Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-12-2011, n. 28319

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Oggetto del ricorso per cassazione è la sentenza della Corte di appello di l’Aquila (del 4 dicembre 2008) che ha dichiarato inammissibile – e, comunque, infondato – il ricorso per revocazione, proposto da Babagula srl, avverso la sentenza della stessa Corte (21 febbraio 2007), la quale aveva rigettato l’appello proposto dalla stessa società nei confronti della sentenza del Tribunale, che aveva dichiarato risolto il contratto di locazione intercorso con la Saies di Camillo Salvatore & C. snc (poi Le Ninfee sas di Benedetta Salvatore & C.) 2. Babagula srl deduce quattro motivi di ricorso.

Resiste con controricorso la società Le Ninfee (già Saies), che eccepisce la tardività del ricorso.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, deve darsi atto che, nonostante nell’intestazione del controricorso si legga controricorrente e ricorrente incidentale.

Le Ninfee sas non ha svolto alcun ricorso incidentale avverso la sentenza impugnata dalla Babagula.

2. L’eccezione di tardività del ricorso – sollevata sul corretto presupposto che alla controversia in oggetto, concernente locazioni, non sia applicabile la sospensione dei termini nel periodo feriale – va rigettata perchè, ai fini del calcolo del termine annuale secco, di cui all’art. 327 cod. proc. civ., il controricorrente da erroneamente rilievo alla data (oltre il termine annuale secco) in cui la notifica si è perfezionata e non a quella (rilevante secondo la giurisprudenza consolidata) della consegna per la notifica (rispettosa del termine annuale secco).

Infatti, la sentenza impugnata, non notificata, è del 4 dicembre 2008. Il ricorso è stato consegnato per la notifica all’ufficiale giudiziario il 4 dicembre 2009, nel rispetto del termine annuale secco, valendo tale data ai fini del rispetto del termine per l’impugnazione. La circostanza che la notifica si è perfezionata il 15 dicembre 2009 – con la consegna presso la Cancelleria della Corte di appello di l’Aquila (non essendo andata a buon fine la notifica del 4 dicembre 2009 presso l’avvocato domiciliatario, stante la non abitabilità dell’immobile a causa del sisma) – è irrilevante ai fini della tempestività.

Tanto, in applicazione del principio consolidato, secondo cui A seguito delle decisioni della Corte costituzionale n. 477 del 2002, nn. 28 e 97 del 2004 e 154 de 2005, ed in particolare dell’affermarsi del principio della scissione fra il momento di perfezionamento della notificazione per il notificante e per i destinatario, deve ritenersi che la notificazione si perfeziona nei confronti del notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, con la conseguenza che, ove tempestiva, quella consegna evita alla parte la decadenza correlata all’inosservanza de termine perentorio entro il quale la notifica va effettuata (Cass. 10 maggio 2007, n. 10693).

3. Con il primo motivo, corredato da quesito di diritto, si deduce la nullità della sentenza per violazione delle norme del procedimento.

Si lamenta l’adozione del rito camerale, invece del rito ordinario, laddove nel procedimento per revocazione si sarebbero dovute applicare le norme ordinarie stabilite per il procedimento davanti al giudice della revocazione ( art. 400 cod. proc. civ.), se non derogate specificamente, come nel caso ( art. 401 cod. proc. civ.) di sospensione dell’esecuzione.

3.1. La censura è inammissibile.

In primo luogo, pecca di autosufficienza. Si lamenta dell’adozione della procedura camerale, e richiama, come dimostrazione, solo la sentenza impugnata. Ma, nella intestazione della sentenza, risulta che la causa è stata decisa all’udienza collegiale e, appunto, è stata decisa con sentenza; cioè con provvedimento conclusivo, normalmente, della pubblica udienza.

Inoltre, la ricorrente non ha neanche dedotto l’interesse in concreto leso dalla procedura camerale, che sarebbe stata seguita.

In numerose pronunce, rispetto a fattispecie molteplici, la Corte ha ritenuto che In materia di impugnazioni civili, dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume quello per cui la denunzia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa, concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio, con la conseguenza che l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorchè nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (Cass. 7 febbraio 2011, n. 3024; Cass. 23 febbraio 2010 n. 4340). Comunque, in generale, va ricordato che la Corte – rispetto alla revocazione delle sentenze della Cassazione – ha affermato che l’oralità non è un connotato indefettibile per realizzare lo scopo e la funzione del diritto di difesa, che può attuarsi anche in un procedimento dalle forme più rapide, quale il rito camerale (Cass. 23 febbraio 2000 n. 2057).

4. Con il secondo motivo si deduce errore di valutazione (o vizio logico) sull’ammissibilità della domanda di revocazione in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Dalla parte esplicativa sembra che il vizio fatto valere è l’errore di fatto (ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4), riferito alla data del nuovo documento. La parte ricorrente sembra lamentarsi del fatto che, nonostante nell’atto di revocazione avesse riportato la data errata del 18 marzo 2008 rispetto al documento fatto valere per la revocazione, l’esame del documento avrebbe rivelato che la data esatta era quella del 28 marzo.

3.1. Il motivo è inammissibile, stante la violazione dell’art. 366- bis cod. proc. civ. Se si volesse considerare come contenente, sostanzialmente, la prospettazione di una violazione di legge, sarebbe inammissibile per mancanza del quesito di diritto (Cass. 7 novembre 2007, n. 23153) Considerando, invece, l’esplicita prospettazione del vizio di motivazione, è del pari inammissibile per la mancanza del momento di sintesi, omologo al quesito di diritto secondo la giurisprudenza consolidata (Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; 14 ottobre 2008, n. 25117; 30 ottobre 2008 n. 26014).

3.2. Senza considerare, poi, che il motivo sarebbe stato manifestamente infondato sulla base della giurisprudenza della Corte.

Infatti, costituisce principio consolidato quello secondo cui, con riferimento alla revocazione, l’esatta individuazione della data in cui si è verificato l’evento indicato dall’art. 395 c.p.c., n. 2, (scoperta del dolo o della falsità o recupero di documenti), rilevante agli effetti della decorrenza del termine di impugnazione per revocazione e prescritta a pena di inammissibilità della domanda dall’art. 398 c.p.c., comma 2, deve essere sin dall’inizio di chiara ed immediata percezione, in guisa da consentire la possibilità di accertare l’osservanza o meno del termine perentorio di impugnazione e costituisce, pertanto, un onere di allegazione della parte istante, oggetto di un preciso thema probandum, in quanto consente di dare ingresso al giudizio rescindente. (in riferimento al processo tributario, Cass. 25 maggio 2011, n. 11451).

Ed ancora, L’impugnazione per revocazione correlata, a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 3, al ritrovamento di documenti non potuti produrre nel giudizio conclusosi con la pronuncia della sentenza impugnata, deve essere proposta a pena di inammissibilità, a norma degli artt. 325 e 326 cod. proc. civ., entro trenta giorni dalla data della scoperta dei documenti medesimi e l’onere della prova dell’osservanza del termine, e quindi della tempestività e dell’ammissibilità dell’impugnazione, incombe alla parte che questa abbia proposto, la quale deve indicare in citazione, a pena d’inammissibilità della revocazione, le prove di tali circostanze, nonchè del giorno della scoperta o del ritrovamento del documento.

(Cass. 4 febbraio 2005, n. 2287).

La parte, in definitiva, non può dolersi di aver indicato una data errata, e a sè sfavorevole, del documento rilevante, gravando sulla stessa un onere di allegazione (corretta) del documento.

4. Anche il terzo e quarto motivo di ricorso deducono vizi di motivazione (insufficienza e illogicità il terzo; omissione e insufficienza il quarto), senza la prescritta sintesi. Conseguente è l’inammissibilità per le stesse ragioni di cui al secondo motivo.

5. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna Babagula srl al pagamento, in favore della Le Ninfee sas di Benedetta Salvatore & C. (già Saies di Camillo Salvatore & C. snc), delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-01-2012, n. 99 Categoria, qualifica, mansioni

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Svolgimento del processo

P.M.A., dipendente della società Poste Italiane ed assegnata all’area quadri di secondo livello, esponeva al Tribunale di Bologna che nel 1996 la datrice di lavoro, avendo necessità di coprire diverse posizioni lavorative con qualifica dirigenziale, diede mandato ad una agenzia esterna (Hay Group Management) di effettuare una selezione tra i propri dipendenti, all’esito della quale ella si era utilmente collocata in graduatoria;

che unitamente ai primi ventuno colleghi risultati idonei, venne invitata a frequentare un corso di preparazione alla dirigenza presso l’Università Bocconi di Milano nel novembre 1997; che nel febbraio 1998 era stata inviata all’Area Personale della sede di Roma per il conferimento dell’incarico dirigenziale; che era stata infine redatta una graduatoria dal Capo del personale. Che tuttavia la società convenuta aveva provveduto a nominare dirigenti altri suoi colleghi, pur collocati in graduatoria in posizione deteriore, sicchè chiedeva l’accertamento del suo diritto alla qualifica dirigenziale dal febbraio 1998, con condanna della società al relativo inquadramento ed al pagamento delle differenze retributive, o in subordine al risarcimento del danno. Il Tribunale accoglieva la domanda principale ritenendo che la graduatoria di cui sopra era stata approvata dalla società Poste, posto che l’invio di questa al consiglio di amministrazione era atto "meramente riproduttivo di una volontà già manifestata con l’approvazione della graduatoria".

Proponeva appello la società Poste. Resisteva la P.. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza depositata l’11 agosto 2009, accoglieva il gravame, respingendo la domanda. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la P., affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria. Resiste la società Poste Italiane con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con i primi due motivi la P. denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c. per l’inadeguata motivazione delle prove raccolte e del contegno processuale delle parti, nonchè carente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Lamenta in sostanza la ricorrente che la sorte territoriale valutò erroneamente le emergenze processuali, ritenendo che la P. non venne convocata a Roma per il conferimento dell’incarico bensì solo per comunicazioni che la riguardavano; che non risultava emanato alcun bando di concorso vincolante il potere discrezionale del datore di lavoro di promuovere i dipendenti; che il corso frequentato presso la B. dimostrava che la selezione non si era ancora compiuta; che la sottoposizione al consiglio di amministrazione dell’elenco dei dipendenti nominabili non poteva ritenersi, come riferito da un teste, una mera formalità. Che ciò contrastava palesemente con le deposizioni testimoniali raccolte e la documentazione prodotta, in contrasto con l’art. 116 c.p.c. che pur affermando il principio del libero convincimento del giudice, non consente una valutazione arbitraria delle prove.

2. I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, risultano in parte inammissibili e per il resto infondati.

Deve infatti considerarsi (ex plurimis, Cass. 12 novembre 2007 n. 23484) che le censure riguardanti la motivazione devono riguardare l’obiettiva insufficienza di essa o la contraddittorietà del ragionamento su cui si fonda l’interpretazione accolta, non potendosi perciò ritenere idonea ad integrare valido motivo di ricorso per cassazione una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito che si risolva solamente nella contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte.

Come poi recentemente osservato da questa Corte (ord. 30 luglio 2010 n. 17915) il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.

Non v’è per il resto dubbio che possa essere legittimamente censurata in cassazione la sentenza del giudice di merito che abbia omesso del tutto di valutare le risultanze istruttorie o ne abbia fornito una interpretazione illogica o immotivata. Nella specie, tuttavia, la Corte di merito, valutando tutte le risultanze di causa, ha ritenuto, con motivazione logica e congrua, che le circostanze esposte erano inidonee a sorreggere la domanda, in primo luogo per non essersi la società appellata vincolata ad alcuna procedura concorsuale (sindacabile in base ai principi di correttezza e buona fede; cfr. per tutte, Cass. 1 agosto 2001 n. 10514, che precisa peraltro che "al di là di tale verifica non è, invece, consentito al giudice di ingerirsi nella valutazione del contenuto del bando di concorso, nella determinazione delle relative procedure attuati ve, nella scelta dei criteri di selezione, nè, ancora, nel merito dei giudizi espressi sui singoli candidati"), che neppure la ricorrente deduce. Ha pertanto correttamente ritenuto che in mancanza di una autolimitazione dei suoi poteri gestionali, restava rimesso al potere organizzativo del datore di lavoro la scelta dei dipendenti da promuovere (cfr. Cass. 26 maggio 2003 n. 8350). In secondo luogo ha congruamente valutato se dall’istruttoria espletata potente ritenersi che la società Poste si fosse comunque obbligata all’inquadramento nella qualifica dirigenziale della P..

La forte di merito ha escluso tale circostanza, ritenendo che lo stesso affidamento ad una società esterna dell’incarico di selezionare possibili nominativi da valutare ai fini della promozione a dirigente, già escludeva che tale "selezione", compiuta da un terzo, potesse vincolare la società Poste in assenza di norme contrattuali o regolamentari che la obbligassero in tal senso.

Che le circostanze riferite dal capo del personale e dal consigliere di amministrazione con delega al personale escludevano che l’elenco dei nominativi fornita dalla società Hay Management avesse natura di "graduatoria" vincolante, tanto che venne poi sottoposta al consiglio di amministrazione della società Poste; che il nuovo direttore generale aveva avocato a sè tutta la procedura, il cui esito i testi non conoscevano; che i testi escussi riferirono dell’approvazione da parte del C.d.A. della società Poste di un primo gruppo di ventitre dirigenti, cui avrebbe dovuto seguire la nomina di altri ventidue e tra essi la P.; di tale ultima approvazione nulla tuttavia i testi erano in grado di affermare. La corte territoriale non si è dunque limitata a dissentire dalle testimonianze raccolte o ad ignorarle, avendole adeguatamente e logicamente valutate.

Come osservato da questa Corte, nella medesima sentenza 27 luglio 2006 n. 17145 citata dalla ricorrente, "la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, e l’osservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non richiedono che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’"iter" argomentativo seguito". 3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e difetto di motivazione per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi in merito alla domanda subordinata di risarcimento del danno, erroneamente qualificato come da perdita di chances, ed invece correlato alla mancata promozione cui ella aveva diritto.

Il motivo è infondato.

In primo luogo per non sussistere alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., essendosi la corte di merito pronunciata in ordine alla domanda di risarcimento del danno, ed avendola motivatamente respinta, laddove la questione della interpretazione della domanda esula dal censurato error in procedendo, trattandosi di accertamento di fatto (Cass. 1 febbraio 2007 n. 2217, Cass. 22 febbraio 2005 n. 3538).

In secondo luogo poichè la pretesa risarcitoria collegata alla mancata nomina a dirigente ("risarcimento del danno per la violazione del diritto alla nomina di dirigente", pag. 38 ricorso), risultato insussistente tale diritto, risultava conseguentemente infondata.

4. Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro 40,00 Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-06-2011) 29-09-2011, n. 35338

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Svolgimento del processo

K.S.D. impugna per cassazione la sentenza della Corte di appello di Roma in data 21.06.2010 di conferma della decisione emessa li 10.12.2009 dal Tribunale di Roma, con la quale, ritenute le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, era stato condannato alla pena mesi otto di reclusione ed Euro 300 di multa, perchè ritenuto responsabile della ricettazione (art. 648 cpv c.p.) di un blocchetto di Tickets Restaurant, provento di furto;

nei motivi proposti si deduce:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e).

1) – il ricorrente censura la decisione impugnata per avere omesso di valutare l’ipotesi prospettata dalla difesa circa il rinvenimento sulla pubblica via dei tickets di cui l’imputato era in possesso;

2)-la sentenza era comunque da censurare per non avere dichiarata l’intervenuta prescrizione del reato;

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO Le censure proposte sono destituite di fondamento.

La tesi difensiva relativa alla sussistenza del reato si basa su interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

Al contrario di quanto sostenuto nei motivi di ricorso, la sentenza impugnata risulta congruamente motivata in ordine alla penale responsabilità dell’imputato, avendo osservato:

– che il prevenuto è stato trovato in possesso dei buoni – ristorante poco prima sottratti alla sig.ra N.O. e:

– che la mancata indicazione di giustificazioni in ordine alla provenienza dei tickets, in uno all’evidenza della loro appartenenza a terzi -stanti le indicazioni nominative stampigliate – evidenziava la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato.

Si tratta di una motivazione del tutto congrua, perchè aderente ai fatti di causa e perchè immune da illogicità evidenti, atteso che l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", circostanza che non ricorre nella specie, Cassazione penale, sez. 4^, 12 giugno 2008, n. 35318;

E’ infatti noto che, in generale, la mancata indicazione di giustificazioni in ordine ala provenienza del bene proveniente da delitto è indicativa della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede. (Cassazione penale, sez. 2^, 22/01/2008, n. 5996) e che, in particolare, il delitto di appropriazione indebita di cose smarrite può sussistere, in alternativa a quello di ricettazione, solo ove ne ricorra il requisito obiettivo, per il quale la cosa sia stata effettivamente smarrita (Cassazione penale, sez. 2^, 24/06/2009, n. 29956) circostanza che non ricorre nella specie, ove la Corte territoriale sottolinea essere stata acquisita la prova del furto di quei tickets in danno della N.; ne deriva l’infondatezza anche del motivo con il quale si lamenta il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 647 c.p..

Ugualmente infondata risulta anche la censura sulla prescrizione del reato atteso che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la ricettazione di particolare tenuità, prevista dall’art. 648 c.p., comma 2, non costituisce un autonoma previsione incriminatrice ma una circostanza attenuante speciale. Ne consegue che, ai fini dell’applicazione della prescrizione, deve aversi riguardo alla pena stabilita per il reato base e non per l’ipotesi attenuata.

(Cassazione penale, sez. 2^, 01 ottobre 2008 n. 38803).

Poichè nella specie è stata contestata la recidiva ex art. 99 quarto comma c.p, pienamente ritenuta in sentenza attesa la equivalenza con le attenuanti generiche, ne deriva che il termine massimo di prescrizione, ai sensi dell’art. 161 cpv c.p., non è ancora decorso.

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato , proponendo valutazioni giuridiche totalmente contrarie alla Giurisprudenza di legittimità, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Motivi della decisione

Le censure proposte sono destituite di fondamento.

La tesi difensiva relativa alla sussistenza del reato si basa su interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

Al contrario di quanto sostenuto nei motivi di ricorso, la sentenza impugnata risulta congruamente motivata in ordine alla penale responsabilità dell’imputato, avendo osservato:

– che il prevenuto è stato trovato in possesso dei buoni – ristorante poco prima sottratti alla sig.ra N.O. e:

– che la mancata indicazione di giustificazioni in ordine alla provenienza dei tickets, in uno all’evidenza della loro appartenenza a terzi -stanti le indicazioni nominative stampigliate – evidenziava la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato.

Si tratta di una motivazione del tutto congrua, perchè aderente ai fatti di causa e perchè immune da illogicità evidenti, atteso che l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", circostanza che non ricorre nella specie, Cassazione penale, sez. 4^, 12 giugno 2008, n. 35318;

E’ infatti noto che, in generale, la mancata indicazione di giustificazioni in ordine ala provenienza del bene proveniente da delitto è indicativa della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede. (Cassazione penale, sez. 2^, 22/01/2008, n. 5996) e che, in particolare, il delitto di appropriazione indebita di cose smarrite può sussistere, in alternativa a quello di ricettazione, solo ove ne ricorra il requisito obiettivo, per il quale la cosa sia stata effettivamente smarrita (Cassazione penale, sez. 2^, 24/06/2009, n. 29956) circostanza che non ricorre nella specie, ove la Corte territoriale sottolinea essere stata acquisita la prova del furto di quei tickets in danno della N.; ne deriva l’infondatezza anche del motivo con il quale si lamenta il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 647 c.p..

Ugualmente infondata risulta anche la censura sulla prescrizione del reato atteso che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la ricettazione di particolare tenuità, prevista dall’art. 648 c.p., comma 2, non costituisce un autonoma previsione incriminatrice ma una circostanza attenuante speciale. Ne consegue che, ai fini dell’applicazione della prescrizione, deve aversi riguardo alla pena stabilita per il reato base e non per l’ipotesi attenuata.

(Cassazione penale, sez. 2^, 01 ottobre 2008 n. 38803).

Poichè nella specie è stata contestata la recidiva ex art. 99 quarto comma c.p, pienamente ritenuta in sentenza attesa la equivalenza con le attenuanti generiche, ne deriva che il termine massimo di prescrizione, ai sensi dell’art. 161 cpv c.p., non è ancora decorso.

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato , proponendo valutazioni giuridiche totalmente contrarie alla Giurisprudenza di legittimità, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 05-07-2011) 12-10-2011, n. 36749

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 15.2.2008, il Tribunale di Rossano dichiarò S. T. responsabile del reato di cui all’art. 633 c.p., in Longobucco dal febbraio 1998 a tutt’oggi, e lo condannò alla pena Euro 400,00 di multa.

Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza dell’8.2.2011, in riforma della decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti del predetto perchè il reato era estinto per intervenuta prescrizione, e confermava le statuizioni civili.

Ricorre per cassazione il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), per errata interpretazione della legge penale in riferimento agli artt. 157 e 158 c.p., non essendo alla data della pronuncia della sentenza della Corte d’Appello ancora decorso il termine di prescrizione, in quanto – trattandosi di reato permanente – lo stesso doveva essere calcolata dalla data di cessazione della permanenza ovvero da quella della pronuncia della sentenza di primo grado, quindi dal 15.2.2008.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato, e va accolto.

Nel reato di invasione di terreni o edifici di cui all’art. 633 cod. pen. la nozione di "invasione" si riferisce al comportamento di colui che si introduce "arbitrariamente" e cioè, "contra ius" in quanto privo del diritto d’accesso e la conseguente "occupazione" deve ritenersi pertanto l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva occupazione; qualora l’occupazione, come nel caso di specie, si protragga nel tempo, il delitto ha natura permanente, e cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto dall’edificio o con la sentenza di condanna. Dopo la pronuncia della sentenza la protrazione del comportamento illecito da luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell’invasione ma si sostanzia nella prosecuzione dell’occupazione (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 2, sent. n. 49169/2003 Rv. 227692).

Essendo il reato, contestato a S.T. "dal febbraio 1998 a tutt’oggi", permanente, il termine di decorrenza della prescrizione va calcolato dalla data di cessazione della permanenza, ovvero da quella della pronuncia della sentenza di primo grado, quindi dal 15.2.2008. Rammenta, a riguardo, il Collegio che, per costante insegnamento di questa Corte, in ipotesi di reato permanente, il giudice, al fine dell’applicazione di una causa di estinzione, non può limitarsi a considerare la sola data di inizio della condotta giuridica, ma deve quindi accertare la data di cessazione della permanenza. Poichè, poi, la contestazione del reato permanente, per l’intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l’elemento del perdurare della condotta antigiuridica, qualora il pubblico ministero si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell’accertamento) e non quella finale, la permanenza – intesa come dato della realtà – deve ritenersi compresa nell’imputazione, sicchè l’interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell’azione penale (v. Cass. S.U., sent. n. 11021/1998 Rv. 211385).

Alla stregua dei richiamati principi, e considerato che la contestazione effettuata, nel caso di specie, "a tutt’oggi" consente di prendere in esame i fatti avvenuti successivamente alla citazione a giudizio (4.8.2003) fino alla pronuncia della sentenza di primo grado del 15.2.2008, senza la necessità di contestazioni suppletive, la sentenza impugnata è meritevole di censura in quanto ha dichiarato il reato estinto per decorso del termine massimo di prescrizione di anni sette e mesi sei, pur aumentato a cagione dei periodi di sospensione, erroneamente calcolando il termine a decorrere dalla data dell’accertamento del reato, conseguente alla denuncia-querela presentata dalla persona offesa (4.3.1998), facendola altresì coincidere – con motivazione apodittica e del tutto apparente – con il momento della cessazione della permanenza. E ciò nonostante che dalle risultanze processuali fosse emerso che alla data del 13.4.2005 l’occupazione era ancora in atto, così come dichiarato dal teste S.S. (v. pag. 3 della sentenza di primo grado e pag. 5 delle trascrizioni allegate al verbale di udienza del 13.4.2005).

Ne discende che il reato di cui all’art. 633 c.p., contestato all’imputato, alla data della pronuncia della sentenza della Corte d’Appello non era prescritto, in quanto il 13 aprile 2005 era ancora perdurante la condotta delittuosa e la permanenza – ove non diversamente accertato – è cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado, vale a dire il 15.2.2008.

La sentenza va pertanto annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, che si atterrà nel nuovo giudizio ai principi di diritto sopra enunciati, e che provvedere – se del caso – a liquidare anche le spese sostenute per il grado dalla parte civile.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Catanzaro.

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