Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-03-2011) 19-07-2011, n. 28809 Sentenza

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Svolgimento del processo

Ricorre per cassazione, per tramite del difensore, T.N. – giudicato dalla Corte d’appello di Roma non punibile in ordine al delitto di cui agli artt. 110, 56, 575 e 577 in relazione all’art. 61 c.p., n. 1, commesso in (OMISSIS), con sentenza 18 febbraio 2008, per aver agito in stato di legittima difesa – avverso l’ordinanza in data 3 novembre 2009 con la quale la Corte d’appello di ROMA, Quarta Sezione penale aveva dichiarato inammissibile la domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione dal predetto subita in carcere dal 28 aprile 2006 fino al 18 febbraio 2008, sul presupposto che, atteso il principio di tassatività delle formule di proscioglimento, non rientravano tra quelle che davano titolo alla invocata riparazione, quelle derivanti da cause di non imputabilità o di non punibilità.

Censura il difensore l’ordinanza deducendo un unico motivo per violazione di legge, giacchè, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, il T. era stato assolto, nel merito, dall’addebito ascrittogli, rientrando la formula di assoluzione per aver agito in presenza della scriminante della legittima difesa, tra quelle statuenti che "il fatto non costituisce reato". Invoca pertanto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

Con requisitoria scritta in atti il Procuratore Generale ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e va accolto.

E’ pacifico che la formula di proscioglimento de qua: "perchè il fatto non costituisce reato perchè commesso da persona non punibile per aver agito in stato di legittima difesa" ( art. 530 c.p.p., comma 1) consente, à sensi degli artt. 314 e segg. cod. proc. pen., a colui che ritenga di aver subito ingiusta detenzione, di avanzare la relativa istanza, proprio perchè, in perfetta sintonia ed a conferma della ratio che sottende l’istituto improntato a finalità solidaristiche, l’applicazione della surrichiamata scriminante presuppone necessariamente una valutazione – nel merito – delle emergenze processuali, a differenza delle pronunzie di proscioglimento di natura processuale che, pur articolate nei medesimi termini, attengono al difetto di imputabilità o di punibilità, per altre cause.

Ne discende che, previo annullamento dell’ordinanza impugnata, gli atti vanno rimessi alla Corte d’appello di Roma che, sul presupposto di quanto testè stabilito, procederà all’esame della domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal T. al fine di pervenire ad una decisione di accoglimento o di rigetto della stessa, in applicazione della specifica disciplina normativa.

P.Q.M.

Annulla con rinvio alla Corte d’appello di Roma, l’ordinanza impugnata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-12-2011, n. 28259 Passaggio ad altra amministrazione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) chiede l’annullamento della sentenza di appello, che ha affermato il diritto della parte intimata, trasferita al Ministero, al riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente di provenienza.

La medesima questione è stata già decisa da Cass. 12 ottobre 2011, n. 20980, cui si rinvia per una motivazione più analitica. In estrema sintesi, deve rilevarsi quanto segue.

La controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola trasferito dagli enti locali al Ministero in base alla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8.

Tale norma fu oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente, l’applicazione che della stessa venne data dal D.M. Pubblica Istruzione 5 aprile 2001, che recepì l’accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000. Le controversie giudiziarie riguardarono in particolare la possibilità di incidere, su di una norma di rango legislativo, da parte di un accordo sindacale poi recepito in D.M..

La giurisprudenza si orientò in senso negativo, sebbene con percorsi argomentativi diversi (ex plurimis, Cfr. Cass., 17 febbraio 2005, n. 3224; 4 marzo 2005, n. 4722, nonchè 27 settembre 2005, n. 18829).

Intervenne il legislatore, dettando la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 (Finanziaria del 2006), che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo sindacale e del D.M.. Il legislatore elevò, quindi, a rango di legge la previsione dell’autonomia collettiva.

Si sostenne, da un lato, che tale norma non avesse efficacia retroattiva e, dall’altro, che se dotata di efficacia retroattiva, fosse incostituzionale sotto molteplici profili. Entrambe le posizioni sono stata giudicate non fondate. L’efficacia retroattiva è stata affermata da questa Corte (per tutte, S.U., 8 agosto 2011, n. 17076) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 234 del 2007).

L’incostituzionalità è stata esclusa in quattro interventi del giudice delle leggi (Corte cost. n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009). Per tali motivi, ricorsi di contenuto analogo a quello qui considerato, sono stati respinti (cfr. per tutte, Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).

Questo approdo deve ora essere integrato con quanto statuito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande sezione) con la sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C- 108/10), emessa su domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE. La Corte ha risposto a quattro questioni poste dal Tribunale di Venezia. La prima consisteva nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 costituisca un trasferimento d’impresa ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori. La soluzione è affermativa ("La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro").

Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: -se la continuità del rapporto di cui all’art. 3, n. 1 della 77/187 deve essere interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente (seconda questione);

-se tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano collegati nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico (terza questione). Il dispositivo della decisione è: "quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. E’ compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo".

Il giudice nazionale è quindi chiamato dalla Corte di giustizia ad accertare se, a causa del mancato riconoscimento integrale della anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un peggioramento retributivo.

In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nel concetto di trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame). Il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò premesso, la Corte sottolinea che gli stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono attenersi allo scopo della direttiva, consistente "nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento" (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si precisa che la direttiva "ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente").

Quindi, nella definizione delle singole controversie, è necessario stabilire se si è in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice del rinvio deve osservare i seguenti criteri.

1. Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75 e, al n. 77, si precisa "posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento". Idem nn. 82 e 83). Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77).

2. Quanto alle modalità, si deve trattare di peggioramento retributivo sostanziale (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere globale (n. 76: "condizioni globalmente meno favorevoli"; n. 82: "posizione globalmente sfavorevole"), quindi non limitato allo specifico istituto, ma considerando anche eventuali trattamenti più favorevoli su altri profili, nonchè eventuali effetti negativi sul trattamento di fine rapporto e sulla posizione previdenziale.

3. Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto all’atto del trasferimento (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: "all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza").

La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla conformità della disciplina italiana e specificamente della Legge Finanziaria del 2006, art. 1, comma 218, all’art. 6, n. 2 TUE in combinato disposto con l’art. 6 della CEDU e artt. 46, 47 e art. 52, n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di Lisbona. La Corte, dando atto della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha statuito che "vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi" di cui alle norme su indicate.

La sentenza della Corte di giustizia incide sul presente giudizio. In base all’art. 11 Cost. e all’art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (cfr., per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonchè, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili (cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonchè, sull’onere di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).

Ciò comporta che il ricorso per cassazione del Ministero che denunzia violazione del complesso normativo costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 e L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice di merito, il quale, applicando i criteri di comparazione su indicati, dovrà verificare, in concreto e nel caso specifico la sussistenza, o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento ed accogliere o respingere la domanda del lavoratore in relazione al risultato di tale verifica. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla medesima Corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 30-09-2011, n. 7636 Dirigenti

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Svolgimento del processo

Con provvedimento n.146687/2010 del 29.10.2010 (pubblicato in GURI n.88 del 5.11.2010, IV^ Serie Speciale) il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha bandito una selezioneconcorso per il reclutamento di 175 Dirigenti di seconda fascia, in attuazione ed ai sensi del DM (del Ministro dell’Economia e delle Finanze) 10.9.2010.

Con il concorso in esame l’Agenzia ha inteso applicare l’art.1, comma 530, della L. 27.12.2006 n.196, che prevede che il reclutamento di personale dell’Amministrazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, compreso quello delle Agenzie fiscali, può avvenire "con modalità speciali".

In particolare, avviando la procedura concorsuale per cui è causa – che riserva il 50% dei posti da coprire al personale interno – l’Agenzia ha inteso trovare una soluzione per "sanare" la posizione di una serie di suoi Funzionari che da svariati anni – per l’esattezza: 80 funzionari da più di nove anni; 200 da più di cinque e altri 60 da più di tre anni (che complessivamente costituiscono il 56% delle posizioni dirigenziali attive) – svolgono "egregiamente" (come specificato nella delibera n.55 del 22.12.2009 del Comitato di Gestione), "incarichi dirigenziali" pur non rivestendo la corrispondente qualifica dirigenziale.

Tale abnorme situazione si è determinata per effetto della sistematica e permanente applicazione dell’art.24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia che attribuiva temporaneamente (ma che è stato via via sempre prorogato con delibere del Comitato di Gestione, ultima delle quali la n.55 del 22.12.2009), la facoltà di coprire posti dirigenziali vacantimediante il conferimento di incarichi dirigenziali a funzionari privi della qualifica dirigenziale.

Poiché la Federazione ricorrente ritiene che la procedura selettiva in questione sia viziata da illegittimità sotto svariati profili, e che leda gli interessi degli iscritti dei quali tutela le posizioni sindacali, con il ricorso in esame ha impugnato gli atti ed i provvedimenti con i quali è stata indetta; e ne chiede l’annullamento per le conseguenti statuizioni.

Lamenta al riguardo:

violazione e falsa applicazione degli artt.97 e 113 della Costituzione, violazione e falsa applicazione dell’art.1 della L. 7.8.1990 n.241 e dei principii di pubblicità e trasparenza dell’attività amministrativa, deducendo che il DM 10.9.2010, che detta la disciplina della procedura concorsuale, non è stato allegato al bando (non ostante fosse richiamato dallo stesso) e con esso pubblicato in GURI, né altrimenti reso pubblico (primo motivo di gravame);

violazione e falsa applicazione dell’art.10, comma 1°, delle disposizioni preliminari al codice civile, violazione e falsa applicazione dell’art.17, commi 3° e 4° e 4° bis della L. 23.8.1988 n.400, deducendo che il DM 10.9.2010 non è stato pubblicato in GURI pur essendo un atto di natura (e ad efficacia) regolamentare (secondo motivo);

violazione e falsa applicazione degli artt. 97 e 100 della Costituzione, dell’art.17, commi 1° e 3° e 4° della L. 23.8.1988 n.400 e dell’art.17, comma 25°, lett. a, della L. 15.5.1997 n.127, deducendo che il DM 10.9.2010 è illegittimo in quanto è stato adottato senza la preventiva acquisizione del parere del Consiglio di Stato (terzo motivo);

violazione e falsa applicazione dell’art.95 della Costituzione, dell’art.17, commi 3° e 23° della L. 23.8.1988 n.400 e del DPR 19.7.1989 n.366, deducendo che il DM 10.9.2010 è illegittimo in quanto prima della sua emanazione non è stato trasmesso al Presidente del Consiglio dei Ministri (quarto motivo);

violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 71 del D.Lgs. 30.7.1999 n.300, 30.7.1999 n.296, dell’art.1 comma 530° della L.27.12.2006 n.296, dell’art.2, comma 2°, del DL 30.9.2005 n.203 conv. in L.20.12.2005 n.248, dell’art.17, comma 3°, della L. 23.8.1988 n.400, deducendo che il DM 10.9.2010 è illegittimo in quanto nello stabilire modalità speciali di reclutamento del personale dirigenziale dell’Agenzia delle Entrate, il Ministro dell’Economia e delle Finanze ne ha violato l’autonomia regolamentare ed organizzativa (quinto motivo);

violazione e falsa applicazione dell’art.39, comma 1, della L. 27.12.1997 n.449, dell’art. 35, comma 4°, e 4° bis, del D.Lgs 30.3.2001 n.165, dell’art.1, comma 530 e 536, della L. 27.12.2006 n.296, dell’art.66, comma 10, del DL 25.6.2008 n.112, conv. In L. 6.8.2008 n.133, dell’art.9 del DL 31.5.2010 n.78, conv. in L. 30.7.2010 n.122, deducendo che l’intera procedura è illegittima in quanto "è stata bandita in carenza del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente l’autorizzazione di cui all’art.35, co 4 e 4bis, del D.Lgs. 30.3.2001 n.165", e comunque in violazione dei principii generali che regolano l’accesso alla dirigenza nel settore del pubblico impiego (sesto motivo);

violazione e falsa applicazione degli artt.3, 51, 70,97, 100 della Costituzione, dell’art.2, comma 2°, del DL 30.9.2005 n.203 conv. In L.2.12.2005 n.248, dell’art.1, comma 530, della L. 27.12.2006 n.296 (settimo motivo), nonché dell’art.28 del D.Lgs. 30.3.2001 n.165 e del DPR 24.9.2004 n.272 (ottavo motivo), deducendo che la normativa in esame non può essere interpretata nel senso di consentire la deroga del principio secondo cui alla qualifica dirigenziale si accede mediante concorso per esami.

Ritualmente costituitasi, l’Amministrazione ha eccepito il difetto di legittimazione (per carenza del titolo a rappresentare interessi diffusi o categoriali) della ricorrente Federazione, e la conseguente inammissibilità del ricorso; e comunque la sua infondatezza del merito, chiedendone il rigetto con qualsiasi statuizione e con vittoria di spese.

Nel corso del giudizio le parti hanno insistito, con successivi atti defensionali, nelle rispettive richieste ed eccezioni.

Con ordinanza n.676 del 23.2.2011 questo TAR ha respinto la domanda cautelare, avendo ritenuto che il pregiudizio paventato non fosse attuale.

Infine, all’udienza del 25.5.2011, udite le conclusioni dei Difensori, la causa è stata posta in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

1.1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso, per difetto di legittimazione ad agire della Federazione ricorrente – eccezione sollevata in via preliminare dall’Amministrazione resistente – non merita accoglimento.

La questione è stata già affrontata e risolta con la sentenza parziale n.260 del 13.1.2011, dalle cui statuizioni il Collegio non ritiene di discostarsi (la sentenza in questione, non definitoria, risulta appellata e non sospesa, con giudizio allo stato pendente)..

La tesi difensiva dell’Amministrazione secondo cui nel giudizio introdotto dal ricorso in esame la Federazione tutelerebbe posizioni soggettive imputabili esclusivamente ad una parte dei propri iscritti (il che rende la domanda inammissibile per carenza di una "sufficiente diffusione" dell’interesse), non appare condivisibile.

Nulla impedisce di ritenere, infatti, che vi sia un interesse generale degli iscritti a veder rispettata la disciplina dell’accesso alla dirigenza, al fine di evitare sperequazioni e trattamenti differenziati occasionali (atti a generare fratture insanabili all’interno della categoria).

E poiché l’onere della prova (in ordine alla effettiva sussistenza di interessi contrapposti all’interno della Federazione, ed alla emergenza di una conflittualità tale da romperne il fronte unitario) gravava sull’Amministrazione, la quale non la ha fornita, l’adozione di una pronuncia dichiarativa del difetto d’interesse costituirebbe – ad avviso del Collegio – una ingiustificata interferenza (o ingerenza) su fatti associativi interni, e si risolverebbe in una altrettanto ingiustificata compressione del diritto di agire per la salvaguardia di interessi diffusi..

1.2. Nel merito il ricorso merita accoglimento sotto gli assorbenti profili di doglianza di cui al sesto, settimo ed ottavo motivi di gravame, con i quali (e nella parte in cui) la ricorrente lamenta la violazione dei principi di cui agli artt. 19 e 52 del D.Lgs. n. 165/2001.

Al riguardo la Sezione si è già espressa con la sentenza n. 6884 del 25.5.2011 (dep. 1.8.2011), nella quale è stato osservato:

che l’art. 24, co. 2, del regolamento di amministrazione, nel testo risultante dalla delibera del Comitato di gestione n. 55 del 22/12/2009 oggetto di impugnazione, stabilisce che "per inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia, le eventuali vacanze sopravvenute possono essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l’urgenza, con le stesse modalità di cui al comma 1 (cioè mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti) fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e comunque fino al 31 dicembre 2010";

che in asserita, ma non corretta, applicazione della predetta normativa, la delibera del Comitato di gestione n. 55 del 22.12.2009, come già analoghe delibere adottate fin dal 2006, ha perpetuato fino al 31.12.2010 la prassi del conferimento di incarichi dirigenziali, in provvisoria reggenza, a copertura di posizioni dirigenziali vacanti;

che "detti incarichi, conferiti senza l’espressa indicazione di un termine di durata, e sostanzialmente prorogati di anno in anno, risultano espletati da funzionari non dirigenti, senza che l’Agenzia delle Entrate abbia contemporaneamente provveduto a bandire le procedure concorsuali per l’accesso alla qualifica dirigenziale, e implicano indiscutibilmente l’espletamento di mansioni superiori dirigenziali da personale privo della relativa qualifica";

che "costituisce infatti circostanza di fatto pacifica, perché peraltro non smentita in giudizio neanche dalla Difesa erariale, che le mansioni oggetto degli incarichi de quibus corrispondono a quelle tipiche della qualifica dirigenziale, implicando conseguentemente l’attribuzione del relativo trattamento economico";

che però "l’espletamento di mansioni superiori da parte di dipendenti pubblici contrattualizzati, al di fuori di ipotesi tassativamente previste, è vietato dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, all’ art. 56, nel testo sostituito dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 25, e successivamente modificato prima dal D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, art. 15 e poi dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52,con conseguente nullità dell’atto di conferimento illegittimo.

Come già osservato nella richiamata pronunzia, "configurandosi il conferimento di un incarico dirigenziale in favore di un funzionario non dirigente alla stregua dell’assegnazione di mansioni superiori al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, il relativo atto di conferimento deve considerarsi radicalmente nullo ai sensi dell’art. 52 co. 5 del D.Lgs. n. 165/2001".

Ed in effetti tale norma stabilisce espressamente che "al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore".

Né potrebbe sostenersi che si sia trattato di incarichi di "temporanea reggenza".

Al riguardo nella predetta sentenza la Sezione ha già chiarito che l’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate non contempla – in realtà – ipotesi di conferimento di incarichi di temporanea reggenza, ma di veri e propri incarichi dirigenziali, com’è dimostrato dal fatto che è stata prevista la stipula di contratti individuali di lavoro a tempo determinato con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti.

Ed invero nel caso della reggenza non è configurabile la predeterminazione di precisi limiti temporali nè la stipulazione di contratti individuali di lavoro, costituendo la "reggenza" un istituto di carattere eccezionale che risponde all’esigenza occasionale e transitoria di assicurare la continuità dell’azione amministrativa, del quale può essere fatto uso esclusivamente nei casi in cui il venir meno della titolarità di un organo per cause imprevedibili imponga l’urgente individuazione di un nuovo soggetto temporaneamente preposto all’organo a salvaguardia degli interessi pubblici perseguiti.

Inoltre, come ha avuto modo di notare ripetutamente la giurisprudenza, la reggenza dell’ufficio è consentita, senza dare luogo agli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura (Cass. civ., Sez. Unite, 22 febbraio 2010, n. 4063).

Più in particolare, e per quanto in questa sede interessa, va aggiunto che lo svolgimento temporaneo di incarichi dirigenziali (nel senso propriamente implicato dalla reggenza) è stato ricondotto tra i contenuti professionali di base propri della terza area funzionale, così come definiti dall’Allegato "A" del C.C.N.L. del comparto Agenzie fiscali, sottoscritto il 28 maggio 2004, per cui l’assegnazione dei predetti incarichi non dovrebbe comportare il diritto al trattamento economico dirigenziale, mentre in applicazione della delibera oggi impugnata il conferimento di incarichi dirigenziali ad interim con contratto individuale di lavoro implica anche l’attribuzione del trattamento economico del dirigente..

Alla luce delle superiori considerazioni ritiene il Collegio che le fattispecie disciplinate dall’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate non siano riconducibili nell’ambito degli incarichi di temporanea reggenza, implicando piuttosto il conferimento di veri e propri incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, così collocandosi in rotta di collisione con i principi di cui agli arti. 19 e 52 del D.Lgs. n. 165/2001.

Nelle memorie difensive presentate in vista dell’udienza di discussione del ricorso, l’Avvocatura dello Stato evidenzia in maniera analitica le ragioni per le quali, nel tempo, l’Agenzia delle Entrate non è stata in grado di provvedere alla copertura di un numero così rilevante di posizioni dirigenziali mediante l’indizione di pubblici concorsi, essendo quindi costretta a ricorrere all’impiego di funzionari non dirigenti.

Ma – come già affermato nella richiamata sentenza – "rimane il dato indiscutibile del contrasto della scelta organizzativa del conferimento di incarichi dirigenziali, senza concorso, a funzionari privi della qualifica dirigenziale, con la puntuale disciplina di cui agli artt. 19 e 52 del d. lgs. n. 165/2001".

Sicchè – in accordo con l’orientamento già assunto – non resta che confermare quanto già osservato nel precedente più volte richiamato; e cioè che "una deroga così ampia sul piano quantitativo e temporale al principio del reclutamento del personale dirigenziale mediante il sistema concorsuale per la copertura delle posizioni dirigenziali è valsa ad introdurre e consolidare nel tempo una situazione complessiva di grave violazione di principi fondamentali di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego e delle garanzie relative all’accesso alle qualifiche, alla selezione del personale e allo svolgimento del rapporto".

2. In considerazione delle superiori osservazioni il ricorso, assorbita ogni altra cansura di ordine procedimentale, va accolto con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate in complessivi Euro 2000,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso; e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese processuali con le modalità e nella misura indicate in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-06-2011) 29-09-2011, n. 35518 Scioglimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza dell’11 maggio 2007 emessa dal Tribunale di Ascoli Piceno, Sezione distaccata di San Benedetto del Tronto, che aveva condannato N.S. alla pena di quattro mesi di reclusione per il reato di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies, avendo l’imputato omesso di versare l’assegno divorzile in favore del coniuge, così come stabilito dal giudice civile.

2. – Nell’interesse dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia che, con il primo motivo, deduce la tardività della querela e con il secondo denuncia il vizio di motivazione della sentenza, che non avrebbe indicato le prove a carico del N..

Infine, con l’ultimo motivo lamenta l’eccessività della pena inflitta.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è inammissibile.

3.1. – Quanto al primo motivo si osserva che secondo una consolidata giurisprudenza di questa Corte il reato di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies è procedibile d’ufficio, in mancanza di una specifica disposizione di legge che ne subordini la procedibilità alla presentazione della querela (Sez. 6, 3 ottobre 2007, n. 39392, P.G. inproc. Pellecchia; Titta; Sez. 6, 25 settembre 2009, n. 39938, D.; Sez. 6, 19 dicembre 2006, n. 14, D’Annibale; Sez. 6, 25 settembre 2003, n. 49115). Deve ritenersi che il rinvio operato dalla citata Legge, art. 12 sexies alle pene previste dall’art. 570 c.p., riguarda il solo aspetto sanzionatorio e non può estendersi anche alle condizioni di procedibilità; d’altra parte, la perseguibilità d’ufficio del reato in questione non è stata ritenuta suscettibile di censura dalla Corte costituzionale che, chiamata in più occasioni ad esaminare la questione di costituzionalità della citata Legge, art. 12 sexies, per contrasto con l’art. 3 Cost., ha ritenuto giustificato il diverso regime di procedibilità rispetto all’art. 570 c.p., in base alla considerazione che i due reati differiscono sotto il profilo oggettivo, in relazione alla permanenza o meno del vincolo, ed oggettivo, con riferimento alla natura del contenuto dell’assegno, profili che non rendono del tutto omogenee le due situazioni (Corte cost., 31 luglio 1989, n. 472; Corte cost., 17 luglio 1995, n. 325).

3.2. – Il secondo motivo è manifestamente infondato, in quanto la sentenza ha evidenziato come circostanza pacifica l’omesso versamento dell’assegno da parte dell’imputato, condotta denunciata dal coniuge, B.G..

3.3 – Inammissibile, infine, l’ultimo motivo, con cui il ricorrente lamenta l’eccessività della pena inflitta, avendo la Corte d’Appello giustificato l’entità della sanzione in rapporto alla gravità dei fatti.

4. – Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in Euro mille, in considerazione delle questioni trattate.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.