Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 25-01-2011) 15-03-2011, n. 10462 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre per Cassazione il difensore di fiducia di M.A. avverso l’ordinanza emessa in data 17.4.2010 dalla Corte di Appello di Messina che rigettava la richiesta, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal M., avendo osservato che, nella specie, sussistevano gli estremi di condotte qualificabili come gravemente colpose, tali da condizionare del tutto il momento genetico del provvedimento restrittivo emesso per i reati di bancarotta fraudolenta e documentale dai quali era stato poi assolto.

Deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale sostenendo che, ai fini della normativa qui in applicazione, rileverebbero solo le condotte poste in essere successivamente alla formulazione dell’accusa e cioè che la ratio della norma di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, sarebbe quella di escludere l’equa riparazione solo per chi, ingiustamente accusato, sia stato talmente trascurato da omettere di portare con ogni sollecitudine all’autorità procedente ogni elemento in proprio favore. Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse manifestamente infondate. La Corte di merito ha ricostruito in modo dettagliato le circostanze di fatto che erano state poste a base del provvedimento restrittivo, richiamando singole condotte ascritte al M..

Le censure mosse non hanno affatto considerato l’orientamento consolidato di questa Corte in materia secondo il quale (v. Sez. Un. 13.12.1995, n. 43, Rv. 203636; e 26.6.2002, n. 34559, Rv. 222263) la nozione di "colpa grave" di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione, va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà personale. Inoltre, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del giudice della riparazione è ben diversa da quella del giudice del processo penale:

il primo, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un "iter" logico-motivazionale del tutto autonomo, perchè è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento "detenzione" (Sez. Un. n. 43 del 1996).

Infine, per valutare la "colpa grave" che, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, esclude il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione previsto da detta norma, il giudice deve fondare la propria decisione su fatti concreti esaminando la condotta del richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà ed indipendentemente dalla conoscenza che il prevenuto abbia avuto dell’inizio delle indagini al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se la condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Cass. pen. Sez. 4, 15.2.2007 n. 10987, Rv. 236508; Sez. 4, 9.10.2007 n. 1577, Rv. 238663, e Sez. Un. 27.5.2010, n. 32383 R.247664).

Orbene, la Corte territoriale ha fatto corretto uso degli anzidetti principi, che, come sopra anticipato, appaiono del tutto ignorati dal ricorrente.

Infatti, l’istante era stato assolto, per insufficienza degli elementi probatori, dal reato di bancarotta fraudolenta e documentale del quale il GIP, che aveva emesso l’ordinanza restrittiva, lo aveva ritenuto gravemente indiziato, in concorso con il padre e lo zio, per l’occultamento di beni personali del padre, e delle società fallire, 26 certificati di deposito e la portatore e le scritture contabili relative alla movimentazione bancaria afferente ai conti correnti delle società. La Corte ha evidenziato come il GIP, nella ricostruzione del quadro indiziario, avesse dato rilevanza proprio ai comportamenti posti in essere dal predetto (trasferimento di mobili e documenti da via (OMISSIS) ove erano situati gli uffici della Società oltre al suo studio, pagamento con un proprio assegno le spese dei trasporti, l’aver detenuto tutta una serie di beni propri delle società fallite, tra cui le scritture contabili nei computer del proprio ufficio ed in particolare i 6 floppy contenente i programmi banche della quattro società fallite anche al solo fine di studiare possibili proposte di amministrazione straordinaria) che, in quanto adottati in epoca prossima al fallimento, si sono prestati ad essere interpretati come indizi della contestata attività di occultamento di beni e documenti delle società fallite, al pari della costituzione, di poco antecedente al fallimento, della s.r.l.

SALCI, nella quale l’istante assunse la qualifica di amministratore consentendone, però la gestione di fatto al padre. A fronte di ciò, il M. non aveva fornito sufficienti chiarimenti per dimostrare la sua estraneità ai fatti addebitatigli, documentando gli acquisti degli arredi e dei beni strumentali rinvenuti nel suo studio e delle ragioni del rinvenimento dell’enorme mole di documentazione anche informatica relativa alle società fallite. A fronte di siffatte argomentazioni – che dunque afferiscono non solo alla fase successiva bensì, soprattutto, a quella antecedente alla formulazione dell’accusa-correttamente poste a fondamento della colpa grave del ricorrente ostativa del diritto di conseguire l’equa riparazione, le censure mosse si disperdono nella contestazione del valore nemmeno indiziario degli elementi raccolti, trascurando il diverso piano valutativo sul quale il Giudice della riparazione è legittimato a muoversi.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 25-03-2011, n. 1859 Opere pubbliche

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1. Gli attuali ricorrenti, Signori C.A.G., S.B., F.M., L.M., F.G., A.B., L.B., M.B., M.B., M.B., E.G., R.G., A.G., C.G., G.F., M.G., N.G. e L.G., espongono di aver impugnato innanzi al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, mediante ricorso notificato a partire dal 30 settembre 2009 e depositato nella Segreteria del Tribunale in data 14 ottobre 2009 i seguenti atti:

a) determinazione del Dirigente preposto al Servizio Espropriazioni e Gestioni Patrimoniali della Provincia Autonoma di Trento n. 276 del 15 aprile 2009 recante l’autorizzazione al Consorzio di miglioramento fondiario di Besagno (Trento) ad eseguire il piano delle espropriazioni relativo alle unità immobiliari dei ricorrenti per i "lavori di realizzazione strada interpoderale di circonvallazione a sudest dell’abitato di Besagno";

b) domanda n. 24937 dd. 14 novembre 2007, presentata dal Consorzio di miglioramento fondiario di Besagno;

c) verbali dell’Assemblea generale dei soci del Consorzio di miglioramento fondiario di Besagno n. 1/2002 e n. 2/2002;

d) verbali del Consiglio dei delegati del Consorzio di miglioramento fondiario di Besagno n. 3/2001, n. 3/2003, n. 1/2005 del 14.02.05, n. 2/2005 e n. 2/2007;

e) determinazioni del dirigente del Servizio Aziende agricole e territorio rurale della Provincia Autonoma di Trento n. 790 dd. 22 dicembre 2004 e n. 699 dd. 26 luglio 2007;

f) nota dd. 6 settembre 2007 del Sindaco del Comune di Mori (Trento);

g) note del Sindaco del Comune di Mori dd. 12 maggio 2005 e dd. 10 novembre 2005;

h) determinazioni del dirigente del Servizio Infrastrutture della Provincia Autonoma di Trento n. 682 dd. 30 novembre 2004 e n. 414 dd. 13 ottobre 2005;

i) deliberazione n. 136 dd. 10 giugno 2003 della Commissione provinciale per la tutela paesaggistico – ambientale – Servizio Urbanistica e Tutela del paesaggio;

l) determinazioni del Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Mori n. 238 dd. 6 aprile 2005 e n. 811 dd. 20 novembre 2008;

m) nota del Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Mori – Servizio Tecnico Comunale – Ufficio Edilizia Privata ed Urbanistica, n. 4889 dd. 5 marzo 2003;

n) determinazione del Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Mori n. 464 dd. 27 luglio 2009;

o) per quanto di ragione, l’art. 11 dello Statuto del Consorzio di miglioramento interfondiario di Besagno;

p) ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente.

I ricorrenti hanno formulato al riguardo le seguenti censure:

1) eccesso di potere per difetto nei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, mancanza di una valida deliberazione dell’ente promotore dell’iniziativa espropriativa, violazione degli artt. 7 e 24 dello statuto del Consorzio di miglioramento interfondiario di Besagno, violazione dei principi di buon andamento e d’imparzialità, nonché dell’art 97 Cost., illogicità e/o contraddittorietà manifesta, difetto e/o contraddittorietà della motivazione, violazione dell’art. 2 del D.P.R. 23 giugno 1962 n. 947 e dell’art. 97 del T.U. approvato con D.L.vo 18 agosto 2000 n. 267;

2) eccesso di potere per difetto nei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, violazione dei principi di buon andamento e d’imparzialità nonché dell’art 97 Cost., incompetenza e/o carenza di potere dell’ente promotore dell’esproprio, illogicità e/o irragionevolezza manifesta, difetto e/o contraddittorietà della motivazione, violazione dell’art. 2 dello statuto del Consorzio di miglioramento interfondiario di Besagno, violazione degli artt. 34 e 35 della L.P. 28 marzo 2003 n. 4 e dell’art. 71 della L.P. 5 settembre 1991 n. 22;

3) eccesso di potere per difetto nei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, violazione dei principi di buon andamento e di imparzialità nonché dell’art 97 Cost., illogicità e/o irragionevolezza manifesta, difetto e/o contraddittorietà della motivazione, violazione degli artt. 4 e 10 della L.P. 19 febbraio 1993 n. 6, dell’art. 18 della L.P. 10 settembre 1993 n. 26 e dell’art. 95 della L.P 5 settembre 1991, n. 22, illegittimità derivata, incompetenza del dirigente del Servizio espropriazioni della Provincia Autonoma di Trento, carenza di potere.

I ricorrenti hanno – altresì – chiesto il risarcimento dei danni da loro asseritamente subiti in dipendenza degli atti resi oggetto di impugnazione.

1.2. Il Consorzio di miglioramento interfondiario di Besagno, il Comune di Mori e la Provincia Autonoma di Trento si sono costituiti in giudizio, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso ma contestandone comunque anche la fondatezza con diffuse argomentazioni e concludendo comunque per la sua reiezione.

1.3. Con sentenza n. 161 dd. 25 marzo 2010 il T.R.G.A., assorbendo le eccezioni preliminari dedotte dalle parti resistenti, ha respinto il ricorso.

2.1. Con l’impugnativa in epigrafe i medesimi ricorrenti in primo grado chiedono pertanto, in riforma della sentenza resa dal T.R.G.A., l’accoglimento del ricorso presentato in primo grado e ripropongono in tal senso anche nella presente sede di giudizio tutte le censure da loro già dedotte innanzi al T.R.G.A., nonché la precedente domanda risarcitoria.

2.2. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio il Consorzio di miglioramento interfondiario di Besagno, il Comune di Mori e la Provincia Autonoma di Trento, replicando puntualmente ai motivi di impugnazione avversari e concludendo per la reiezione del ricorso.

Il Consorzio ha – altresì – preliminarmente riproposto le eccezioni preliminari di inammissibilità e di irricevibilità del ricorso già da esso dedotte in primo grado.

2.3. Con decreto presidenziale n. 4186 dd. 6 settembre 2010 è stata respinta la domanda dei ricorrenti di sospensione interinale della sentenza impugnata, a" sensi dell’allora vigente art. 21, nono comma, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 come aggiunto dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000 n. 205, "considerato che manca(va)no gli estremi del danno eccezionale richiesti dalla predetta normativa, se non altro poiché all’atto di esproprio, che costituisce l’effetto giuridico del trasferimento di proprietà, potrà essere ovviato in tempo sufficientemente utile, se del caso, da parte del Collegio nella camera di consiglio cui la trattazione deve essere affidata… e… che lo stesso ragionamento vale(va) per l’eventualità di un immediato inizio dei lavori, comunque non probabile".

Successivamente, con ordinanza n. 4564 dd. 8 ottobre 2010, resa a" sensi dell’art. 119 cod. proc. amm., la Sezione ha accolto la predetta domanda cautelare di sospensione della sentenza impugnata, "ritenuti meritevoli di considerazione i profili di fumus boni iuris rappresentati nell’appello proposto… (e) ritenuta, per contro, non configurabile l’ipotesi di estrema gravità ed urgenza di cui al comma 4 del citato art. 119" cod. proc. amm.

2.4. Alla pubblica udienza del 28 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

3. Il Collegio, innanzitutto, evidenzia che a fondamento della propria decisione non possono essere in alcun modo assunte le ulteriori produzioni documentali qui depositate dai ricorrenti e non prodotte nel processo di primo grado, ivi segnatamente compresa la perizia tecnica di parte redatta dal Geom. Azzolini: e ciò in forza del generale principio contenuto nell’art. 345 c.p.c. vigente già all’epoca della proposizione del ricorso in appello (cfr. al riguardo, ex multis, la decisione n. 7440 dd. 12 ottobre 2010 resa da questa stessa Sezione), nonché – ora – a" sensi dell’art. 104, comma 2, cod. proc. amm., secondo il quale, per l’appunto, "non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile".

341. Il Collegio deve quindi farsi carico di disaminare le eccezioni preliminari di inammissibilità e di irricevibilità del ricorso di primo grado qui formalmente riproposte dalla difesa del Consorzio di miglioramento interfondiario di Besagno.

4.2. In primo luogo la difesa del Consorzio ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto persona giuridica privata e, quindi, soggetto che non può aver posto in essere nella procedura contestata dai ricorrenti degli atti qualificabili come "amministrativi" e, quindi, sindacabili dal giudice amministrativo.

Tale eccezione del Consorzio è palesemente infondata.

Il Collegio non sottace che i consorzi di miglioramento fondiario sono, in effetti, persone giuridiche private a" sensi dell’art. 71 del T.U. delle norme sulla bonifica integrale approvato con R.D. 3 febbraio 1933 n. 215, stante il fatto che ivi, nella menzione degli articoli del medesimo T.U. disciplinanti i consorzi di bonifica e reputati dal legislatore compatibili con la natura dei medesimi consorzi di miglioramento fondiario, non risulta menzionato l’art. 59, il quale – per l’appunto – conferiva la personalità giuridica pubblica ai consorzi di bonifica.

Va anche soggiunto che, a" sensi dell’art. 863, secondo comma, c.c., susseguentemente entrato in vigore, la circostanza che i consorzi di miglioramento fondiario siano persone giuridiche private è testualmente riaffermata, con l’ulteriore precisazione che essi "possono… assumere il carattere di persone giuridiche pubbliche" soltanto qualora "per la loro vasta estensione territoriale o per la particolare importanza delle loro funzioni ai fini dell’incremento della produzione, sono riconosciuti di interesse nazionale con provvedimento dell’autorità amministrativa": il che – per l’appunto – non consta sia avvenuto per il Consorzio di miglioramento interfondiario di Besagno.

Nondimeno consta dagli atti di causa che il medesimo Consorzio interfondiario di Besagno è stato delegato a" sensi della qui impugnata determina del Dirigente n. 276 dd. 15 aprile 2009 del Dirigente del Servizio Espropriazioni e Gestioni Patrimoniali della Provincia Autonoma di Trento all’esecuzione del piano delle espropriazioni relativo ai "lavori di realizzazione della strada interpoderale di circonvallazione a sudest dell’abitato di Besagno".

Tale delega, riconducibile a quanto disposto in via generale dall’art. 8, comma 6, del T.U. approvato con 8 giugno 2001 n. 267, rende pertanto oggettivamente pubblici e amministrativi tutti gli atti adottati dal Consorzio al fine di dare ad essa esecuzione; senza sottacere, poi, che il Consorzio medesimo indubitabilmente si configura, nella specie, quale soggetto promotore dell’opera e delle conseguenti espropriazioni a" sensi del medesimo T.U. 327 del 2001 e della L.P. 19 febbraio 1993 n. 6.

4.3. Con un secondo ordine di eccezioni preliminari il Consorzio ha eccepito il difetto di interesse dei ricorrenti alla proposizione del ricorso in primo grado, avuto riguardo in tal senso alla marginalità delle proprietà dei ricorrenti medesimi rispetto alla totalità delle aree ricomprese nel piano di esproprio, laddove la maggioranza assoluta dei proprietari espropriati, soprattutto coloro che sono titolari degli appezzamenti maggiormente incisi dai provvedimenti ablatori sarebbero – per contro – favorevoli alla realizzazione dell’opera in quanto del tutto conferente all’interesse generale dei consorziati.

Anche tale argomento del Consorzio va respinto, posto che risulta ben evidente come, sul piano del pubblico interesse – che è cosa ben diversa rispetto al pur generale interesse dei proprietari consorziati – i titolari di posizioni giuridiche non possono per certo essere ammessi all’esercizio della propria tutela giustiziale e giurisdizionale, apprestata dall’ordinamento a" sensi degli artt. 24 e 113 Cost., soltanto in funzione del valore economico, ovvero delle dimensioni dei propri beni immobili incisi dagli atti amministrativi reputati illegittimi.

4.4. Con un terzo e ultimo ordine di eccezioni preliminari il Consorzio ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in dipendenza dell’asseritamente tardiva impugnazione dell’atto di approvazione del progetto dell’opera, identificato nella determina n. 682 dd. 30 novembre 2004 adottata dal Dirigente del Servizio Infrastrutture Agricole e Riordinamento Fondiario della Provincia Autonoma di Trento.

Il Collegio, per parte propria, evidenzia che tale provvedimento risulta espressis verbis menzionato nell’epigrafe del ricorso proposto in primo grado tra quelli resi oggetto di impugnativa, peraltro con la precisazione che lo stesso non è stato notificato agli espropriandi.

Invero, anche di recente, questa stessa Sezione ha ribadito il ben noto principio secondo il quale l’approvazione di un progetto di opera pubblica, comportante dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori non è un atto meramente preparatorio, da impugnare unitamente al decreto di occupazione d’urgenza, bensì un provvedimento autonomo ed immediatamente lesivo, poiché assoggetta concretamente ed immediatamente all’espropriazione i beni individuati come occorrenti alla realizzazione dell’opera pubblica: ed esso, pertanto, deve essere impugnato nel termine di decadenza decorrente dalla notifica o, in mancanza, dalla sua conoscenza (Cons. Stato, Sez. IV, 10 giugno n. 3684).

Per il caso di specie, la difesa del Consorzio non contesta la circostanza dell’omessa notifica del progetto di cui trattasi, ma si limita ad evidenziare come nel corso del 2003 alcuni dei ricorrenti – segnatamente i Signori A.G., E.G. e M.G. – abbiano presentato delle osservazioni che implicavano la conoscenza del progetto in questione (cfr. doc.ti 52, 54 e 56 prodotti dalla difesa del Consorzio medesimo nel procedimento di primo grado) e che, comunque, a seguito di comunicazione da parte dell’Amministrazione Comunale dell’avvenuto deposito in data 7 settembre 2007 presso la Casa Comunale del progetto di cui trattasi, gli attuali ricorrenti hanno comunque riproposto al riguardo le proprie osservazioni in data 25 settembre 2007 (cfr. ibidem, doc. 62).

Orbene, per quanto segnatamente attiene alle osservazioni formulate da alcuni degli attuali ricorrenti nel corso del 2003, ossia in epoca antecedente alla formale approvazione del progetto, è ben evidente che le stesse non possono fondare una conoscenza anche del progetto così come poi effettivamente approvato dall’Amministrazione Provinciale.

Per quanto attiene, viceversa, alle osservazioni asseritamente presentate dopo il deposito del progetto stesso presso la Casa Comunale, esse hanno riguardato altro progetto adottato dal medesimo Dirigente provinciale con determina n. 699 dd. 26 luglio 2007 e, peraltro, poi approvato in via definitiva soltanto per effetto della susseguente determina del Dirigente preposto al Servizio Espropriazioni e Gestioni Patrimoniali della Provincia Autonoma di Trento n. 276 del 15 aprile 2009 recante l’autorizzazione al Consorzio di miglioramento fondiario di Besagno (Trento) ad eseguire il piano delle espropriazioni relativo alle unità immobiliari dei ricorrenti per i "lavori di realizzazione strada interpoderale di circonvallazione a sudest dell’abitato di Besagno": provvedimento, quest’ultimo, che i ricorrenti hanno impugnato in termini.

Pertanto, per quanto segnatamente attiene alla predetta determina dirigenziale n. 682 dd. 30 novembre 2004, la difesa del Consorzio non ha fornito nel presente giudizio quella prova rigorosa della tardività dell’impugnazione avversaria che la giurisprudenza inderogabilmente richiede (cfr. sul punto, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 13 luglio 2010 n. 4526).

5.1. Tutto ciò premesso, il ricorso proposto in primo grado va accolto avuto riguardo, in via assorbente, al motivo di ricorso per cui la strada interpoderale in questione sarebbe in realtà una vera e propria bretella stradale percorribile indistintamente da tutti i consociati, con la conseguenza che sarebbe da escludersi ogni diretto, concreto ed esclusivo beneficio per i fondi consorziati in ragione dell’impegnativa opera così promossa.

5.2. Nella sentenza qui impugnata si legge a tale proposito che "nella specie, l’opera viaria in questione, affatto sproporzionata come risulta dagli allegati riscontri progettuali, non ha struttura di arteria pubblica, ma di mera strada interpoderale, posto che le dimensioni della stessa – limitate a 2,50 m., più la banchina stradale di 0,50 m., per complessivi m. 3,00 di larghezza – ne attestano un uso tipicamente rurale, atto a consentire ai mezzi agricoli di accedere ai fondi in modo agevole e sicuro, evitando l’angusto passaggio nell’abitato di Besagno, nel che pare concretarsi la ragione di pubblico interesse che sorregge l’intervento consorziale impugnato. Ciò posto, va gradatamente rilevato che il Consorzio, dopo aver aderito al Patto territoriale della Val di Gresta, ne è poi uscito, perché l’adesione avrebbe comportato per l’ente, come del resto si evince dalla nota del Servizio Infrastrutture della Provincia Autonoma di Trento di data 27 ottobre 2003 n. 6953, la rinuncia al finanziamento del Comune di Mori, la cui erogazione, peraltro, testimonia semplicemente il concorrente interesse municipale ad una limitazione dell’attraversamento del centro del paese ai mezzi agricoli di passaggio. D’altronde, essendo il Consorzio di Besagno una persona giuridica privata, la circostanza che esso abbia ricevuto un contributo da parte della Provincia Autonoma di Trento e dal Comune per l’esecuzione delle viste opere non ne muta affatto la natura: esse, infatti, sono a tale stregua realizzate da un soggetto privato su terreni di proprietà privata, ed è in ogni caso da escludere che, nella specie, si tratti della realizzazione di un’opera pubblica. Quanto all’inserimento nel P.R.G. della previsione della strada, va sul punto riportato il contenuto della relazione illustrativa al piano: "…4. A Besagno è stato inserito un nuovo tracciato viario di quinta categoria richiesto dal Consorzio di miglioramento fondiario al fine di servire le campagne a valle del paese e quindi evitare il continuo attraversamento dell’abitato…". Appare quindi del tutto evidente, essendo chiare le caratteristiche e la funzionalità di opera di miglioramento fondiario dell’iniziativa in questione, che la dedotta incompetenza del Consorzio a promuovere la realizzazione della ridetta strada interpoderale non ha alcun fondamento, il che incardina correttamente l’intervento nell’ambito della procedura prevista dalla L.P. 28 marzo 2003 n. 4 (Sostegno dell’economia agricola)".

5.3. Questo Collegio, a sua volta, dissente dalle suesposte argomentazioni.

Non va invero sottaciuto che nella vigente strumentazione urbanistica comunale la strada di cui trattasi risulta puntualmente contemplata quale opera di viabilità privata interpoderale, ex se assoggettata alla disciplina di cui alla predetta L.P. 4 del 2003 e – segnatamente – all’art. 34 della legge provinciale medesima come integrato dall’art. 1 della L.P. 11 marzo 2005 n. 3, laddove si dispone, per quanto qui interessa, che "al fine di sviluppare e migliorare le opere collettive infrastrutturali di miglioramento fondiario connesse allo sviluppo dell’attività agricola, ai soggetti di cui all’art. 2, comma 1, lettera g)" – ossia ai Consorzi di miglioramento fondiario di primo e secondo grado riconosciuti ai sensi della normativa vigente in materia – "può essere concesso un contributo nella misura massima del 90 per cento per la realizzazione e la sistemazione delle strade interpoderali…. Per le attrezzature necessarie alla loro manutenzione. Per tali iniziative non si applica il divieto di cumulo previsto dall’art. 5…. (il quale, a sua volta, dispone che "fermo restando quanto previsto dagli orientamenti comunitari per gli aiuti di stato al settore agricolo, le agevolazioni previste da questo titolo non sono cumulabili con altri aiuti concessi per le stesse iniziative dalla Provincia o da altri enti pubblici se non entro i limiti massimi previsti da questo titolo")…. L’approvazione dei progetti relativi alle iniziative previste da quest’articolo equivale a dichiarazione di pubblica utilità delle opere, nonché d’indifferibilità e urgenza dei lavori".

Di per sé, quindi, la realizzazione di una strada interpoderale, ricondotta ad opera privata di pubblica utilità, può pure avvenire anche con il cumulo dei finanziamenti provinciali con i finanziamenti di altri enti pubblici, senza limitazioni di sorta.

Tale contribuzione da parte di altre amministrazioni, tuttavia, non può determinare il venir meno della natura interpoderale della strada, e non può – quindi – tramutarne la connotazione da opera privata di pubblica utilità ad opera pubblica.

Nel caso di specie consta – viceversa – non solo la sussistenza di documentazione che letteralmente ed inequivocabilmente riconosce all’opera in questione una "valenza comunale", come ad esempio la nota del Sindaco del Comune di Mori Prot. 22882 dd. 12 novembre 2002 con la quale è stato autorizzato il sopralluogo dei tecnici consorziali sui terreni destinati alla realizzazione dell’opera medesima, nonché il contenuto motivazionale degli stessi provvedimenti con i quali si accorda il finanziamento del Comune nella misura del 20% del costo dell’opera stessa al dichiarato fine dello snellimento del sistema di viabilità comunale, ma risulta oltremodo significativo lo stesso accenno contenuto nella sentenza impugnata alla circostanza per cui l’accettazione del finanziamento comunale ha determinato, per necessità, l’esclusione dell’opera dal programma elaborato in sede di Patto territoriale della Val di Gresta, laddove per le infrastrutture viarie finanziate era ed è contemplato un utilizzo esclusivamente ed inderogabilmente agricolo, e non già destinato alla libera circolazione di mezzi estranei a tale utilizzo.

Il giudice di primo grado non ha tratto dalla circostanza stessa – pur da lui menzionata – le conseguenze del caso, ossia che il concorso del finanziamento comunale, rispetto all’originaria previsione di finanziamento del Patto territoriale, è andato in sostanza a mutare il fine perseguito mediante la progettazione e la realizzazione dell’opera, il cui sedime, in modo alquanto significativo, coincide del resto con il tracciato di una strada comunale di circonvallazione già a suo tempo contemplata da una variante al Piano urbanistico comprensoriale (PUC) ma non approvata: indizio, questo, eloquente per smentire l’assunto del giudice medesimo secondo il quale il finanziamento comunale identificherebbe soltanto un "concorrente interesse" dell’Amministrazione comunale medesima ad una limitazione dell’attraversamento del centro del paese ai mezzi agricoli di passaggio.

L’opera approntata dal Consorzio di miglioramento interfondiario di Besagno supplisce, quindi, di fatto alla mancata realizzazione dell’infrastruttura viaria pubblica a suo tempo programmata e non portata a compimento: ma proprio per questo risulta altrettanto evidente che la sua realizzazione non può che trovare, ancor oggi, il proprio necessario e indefettibile presupposto in una variazione dello strumento urbanistico vigente tale da ricondurre l’opera in questione nell’ambito della viabilità pubblica, con ogni conseguenza anche per quanto attiene alle sue modalità di finanziamento e di esecuzione.

Viceversa, ove il Consorzio volesse effettivamente mantenere all’opera la sua dichiarata qualità di strada interpoderale, non potrà che far rientrare il finanziamento dell’opera medesima nell’ambito del Patto territoriale della Val di Gresta, sicuramente ed esclusivamente deputato a tale scopo.

Dirimente, comunque, è lo stesso contenuto della nota del Servizio Infrastrutture della Provincia Autonoma di Trento di data 27 ottobre 2003 n. 6953, soltanto citata nella sentenza del giudice di primo grado ma da lui non considerata nel suo materiale contenuto; ivi si legge, infatti – tra l’altro – che "gli interventi proposti dal Consorzio di Miglioramento Fondiario possono rientrare tra le opere private dei Patti (territoriali) "solo allorchè la quota di costi non coperti dal contributo provinciale (pari all’80%) sia sostenuto dai consorziati mediante l’emissione di ruoli a carico delle particelle fondiarie che beneficiano delle facilitazioni all’accesso. Va rilevato… che qualora l’opera pubblica fosse imputabile al Comune di Mori, che sosterrebbe la differenza tra contributo provinciale e costo dell’opera, ritenendola di interesse pubblico, la stessa perderebbe il requisito di opera privata del Patto territoriale".

La stessa circostanza del finanziamento comunale, quindi, ha ex se sottratto l’opera in questione dalla sua qualificazione privata contemplata dalla vigente strumentazione urbanistica comunale, in tal modo violata dallo stesso Comune.

6. Non può, viceversa, essere accolta la domanda di risarcimento del danno avanzata dai ricorrenti, in quanto sfornita di qualsivoglia supporto probatorio e – comunque – neppure qui quantificata nel suo ammontare.

7. Le spese e gli onorari del giudizio seguono la soccombenza di lite, e sono liquidati nel dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.

Respinge la domanda di risarcimento del danno.

Condanna in solido il Consorzio di miglioramento interfondiario di Besagno, il Comune di Mori e la Provincia Autonoma di Trento al pagamento delle spese e degli onorari del doppio grado di giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 12.000,00.- (dodicimila), oltre ad I.V.A. e C.N.P.A.

Condanna – altresì – in solido il Consorzio di miglioramento interfondiario di Besagno, il Comune di Mori e la Provincia Autonoma di Trento alla rifusione alla parte ricorrente del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.L.vo 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche, parimenti riferito ai due gradi di giudizio

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-07-2011, n. 15164 licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Firenze, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, respingeva il capo della domanda avanzato da N.D. nei confronti della società Securpol d’impugnativa del licenziamento intimatogli per sopravvenuta inidoneità allo svolgimento delle mansioni di guardia giurata, accoglieva,invece, l’ulteriore domanda del N. concernente il danno morale che liquidava, oltre a quello patrimoniale già determinato in Euro 15.000,00 dal primo giudice, in Euro 1.500,00 e rigettava, infine, la domanda di garanzia azionata dalla società Securpol a carico della Winterthur Assicurazioni divenuta, poi, Aurora Assicurazioni.

La predetta Corte, relativamente all’impugnato licenziamento, riteneva di non condividere l’assunto del primo giudice secondo il quale detto licenziamento era da ritenersi illegittimo perchè il lavoratore, nonostante la sopravvenuta inidoneità fisica, poteva essere adibito a compiti di sala operativa. Tale adibizione, infatti, a parere della Corte del merito, doveva escludersi in quanto il servizio presso la sala operativa, per espressa disposizione del CCNL e di Regolamento della Questura, doveva essere svolto esclusivamente da guardie giurate e comunque i relativi compiti erano incompatibili con lo stato d’inidoneità del N. così come accertata dalla CTU dott. M.A..

Relativamente al danno non patrimoniale derivante dalla adibizione, nelle more del licenziamento, del N. a mansioni di guardia giurata, sul quale il giudice di primo grado aveva omesso di pronunciarsi, la Corte fiorentina, valutato il turbamento psicologico del lavoratore ed il comportamento del datore di lavoro ispirato all’intento di conservare l’occupazione al proprio dipendente, lo liquidava nella somma di Euro 1.500,00.

Infine, la citata Corte riteneva – a fronte della lettera datata 26.4.2002 inviata dal N. alla Securpol, nella quale si preannunziava, da parte dello stesso lavoratore, ogni necessaria azione per non essere stato adibito a mansioni confacenti il suo stato di salute, prescritta, dell’art. 2952 c.c., ex comma 3 l’azione di garanzia esercitata da detta Securpol nei confronti della Assicurazione in epigrafe in quanto quest’ultima era stata notiziata, per la prima volta, dell’evento solo in data 27.1.2004 con la tardiva notifica della chiamata in causa.

Avverso questa sentenza ricorre in cassazione il N. sulla base di tre censure.

Resiste con controricorso la società Securpol che propone impugnazione incidentale assistita da due motivi.

Resiste, altresì, la Winterthur Assicurazioni divenuta Aurora Assicurazioni.

Il N. si oppone, con controricorso, al ricorso incidentale.
Motivi della decisione

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale il N., deducendo vizio di motivazione, indica, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., quale fatto controverso l’asserita incompatibilità di esso ricorrente rispetto allo svolgimento delle mansioni di addetto alla Sala Operativa. Allega il N. che la motivazione, sul punto, dei giudici di appello è incoerente a fronte delle risultanze della visita medica collegiale – che depone per una idoneità alle mansioni di tipo sedentario con scarso impegno fisico della CTU, delle risultanze istruttorie, orali e documentali nonchè del Regolamento.

La censura è infondata.

E’ necessario, preliminarmente,sottolineare che spetta al giudice del merito accertare, in base agli elementi istruttori acquisiti, ed all’eventuale parere del consulente tecnico d’ufficio, la compatibilità dello status psicofisico del lavoratore con le mansioni che lo stesso deve svolgere.

Siffatta indagine per essere corretta sotto il profilo logico- giuridico deve svolgersi attraverso tre distinte fasi contrassegnate, rispettivamente, dall’accertamento dello status psico-fisico del lavoratore, dalla verifica del contenuto delle mansioni da svolgere – o svolte, e dal raffronto tra il risultato della prima indagine con la seconda.

L’accertamento di detta compatibilità costituendo un giudizio di fatto riservato al giudice del merito è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione.

Orbene applicando questa regola al caso in esame rileva, in primo luogo, il Collegio che il giudice di appello, nella specie, ha correttamente proceduto, all’accertamento dello stato psico-fisico del N., alla individuazione delle mansioni di addetto alla sala operativa ed al confronto tra il risultato della prima operazione con la seconda, pervenendo alla conclusione della inidoneità psico-fisico del ricorrente a svolgere le mansioni in parola.

A sostegno di ciascuna delle indicate fasi di accertamento il giudice di appello ha posto una congrua e logica motivazione, supportata dal riferimento ad elementi istruttori coerenti con il risultato finale cui è pervenuto.

Infatti, relativamente allo stato psicofisico, il predetto giudice ha sottolineato che il CTU ha riscontralo, tra l’altro, una sindrome soggettiva da trauma cranico di grado severo e turbe dell’attenzione.

Quanto alle mansioni di addetto alla sala operativa, la Corte del merito, premesso che per disposizione del Regolamento e del CCNL vi devono essere adibite guardie giurate, ha rilevato che dette mansioni richiedono una buona efficienza psicofisica per la integrità e la sicurezza del personale e non si risolvono in compiti di mera attesa e custodia e postulano, invece, una buona attitudine psicofisica del soggetto (per gestire situazioni di pericolo e per reagire a situazioni di rischio connesse al trasporto ed alla contazione dei valori deposizioni assunte che ricordano tra l’altro che la sala operativa si trova sopra il caveau").

Di qui, secondo la Corte del merito, la incompatibilità tra le dette mansioni e lo stato d’inidoneità accertata del N..

In siffatto argomentare non vi è illogicità o contraddizione sicchè, sotto tale aspetto, il denunciato vizio di motivazione non trova riscontro.

Vero è che il ricorrente, richiamando gli accertamenti medico legali e le deposizioni testimoniali assume che egli non è stato dichiarato inidoneo all’espletamento delle mansioni di guardia giurata, quanto piuttosto idoneo con limitazioni e che i compiti di addetto alla sala operativa non esigono una particolare attitudine psico-fisica.

Tuttavia vi è da rilevare che lo status psicofisico, preso in considerazione dalla Corte del merito, è quello emergente dalla consulenza espletata e tiene conto, appunto, della riscontrata sindrome soggettiva da trauma cranico di grado severo e turbe dell’attenzione ed in relazione a tale situazione fisica viene posto il raffronto con quella richiesta per l’espletamento dell’attività di addetto alla sala operativa.

Per quanto concerne, poi, le dichiarazioni dei testi circa i compiti che deve svolgere l’addetto alla sala operativa, il ricorrente ne prospetta una diversa lettura prediligendo alcune dichiarazioni rispetto ad altre, ma una tale prospettazione contrasta con il principio, acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale è al giudice del merito che spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge), mentre al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito (Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e 27 luglio 2008 n. 2049).

Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente principale deduce, rispettivamente, omessa motivazione e violazione del CCNL per i dipendenti da istituti di vigilanza privata. Denuncia che la Corte del merito ha omesso di motivare, ai fini della legittimità dei licenziamento, in ordine alla mancata ottemperanza del disposto di cui all’art. 106 del predetto CCNL incorrendo, in tal modo, anche nella denunciata violazione di norma contrattuale.

I motivi sono inammissibili.

Invero, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte qualora una determinata questione non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).

Nella specie la questione, di cui al motivo di censura in esame, non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata ed il ricorrente, in violazione del richiamato principio di autosufficienza del ricorso, non ha indicato in quale atto del giudizio precedente ed in quali termini ha dedotto siffatta questione. I motivi pertanto sono inammissibili.

Con il primo motivo del ricorso incidentale la società Securpol, deducendo violazione degli artt. 2952 e 1917 c.c., formula, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale, la cui praticabilità è esclusa dall’ordinamento, ove siano lamentate esclusivamente degenerazioni patologiche della sofferenza".

Il quesito per come articolato è inconferente. Invero nella formulazione dello stesso si prescinde del tutto dalla ratio decidendi posta a base, sul punto, dalla sentenza impugnata secondo la quale il danno morale soggettivo, costituito nella specie, dalla sofferenza contingente e dal turbamento dell’animo transeunte, è derivato dalla condotta tenuta dalla direzione aziendale lesiva dell’integrità psico-fisica del lavoratore adibito mansioni improprie in consapevole violazione del disposto dell’art. 2087 c.c. e viene liquidato dalla Corte de merito tenendo conto che il danno morale soggettivo si presenta come aspetto secondario e marginale al danno biologico propriamente inteso.

Nella ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata il danno in parola, pertanto, non è riconosciuto, come assunto nel quesito, in relazione a degenerazioni patologiche della sofferenza e, quindi, la censura non è in linea con l’argomentazione posta a base della statuizione che si è intesa censurare ed è, quindi, inidonea ad assolvere alla sua funzione.

Questa Corte del resto,in applicazione dei principi sanciti dalle Sezioni Unite con la sentenza 11 novembre 2008 n. 26972, richiamata dal ricorrente a fondamento della censura in esame, ha affermato che nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale ( artt. 32 e 37 Cost.), il danno non patrimoniale è configurabile ogni qualvolta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti della persona de lavoratore, concretizzando un "vulnus" ad interessi oggetto di copertura costituzionale (Cass. 12 maggio 2009 n. 1.0864).

Nè può ritenersi, avuto riguardo alla su riportata motivazione della Corte territoriale, che, nella specie, vi sia stata una duplicazione del risarcimento con l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici e non si potrebbe denunciare una eccessiva liquidazione del danno morale che è stato con criterio, condiviso da questa Corte, "personalizzato" sulla base della sofferenza del lavoratore e dei comportamento tenuto dal datore di lavoro.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale la società Securpol,denunciando violazione dell’artt. 2952 e 1917 c.c., formula i seguenti quesiti di diritto: 1."Dica la corte se il termine iniziale di decorrenza della prescrizione annuale del diritto dell’assicurato, ex art. 2952 c.c., vada individuato nella data in cui per la prima volta in forma giudiziale o stragiudiziale i danneggiato propone la sua richiesta e se detta richiesta deve essere idonea ad indurre l’assicurato a promuovere le sue iniziative"; 2.

"Dica, altresì, se, ai sensi dell’art. 1917 c.c. le spese per resistere all’azione del danneggiato siano o meno a carico dell’assicuratore". Contesta in sostanza, la società che la lettera del 26.4.2002, contenesse, attesa la sua genericità, una richiesta di risarcimento. La censura per come articolate è inammissibile.

Invero, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. La drfferenza tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnata, in modo evidente, dal. fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 15499/04, 16312/05, 10127/06 e 4178/07).

Orbene, nella specie, la violazione di legge è dedotta, appunto, in ragione della contestata interpretazione della lettera del 26.4.2002.

Nè il testo della richiamata missiva, in violazione del principio di autosufficienza, è trascritto nel ricorso, e l’esegesi fornita dalla Corte del merito di siffatta lettera non è censurata idoneamente difettando, e la allegazione della violazione dei canoni interpretativi e la deduzione vizi di motivazione (Cfr. per tutte Cass. 25 febbraio 2004 n. 3772).

In conclusione i ricorsi vanno rigettati.

In ragione della reciproca soccombenza le spese giudiziali tra la società Securpol ed i N. vanno compensate. Vanno poste a carico della predetta società, per il principio della soccombenza, quelle sostenute dalla società Winterthur Assicurazioni ora Aurora Assicurazioni, come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi li rigetta. Compensa le spese del giudizio di legittimità tra N. e la società Securpol. Condanna a società Securpol al pagamento in favore del la società Winterthur Assicurazioni ora Aurora Assicurazioni delle spese del giudizio di legittimità liquidate in 26,00 per esborsi ed E. duemila/00 per onorario oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-12-2010) 03-05-2011, n. 17172

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli ricorre avverso la sentenza di quella corte territoriale che in data 15 giugno 2009, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva ritenuto R.I. responsabile del furto pluriaggravato di due costumi da bagno, sottratti dai banchi di vendita dei magazzini "Coin" previa asportazione delle placche antitaccheggio, e, concessa l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, valutata prevalente sulle aggravanti, l’aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 200.000= di multa, come testualmente si legge nel dispositivo della sentenza.

Deduce il ricorrente l’illegalità della pena pecuniaria, che risulta irrogata in misura di gran lunga superiore al massimo edittale.

Il ricorso va rigettato perchè nel caso di specie, come deve rilevarsi dalla stessa sentenza, non si versa in ipotesi di erronea quantificazione della pena, ma di mero errore materiale in cui era incorsa la corte territoriale, che in motivazione ha quantificato la pena base in mesi nove di reclusione ed Euro 300,00= di multa, che andava ridotta di un terzo.

Il risultato finale della suddetta riduzione in motivazione non è indicato, mentre in dispositivo la pena detentiva è stata quantificata in mesi sei di reclusione, essendo stata decurtata correttamente di un terzo la pena base, mentre quella pecuniaria per evidente lapsus è stata quantificata in ben Euro 200.000=, in luogo di Euro 200,00=.

Questa Corte dovrà quindi soltanto provvedere alla correzione del suddetto errore materiale.
P.Q.M.

La Corte, rettificato in Euro 200,00= l’ammontare della multa, rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.