Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-04-2011) 01-06-2011, n. 22231 Riparazione per ingiusta detenzione

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 7 luglio 2010 la Corte di Appello di Genova rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione proposta da C.D., il quale era stato sottoposto a misura cautelare carceraria dal 14 giugno 2008 al 23 luglio 2008, in relazione al delitto di rapina perpetrato, in concorso con altri, in danno di H.D.; C. era stato di poi assolto dal Tribunale di Genova in data 22 settembre 2009, per non aver commesso il fatto.

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione C.D., a mezzo del difensore; la parte ritiene che la Corte territoriale, erroneamente, abbia ritenuto che il comportamento posto in essere dal richiedente integri la fattispecie della colpa grave che esclude la possibilità di ottenere l’equo indennizzo.

L’esponente, in punto di fatto, evidenzia di essersi in realtà immediatamente adoperato per chiarire la propria posizione processuale. Osserva di avere protestato la propria innocenza sin dall’interrogatorio di garanzia; e sottolinea di avere ricevuto, solo successivamente, la lettere inviata dalla S., ove la donna indicava quale coautore della rapina tale V., dopo la scarcerazione identificato in F.V.. Il ricorrente ammette che, per proprie difficoltà relazionali all’interno del carcere ove si trovava ristretto, aveva omesso di riferire all’Autorità giudiziaria il nominativo del correo della S., circostanza di cui peraltro gli inquirenti erano già a conoscenza.

La parte sottolinea di avere indicato alla Polizia, dopo essere stato scarcerato dal Tribunale del riesame, il nominativo del predetto correo; e ritiene che la frequentazione di persone che vivono di espedienti può soltanto integrare una colpa lieve, non ostativa al riconoscimento dell’equo indennizzo.

Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato e merita rigetto.

Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

3.1 L’ordinanza impugnata si colloca coerentemente nella linea del suddetto quadro interpretativo. Invero, la Corte territoriale ha evidenziato che C., in sede di interrogatorio di garanzia, aveva riferito alcuni elementi di prova a proprio discarico ma aveva omesso di evidenziare altre circostanze rilevanti; il ricorrente non aveva riferito di avere ricevuto da F. una telefonata nel corso della quale costui dichiarava di essere pronto ad assumersi le proprie responsabilità, in relazione alla rapina di che trattasi.

Oltre a ciò, la Corte di Appello ha considerato che nel corso della detenzione C. non aveva dato contezza delle lettere che la coindagata S.V. gli aveva inviato, ove la donna indicava il F. come correo nella rapina; al riguardo il Collegio ha evidenziato che la reticenza ed il mendacio utilizzati legittimamente dall’indagato non potevano essere di poi invocati per ottenere l’equo indennizzo richiesto.

Ciò premesso, la Corte di Appello ha considerato che la condotta del C. risulta caratterizzata da due elementi: avere indicato F. quale complice della S. nella perpetrazione della rapina, ma solo dopo l’intervenuta scarcerazione; avere frequentato persone con precedenti penali e che vivono di espedienti, tanto da essere indicato dalla parte offesa della rapina come uno degli autori del reato. La Corte territoriale ha, pertanto, del tutto legittimamente rilevato che l’avere omesso di riferire agli inquirenti il contenuto delle lettere ricevute dalla S., per ragioni connesse all’ambiente omertoso di appartenenza, integra la colpa grave ostativa al riconoscimento dell’equo indennizzo; ciò in quanto C. omise di fornire informazioni, di cui pure disponeva, idonee a scagionarlo, a fronte del quadro indiziario a suo carico, emergente dal riconoscimento effettuato dalla parte offesa.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-10-2011, n. 22330

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Svolgimento del processo

1 – La Corte di appello di Napoli, con la decisione indicata in epigrafe, dichiarava inammissibile l’appello proposto da B. P. avverso la sentenza del tribunale di Avellino del 29.92003, con la quale era stata affermata la competenza della corte di appello di Napoli in ordine alla domanda, avanzata dal predetto, tendente al pagamento dell’indennità di espropriazione del proprio fondo, disposta dal Comune di Cervinara.

Secondo la corte territoriale, l’inammissibilità del gravame derivava dalla circostanza che, trattandosi di pronuncia relativa esclusivamete alla competenza, essa avrebbe essere impugnata soltanto con istanza di regolamento di competenza.

1.1 – Per la cassazione di tale decisione il P. propone ricorso, affidato a cinque motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Cervinara.
Motivi della decisione

2 – Preliminarmente deve osservarsi che al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso in data 28 marzo 2006, debbono applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis nel c.p.c.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr., ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Cass., n. 16002/2007; Cass., n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito dì diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 2.1 – Il ricorso in esame non è conforme a tali disposizioni, atteso che ogni motivo, quanto alle violazioni denunciate, non si conclude con la formulazione del quesito di diritto, che contenga un’esposizione riassuntiva degli elementi di fatto, così come i riferimenti alla regola di diritto applicata dal giudice di secondo grado ed a quella diversa regola iuris che, a giudizio dei ricorrenti, avrebbe dovuto essere applicata (Cass., Sez. Un, 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., 25 luglio 2008, n. 20454).

2.2 – Alla declaratoria di inammissibilità segue, in base al criterio della soccombenza, il regolamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione delle spese processuali in favore della controparte, liquidate in Euro 5.000,00 di cui Euro 4.800,00 per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 07-07-2011, n. 4066 Avanzamento

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con ricorso al TAR del Lazio il Generale di Brigata R. C. impugnava gli atti dello scrutinio per la promozione per l’anno 2008 al grado di Generale di divisione della Guardia di Finanza deducendone l’illegittimità per vari motivi di violazione di legge e di eccesso di potere.

Con successivi motivi aggiunti introduceva ulteriori censure volte all’annullamento della determinazione di suo non inserimento in quadro di avanzamento per l’anno 2008.

2. – Con sentenza n. 12173 del 1° dicembre 2009 il Giudice di prime cure ha respinto il capo di impugnazione concernente l’asserito eccesso di potere in senso assoluto da cui sarebbero affetti gli atti di scrutinio impugnati, mentre ha accolto l’altro capo di impugnazione concernente l’eccesso di potere in senso relativo in quanto, sulla base della concreta valutazione dei titoli e degli incarichi di servizio espletati, nonché delle qualità culturali e delle doti di ordine morale possedute dal ricorrente, ha ritenuto che quest’ultimo si ponga "…in posizione effettivamente potiore rispetto ai punti assegnati dalla C.S.A. ai controinteressati Generali M. e F., donde la fondatezza della censura attorea di eccesso di potere in senso relativo…".

3. – Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Comando Generale della Guardia di Finanza hanno impugnato detta sentenza affermandone l’erroneità per diversi motivi di diritto.

In linea generale, hanno dedotto che i limiti molto ristretti entro i quali potrebbero essere sottoposti a sindacato giurisdizionale di legittimità gli atti dello scrutinio di avanzamento degli ufficiali, specialmente se ufficiali generali, sarebbero stati superati nella specie, in sede di esame del c.d. eccesso di potere in senso relativo dedotto dal ricorrente (di primo grado), in quanto al giudizio di merito di competenza esclusiva dell’Amministrazione si sarebbe sostituito quello del Giudice di prime cure che, attraverso una nuova analitica valutazione dei titoli dei candidati, avrebbe provocato "…la violazione della regola dell’uniformità del criterio…" che, invece, risulterebbe salvaguardata soltanto attraverso il giudizio di merito dell’unico organo tecnicamente competente, e cioè la Commissione Superiore di Avanzamento.

Hanno affermato, inoltre, che la decisione di primo grado sarebbe errata, sempre alla stregua della giurisprudenza amministrativa, perché l’asserita illegittimità delle operazioni della Commissione Superiore di Avanzamento (di seguito: CSA) sarebbe stata desunta attraverso la parziale menzione di singoli titoli ed aspetti di carriera, favorevoli al Generale C., omettendo, invece, di dare giusto rilievo al complesso degli elementi documentali concernenti i controinteressati Generali M. e F., classificatisi, rispettivamente, al secondo ed al quarto posto della graduatoria finale di merito, e conseguentemente iscritti in quadro di avanzamento diversamente dal Gen. C..

Hanno soggiunto, ancora, che una disamina analitica del profilo del ricorrente, in particolare delle sue schede valutative, mostrerebbe come il suo curriculum, non sarebbe esente da criticità e non potrebbe, quindi, affermarsi a livelli di eccezionalità tale da potersi ritenere la sua posizione manifestamente superiore rispetto a quello dei pari grado promossi Generali M. e F..

Più in particolare, hanno osservato, poi, che l’errore commesso dal TAR risulterebbe ancor più evidente ponendo a raffronto la posizione del Gen. C., sia con quella del Gen. M., sia del Gen. F. poiché dai titoli posseduti da ciascuno di essi emergerebbe certamente una non prevalenza del primo sui secondi e, quindi, la piena correttezza dell’operato della CSA.

4. – Si è costituito in giudizio il Generale C. che con più memorie ha contrododetto analiticamente a tutte le tesi di parte appellante affermandone l’infondatezza per essere stata correttamente emessa l’impugnata sentenza di primo grado.

5. – Alla pubblica udienza del 22 marzo 2011 l’appello è stato introitato per la decisione.

6. – Tutto ciò premesso, in punto di fatto, può ora darsi ingresso all’esame dei motivi di impugnazione proposti dalle appellanti Amministrazioni che sono fondati alla stregua delle seguenti considerazioni.

La prima critica mossa alla sentenza impugnata è che i limiti molto ristretti entro i quali, alla stregua della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, potrebbero essere sottoposti a sindacato giurisdizionale di legittimità gli atti dello scrutinio di avanzamento degli Ufficiali, specialmente se Ufficiali Generali, come nella specie, sarebbero stati superati, in sede di esame del c.d. eccesso di potere in senso relativo, in quanto al giudizio di merito di competenza esclusiva dell’Amministrazione si sarebbe sostituito quello del Giudice di prime cure che, attraverso una nuova analitica valutazione dei titoli dei candidati, avrebbe provocato "…la violazione della regola dell’uniformità del criterio…", invece, salvaguardata dal giudizio di merito correttamente espresso dall’unico organo tecnicamente competente, e cioè la CSA.

Le appellanti hanno affermato, inoltre, nella stessa ottica, che l’illegittimità "….delle operazioni della CSA…" sarebbe stata desunta "…attraverso la parziale menzione di singoli titoli ed aspetti di carriera, favorevoli al Gen. C., omettendo, al contempo, di dare giusto rilievo al complesso degli elementi documentali che costituiscono il patrimonio professionale e culturale degli Ufficiali controinteressati…", Gen. M. e F., "…classificatasi, rispettivamente, al secondo ed al quarto posto della graduatoria finale di merito…" e, quindi, iscritti in quadro di avanzamento al grado di Generale di Divisione del Corpo della Guardia di Finanza diversamente dal Gen. C..

Dette critiche sono condivisibili perché la valutazione operata dal primo Giudice, a ben vedere, è fondata su di una autonoma e rinnovata comparazione dei titoli degli Ufficiali in questione, di talché al giudizio della CSA si è sostituito quello di detto giudicante, sull’errato rilievo che le conclusioni valutative operate dalla CSA non trovano adeguata giustificazione, mentre esse, invece, sono ben collegate alle risultanze documentali in atti, puntualmente individuate nel corso dello scrutinio e concernenti i titoli posseduti dai tre Ufficiali Generali in questione.

Il raffronto tra l’appellato Gen. C. ed i controinteressati Ufficiali promossi può ritenersi correttamente operato, pertanto, perché frutto della razionale applicazione dei criteri prefissati dalla stessa CSA che ha dato conto, attraverso i punteggi numerici attribuiti, delle ragioni per le quali il Gen. C. non é stato conclusivamente iscritto in quadro di avanzamento.

Consegue che è improponibile, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Sezione, una riedizione, in sede giurisdizionale, dell’intero scrutinio di valutazione, così come ha fatto concretamente il primo Giudice, poiché, in tal modo, si è sostituita la valutazione tecnicodiscrezionale rimessa dalla legge alla CSA con una nuova valutazione che si è estesa a tal punto da impingere nelle scelte di merito riservate a detta CSA.

E che ciò sia almeno sufficientemente evidente nel caso in esame lo dimostra la peculiare situazione qui in discussione dove si confrontano Ufficiali Generali tutti di altissimo livello personale e professionale che, a ben vedere, si differenziano tra di loro soltanto in ragione di sfumature o peculiari aspetti dei quali è evidente che possa essere apprezzata correttamente la consistenza e la rilevanza, ai fini dell’avanzamento in questione, soltanto dall’organo (CSA) al quale la legge riconosce la capacità di operare le valutazioni di merito tecnico del caso.

Peraltro, come ben osserva la difesa dell’Amministrazione, un attento esame della posizione di scrutinio dell’appellato Ufficiale mostra, non solo come non sempre siano presenti nel suo complessivo profilo valutazioni massime, ma vi siano, per di più, anche talune criticità che, a parere del Collegio, in una valutazione globale del tutto peculiare delle posizioni degli scrutinandi, quale è quella richiesta nella specie, vertendosi in tema al grado di Generale di Divisione della Guardia di Finanza, non consentono di ritenere chiaramente prevalente la posizione del Gen. C., su quella dei Generali M. e F., come invece ha ritenuto di poter fare il primo Giudice attraverso la pressoché totale rivalutazione anche di singoli titoli o qualifiche conseguite o incarichi svolti dai tre anzidetti Ufficiali.

Inoltre, osserva il Collegio come il TAR, nell’effettuare tale sostanziale rinnovo dello scrutinio, sia incorso in contraddittorietà, specialmente con riguardo al valore da attribuire all’anzianità di servizio, in rapporto al numero ed alla qualità delle qualifiche finali conseguite sia dal Gen. C. che dal Gen. M., in quanto, come ben osserva la difesa erariale, da un lato, non ha tenuto conto della maggior anzianità di servizio del Gen. C. rispetto al Gen. M. e, dall’altro, invece, ha capovolto il criterio nel valutare l’altro candidato promosso, Gen. F., laddove ha sottolineato, a giustificazione del maggior periodo di "eccellente" vantato dal predetto Ufficiale, un’anzianità di servizio di due anni in più del Gen. C..

Analogo errore di (ri)valutazione nel merito è stato commesso dal Giudice di prima istanza anche con riferimento alle "..attestazioni di lode conseguite…" dagli Ufficiali in questione, in quanto anche in questo ambito è stato smarrito l’obiettivo di fondo perseguito dal Legislatore di riservare alla CSA ogni valutazione di merito che attenga alla figura dell’Ufficiale scrutinando, da riguardare, per di più, nel suo complesso, onde privilegiare quel giudizio globale richiesto proprio per l’accesso ai più alti gradi della carriera militare, quale è nella specie il grado di Generale di Divisione della Guardia di Finanza.

Soltanto in tal modo, infatti, é possibile pervenire ad una razionale e congrua valutazione delle voci interne relative alle "..qualità fisiche, morali e di carattere…", alle "..qualità professionali…" ed alla "…motivazione al lavoro…" e delle qualifiche conseguite complessivamente per tali voci, invero effettuata correttamente dalla CSA, secondo quanto allo stato è dato rilevare dagli atti di scrutinio.

Giova, dunque, ancòra una volta ribadire che non spetta al Giudice della legittimità operare concrete e specifiche valutazioni conducenti ad un esito decisorio della prevalenza dei titoli di un Ufficiale rispetto ad altri poiché tale compito deve essere assolto esclusivamente dalla CSA con un giudizio conclusivo che trovi riscontro nei punteggi numerici riconosciuti per i vari titoli, specialmente allorquando le differenze tra Ufficiali tutti di elevata professionalità e capacità sono tenui, come tra coloro che sono già pervenuti ai gradi più elevati, quali quelli di Ufficiale Generale.

A non diversa conclusione può, poi, pervenirsi anche con riguardo alla critica di "…parzialità dell’analisi condotta in primo grado…" sui titoli di studio e professionali conseguiti dai candidati in questione (in particolare, Gen. C. e Gen. M.), in quanto non emergono, invero, dagli atti elementi sufficienti per affermare, con la stessa sicurezza espressa dal primo Giudice, che non vi è stata una valutazione della concreta ricaduta che il titolo di studio o di specializzazione ha avuto sulla professionalità dell’Ufficiale e, quindi, della concreta utilizzabilità che esso ha avuto nell’espletamento delle funzioni proprie dei vari gradi di carriera percorsi dall’interessato.

In ogni caso, rileva il Collegio che, anche sotto tale profilo, le posizioni dei tre Ufficiali in questione si distinguono molto sottilmente per cui ben ha fatto la CSA a far rifluire, come richiede la legge, anche tale profilo nella valutazione complessiva della figura dell’Ufficiale, per meglio definirne la minore o maggiore attitudine, rispetto ad altri candidati, ad assumere le funzioni proprie del grado superiore da conseguire.

Inoltre, ritiene il Collegio che meritino di essere seguite anche le critiche mosse alla (ri)valutazione operata dal TAR degli incarichi di servizio e dei periodi di comando svolti dagli Ufficiali in questione, in quanto non può e non deve venire in rilievo nella presente economia decisionale se quel titolo specifico sia o meno valutabile in un modo o nell’altro, bensì come esso si inserisca nel complessivo profilo dell’Ufficiale, potendo ben verificarsi che l’eventuale minore consistenza o rilevanza di un titolo sia compensata dalla maggiore e più pregnante rilevanza di altri incarichi.

La difesa erariale ha, in proposito, specificamente contestato la rivalutazione operata dal TAR dell’incarico di Direttore Coadiutore dell’Istituto Alti Studi per la Difesa svolto dall’appellato con deduzioni che, a parere del Collegio, sono fondate non avendo il giudicante di primo grado fornite giustificazioni tali da poter far ritenere illogica o sganciata dai suoi presupposti effettivi quella emessa dalla competente CSA di non qualificabilità di detto incarico come "comando operativo".

Peraltro, induce a confermarsi nel convincimento testé espresso il rilievo che la valutazione di merito in questione si fonda, a ben vedere, su concrete linee organizzative ed operative che ciclicamente vengono definite dall’Amministrazione nell’espletamento della propria attività istituzionale e, quindi, sulla base di dati oggettivi che non risulta siano stati contestati.

Né considerazioni diverse da quelle sin qui fatte possono, poi, essere espresse con riferimento ai profili di impugnazione della sentenza appellata relativi ai riconoscimenti (encomi, medaglie, etc…) attribuiti ai tre Ufficiali in questione ed alla posizione conseguita da essi nei vari scrutini di avanzamento ai vari gradi della carriera militare, dovendosi ancora una volta ribadire che è esclusa ogni valutazione parcellizzata che sostanzialmente vulneri il quadro di riferimento complessivo dell’Ufficiale scrutinando e faccia decadere dalla sua naturale funzione il giudizio complessivo richiesto dalla legge per la valutazione di ammissione ai massimi gradi della carriera militare, come nella specie.

Infine, può essere condivisa anche la deduzione che il primo Giudice sarebbe incorso in "…errore di fatto, peraltro decisivo ai fini della riforma della sfavorevole pronunzia…", laddove ha fondato la propria decisione su di un preteso "..scavalcamento…" che avrebbe subito il Gen. C. ad opera del Gen. F., per le seguenti ulteriori considerazioni.

Ed invero, in disparte il rilievo della improponibilità in genere di una questione di "scavalcamento di posizioni", stante la tendenziale autonomia di ogni scrutinio di avanzamento, alla stregua di quanto più volte ha chiarito la giurisprudenza di questa Sezione, nella specie paiono, comunque, convergenti con la critica in esame i seguenti elementi:

– nel grado di generale di brigata, rivestito al momento della valutazione contestata, il Gen. F. ha conseguito 5 encomi solenni, a fronte di nessun riconoscimento ottenuto dal Gen. C.;

– lo stesso Gen. F. ha meritato, complessivamente, 48 riconoscimenti di ordine morale (a fronte dei 29 ottenuti dal C.) peraltro "..armonicamente distribuiti nei vari incarichi e settori di servizio in cui è stato chiamato ad operare…", come correttamente rilevato dalla difesa erariale;

– il primo degli anzidetti Ufficiali ha ottenuto 26 encomi solenni e 22 encomi semplici (mentre il C. ne ha ricevuti soltanto 12 solenni, 14 semplici e 3 elogi), oltre al diploma di benemerenza istituito dal Commissario Straordinario del Friuli; ha conseguito, inoltre, 7 encomi solenni per attività poste in essere in gradi dirigenziali, mentre il Gen. C. ne ha conseguiti soltanto 3;

– il Gen. C., diversamente, ha meritato gran parte dei riconoscimenti (22 su 29) in gradi non dirigenziali (quindi nella prima parte della carriera fino al 1998) ed ha conseguito l’ultima ricompensa morale il 26 settembre 2002, e cioè non nel grado (attuale) di Generale di Brigata; nessuna ricompensa, invece, nell’espletamento dell’incarico di Direttore Coadiutore dello IASD;

– il Gen. F. ha ricoperto ben 11 sedi diverse nella quali è stato impiegato in tutti i possibili incarichi attribuibili e cioè in incarichi di natura "operativa a carattere territoriale" ed "operativa di carattere specialistico", di "staf", di "gestione tecnicologisticoamministrativa", di " natura "formativa", di "Stato Maggiore" e di "alta direzione territoriale";

– il periodo di comando vantato dal Gen. F. risulta superiore anche in rapporto ai mesi di servizio effettivamente prestato (406 mesi per il Gen. F. e 381 per il Gen. C.);

– anche per le qualifiche riportate la posizione del Gen. F. può ritenersi superiore a quella del Gen. C. tenuto conto che di "…qualifiche non apicali…" il primo ne ha ottenute di meno (solo 3 mesi dal 27 giugno al 1° ottobre 1974), rispetto al secondo (39 mesi dal 16 luglio 1976 al 24 settembre 1979); che una "…continuità…" nell’acquisizione della massima qualifica di "Eccellente o giudizi equipollenti" è stata acquisita dal Gen. F. dal 2 ottobre 1974 e per un periodo nettamente superiore rispetto al secondo (403 mesi a fronte di 342);

– che, infine, per i corsi frequentati e per i titoli culturali conseguiti non sembra superiore quella del Gen. C..

7. – In conclusione, la rilevata fondatezza dei motivi di impugnazione comporta che l’appello può essere accolto e che, in riforma della sentenza impugnata, debba, invece, essere respinto il ricorso di primo grado.

8. – Quanto alle spese del presente grado di giudizio, ritiene il Collegio che la complessità della vicenda e del procedimento sottostante possano ragionevolmente indurre a compensare integralmente tra le parti le spese stesse.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 3372 del 2010, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-04-2011) 19-07-2011, n. 28776 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- Con sentenza del 19 novembre 2009, il Gup del Tribunale di Brescia ha ritenuto, tra gli altri, A.D., D.L. e M.A. colpevoli di diversi episodi di acquisto e cessione (anche nella forma del tentativo, talvolta in concorso con altre persone separatamente giudicate) di sostanza stupefacente del tipo cocaina – capi 16,19,21,22,47, 56 e 57 per A.; capi 20 e 23 per D.; capo 29 per M. – e li ha condannati, ritenuta, quanto all’ A. ed al D., la continuazione tra i reati ed applicata la diminuente del rito, alle pene ritenute di giustizia.

Su impugnazione proposta dai tre imputati, la Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 6 luglio 2010, in riforma della sentenza di primo grado: a) ha assolto il D. dal delitto contestato sub capo 23 perchè il fatto non sussiste e, riconosciuta, quanto al delitto contestato sub capo 20, l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, esclusa la continuazione, ha ridotto ad anni due, mesi otto di reclusione e 4.500,00 Euro di multa la pena inflitta dal primo giudice; b) ha riconosciuto, nei confronti del M., le circostanze attenuanti generiche e quella di cui al 5 comma del citato art. 73 ed ha ridotto ad anni due, mesi tre di reclusione e 4.400,00 Euro di multa la pena inflitta in primo grado;

c) ha ridotto, nei confronti dell’ A., ad anni sei di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa la pena inflitta dal primo giudice, attraverso in contenimento degli aumenti della stessa ex art. 81 cpv cod. pen..

-2- Avverso tale sentenza propongono distinti ricorsi – accompagnati da varia allegazione documentale – i tre imputati, che deducono:

1) A.D.:

a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla ritenuta congruità della motivazione del provvedimento con il quale è stato autorizzato, per le intercettazioni, il ricorso ad impianti esterni all’ufficio di procura; la censura riguarda la ritenuta sussistenza dei requisiti della insufficienza degli impianti esistenti presso detto ufficio e delle ragioni di eccezionale urgenza di cui all’art. 268 cod. proc. pen.; il difetto motivazionale comporterebbe, secondo il ricorrente, l’inutilizzabilità delle intercettazioni. Con specifico riferimento alle conversazioni intercettate sull’utenza mobile n. (OMISSIS) in uso all’imputato, si rileva nel ricorso che l’intercettazione non sarebbe mai stata autorizzata, ma solo prorogata con provvedimento che non verrebbe a sanare il vizio d’origine;

b) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’utilizzazione di atti d’indagine compiuti oltre la scadenza dei termini di cui agli artt. 405/407 cod. proc. pen.; il riferimento è all’assunzione delle dichiarazioni rese da B.G., S.A. e B.G., sentiti in ordine all’acquisto di sostanza stupefacente loro ceduta dell’imputato;

c) Vizio di motivazione, anche in relazione all’art. 125 cod. proc. pen. in punto di affermazione della responsabilità dell’imputato in ordine a tutti i fatti contestati;

d) Vizio di motivazione in punto di diniego delle attenuanti generiche e di quelle previste dall’art. 114 cod. pen. e dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. 2) D.L.:

a) Violazione dell’art. 161 cod. proc. pen., in relazione alla notifica di tutti gli atti processuali, a partire dal decreto di fissazione dell’udienza preliminare e fino al decreto di citazione in appello, al domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia invece che al domicilio dichiarato; quest’ultimo pur precedente l’elezione di domicilio, e tuttavia mai revocato; il vizio, tempestivamente dedotto, renderebbe nulli tutti gli atti del procedimento;

b) Violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 1 e art. 271 cod. proc. pen., in relazione alla mancata verbalizzazione dell’attività intercettativa, posto che i relativi verbali conterrebbero solo le indicazioni del giorno di inizio e di termine di detta attività; il vizio comporterebbe l’inutilizzabilità delle intercettazioni;

c) Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta consumazione del delitto di cessione di sostanza stupefacente, con riferimento al capo 20 della rubrica -unico per il quale è stata affermata la responsabilità dell’imputato-, laddove dalle conversazioni telefoniche intercettate emergerebbe che nessun accordo vi era stato tra i conversanti in ordine al tipo, alla quantità ed al prezzo dello stupefacente oggetto, in tesi d’accusa, di compravendita, di guisa che, in assenza di accordo, il reato sarebbe inesistente;

d) inesistente sarebbe anche la ritenuta ipotesi di tentativo, in difetto della prova circa gli elementi embrionali dell’accordo;

e) Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di determinazione della pena base, per il delitto ex art. 73, comma 5 del richiamato D.P.R., nella misura di sei anni, che costituisce il massimo della pena edittale;

i) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche.

3) M.A.:

a) Violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, laddove è stata ribadita la penale responsabilità dell’imputato per il reato contestatogli (capo 29); si rileva, anzitutto, nel ricorso che la corte territoriale erroneamente avrebbe ritenuto che con la puntigliosa ricostruzione, nell’atto di appello, delle quantità di stupefacente acquistato e dei prezzi erogati l’appellante avrebbe in pratica contraddetto la richiesta assolutoria; in realtà, sostiene il ricorrente, la principale richiesta era di assoluzione, mentre la ricostruzione alla quale si è fatto riferimento aveva solo lo scopo di segnalare, in via subordinata, che gli acquisti erano finalizzati al consumo personale, non alla cessione a terzi;

b) Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza dell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, cioè del consumo personale, da parte del M., dello stupefacente acquistato; sostiene il ricorrente che erano state acquisite, in sede di indagini difensive, le dichiarazioni rese dalla madre, dalla sorella e dalla zia dell’imputato, che avevano segnalato la condizione di tossicodipendente del congiunto, condizione confermata anche da un certificato medico rilasciato dal dott. Sa.Ma., dal quale era emerso che il M., in occasione di analisi eseguite l’8.9.03, era risultato positivo al test urine per la cannabis;

dichiarazioni acquisite in atti, ritenute dalla corte territoriale irrilevanti, quelle della madre, ovvero del tutto ignorate, quelle della sorella e della zia, e lo stesso certificato del dott. Sa.. c) Vizio di motivazione con riguardo al rigetto dell’istanza di sostituzione della pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità, D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 3, comma 5 bis e D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 54.

I tre ricorrenti concludono chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

-3- I ricorsi sono infondati.

1) A.D.. a) Quanto al primo motivo di ricorso, premesso che, secondo la condivisa giurisprudenza di legittimità, il ricorso ad impianti di intercettazione esterni all’ufficio di procura può essere sommariamente motivato richiamando l’indisponibilità, ovvero l’insufficienza di tali impianti, non essendo necessario che il PM indichi le ragioni di tali indisponibilità o insufficienza, e che, nell’ambito di tale motivazione, deve ritenersi la sostanziale identità concettuale tra la "insufficienza" e la "indisponibilità" cui fa riferimento l’art. 268 cod. proc. pen., in quanto ambedue i concetti indicano l’impossibilità del PM di ricorrere ad impianti interni all’ufficio di procura.

Tanto premesso, dunque, osserva la Corte, con specifico riferimento alla censura proposta dal ricorrente, che la motivazione della sentenza impugnata non presenta alcuna contraddittorietà.

In realtà, i riferimenti, in detta sentenza, da un lato, alla motivazione per relationem, con cui il PM si limiti a richiamare una certificazione dell’ufficio intercettazioni della procura, dall’altro, all’esigenza, per motivi particolari, connessi alla singola indagine, di specificare le ragioni del mancato utilizzo di impianti interni a detto ufficio, appaiono, nel contesto motivazionale, oltre che del tutto residuali, per nulla in contrasto con le precedenti considerazioni svolte sul punto dal giudice del gravame. Con tali richiami, invero, lo stesso giudice si è limitato a precisare che l’indisponibilità o l’insufficienza degli impianti potrebbe anche essere sostenuta dal PM attraverso l’allegazione di una conforme certificazione proveniente dall’ufficio intercettazioni della procura, ed inoltre a specificare che l’opportunità di più precise indicazioni potrebbe rivelarsi in casi particolari allorchè, ad esempio, la necessità di ricorrere ad impianti esterni nasca da esigenze investigative, rappresentate dall’esigenza di svolgere contemporaneamente servizi di osservazione, pedinamento e controllo degli indagati, e quindi di concentrare i vari servizi presso l’unità più prossima di polizia giudiziaria.

Osservazioni evidentemente non riferite al caso di specie nè contraddittorie rispetto ai concetti in precedenza espressi, rispondenti solo all’esigenza, avvertita dal giudice del gravame, di completare l’iter argomentativo attraverso l’indicazione di ulteriori possibili situazioni, diverse da quella esaminata, che avrebbero potuto rendere opportuna una più succinta o più specifica motivazione del decreto di esecuzione delle operazioni in punto di utilizzo di impianti esterni.

Quanto alle ragioni d’urgenza, deve ritenersi che le stesse siano state implicitamente rilevate attraverso il richiamo alle condotte delittuose ipotizzate, che rappresentavano chiaramente la stabile ed attuale operatività di un gruppo criminale dedito al traffico di stupefacenti e che andavano, evidentemente, immediatamente interrotte, anche perchè apparivano accompagnate da episodi di intimidazione, attribuite all’ A., collegati alle attività di spaccio.

Per quanto riguarda le attività di captazione relative alla utenza cellulare (OMISSIS), disposta, secondo il ricorrente, non con un originario decreto d’intercettazione, bensì solo con un provvedimento di proroga, rileva anzitutto la Corte la violazione, da parte del ricorrente, della regola dell’autosufficienza del ricorso, in relazione alla mancata produzione di detto provvedimento in allegato all’atto d’impugnazione; onere al quale il ricorrente era tenuto data la mancata allegazione dello stesso provvedimento agli atti del fascicolo trasmesso a questa Corte.

In ogni caso, quanto al merito della censura, osserva la Corte che la decisione del giudice del gravame di ritenere utilizzabili solo le conversazioni intercettate dopo la proroga, appare coerente e condivisibile, anche perchè il ricorrente non assume che detto provvedimento sia carente dei requisiti, anche motivazionali, richiesti dalla legge. Non precisa, peraltro, lo stesso ricorrente quali siano i contenuti delle conversazioni intercettate nè il loro rilievo probatorio, come pure sarebbe stato necessario al fine di accertare se l’inutilizzabilità di tali conversazioni avrebbe potuto giustificare una diversa decisione, più favorevole all’imputato. b) Quanto al secondo motivo di ricorso, relativo alla acquisizione di elementi probatori oltre il termine di cui all’art. 407 cod. proc. pen. (testimonianze di B.G., S.A. e Bu.Gi.Da., acquirenti della droga), osserva la Corte che il giudice del gravame, al quale la questione è stata proposta con i motivi d’appello, ha legittimamente considerato, tra l’altro, che la scelta del giudizio abbreviato, evidentemente diretta ad ottenere un attenuato trattamento sanzionatorio, non consente più all’imputato di contestare gli atti d’indagine. Affermazione – in ordine alla quale il ricorrente nulla osserva – che si pone in perfetta sintonia con la giurisprudenza di questa Corte che, in una fattispecie identica ha affermato che: "Gli atti d’investigazione compiuti dopo la scadenza dei termini di indagine preliminare sono utilizzabili nel giudizio abbreviato" (Cass. n.38420/10).

Per le vicende in relazione alle quali i predetti testimoni sono stati chiamati a deporre, peraltro, la responsabilità del D. era comunque emersa, secondo quanto si deduce dalla lettura della sentenza di primo grado, dai contenuti delle numerose conversazioni telefoniche intercettate, dalle quali erano emersi, oltre che i frequenti contatti dei tre con l’imputato, il contenuto criptico delle conversazioni, a conferma dell’oggetto illecito di quei contatti, e la situazione debitoria dei primi nei confronti del secondo. La testimonianze dei tre acquirenti, quindi, sono solo state utilizzate a conferma degli elementi indiziari già acquisiti. c) Inammissibile è il terzo dei motivi proposti, con il quale il ricorrente, dietro l’apparente censura motivazionale, tende in realtà a fornire dei contenuti delle conversazioni intercettate una interpretazione diversa rispetto a quella accolta dai giudici del merito. Operazione non consentita nella sede di legittimità laddove il giudice del merito abbia fornito, come nel caso di specie, una valutazione conforme ai criteri della logica e delle massime d’esperienza (Cass. n. 15396/08 rv 239636). d) Infondato è anche l’ultimo motivo di ricorso, con il quale è stato segnalato il vizio di motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche e di quelle previste dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e art. 114 cod. pen.. Quanto alla diminuente della lievità entità del fatto, il giudice del gravame ha giustamente osservato che la stessa non avrebbe potuto riconoscersi in vista della imponenza del traffico, anche per il numero di "clienti" che poteva vantare; considerazione che evidentemente supera la tesi della lieve entità, ove anche realmente ipotizzabile, delle singole vicende di cessione, ma che non ha, tuttavia, impedito al giudice del gravame di contenere significativamente l’aumento di pena per la continuazione. Quanto alle generiche ed all’attenuante ex art. 114 cod. pen., il giudice del gravame ha condivisibilmente rilevato, quanto alle prime, oltre al negativo comportamento processuale, evidentemente caratterizzato dal rifiuto di qualsiasi forma di partecipazione alle indagini, e dunque dalla totale assenza di resipiscenza, la gravita dei fatti e la loro reiterazione nel tempo; circostanze che certamente legittimano il diniego delle invocate attenuanti; quanto alla seconda, che il ruolo ricoperto dall’imputato nell’organizzazione non poteva considerarsi marginale; affermazione che il ricorrente solo genericamente contesta, non avendo indicato elementi fattuali dai quali potesse scaturire un diverso giudizio.

2) D.L.. a) Il primo motivo proposto, relativo ad una presunta violazione dell’art. 161 cod. proc. pen. in relazione alla presunta irregolare notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, avvenuta presso il domicilio eletto e non presso il domicilio precedentemente dichiarato, è manifestamente infondato.

Come ha esattamente sostenuto il giudice del gravame, al quale l’imputato aveva eccepito", per analoga ragione, l’irregolarità della notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare, non può esservi motivo di contestazione sul punto, poichè l’elezione di domicilio è successiva alla dichiarazione. La circostanza appare determinante alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (n. 41280/06), secondo cui ciò che conta, ai fini della notifica, è l’ultima delle manifestazioni di volontà dell’imputato, senza distinzione alcuna tra dichiarazione ed elezione di domicilio e senza che la seconda manifestazione debba necessariamente essere accompagnata dalla revoca della precedente;

ragione per la quale è stato affermato che la dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio pur non espressamente revocata. b) Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con il quale sì chiede dichiararsi inutilizzabile, ex art. 271 cod. proc. pen., per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 1, l’attività d’intercettazione, sul rilievo che non sarebbe stato tenuto un verbale pur sommario delle operazioni svolte.

La censura non è fondata posto che, come sostiene lo stesso ricorrente, in realtà il verbale delle operazioni è stato redatto, solo che esso, a giudizio dello stesso ricorrente, era privo di indicazioni relative all’attività svolta. Orbene, ove anche così fosse -la Corte non lo ha potuto accertare, non essendo allegato agli atti il documento in questione e non essendo stato lo stesso prodotto dal ricorrente, ciò che ripropone il tema della violazione della regola dell’autosufficienza del ricorso- tale irregolarità, attinente non alla effettiva esistenza e compilazione del verbale (nel qual caso si potrebbe riscontrare la violazione dell’art. 268, comma 1 richiamato dal ricorrente), bensì solo all’incompletezza del suo contenuto, non può che ricondursi nell’ambito dell’inosservanza del disposto dell’art. 89 disp. att. cod. proc. pen. che, per costante giurisprudenza di questa Corte, stante il principio di tassatività, non determina l’inutilizzabilità degli esiti dell’attività d’intercettazione legittimamente disposta ed eseguita (Cass. nn. 17574/04, 49306/04, 8836/09).

In ogni caso, con la richiesta di procedere con il rito abbreviato, l’imputato ha dichiarato di voler essere giudicato allo stato degli atti, e dunque anche sulla base del verbale in questione, la cui compilazione, ove anche incompleta, non può oggi contestare. c) Inammissibili sono le censure proposte con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, relativi all’acquisto, in concorso con altri, di gr. 50 di sostanza stupefacente del tipo cocaina (capo 20 della rubrica) al fine di successiva cessione a terzi.

In realtà, il ricorrente, attraverso la denuncia della violazione di legge e del vizio di motivazione, tende a fornire dei contenuti delle conversazioni intercettate una interpretazione diversa rispetto a quella accolta dai giudici del merito. Operazione, come già rilevato con riguardo al ricorso proposto dall’ A., non consentita nella sede di legittimità, laddove il giudice del merito abbia fornito, come nel caso di specie, una valutazione conforme ai criteri della logica e delle massime d’esperienza (Cass. n. 15396/08 rv 239636).

I giudici del merito, invero, hanno legittimamente tratto la convinzione, dalle conversazioni intercettate, in particolare da quella intercorsa tra il D. ed A.G., che oggetto delle stesse fosse la richiesta del primo di ottenere 50 gr. di stupefacente. Richiesta avanzata attraverso il criptico e chiaramente allusivo riferimento, da parte del D’Agostino, ad "una cinquantina di persone che veniamo tutti a mangiare capito", al "menù" ("non ce l’avete pronto?), all’esigenza di avere "il menù giusto perchè io devo farglielo vedere alle persone e dopo ci vediamo io e te". Affermazioni e riferimenti che, nel contesto della telefonata, che mostrava il nervosismo e la fretta del D. d’ottenere dall’interlocutore quanto richiesto -evidentemente non riferibile a pranzi ma a ben altro- è stata coerentemente interpretata come una chiara richiesta dell’odierno ricorrente di acquisto di diverse dosi di stupefacente. d) Infondati sono anche gli ultimi due motivi, relativi al trattamento sanzionatorio.

In punto di determinazione della pena, la corte territoriale, che pure ha riconosciuto all’imputato l’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, giustamente ha richiamato la gravità del fatto, oltre che il contesto in cui si dipanavano le varie vicende, ritenuta sufficiente a giustificare l’individuazione della pena base nel massimo edittale previsto dalla norma citata. Mentre le ragioni del diniego delle attenuanti generiche sono state, seppur implicitamente, ricondotte alla gravita dei fatti contestati ed alla stessa negativa personalità dell’imputato, già tale ritenuta dal primo giudice, che ne ha segnalato la pervicacia della condotta illecita ed il dispregio della legge. Il ricorrente, d’altra parte, nel richiedere al giudice del gravame il riconoscimento delle attenuanti in questione, si è limitato a segnalare il fatto che l’imputato si era dedicato a regolare attività lavorativa; circostanza che, evidentemente, di per sè non è idonea ad incidere sul giudizio negativo sulla personalità dell’imputato e sulla gravita del fatto di cui egli è stato ritenuto responsabile.

3) M.A.. a) Infondati sono i primi due motivi di ricorso, aventi ad oggetto censure relative all’affermazione di responsabilità ed il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, cioè dell’uso personale della droga acquistata dall’imputato.

In realtà la corte territoriale non ha omesso di considerare il tema della responsabilità dell’imputato, giustamente dalla stessa sostanzialmente ricondotto alla tesi dell’uso personale della droga, in relazione alla quale ha sostenuto che dal contesto delle conversazioni captate emergeva, non solo che il M. aveva accumulato un certo debito nei confronti del suo venditore, tale B.R., ma anche che egli giustificava il ritardo nei pagamenti con il fatto di non avere egli stesso ricevuto puntuali pagamenti da parte di terzi. Affermazione che è stata giustamente interpretata nel senso che l’acquisto della droga era, almeno in parte, finalizzato alla cessione a terzi, i cui ritardati pagamenti avevano causato lo stato di indebitamento ed i ritardi del M. nei confronti del suo fornitore. Nella sentenza di primo grado, inoltre, è stato rilevato che gli acquisti erano avvenuti in un ristretto arco temporale (un mese) e per un importo rilevante, donde la conferma del fatto che gli acquisti erano, almeno in parte, finalizzati alla cessione a terzi.

Circostanze in relazione alle quali le dichiarazioni della madre, della sorella e della zia dell’imputato, che hanno segnalato lo stato di tossicodipendenza del congiunto, ove anche veritiere, e la stessa certificazione medica attestante la presenza, tre anni prima dei fatti, di cannabis nelle urine del M., sono state legittimamente ritenute irrilevanti. Mentre le conversazioni dalle quali emergeva l’esigenza dell’imputato di ricorrere ad un prestito per pagare i debiti, non contrasta con il resto delle emergenze probatorie, poichè ribadisce i problemi finanziari dell’imputato e l’esigenza di provvedervi. c) Infondato è, infine, anche l’ultimo motivo di ricorso, con il quale l’imputato lamenta la mancata sostituzione della pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità.

A tale proposito, rileva la Corte che detta sostituzione, prevista in caso di riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto per i reati in materia di stupefacenti, non costituisce un diritto dell’imputato ma è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice il quale, nel caso di specie, ha rilevato, non solo che non vi era in atti prova della condizione di tossicodipendenza dell’imputato, essendo quelle proposte non apprezzabili in tal senso, ma anche che l’inserimento dello stesso in torbidi ambienti di spaccio organizzato sconsigliava l’accoglimento della richiesta sostituzione.

I ricorsi devono essere, dunque, rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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