M. C., giudicava che l’annullamento in sede di riesame dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del M. (relativa a imputazioni provvisorie di partecipazione associativa e concorso in intestazioni fittizie di beni, su cui si era formato il giudicato cautelare) era idoneo a superare il giudicato cautelare afferente il disposto sequestro preventivo, contrariamente a quanto ritenuto dal GIP. Il Tribunale dava pure atto che per le medesime ragioni erano stati annullati anche i decreti di sequestro preventivo relativi a C.R. e S., destinatari del medesimo capo di imputazione B5 contestato al C.G.. Da qui, la revoca del sequestro preventivo pure in danno di quest’ultimo.

2. Ricorre il pubblico ministero, deducendo con primo motivo che i rapporti bancari del C.G. erano stati oggetto di provvedimento di sequestro diverso da quello del 17 agosto 2010 richiamato dal Riesame, trattandosi del decreto 30.3.2010 (confermato dal Tribunale il 5.7 e in "giudicato cautelare" dopo la dichiarazione di inammissibilità del proposto ricorso in cassazione): il decreto 17.8.2010 sarebbe stato invece proprio quello relativo alle posizioni di R. e C.S. e comunque successivo all’annullamento relativo alla posizione di M..

Con secondo motivo è dedotta violazione di legge in ragione all’autonomia e diversità di presupposti tra le misure cautelari reali e personali, tant’è che pure nei confronti del M. i provvedimenti cautelari reali sarebbero tuttora efficaci, anche in relazione all’imputazione provvisoria comune. In particolare, lo stesso Tribunale con provvedimento del 5 luglio 2010 (allegato), e quindi successivo all’aprile 2010, epoca di annullamento della misura cautelare personale, aveva analiticamente indicato le ragioni della permanenza del sequestro. Da qui anche il venir meno dell’elemento di novità ritenuto dal Riesame idoneo a superare il giudicato cautelare relativo alla posizione dell’odierno ricorrente.

3. Il primo motivo è infondato. Pacifico che il Riesame si è pronunciato in relazione all’ordinanza 19-22.11.2010 del GIP, che aveva respinto su conforme parere del p.m. la richiesta di revoca del sequestro preventivo pendente in danno del C.G. (provvedimento che, con la precedente richiesta difensiva, è stato allegato all’atto di ricorso della parte pubblica), risulta evidente che l’indicazione nel procedimento della data sbagliata è frutto di esclusivo errore materiale, immediatamente percepibile e non determinante per la deliberazione.

Anche il secondo motivo è infondato, nei termini che seguono.

E’ corretto e pertinente il richiamo della parte pubblica all’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, secondo il quale in tema di sequestro preventivo la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del tribunale del riesame o della corte di cassazione non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (SU, sent. 7/2000).

Ma questa Corte ha successivamente chiarito che nel procedimento incidentale concernente l’impugnazione di misure cautelari reali, non contravviene alla regola – secondo la quale oggetto della valutazione non sono gli indizi di colpevolezza ma soltanto l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, cosiddetto "fumus delicti" – il giudice che prenda in esame l’esito del parallelo procedimento incidentale relativo alle misure cautelari personali, ed in particolare il provvedimento di rigetto della richiesta di misura, con affermazione della estraneità della condotta addebitata alla fattispecie criminosa, dal momento che l’esclusione, con siffatta motivazione, della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza fa venire meno quella astratta configurabilità del reato, che è requisito essenziale per l’applicabilità delle misure cautelari reali (Sez. 2, sent. 19657/2007).

Ciò perchè – è stato spiegato – "è evidente che allorquando la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati per un determinato reato viene esclusa con motivazione che attiene ad una interpretazione degli elementi indiziari che valuta le condotte degli stessi indagati in maniera difforme da quella indispensabile per l’integrazione della fattispecie criminosa, viene a mancare proprio quella "astratta configurabilità del reato" che è requisito imprescindibile dell’applicabilità della misura cautelare reale".

Nel caso di specie, sia pure attraverso una motivazione per relazione che tuttavia, essendo state graficamente richiamate nel testo del provvedimento impugnato le argomentazioni del diverso e precedente provvedimento, risulta esser stata fatta autonomamente propria dal Riesame, il Tribunale ha, allo stato e con specifico apprezzamento di merito, escluso in termini radicali la permanenza degli elementi costitutivi del reato ipotizzato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-07-2011) 16-11-2011, n. 42124

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Svolgimento del processo

Con la sentenza del 28 ottobre 2008, il Tribunale di Catania – sezione distaccata di Acireale dichiarava F.S. colpevole del reato di lesioni personali in danno di C. G. e, per l’effetto, lo condannava alla pena ritenuta di giustizia nonchè al risarcimento dei danni in favore della stessa persona offesa, costituitasi parte civile.

Pronunciando sul gravame proposto dal difensore, la Corte di Appello di Catania, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della pronuncia impugnata, concedeva il beneficio della non menzione e confermava nel resto.

Avverso la decisione anzidetta, il difensore ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente lamenta violazione dell’art. 606, lett. b) in relazione all’art. 194 c.p.p. e art. 582 c.p., ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all’art. 546 c.p.p. nonchè manifesta illogicità di motivazione con riferimento alla valutazione delle risultanze processuali, segnatamente delle dichiarazioni della persona offesa, ritenuta ingiustamente attendibile nonostante l’incongruità e l’illogicità del suo racconto.

Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 62 bis c.p. in relazione al contestato diniego delle attenuanti generiche.

Il terzo motivo deduce violazione dell’art. 606, lett. b) in riferimento all’art. 157 c.p., sul rilievo che il reato in contestazione era prescritto, tenuto conto che la data di commissione era il 21.9.2001, la prima udienza innanzi alla Corte di Appello era il 9 giugno 2009, mentre la sentenza di primo grado era stata emessa all’udienza del 28.10.2008, sicchè dalla data di contestazione era abbondantemente decorso il termine previsto per la prescrizione.

2. – La prima ragione di doglianza si colloca ai limiti dell’inammissibilità, involgendo questione squisitamente di merito, com’è quella relativa alla valutazione delle risultanze processuali, che si sottrae al sindacato di legittimità ogni qual volta, come nel caso di specie, sia assistita da motivazione congrua e formalmente corretta.

In particolare, il giudice a quo ha fatto corretta applicazione della consolidata regola di giudizio secondo cui le dichiarazioni accusatorie della persona offesa possono anche da sole sostenere un’affermazione di penale responsabilità, ove sottoposte ad un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non v’è ragione di dubitare della loro attendibilità (cfr., tra le altre, Cass. sez. 3^, 27.3.2003, n. 22848, rv. 225232).

Ineccepibile, al riguardo, è stata la valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, giudicata in sè pienamente attendibile, tenuto peraltro conto degli elementi – pur non necessari – di riscontro esterno comunque individuati dal giudice a quo.

Il secondo motivo, riguardante il regime sanzionatorio, è privo di fondamento, in quanto il giudice a quo ha indicato le ragioni per le quali l’imputato non poteva essere ammesso al beneficio delle attenuanti generiche.

Anche il terzo motivo è infondato, in quanto, contrariamente all’assunto di parte, alla data della prima udienza di appello il termine di prescrizione non era ancora maturato.

Per quanto precede, il ricorso – complessivamente valutato – meriterebbe il rigetto, dunque un epilogo decisionale in sè non ostativo al rilievo della prescrizione nel frattempo maturata.

Ed infatti, tenuto conto della data di commissione del reato (21.9.2001 e dei periodi di sospensione (dal 9.6.2009 al 28.9.2009 in appello e dal 22.9.2008 al 7.10.2008, in primo grado) – il termine prescrizionale è venuto a scadere il 5.6.2009.

Di ciò va preso atto e si deve, pertanto, far luogo alla declaratoria di estinzione del reato con relativa formula.

A mente dell’art. 578, il ricorso deve essere, comunque, valutato agli effetti delle statuizioni civili.

Orbene, è agevole rilevarne l’infondatezza per ragioni identiche a quelle sopra indicate con riferimento al primo motivo d’impugnazione.

3. – Per quanto precede, la sentenza deve essere annullata senza rinvio perchè il reato è estinto per intervenuta prescrizione; il ricorso va, inoltre, rigettato agli effetti delle statuizioni civili.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.

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