Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-09-2011, n. 19382 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ordine per la rimessione alle SS. UU. per il 2^ motivo.
Svolgimento del processo

T.C. ricorre avverso il decreto della corte d’appello di Napoli del 3 luglio 2009 che ha condannato il Ministero dell’economia al pagamento di Euro 9.332,00, in accoglimento parziale della domanda di equa riparazione del pregiudizio derivante dall’eccessiva durata di un giudizio iniziato davanti alla Corte dei conti il 29 novembre 1978 per il riconoscimento di una pensione privilegiata e definito con sentenza del 6 giugno 2008, avendo ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione decennale sollevata dall’amministrazione e avendo, quindi, liquidato la somma di Euro 1.000,00 per anno di ritardo per il periodo dal 6 febbraio 2009 al 6 giugno 2008.

Il Ministero resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. Il Procuratore generale, dopo avere rilevato che la fissazione di novanta ricorsi alla pubblica udienza odierna "a preferenza del rito camerale…. rende oggettivamente impossibile un adeguato intervento da parte del Pubblico Ministero, per tal via rischiando di ledere fondamentali principi ordinamentali ( art. 11 Cost., comma 2; art. 70 c.p.c., comma 2, art. 379 c.p.c., comma 3 e art. 76 ord. giud.) se pure per nobilissime finalità" ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

La richiesta del p.g. non merita accoglimento.

Quanto alla contestazione della scelta relativa alle modalità di trattazione del presente ricorso nella pubblica udienza invece che in adunanza in Camera di consiglio è sufficiente osservare che si tratta di scelta insuscettibile di sindacato in sede processuale e comunque non adeguatamente criticata mediante puntuale allegazioni di ragioni per le quali avrebbero dovuto ritenersi sussistenti i presupposti per la trattazione in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c.. Peraltro non è dato neppure comprendere per quale ragione la trattazione in pubblica udienza di un numero cospicuo di ricorsi renda "impossibile" un adeguato intervento del p.g., non essendo neppure stato dedotta l’intempestività della comunicazione della fissazione dell’udienza che solo avrebbe potuto in astratto giustificare la critica formulata.

Il ricorso, comunque, è ammissibile perchè ritualmente e tempestivamente notificato e depositato e perchè la puntuale formulazione dei motivi, che soddisfa ampiamente l’onere dell’autosufficienza, si conclude con l’indicazione di specifici quesiti di diritto.

2. Il ricorso, che si articola in tre motivi, censura l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione del diritto all’equa riparazione, la liquidazione dell’indennizzo in soli Euro 1.000,00 annui, la mancata concessione del bonus di Euro 2.000,00, l’omessa valutazìone del periodo corrispondente alla fase amministrativa pregiudiziale.

E’ fondata la censura relativa all’accoglimento dell’eccezione di prescrizione.

E’ costante orientamento di questa corte che la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Cass. n. 27719/2009, 3325, 1886, 20564 del 2010; 478/2011).

Pertanto la durata del giudizio presupposto, ai fini della valutazione della domanda di equa riparazione, deve essere determinata a decorrere dal 29 novembre 1978.

L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento degli altri e non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da compiere può decidersi nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Rispetto a un giudizio davanti al giudice amministrativo durato circa trenta anni si ritiene equo liquidare un indennizzo pari a Euro 500,00 per anno e quindi la somma complessiva di Euro 15.000,00.

In mancanza di specifica allegazione di particolari circostanze specifiche che giustifichino l’attribuzione di un ulteriore somma di Euro 2.000,00, la relativa domanda può essere rigettata. Così come non merita accoglimento la richiesta di fissazione del dies a quo di durata del giudizio all’inizio della fase pregiudiziale amministrativa perchè, come è stato più volte affermato da questa Corte il procedimento amministrativo quand’anche abbia ad oggetto la stessa pretesa fatta valere successivamente in via giurisdizionale, costituisce un mero presupposto dell’azione giudiziaria, ma non appartiene al processo, nè contribuisce alla sua definizione, essendo preordinato soltanto alla definizione della pretesa in via amministrativa.

Le spese del giudizio di merito e di quello di cassazione possono essere liquidate previa compensazione fino alla metà, attesa la parziale soccombenza.
P.Q.M.

La corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna il Ministero al pagamento di Euro 15.000,00 oltre agli interessi al tasso legale dalla data della domanda; compensa fino alla metà le spese dell’intero giudizio e condanna il Ministero al pagamento della restante metà liquidandole in Euro 570,00 (Euro 245,00 per diritti ed Euro 300,00 per onorari per il giudizio di merito e in Euro 485,00 (di cui Euro 50,00 per esborsi) per il giudizio di legittimità, oltre a spese generali ed accessori di legge, per ciascuna delle liquidazioni. Le spese vanno distratte in favore degli avvocati Carlo Grasso e Giovanna Cerreto quanto al giudizio di merito e agli avvocati Carlo Grasso e Francesco Romanelli per il giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-03-2011) 01-06-2011, n. 22161 Patente

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Svolgimento del processo

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di N.A. E. avverso la sentenza emessa in data 27.5.2010 dal Giudice monocratico del Tribunale di Marsala che riteneva il N. colpevole del reato di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 116, comma 13, C.d.S., per essere stato sorpreso il 12.1.2008 dalla Polizia stradale alla guida di un motoveicolo Ape cc 50 con patente di guida revocata a tempo indeterminato dal Prefetto di Trapani con ordinanza n. 99/2000 e condannato alla pena di Euro 2.260,00 di ammenda.

Deduce l’erronea applicazione della legge penale assumendo che per il motociclo in questione non è obbligatorio il possesso della patente di guida, essendo stato introdotto il 1.7.2004 il c.d. "patentino" (certificato di idoneità alla guida), non parificato alla patente.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Il fatto contestato non è sanzionato penalmente.

Per i ciclomotori (fino a 50 cc), come nel caso di specie, non è prescritta la patente di guida bensì (anche per i maggiorenni a decorrere dall’1.10.2005), il solo certificato di idoneità alla guida, ex art. 116 comma 1 bis C.d.S. che non rappresenta una vera e propria patente. Del resto, l’art. 116 C.d.S., comma 1 ter stabilisce che coloro che, titolari di patente di guida, hanno avuto la patente sospesa per l’infrazione di cui all’art. 142, comma 9, mantengono il diritto alla guida del ciclomotore. L’art. 116, comma 13 bis, prevede per coloro che non muniti di patente (o revocata deve intendersi) guidano ciclomotori senza aver conseguito il certificato di idoneità di cui al comma 2 bis (che richiama il comma 1 bis) sono soggetti alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 541,80 ad Euro 2.168,25. Peraltro, come reiteratamente affermato da questa Corte, non può essere applicata la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, conseguente per legge a illeciti posti in essere con violazione delle norme sulla circolazione stradale, a colui che li abbia commessi conducendo veicoli per la cui guida non sia richiesta alcuna abilitazione atteso che non sussiste, in tal caso, alcun collegamento diretto tra il mezzo con il quale il reato è stato commesso e l’abuso dell’autorizzazione amministrativa; nè, tanto meno, può essergli precluso, per un periodo corrispondente alla durata della sospensione, il diritto ad ottenerla nel caso in cui non ne sia ancora in possesso (Cass. pen. Sez. 4, 18.9.2006 n. 36580, Rv.

235372; 6.5.2010, n. 27343, Rv. 247855 ed altre precedenti conformi, tra cui: Sez. Un. 30.1.2002 n. 12136, Rv. 221039).

La sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio, poichè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Va, comunque, disposta la trasmissione degli atti al Prefetto di Trapani in ordine all’illecito amministrativo residuale.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto addebitato non è previsto dalla legge come reato.

Atti al Prefetto di Trapani per l’illecito amministrativo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 26-10-2011, n. 22261 Imposta regionale sulle attivita’ produttive

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/11, in subordine l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’Agenzia delle Entrate ricorre nei confronti della società Azeta Productions sas per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo che, in riforma della sentenza di primo grado, ha annullato l’avviso di accertamento IVA/IRAP per l’anno 1992 con cui si rideterminava il reddito di impresa ed il volume d’affari della suddetta società sulla scorta del processo verbale di constatazione 6.10.03 della Guardia di Finanza di Avezzano.

La Commissione Tributaria Regionale, premessa la dubbia ritualità dell’acquisizione dei dati e delle notizie da cui era scaturito l’accertamento, rilevava come dovesse considerarsi acclaarato che l’emissione di fatture per operazioni inesistenti accertata dalla Guardia di Finanza fosse stata posta in essere non da tale società ma da altro soggetto, che illecitamente ne aveva speso il nome.

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate si fonda su tre motivi.

– Col primo motivo, riferibile all’art. 360 c.p.c., n. 4, si denuncia la nullità del giudizio definito con la sentenza gravata per mancata integrazione del contraddittorio con il socio accomandatario della società contribuente, sig. D.S.V., litisconsorte necessario.

– Col secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 si denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53 e l’omessa motivazione per avere la sentenza gravata – immotivatamente e, comunque, in violazione delle norme richiamate – ritenuto illegittima l’acquisizione dei dati e delle notizie da cui era scaturito l’accertamento.

Col terzo motivo si lamenta che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe violato l’art. 2730 c.c. disconoscendo la riferibilità alla società contribuente della emissione di fatture per operazioni inesistenti nonostante che l’accomandatario e l’accomandante avessero riferito, con dichiarazioni di valore contessono, il primo che l’accomandante era l’effettivo amministratore della società e il secondo che egli stesso aveva formato e consegnato le fatture all’insaputa dell’accomandatario.

La contribuente non si è costituita in sede di legittimità e il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 20.9.011, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Il primo motivo è fondato e va accolto, dovendosi peraltro precisare che la dedotta nullità per violazione del litisconsorzio necessario discende dalla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soci – e non soltanto nei confronti de socio accomandatario – della società Azeta Productions sas.

La vicenda in oggetto nasce infatti dalla rettifica del reddito d’impresa e del volume d’affari della società Azeta Productions sas operata della Guardia di Finanza di Avezzano; il giudizio sul ricorso della società contro l’atto impositivo che, sulla scorta di detta verifica, liquidava la maggior imposta dovuta dalla società per IRAP e IVA si è svolto senza la partecipazione di alcuno dei soci.

Tanto premesso, si rileva che con le ordinanze nn. 12233, 25029, 25931. 25033 e 25929 del 2010, dalle quali il Collegio non ha motivo di discostarsi, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che – poichè l’IRAP è una imposta che ha sostituito l’ILOR e a quest’ultima è, sotto più profili, equiparata dalla legge (cfr.

D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 36, 37 e 44) – l’accertamento relativo all’imponibile IRAP di una società di persone incide sul reddito IRPEF di partecipazione dei relativi soci, secondo il meccanismo della "trasparenza" di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, comma 2; con la conseguenza che, alla luce dei principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 14815/08, in caso di impugnativa di un atto impositivo che concerna l’IRAP di una società di persone, sussiste litisconsorzio necessario ed originario tra la società e tutti i soci e la violazione di detto litisconsorzio determina la nullità dell’intero giudizio, con conseguente necessità di regresso dello stesso in primo grado. Nelle stesse ordinanze sopra citate si è altresì precisato che nel caso cui l’Agenzia abbia contestualmente proceduto, con unico atto, ad accertamenti IRAP e IVA a carico di società di persone – fondandoli su elementi in parte comuni, seppur non coincidenti – il profilo dell’accertamento impugnato concernente l’imponibile IVA ove non suscettibile di autonoma definizione in funzione di aspetti ad esso specifici, non si sottrae al vincolo necessario di simultaneus processus, attesa l’inscindibilità delle due situazioni, che scaturisce dalle specificità del processo tributario e della dimensione eminentemente processuale del litisconsorzio ivi previsto.

Alla stregua di detti principi, si deve dunque rilevare la nullità dell’intero giudizio, per violazione del litisconsorzio necessario, e conseguentemente la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Provinciale dell’Aquila, che si atterrà alle indicazioni della richiamata decisione delle Sezioni Unite e regolerà le spese anche del giudizio dichiarato nullo.
P.Q.M.

La Corte accoglie il primo mezzo di ricorso e, dichiarati assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata, dichiara la nullità dell’intero giudizio e rinvia la causa alla Commissione tributaria provinciale dell’Aquila, anche per la regolazione delle spese.

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T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 07-07-2011, n. 6036Lavoro subordinato

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il provvedimento emesso in data 7.3.2011 l’Ambasciata d’Italia a New Delhi ha rigettato la richiesta di visto avanzata dal ricorrente.

L’atto è stato impugnato con il ricorso in epigrafe nel quale l’interessato ha prospettato i seguenti motivi di diritto:

1). Difetto di motivazione.

In data 20.6.2011 si è costituita controparte.

Il presente giudizio può essere definito con decisione in forma semplificata stante la completezza del contraddittorio e della documentazione di causa; di ciò sono stati resi edotti i difensori delle parti.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Nel ricorso il ricorrente si limita a sostenere la violazione dell’art. 3 L. 241/90.

Il Collegio, invece, ritiene di poter condividere quanto sostenuto in replica dall’Avvocatura.

In particolare, controparte ha puntualizzato che "il nominativo dell’interessato era presente all’interno del SIS (sistema informativo Schengen); in base all’art. 4, comma 6, D. Lgs. 286/98 agli stranieri segnalati SIS come inammissibili è fatto divieto di ingresso nel territorio dello Stato".

Dunque, nel caso in esame l’Amministrazione ha dato -adeguatamente- conto della sussistenza di motivi ostativi, atti a supportare la legittima adozione del diniego; pertanto, nessuna contestazione può essere mossa alla stessa.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese del presente giudizio, il cui importo viene liquidato come da dispositivo, debbono essere poste a carico del ricorrente in quanto soccombente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso, come in epigrafe proposto.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del resistente per complessivi Euro 1000,00 (mille).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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