Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 11-11-2010) 04-01-2011, n. 110

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1) B.C. ha proposto ricorso avverso la sentenza 17 giugno 2009 della Corte d’Appello di Trieste che ha confermato la sentenza 20 febbraio 2008 del Tribunale di Udine che – previa derubricazione del delitto di rapina in quello di cui all’art. 624 bis cod. pen. (furto con strappo commesso in (OMISSIS)) – l’aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 200,00 di multa.

A fondamento del ricorso si deduce, con il primo motivo, il vizio di motivazione sul diniego – da parte della Corte di merito – di sostituzione della pena detentiva inflitta senza tener conto della circostanza che i precedenti da cui il ricorrente è gravato sono assai risalenti, che il medesimo è stato ritenuto non socialmente pericoloso dal giudice di primo grado e senza tener conto che era stata richiesta la sostituzione anche con la libertà controllata.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’erronea applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 58 sempre con riferimento al diniego di sostituzione della pena detentiva, perchè la sentenza impugnata avrebbe fatto riferimento a criteri inidonei a fondare la prognosi negativa per quanto riguarda la sostituzione con la pena pecuniaria per la quale l’unico criterio da seguire è quello che riguarda la prognosi sull’adempimento.

2) I due motivi di ricorso che, per la loro stretta connessione, possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

Nella sostituzione della pena il giudice esercita un potere discrezionale (come è dimostrato dalla rubrica del ricordato art. 58 e dall’uso, nella medesima norma, del verbo "può"); questo potere discrezionale deve essere esercitato "nei limiti fissati dalla legge" e con il riferimento ai criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. e del suo esercizio il giudice deve fornire adeguata motivazione.

Nel caso in esame la sentenza impugnata ha fatto riferimento, per negare la conversione, ai plurimi precedenti penali per reati contro il patrimonio, la persona e in tema di armi affermando quindi che quella dell’imputato è una personalità proclive a delinquere. La motivazione è dunque adeguata perchè fondata su alcuni dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. ed ha carattere generale (e quindi riferibile anche agli altri casi di sostituzione) per cui si sottrae al vaglio di legittimità.

Nè può condividersi la tesi del ricorrente secondo cui l’unica prognosi consentita, nel caso di richiesta di sostituzione della pena in quella pecuniaria, è quella relativa all’adempimento.

Questa tesi è smentita dal ricordato art. 58 che prevede, al comma 2, il diniego nel caso di prognosi sfavorevole all’adempimento ma non esclude certo per la pena pecuniaria l’esercizio del già descritto potere discrezionale previsto dal comma 1. 3) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 22-01-2011, n. 80 Aiuti e benefici;

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Svolgimento del processo

1. Il sig. G.M. è un imprenditore agricolo, titolare di impresa individuale per la coltivazione agricola associata all’allevamento di animali. In data 16 novembre 2006 egli ha presentato domanda per ottenere finanziamenti nel quadro delle agevolazioni pubbliche destinate alle iniziative imprenditoriali agricole da realizzarsi nell’ambito del Patto Territoriale dell’Area Torino Sud, in base al bando della Provincia di Torino del 17 ottobre 2006 (a sua volta adottato in base al decretolegge n. 415 del 1992, convertito in legge n. 488 del 1992, all’art. 2, commi 203 ss., della legge n. 662 del 1996 ed al decreto ministeriale n. PT5449 del 19 aprile 2006, del Ministero delle Attività produttive, che aveva rimodulato le risorse finanziarie).

Con d.m. n. PT6120, del 22 dicembre 2006, il Ministero dello Sviluppo economico ha approvato gli "esiti istruttori" relativi alla rimodulazione finanziaria per il Patto Territoriale de quo, provvedendo di conseguenza a distribuire le risorse tra le imprese assegnatarie. Nell’allegato elenco delle iniziative imprenditoriali ammesse a fruire dei benefici non è stato incluso, però, il nominativo del sig. M., con implicita negazione del finanziamento da lui richiesto.

2. Il citato d.m. n. PT6120 è impugnato, in questa sede, dal sig. M. il quale ne ha chiesto l’annullamento, previa sospensione cautelare, nella parte in cui egli è stato escluso dalla fruizione delle agevolazioni.

Riferisce il ricorrente che l’istituto bancario "S. Paolo IMI" – il quale aveva ricevuto l’incarico, da parte dell’amministrazione, di provvedere all’istruttoria relativa ai progetti presentati per ottenere i finanziamenti -, con lettera raccomandata del 29 dicembre 2006, ha espresso "parere negativo" in ordine al progetto presentato dal sig. M., affermando che il suo programma di investimento "non risulta agevolabile ai sensi della misura A del PSR Piemonte 2000/2006 in quanto non è verificata la limitazione di cui al punto 10 della parte seconda dell’allegato alla DGR 471159 del 23 ottobre 2000 (autosufficienza foraggiera minima)".

Ciò premesso in punto di fatto, in diritto il ricorrente sviluppa un unico motivo di gravame così rubricato: "Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del Regolamento (CE) n. 1257/1999. Eccesso di potere per errata individuazione della fattispecie. Mancanza dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per omessa motivazione, difetto d’istruttoria".

Sostiene il ricorrente che il requisito della c.d. autosufficienza foraggiera non avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso di specie, posto che esso non è richiamato da nessuna delle disposizioni indicate dal bando nella c.d. "normativa di riferimento" per il settore agricoltura (pag. 18 del bando: doc. n. 4). La disposizione contenuta nel punto n. 10 della parte seconda dell’allegato alla d.G.R. n. 471159 del 23 ottobre 2000 (richiamata dal parere dell’istituto "S. Paolo IMI") sarebbe, del resto, "relativa alla sola fase anticipata di apertura del Piano di Sviluppo Rurale 20002006 del Piemonte, volta a regolamentare pertanto una fase transitoria conclusasi all’atto dell’approvazione definitiva del PSR 2000/2006 con la decisione della Commissione Europea del 07.09.2000 n. C (2000) 2507": ciò, del resto, sarebbe confermato non solo dalla medesima delibera (doc. n. 9) allorché essa, nella premessa, specifica che le misure applicative da essa dettate "sono valide solamente per la prima fase di attuazione anticipata del Piano", ma anche dalla circostanza che il termine di presentazione delle domande di finanziamento per la fase transitoria (fissato al 30 giugno 2000, poi prorogato al 30 novembre 2000) è stato del tutto differente da quello poi previsto per la procedura a regime indetta dalla Provincia di Torino (fissato al 17 ottobre 2006).

3. Si è costituito in giudizio il Ministero dello Sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, chiedendo il rigetto del ricorso.

Nel rilevare, in via preliminare, che la delibera n. 471159 non ha formato oggetto di impugnazione da parte del ricorrente, l’Avvocatura sostiene, nel merito, l’applicabilità alla procedura de qua della menzionata delibera di Giunta, "in mancanza di disposizioni successive attuative della normativa comunitaria".

4. Con ordinanza n. 196 del 2007 questo TAR ha accolto la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato rilevando che "l’efficacia del requisito di autosufficienza foraggiera era previsto solo per la prima fase di attuazione del finanziamento, ai sensi della DGR 21 febbraio 2000, mentre la domanda del ricorrente si inseriva nella seconda fase del procedimento, contraddistinta anche da un diverso termine di presentazione delle domande".

5. Con memoria depositata il 10 agosto 2010 l’Avvocatura ha ribadito quanto già anticipato con il precedente atto di costituzione ed ha, altresì, depositato alcuni documenti tra i quali una relazione predisposta dall’Ufficio contenzioso del Ministero dello Sviluppo economico.

Nella relazione ministeriale, in particolare, si sostiene che il requisito della c.d. autosufficienza foraggiera, di cui alla d.G.R. n. 471159 del 23 ottobre 2000, sarebbe stato successivamente confermato, seppur implicitamente, dalle delibere di Giunta n. 835619 del 19 marzo 2002 e n. 4214758 del 14 febbraio 2005, così permanendo la sua applicabilità anche alla domanda di finanziamenti per la quale è causa.

5.1. In data 4 dicembre 2010 la società ricorrente ha depositato una memoria difensiva "ai sensi dell’art. 23, comma IV, legge 1034/71".

6. Alla pubblica udienza del 14 dicembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorrente, che gestisce come imprenditore un’azienda agricola, si è visto negare l’accesso ai finanziamenti messi a bando dalla Provincia di Torino nel quadro delle agevolazioni per nuove iniziative imprenditoriali, previste dal Piano di Sviluppo Rurale per il Piemonte 20002006, da realizzarsi nell’ambito del Patto Territoriale dell’Area Torino Sud. L’esclusione è dipesa dall’esito istruttorio negativo comunicato all’amministrazione dalla Banca incaricata, la quale ha rilevato la mancanza di un requisito prescritto dalla d.G.R. n. 471159 del 23 ottobre 2000, quello della c.d. autosufficienza foraggiera minima (ossia, la capacità, da parte dell’azienda agricola, di produrre autonomamente – entro la soglia convenzionale del 35% – il mangime per gli animali allevati senza dover ricorrere al mercato esterno).

La tesi del ricorrente è che quel requisito era stato previsto unicamente per la fase transitoria "anticipata" di apertura del Piano di Sviluppo Rurale del Piemonte 20002006, e non fosse invece applicabile alla successiva fase a regime del Piano medesimo, approvato in via definitiva con la d.G.R. n. 118704 del 31 luglio 2000.

1.1. Deve preliminarmente essere esclusa, dalla valutazione che qui di seguito verrà compiuta, la memoria prodotta dal ricorrente in data 4 dicembre 2010, in quanto depositata oltre il termine di trenta giorni liberi dall’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 73, comma 1, cod. proc. amm.

2. L’Avvocatura dello Stato ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione, da parte del ricorrente, della d.G.R. n. 471159 del 23 ottobre 2000, la quale ha previsto il requisito ritenuto preclusivo per la partecipazione del ricorrente alla procedura.

L’eccezione è manifestamente infondata, posto che con l’atto introduttivo il ricorrente non si duole dell’illegittimità della clausola escludente in sé, quanto piuttosto della (ritenuta) illegittima applicazione di essa alla fattispecie de qua. Nessun onere di impugnativa della citata d.G.R., pertanto, si delineava in capo al ricorrente, l’effetto lesivo da lui lamentato discendendo direttamente ed esclusivamente dal decreto ministeriale che lo ha escluso dalle agevolazioni finanziarie.

3. Nel merito giova premettere che, come correttamente ricostruito dal ricorrente, i finanziamenti messi a bando dalla Provincia di Torino nel 2006 si inquadrano nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale del Piemonte 20002006, approvato, in via definitiva, con la d.G.R. n. 118704 del 31 luglio 2000 (doc. n. 9 dell’Avvocatura). Si tratta di agevolazioni previste a favore delle aziende agricole piemontesi (in particolare, si tratta di quelle denominate "Misura A – Investimenti nelle aziende agricole"), ai fini di incrementarne la competitività e di migliorare le condizioni di vita, di lavoro e di produzione sul territorio (cfr. gli "obiettivi" del Piano, indicati a pag. 3 del medesimo).

Il Piano di Sviluppo Rurale è uno strumento programmatico del quale le Regioni si dotano, per un periodo di sette anni, in base a quanto previsto dal Regolamento del Consiglio della Comunità Europea n. 1999/1257/CE (poi attuato, sullo specifico punto, dal Regolamento del Consiglio n. 1999/1750/CE). Il Piano, ai fini di diventare operativo e poter consentire l’erogazione dei contributi previsti, deve ricevere l’approvazione, in sede comunitaria, della Commissione CE, così come previsto dall’art. 44 del Regolamento n. 1999/1257/CE.

La Regione Piemonte ha adottato il proprio Piano di Sviluppo Rurale dapprima con le deliberazioni della Giunta regionale n. 6128990 del 20 dicembre 1999 e n. 1029076 del 30 dicembre 1999. Ancor prima dell’approvazione in sede comunitaria, tuttavia, la Regione ha deliberato di avviare una fase di "attuazione anticipata" del Piano di Sviluppo Rurale (così come consentito dal Regolamento della Commissione CE n. 1999/2603/CE, recante apposite misure transitorie per il passaggio al nuovo sistema di sostegno allo sviluppo rurale), limitatamente ad alcune misure ritenute "urgenti", prevedendo un’apertura straordinaria e limitata di domande di finanziamento riguardanti, tra l’altro, anche le aziende agricole in possesso di determinati requisiti. Tale fase di apertura anticipata del Piano è stata deliberata con la d.G.R. n. 1429233 del 31 gennaio 2000 (doc. n. 5 dell’Avvocatura), come modificata dalla di poco successiva d.G.R. n. 4129414 del 21 febbraio 2000 (doc. n. 6 dell’Avvocatura). Le "istruzioni per l’applicazione" di queste misure straordinarie, afferenti la suddetta fase transitoria, sono state dettate con la d.G.R. n. 471159 del 23 ottobre 2000, ossia proprio con la delibera contenente la clausola oggetto del presente giudizio.

Quest’ultima delibera (doc. n. 10 dell’Avvocatura) espressamente ha stabilito, all’art. 1, lett. A, comma 3, della Parte prima, che "Le presenti disposizioni applicative sono valide solamente per la prima fase di attuazione anticipata del Piano attuata ai sensi della D.G.R. n. 1429233 del 31.01.2000 e della D.G.R. n. 4129414 del 21.02.2000".

Dopo aver ricevuto l’approvazione in sede comunitaria, il Piano di Sviluppo Rurale 20002006 della Regione Piemonte è stato, infine, approvato con la d.G.R. n. 118704 del 31 luglio 2000. Ad essa sono poi seguite altre delibere di Giunta (richiamate, peraltro, nella relazione ministeriale depositata in atti), con le quali sono state fornite le "indicazioni programmatiche" e le "disposizioni procedurali" per l’emanazione, da parte delle Province, dei bandi per i finanziamenti (così la d.G.R. n. 835619 del 19 marzo 2002: doc. n. 11 dell’Avvocatura) ed è stato adottato un ulteriore "Programma straordinario di sostegno" per le aziende zootecniche (così la d.G.R. n. 4214758 del 17 marzo 2005).

3.1. Le considerazioni generali appena tratteggiate consentono di ritenere fondato il ricorso.

Il requisito della c.d. autosufficienza foraggiera, previsto dall’art. 10 della Parte seconda della d.G.R. n. 471159 del 23 ottobre 2000, costituiva una specifica "istruzione applicativa" per la sola fase transitoria di apertura anticipata del Piano di Sviluppo Rurale 20002006, non estensibile – in mancanza di un’espressa disposizione che lo prevedesse – alla fase a regime di attuazione del Piano medesimo.

A tale conclusione conduce, anzitutto, proprio quanto stabilito, nelle premesse, dalla medesima d.G.R. n. 471159 la quale – come già riferito – autolimitava la propria portata applicativa alla sola "prima fase di attuazione anticipata del Piano", senza alcuna pretesa di fornire una disciplina valida anche per la fase a regime.

Né può valere, in contrario, quanto sostenuto dall’amministrazione resistente (ed argomentato nella relazione ministeriale depositata in giudizio dall’Avvocatura), secondo la quale l’ulteriore vigenza del requisito dell’autosufficienza foraggiera discenderebbe da quanto previsto dalle successive delibere di Giunta n. 835619 del 19 marzo 2002 e n. 4214758 del 17 marzo 2005.

Quanto alla prima, è pur vero che essa ha rinviato proprio alla d.G.R. n. 471159 del 23 ottobre 2000 al fine di definire "gli aspetti generali e procedurali" per la presentazione delle domande di finanziamento; ma appare evidente che la clausola dell’autosufficienza foraggiera non costituisce né un "aspetto generale" né un mero "aspetto procedurale", integrando piuttosto un vero e proprio requisito specifico per l’ammissibilità della domanda: laddove proprio la d.G.R. richiamante conteneva alcune "prescrizioni" sulla presentabilità delle domande da parte delle aziende interessate (si veda, in particolare, il punto n. 3 della delibera in questione), senza includere quello oggetto del presente giudizio.

Quanto alla seconda (concernente, come detto, misure straordinarie a favore della zootecnia), è pur vero che essa include, tra le aziende zootecniche beneficiarie delle agevolazioni straordinarie, anche quelle "che non raggiungono la percentuale minima di autosufficienza foraggiera prevista dalle Istruzioni applicative della Misura A", ma da ciò non è possibile concludere nel senso che, in tal modo, sia stato (implicitamente) confermato che quello dell’autosufficienza foraggiera fosse altrimenti un requisito generale per l’ammissione delle domande. Come già in precedenza rilevato, infatti, si tratta di un requisito che era stato espressamente stabilito solo per la fase di apertura anticipata del Piano, ad opera della più volte richiamata d.G.R. n. 471159 del 23 ottobre 2000, senza che nessun’altra disposizione l’avesse poi riproposto in modo esplicito anche per la fase a regime del Piano medesimo.

A ragionar diversamente, dovrebbe concludersi che un siffatto requisito per l’ammissibilità delle domande, avente cioè effetto escludente (e quindi penalizzante) per le aziende che non lo possedessero, sia stato introdotto in modo meramente implicito nella disciplina generale delle agevolazioni, o in quanto "trasfuso" dalla disciplina transitoria di cui alla d.G.R. n. 471159 del 23 ottobre 2000 (ma senza che sia possibile chiarire il meccanismo di siffatta "trasfusione", attesa l’esplicita clausola di autolimitazione contenuta in quest’ultima), ovvero in quanto a contrario desumibile da una delibera (quella n. 4214758 del 17 marzo 2005) concernente il (diverso) programma straordinario per il solo settore specifico delle aziende zootecniche. Il che, evidentemente, non è possibile, perché in contrasto con elementari esigenze di legalità sostanziale.

3.2. Come correttamente argomentato dal ricorrente, poi, non può nemmeno ritenersi che il requisito della c.d. autosufficienza foraggiera minima sia stato previsto da altre fonti normative idonee ad essere applicate alla procedura de qua.

In proposito, il bando adottato dalla Provincia di Torino, nel richiamare la "normativa di riferimento" per le agevolazioni nell’agricoltura, indica alcune fonti normative (il Regolamento n. 1999/1257/CE; le norme del Piano di Sviluppo Rurale 20002006 della Regione Piemonte; il d.lgs. n. 228 del 2001) delle quali nessuna fa esplicito riferimento al requisito dell’autosufficienza foraggiera: ragione, questa, già di per sé sufficiente ad escludere la sua operatività nella procedura di cui al bando.

4. In definitiva, il ricorso è da accogliere, con conseguente annullamento dell’atto impugnato nella parte in cui non ha ammesso il ricorrente alla fruizione delle agevolazioni finanziarie che erano state domandate.

In applicazione del principio della soccombenza, l’amministrazione resistente va altresì condannata al pagamento delle spese processuali, fissate equitativamente nella misura di euro 3.000,00 (tremila/00).
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,

Accoglie

il ricorso nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato nella parte in cui non ammette il ricorrente alle agevolazioni di cui al bando.

Condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese processuali, fissate in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 09-02-2011, n. 887 Carriera

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. E’ impugnata la sentenza del Tar del Lazio n. 8780 del 6 ottobre 2008, che ha accolto il ricorso n. 4195 del 2006 della dott.ssa S.M. avverso le graduatorie (approvate dal Consiglio di Amministrazione della Ministero dell’Interno nella seduta del 25 ottobre 2005) relative all’ammissione al corso di formazione per l’accesso, con decorrenza 1° gennaio 2003 e 1° gennaio 2004, alla qualifica di viceprefetto, nella parte in cui dette graduatorie non contemplano il nome della originaria ricorrente in posizione utile per l’ammissione al corso.

Assume l’Amministrazione appellante che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, il giudizio di non ammissione al corso formulato dal Consiglio di Amministrazione del Ministero dell’interno sarebbe immune dalle censure articolate in ricorso, erroneamente ritenute fondate dai primi giudici. Di qui la richiesta di reiezione del ricorso di primo grado, in riforma della impugnata sentenza ed in accoglimento dell’appello.

Si è costituita in giudizio l’appellata dott.ssa M. per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione.

Il ricorso è stato istruito a mezzo della richiesta di chiarimenti in ordine ai criteri seguiti per la gradazione dei candidati e per la formazione della graduatorie finali.

All’udienza del 14 dicembre 2010 il ricorso in appello è stato trattenuto per la decisione.

2. L’appello è fondato e merita accoglimento.

La questione centrale da dirimere attiene alla congruità, sia pur sotto il profilo attenuato della non manifesta irragionevolezza, del giudizio espresso dall’organo amministrativo di vertice della Amministrazione appellante che si è concretizzato nella attribuzione alla dott.ssa M., viceprefetto aggiunto, di un punteggio tale da collocare la stessa in posizione non utile per l’ammissione al corso di formazione per il conseguimento, con decorrenza 1° gennaio 2003 e 1° gennaio 2004, della qualifica di viceprefetto;in particolare, la dott. M. non è stata ammessa al suddetto corso in quanto collocata nelle distinte graduatorie rispettivamente al posto 318° con punti 73,70 ed al posto 325° con punti 71,10.

Nella impugnata sentenza di accoglimento il Tar, dopo aver richiamato il quadro normativo di riferimento applicabile alla procedura comparativa de qua, ha sostanzialmente evidenziato una carenza motivazionale nel giudizio espresso nei confronti della ricorrente dalla commissione per la progressione in carriera; in particolare, per ciò che attiene alle valutazioni più marcatamente discrezionali attinenti la categoria B "Prestazione", i giudici di primo grado hanno trovato irragionevole che "a fronte di valutazioni apicali contenute nei rapporti informativi per gli anni 1999 e 2000 e nella scheda di valutazione complessiva relativa al 2001 la commissione ha attribuito alla ricorrente, per il 2001, un punteggio inferiore a quello degli anni precedenti (contrariamente a quanto avvenuto per i colleghi Cananà, Dionisi, Cerniglia e Polichetti), pur non risultando alcuna diminuzione di rendimento né abbassamento del livello delle funzioni svolte".

Inoltre il Tar ha evidenziato che anche con riguardo ai cosiddetti comportamenti organizzativi, suscettibili di valutazione nell’ambito della categoria C "potenziale", non risulterebbe giustificata, rispetto ai candidati che l’hanno preceduta in graduatoria, la valutazione espressa dalla commissione all’indirizzo della ricorrente, soprattutto alla luce delle notevoli capacità attitudinali ad assumere incarichi di maggiore responsabilità desumibile dalla documentazione acquisita agli atti di causa.

L’Amministrazione appellante ha censurato la gravata decisione sul rilievo che, nell’ambito delle procedure comparative per cui è giudizio, le valutazioni espresse dalla commissione per la progressione in carriera sono state in parte condizionate dal nuovo sistema di valutazione del personale civile del Ministero dell’Interno, significativamente innovato con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 139 del 19 maggio 2000; e che, in relazione ai titoli racchiusi nella categoria B "prestazione", ha avuto una incidenza significativa, nelle procedure comparative in oggetto, il punteggio riportato da ciascun candidato in sede di valutazione annuale, secondo le nuove modalità stabilite dalla legge.

L’amministrazione appellante ha esposto, con dettagliato excursus della normativa di riferimento (ulteriormente esemplificata in sede di relazione istruttoria), che:

a) in base al citato d.lgs. n. 139 del 2000 – che ha soppiantato il sistema di valutazione contenuto nel d.P.R. 24 luglio 1982, n. 340 – il passaggio dalla qualifica di viceprefetto aggiunto a quella di viceprefetto avviene, con cadenza annuale, sulla base di una valutazione comparativa dei candidati; b) il procedimento di valutazione per le progressioni di carriera è stato poi in concreto disciplinato, secondo le previsioni dell’art. 8 d.lgs. cit., da apposito decreto ministeriale ( DM 28 giugno 2004), il quale ha individuato le categorie dei titoli di servizio ammessi a valutazione, con l’indicazione dei punteggi minimi e massimi;

c) inoltre, con delibera del Consiglio di amministrazione del Ministero dell’interno del 10 novembre 2004 sono stati determinati i criteri di valutazione da applicare negli scrutini per merito comparativo per il personale della carriera prefettizia;

d) in definitiva, i punteggi attribuiti alla ricorrente di primo grado, se inseriti in tale nuovo sistema valutativo, risultano coerenti con il dato normativo e con la documentazione attestante lo stato curriculare della interessata.

Ritiene la Sezione che le censure così sintetizzare sono meritevoli di favorevole scrutinio.

In base al quadro normativo correttamente richiamato dalla appellante Amministrazione, le categorie di titoli ammessi a valutazione nelle procedure comparative per l’accesso alla qualifica di viceprefetto sono le seguenti: a) Categoria A: Posizione: 1) funzioni esercitate; 2) incarichi che non rientrano nelle attribuzioni relative al posto di funzione ricoperto; 3) coefficiente di anzianità maturata; b) Categoria B Prestazione: 1) valutazione dell’attività in rapporto agli obiettivi programmati e ad altri parametri qualitativi; 2) punteggio complessivo attribuito dal Consiglio di amministrazione sulla base della proposta della Commissione alle schede valutative annuali dei funzionari scrutinati; 3) benemerenze; c) Categoria C Potenziale: 1) mobilità; 2) titoli culturali e/o professionali;3) corsi formativi sostenuti; 4) pubblicazioni scientifiche e lavori compiuti; 5) comportamenti organizzativi).

Giova ancora ricordare che mentre nel vigore degli artt. 18 e 19 del d.P.R. 24 luglio 1982, n. 340, il sistema valutativo dei funzionari prefettizi era affidato sostanzialmente ai cosiddetti "rapporti informativi" in cui, in mancanza di un limite quantitativo massimo per i giudizi di eccellenza, si registrava una sorta di omogeneizzazione verso l’alto dei giudizi valutativi annuali, con l’entrata in vigore del d.lgs. n.139 del 19 maggio 2000 il meccanismo è significativamente mutato.

Le novità più salienti, ai fini che interessano la presente decisione, sono contenute nell’art. 16, comma 3, del d.lgs. n.139 del 19 maggio 2000, ove si prevede che "per ciascuno dei funzionari aventi la qualifica di viceprefetto aggiunto, i responsabili delle strutture di cui al comma 2 redigono una scheda di valutazione complessiva sulla base della relazione predisposta dall’interessato e degli elementi forniti dal titolare dell’ufficio presso cui il funzionario presta servizio. La scheda di valutazione, comunicata all’interessato e corredata della relazione dallo stesso presentata ai sensi del comma 1, è inoltrata entro il 31 marzo alla commissione per la progressione in carriera, che formula al consiglio di amministrazione le proposte di attribuzione del punteggio complessivo entro il limite massimo di cento. Il consiglio di amministrazione attribuisce il punteggio complessivo, motivando le decisioni adottate in difformità dalla proposta della commissione. Un punteggio superiore ad ottanta può essere attribuito nei limiti massimi di un terzo del personale con qualifica di viceprefetto aggiunto".

Tale nuovo sistema di valutazione annuale dei funzionari ha avuto effettivamente una immediata incidenza anche ai fini delle procedure comparative per le progressioni in carriera per cui è giudizio. Infatti, sia nello scrutinio per le promozioni alla qualifica di viceprefetto con decorrenza 1 gennaio 2003 (in cui sono state considerate rilevanti ai fini valutativi le annualità 1999, 2000, 2001), sia in quella relativa alle promozioni con decorrenza 1° gennaio 2004 (annualità 2000, 2001 e 2002) si è dovuto giocoforza tener conto anche dei punteggi complessivi attribuiti in sede di valutazione annuale ai funzionari in base al d. lgs. n 139 del 2000 (essendo tale nuovo sistema andato a regime a decorrere dal 2001).

L’incidenza del nuovo quadro normativo in tema di valutazione dei funzionari nella distribuzione dei punteggi ai candidati nell’ambito delle procedure comparative in esame emerge chiaramente dalla dettagliata relazione di chiarimenti dimessa il 26 marzo 2010 dal Ministero degli interni (cui si rinvia). Tale significativa incidenza del nuovo modello valutativo dei funzionari prefettizi si dimostra ad esempio in tutta la sua evidenza a proposito della voce valutativa afferente il punteggio complessivo annuale (che costituisce autonoma voce valutativa nell’ambito della categoria B Prestazione) e che viene attribuito annualmente a ciascun funzionario dal Consiglio di amministrazione, sulla base della proposta della commissione per la progressione in carriera.

A solo titolo esemplificativo, nell’ambito della categoria valutativa BPrestazione, alla dott.ssa Ruffini è stato attribuito per l’anno 2001 il punteggio di p. 5,50 in relazione alla voce relativa al punteggio complessivo e punti 10 per l’attività svolta, proprio in ragione del fatto che per quell’anno il suo punteggio complessivo in sede di valutazione annuale era stato pari ad 80, in applicazione dei nuovi parametri normativi. I funzionari che invece in quell’anno avevano ottenuto, in sede di valutazione annuale, punteggi compresi tra 80 e 100 hanno ottenuto, in sede di valutazione di progressione di carriera, punteggi proporzionalmente superiori.

Ora, in tale contesto giuridico, l’attribuzione del punteggio ai funzionari da parte Commissione per la progressione in carriera nella specie non soltanto non risulta immotivata, ma costituisce pedissequa applicazione dei criteri previamente stabiliti, con riferimento a tutti i candidati, con delibera del Consiglio di amministrazione del Ministero dell’interno del 10 novembre 2004. Discorso analogo vale per quanto riguarda la valutazione compiuta nell’ambito di altra voce relativa sempre alla categoria " prestazione ", e cioè quella relativa all’attività svolta nonché, a fortiori, per le valutazioni compiute a valere sulle promozioni decorrenti dal 1° gennaio 2004, in cui l’effetto del nuovo meccanismo valutativo è ancor più significativo nella misura in cui coinvolge due (anziché una soltanto) delle annualità scrutinate (2001 e 2002).

Ciò posto risulta agevole comprendere, quantomeno dal punto di vista formale, come mai soggetti capaci e meritevoli (tra i quali sicuramente la odierna appellata), che fino all’anno 2000 erano stati destinatari di rapporti informativi molto positivi, a decorrere dal 2001, non hanno raggiunto, in applicazione dei nuovi criteri valutativi, i livelli di eccellenza attinti (nel limite normativo di un terzo sul totale) da altri candidati.

Quanto al piano sostanziale, il Collegio è persuaso che negli atti acquisiti al giudizio non sono emersi elementi da cui desumere che i punteggi attribuiti alla ricorrente di primo grado risultino affetti da manifesta irragionevolezza ovvero da disparità di trattamento rispetto ad altri candidati.

Nella già citata relazione istruttoria l’Amministrazione ha chiarito, con riferimento alle tre distinte categorie (A: posizione; B: prestazione; C: potenziale) in cui si è articolato il giudizio valutativo dei funzionari ed avuto riguardo alle distinte (ratione temporis) valutazioni compiute, in base a quali criteri e modalità nonché sulla scorta di quali emergenze curriculari sono stati attribuiti i punteggi parziali (e quindi il punteggio complessivo) alla ricorrente di primo grado nonché agli altri candidati concorrenti dalla stessa indicati; trova così puntuale giustificazione, per ciascun profilo valutativo, il punteggio che ha suggellato la collocazione della dottoressa M. in posizione non utile per l’ammissione al corso di formazione per il conseguimento (con le già indicate decorrenze) della promozione a viceprefetto (avuto anche riguardo alla esiguità dei posti – quattro nel 2003 e quaranta nel 2004 – a fronte del posto di graduatoria della dott. M., rispettivamente 318° nella graduatoria valida per le promozioni del 2003 e 325° per le promozioni valide per il 2004).

Anche in ordine alla voce valutativa "comportamenti organizzativi", rientrante nella categoria "C Potenziale" ed afferente l’apprezzamento discrezionale, non sindacabile se non per manifesta irragionevolezza o ingiustizia, dell’attitudine a svolgere le funzioni superiori di viceprefetto, i punteggi attribuiti alla ricorrente di primo grado (ai fini delle distinte progressioni del 1 gennaio 2003 e del 1 gennaio 2004), appaiono coerenti con il profilo curriculare della interessata (tanto più che nell’ambito di tale voce non rileva il dato quantitativo delle funzioni svolte, suscettibile di apprezzamento in altra categoria valutativa, quanto piuttosto la qualità della prestazione del funzionario, discrezionalmente apprezzata dalla Amministrazione).

E tanto anche a voler tralasciare il profilo dell’interesse della ricorrente di primo grado a coltivare tale censura, tenuto conto del differenziale di punteggio rispetto al primo candidato collocato in posizione utile per l’ammissione al corso ed all’esiguità del punteggio aggiuntivo ritraibile per tale voce valutativa.

Da ultimo, va soggiunto solo per completezza che le dettagliate indicazioni chiarificatorie fornite dalla Amministrazione, su sollecitazione di questo Consiglio di Stato, anche in ordine ad altri profili valutativi dei candidati non possono essere qualificate quale inammissibile forma di integrazione postuma della motivazione degli atti di attribuzione dei punteggi alla ricorrente di primo grado. E ciò sia perché per evidenti ragioni di speditezza il meccanismo dell’attribuzione dei punteggi per ciascuna voce o criterio valutativo soddisfa di per sé, in ambito procedimentale, il requisito motivazionale dell’atto, sia perché in ogni caso i chiarimenti della Amministrazione dell’interno hanno trovato preciso riscontro nella documentazione curriculare prodotta in giudizio (ed in particolare nelle schede valutative, peraltro ben note ai funzionari, della originaria ricorrente e dei suoi colleghi concorrenti).

3. Alla luce dei rilievi svolti le censure d’appello meritano pertanto di essere accolte, non risultando immotivate o altrimenti incongrue le valutazioni espresse dalla Amministrazione dell’interno nell’ambito delle procedure valutative per cui è giudizio, sicché – in riforma della sentenza gravata – il ricorso di primo grado va respinto..

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n.2474 del 2009, come in epigrafe proposto, accoglie l "appello e, per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza respinge il ricorso di primo grado n. 4195 del 2006.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.000,00 (mille), oltre IVA e CAP come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 28-02-2011, n. 1842 Carenza di interesse sopravvenuta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso, notificato il 4 gennaio 1995 e depositato il successivo 11 gennaio, l’interessata, quale proprietaria del terreno ove insistono le opere abusive, site in Fiumicino Via Portuense n. 2400, ha impugnato l’atto meglio specificato in epigrafe perché lesivo del proprio interesse connesso al mantenimento della situazione in fatto determinata dalla realizzazione delle predette opere edilizie.

Al riguardo, la medesima ha prospettato come motivi di impugnazione la violazione di legge e l’eccesso di potere sotto svariati aspetti sintomatici.

Si è costituito in giudizio il Comune di Fiumicino, il quale ha eccepito l’infondatezza delle doglianze prospettate.

Nella Camera di Consiglio del 26 ottobre 1995 la Sezione ha accolto con ordinanza n. 2606/95 la domanda di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato.

All’udienza del 24 gennaio 2011 la causa è stata posta in decisione.

Il Collegio ritiene che, alla luce di quanto prodotto in giudizio con nota depositata il 24 ottobre 1995, risulta evidente l’impossibilità di definire nel merito il presente giudizio, essendo stata provata la pendenza di ben sette domande di condono edilizio depositate presso i competenti uffici del Comune di Fiumicino in data 18 febbraio 1995.

Tale evenienza, discussa tra l’altro con i difensori delle parti costituite, induce il Collegio a rilevare, d’ufficio, l’improcedibilità del giudizio per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.

Anche se la predetta istanza non è stata ancora esaminata dal Comune di Roma, rimane impregiudicata la possibilità che gli abusi accertati possano avere una definizione positiva per l’interessata.

Stando così le cose, il Collegio rileva l’improcedibilità del medesimo mezzo di gravame per carenza di interesse ad agire stante l’avvenuta presentazione della domanda di concessione edilizia in sanatoria sin dal mese di febbraio 1995, in quanto la procedura sanzionatoria connessa alle opere edilizie in contestazione dovrà essere iniziata ex novo a seguito dell’eventuale esito negativo dell’esame delle domande di sanatoria attualmente pendenti (Cfr. TAR Lombardia, Sede di Milano, Sez. III, 15 ottobre 2002 n. 3953).

Per tutte le ragioni espresse il Collegio dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione il ricorso in esame.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare fra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara improcedibile.

Compensa integralmente fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.