Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 03-05-2011) 20-05-2011, n. 20090

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ll’applicazione del beneficio della sospensione; rigetto nel resto.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

N.B. ricorre per cassazione contro la sentenza indicata in epigrafe, che ha confermato quella di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Sanremo per il reato di evasione in regime di arresti domiciliari ex art. 385 c.p. e a sostegno della richiesta di annullamento denuncia la violazione dell’art. 143 c.p.p., comma 1 in riferimento alla mancata assistenza gratuita di un interprete nel corso del dibattimento del giudizio di secondo grado, l’assenza di motivazione in riferimento alla valutazione dell’elemento soggettivo del reato, avendo l’imputato ampiamente giustificato il suo allontanamento dovuto alla necessità di acquistare medicinali, la violazione dell’art. 385 c.p., comma 4 in riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante dell’immediato rientro nella abitazione, equiparabile al rientro spontaneo in carcere, la violazione dell’art. 163 c.p. in riferimento alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale, negato nonostante la sua incensuratezza.

Il ricorso, al limite dell’ammissibilità, non ha fondamento e va rigettato.

Ed invero la mancata nomina di un interprete all’imputato, che non conosce la lingua italiana da luogo a una nullità, che è a regime intermedio, e, come tale deve essere eccepita dalla parte presente prima del compimento dell’atto, o, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo (ex multis Cass. Sez. 1 11/3-26/5/09 n. 21669 Rv.

2243794).

Nel caso in esame l’imputato presente al dibattimento nel giudizio di appello nulla ha eccepito al riguardo, nè ha chiesto di essere assistito da un interprete.

L’elemento soggettivo del reato è stato adeguatamente valutato dal giudice del gravame, che, condividendo i rilievi del giudice di primo grado sul punto, ha escluso la sussistenza dell’esimente dello stato di necessità, valorizzando la mancata dimostrazione del malore, che giustificasse l’esigenza di recarsi dal medico.

"Quanto al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 385 c.p., comma 4, soccorre la consolidata giurisprudenza di questa Corte, qui correttamente applicata, a mente della quale in tema di evasione dagli arresti domiciliari, l’attenuante della costituzione prima della condanna è applicabile solo se l’evaso si sia costituito in carcere o abbia posto in essere una condotta a questa assimilabile, consegnandosi ad una autorità che abbia obbligo di provvedere alla successiva traduzione dell’evaso, e non quando il rientro nella propria abitazione abbia luogo "clam et furtiviter" (ex multis Cass. Sez. 6 30/11/95 n. 1458; 12/4/00 Masi; 15/1/01 P.G./Marini).

Quanto infine alla mancata concessione del beneficio della sospensione della pena, la prognosi positiva sulla ricaduta nel reato, espressa dalla corte di merito è sufficientemente motivata e come tale incensurabile in questa sede.

Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-03-2011) 01-06-2011, n. 22153 Ebbrezza Patente

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nsione della patente di guida.
Svolgimento del processo

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Firenze propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli del 14 dicembre 2009 pronunciata ex art. 444 c.p.p., con la quale è stata applicata a D.E. la pena di mesi uno e giorni venti di arresto ed Euro 600 di ammenda, con conversione della pena detentiva con quella pecuniaria per un totale di Euro 2.500,00 di ammenda, per il reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2.

Con l’unico motivo si duole del fatto che il Giudice ha omesso di applicare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida derivante ope legis (art. 222 C.d.S.) dalla consumazione del reato sopra indicato.

Conclude, pertanto, chiedendo l’annullamento della sentenza in parte qua con i conseguenti provvedimenti.
Motivi della decisione

Il ricorso deve essere accolto.

Per assunto non controverso, infatti, con la sentenza di "patteggiamento" vanno applicate le sanzioni amministrative accessorie, essendo il divieto, eccezionale, dell’art. 445 c.p.p., comma 1, limitato alle pene accessorie ed alle misure di sicurezza diverse dalla confisca nei casi previsti dall’art. 240 c.p..

Ne deriva che con la sentenza ex art. 444 c.p.p., deve essere disposta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida prevista dall’art. C.d.S.; e ciò persino se la sospensione sia stata già disposta dal prefetto, posto che, una volta stabilita dal giudice la durata della sospensione, da questa dovrà detrarsi il periodo di tempo già scontato per effetto della sospensione ordinata dal prefetto. In senso contrario, non potrebbe neppure opporsi che nella richiesta di patteggiamento non sia stata fatta menzione della sanzione amministrativa, giacchè detta sanzione non può formare oggetto dell’accordo tra le parti, che deve essere limitato alla pena, e consegue di diritto alla sollecitata pronuncia.

Ne1 potrebbe opporsi che la sanzione amministrativa verrebbe applicata in difetto di accertamento del reato, in quanto nel patteggiamento, anche se non si fa luogo all’affermazione della responsabilità dell’imputato, si procede comunque all’accertamento del reato, sia pure sui generis,essendo fondato sulla descrizione del fatto reato, nei suoi elementi, soggettivo ed oggettivo, contenuta nel capo d’imputazione, e non contestata dalle parti, nel formulare la richiesta, perchè stimata rispondente al vero o, quanto meno, non contestabile (ex pluribus, v. Sez. 4, 29 novembre 2006).

La sentenza deve essere quindi annullata limitatamente alla mancata applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida con rinvio al Tribunale di Firenze per l’applicazione di detta sanzione e la determinazione della sua durata.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla mancata applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida e rinvia sul punto al Tribunale di Firenze.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 26-10-2011, n. 22245 Detrazioni Imposta valore aggiunto

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Svolgimento del processo

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna che ne ha rigettato l’appello, accogliendo parzialmente l’appello incidentale della sas Commerciale Verbena di Cambiuzzi Giacomo, nel giudizio introdotto da quest’ultima con l’impugnazione di un avviso di rettifica dell’IVA per l’anno 1994, emesso sulla base di un verbale di constatazione della Guardia di finanza del maggio 1999, dal quale era tra l’altro emersa la mancata istituzione di alcune scritture contabili obbligatorie.

Il giudice d’appello ha rilevato infatti che la società contribuente, benchè priva di alcuni registri IVA, era comunque in possesso delle fatture di acquisto e di vendita, debitamente memorizzate nel terminale aziendale: ciò aveva consentito ai verbalizzanti di confrontare le fatture con le registrazioni informatiche tenute, con la conseguenza che, non essendo emerso un fine evasivo o elusivo, poteva essere confermata sul punto la decisione di primo grado che aveva riconosciuto il diritto, negato dall’ufficio, alla detrazione dell’IVA sugli acquisti per lire 145.527.000.

Ha invece accolto, per quanto ancora rileva, l’appello incidentale della contribuente concernente la contestata mancata autofatturazione di maggiori canoni di locazione per il 1994, sui rilievo che non era stato provato o chiarito all’immobile di quale numero civico della (OMISSIS) essi fossero relativi, e che non vi era prova che la conduttrice avesse versato, ed il locatore incassato, un canone superiore, ed ha perciò dichiarato non dovuta l’IVA a tale titolo pretesa.

La sas Commerciale Verbena resiste con controricorso, articolando un motivo di ricorso incidentale – cui replica con controricorso l’amministrazione -, illustrato con successiva memoria.
Motivi della decisione

I ricorsa, siccome proposti nei confronti della medesima decisione, vanno riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia.

Con il primo motivo del ricorso principale, concernente il mancato riconoscimento della detrazione in relazione alle fatture d’acquisto, l’amministrazione, denunciando "violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 25 e 39; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54; art. 2697 c.c. e ss., art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5", deduce che la contribuente aveva omesso la tenuta di registri obbligatori IVA, quello delle fatture emesse e quello delle fatture d’acquisto, e censura la sentenza per aver affermato che l’inadempimento non avrebbe assunto i caratteri della gravità e della sostanza, alla luce del disposto del D.L. 10 giugno 1994, n. 357, convertito nella L. 8 agosto 1994, n. 489, laddove la circostanza che i dati fossero memorizzati sui computer aziendali avrebbe potuto essere sufficiente solo per l’anno in corso, e non per il periodo d’imposta 1994,, considerato le dette inadempienze erano state rilevate con la verifica del 1999. Soltanto dopo aver assolto agli oneri sui di esso incombenti il contribuente potrebbe utilmente invocare l’esistenza di un costo detraibile ai fini dell’IVA. Con il secondo motivo, denunciando Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e ss.; art. 2697 c.c. e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5", l’amministrazione ricorrente censura la sentenza per aver ritenuto non dovuta l’IVA per la pretesa mancata autofatturazione di (maggiori) canoni di locazione per non esservi prova che essi erano stati versati. E deduce che, posto che la parte che intende avvalersi di una deduzione ha l’onere di dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti, nessuna prova in proposito era stata fornita, essendosi difesa la contribuente sostenendo che i canoni si riferivano ad un diverso immobile, laddove essa risultava non aver mai cambiato sede, e sostenendo che il prezzo quantificato, condiviso dal giudice di primo grado, era quello di mercato praticato dalla medesima locatrice per altri analoghi immobili.

Con il ricorso incidentale la sas Commerciale Verbena censura la sentenza per non aver ritenuto inammissibile l’appello dell’amministrazione, come eccepito, nel quale non era specificato l’oggetto determinato della domanda.

Il motivo di ricorso incidentale, che per ragioni di priorità logica va anzitutto esaminato, è infondato.

Questa Corte ha affermato che "il principio della specificità dei motivi di impugnazione – richiesta dagli artt. 342 e 434 c.p.c., per la individuazione dell’oggetto della domanda d’appello e per stabilire l’ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata – impone all’appellante di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza di primo grado, accompagnandole con argomentazioni che confutino e contrastino le ragioni addotte dai primo giudice, così da incrinarne il fondamento logico-giuridico. Peraltro, la verifica dell’osservanza dell’onere di specificazione non è direttamente effettuabile dal giudice di legittimità, dacchè interpretare la domanda – e, dunque, anche la domanda di appello – è compito del giudice di merito e implica valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione – così come; avviene per ogni operazione ermeneutica – ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito" (Cass. n. 2217 del 2007).

E la disamina compiuta dal giudice d’appello per pervenire alla reiezione dell’eccezione sollevata in proposito dalla contribuente è articolata e convincente sul piano logico.

Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

Secondo la disciplina dell’IVA, il diritto alla detrazione dell’imposta pagata per l’acquisizione di beni o servizi inerenti all’esercizio dell’impresa, prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, postula che il contribuente sia in possesso delle relative fatture, le annoti nell’apposito registro (art. 25), e conservi le une e l’altro, gravando su esso contribuente l’onere di produrre la documentazione contabile legittimante la detrazione (Cass. n. 28333 del 2005).

L’affermazione del giudice d’appello, secondo cui, ancorchè "priva di alcuni registri IVA", in quanto in possesso delle fatture relative al 1994, risultate, nel corso della verifica del 1999, "debitamente memorizzate nel terminale aziendale", la contribuente aveva diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti, non essendo emerso "un fine evasivo o elusivo", è erronea in diritto.

Il D.L. 10 giugno 1994, n. 357, art. 7, comma 4 ter, convertito nella L. 8 agosto 1994, n. 489, nella versione, applicabile alla specie ratione temporis, anteriore alla riforma introdotta dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, prevede infatti, come questa Corte ha chiarito, che "a tutti gli effetti di legge la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi meccanografici è considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei, nei termini di legge, dei dati relativi all’esercizio corrente, quando anche in sede di controlli ed ispezioni gli stessi risultino aggiornati sugli appositi supporti magnetici e vengano stampati contestualmente alla richiesta avanzata dagli organi competenti ed in loro presenza". Ne consegue che la regola è la tenuta dei registri contabili su supporti cartacei, anche se a tutti gli effetti di legge è li considerata regolare anche la tenuta di essi con sistemi meccanografici in assenza di trascrizione su supporto cartaceo, ma solo limitatamente ai dati relativi all’esercizio corrente e purchè in sede di controlli i registri su supporti magnetici risultino aggiornati e vengano immediatamente stampati su richiesta degli organi competenti. Pertanto ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione non è irrilevante la scelta della modalità di registrazione (meccanografica o cartacea) dei dati, in quanto la scelta della registrazione meccanografica prevede sempre e comunque la trascrizione su supporto cartaceo, mentre la parificazione degli effetti dalla registrazione meccanografica non trascritta a quelli della registrazione cartacea è espressamente limitata nel tempo (ai dati relativi all’esercizio e condizionata alla stampa immediata a richiesta), non essendo pertanto neppure necessaria alcuna espressa previsione normativa per escludere il diritto alla detrazione in relazione a dati emergenti da registri la cui tenuta, sulla base di quanto sopra esposto, non può essere considerata regolare (Cass. n. 22851 del 2010).

E’ invece privo di pregio il secondo motivo del ricorso principale, atteso che alla ritenuta – dal giudice d’appello – mancanza di ogni elemento di prova in ordine al versamento, da parte della conduttrice, ed all’incasso, da parte della locatrice SICI srl, di un canone di locazione, per il 1994, superiore a quello risultante – "ipotesi non confermata da alcun elemento oggettivo" -, l’amministrazione oppone argomenti inidonei ad integrare una critica efficace all’accertamento compiuto.

In conclusione, il ricorso incidentale ed il secondo motivo del ricorso principale devono essere rigettati, mentre va accolto il primo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale ed il secondo motivo del ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna.

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T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 07-07-2011, n. 6010 Demolizione di costruzioni abusive

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

che nella specie il presente giudizio può essere definito con decisione in forma semplificata, ai sensi del menzionato art. 60, comma 1, del D.Lgs. n. 104/2010, stante la completezza del contraddittorio e della documentazione di causa;

che sono state espletate le formalità dell’art. 60 del D.Lgs. n. 104/2010;

Rilevato:

che con il presente gravame si censura l’ordinanza con cui si ingiunge alla ricorrente, in qualità di responsabile e di precedente proprietaria dell’immobile, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, la demolizione di opere realizzate in difformità dal permesso di costruire in sanatoria del 29.4.2006 e dalla D.I.A. in pari data, rappresentate da varianti prospettiche eseguite al piano terra, consistenti nella chiusura di una finestra e nella modifica delle dimensioni di un’ulteriore finestra, nonché da un piano sottotetto comportante un aumento della volumetria e della superficie, comprendente due camere da letto ed un bagno;

che i predetti permesso di costruire e D.I.A. concernono un immobile con solo piano terra e la copertura a tetto, con un correlato sottotetto che dalle planimetrie risulta avere un’altezza inferiore a quella riscontrata e comunque un’altezza minima pari a zero m e non già a 1,20 m;

che l’atto di compravendita in data 15.6.2007 richiama genericamente un sottotetto, ricompreso nell’immobile oggetto dello stesso, senza specificare ulteriormente;

Considerato:

che la stessa parte ricorrente, pur assumendo la propria estraneità al cambio di destinazione d’uso conseguito con la realizzazione delle camere da letto e del bagno, ammette di aver venduto l’immobile de quo con l’altezza qui contestata;

che deve evidenziarsi che la responsabilità in ordine a tale maggiore altezza va comunque individuata in capo alla ricorrente, che ha commissionato i lavori, anche ove fosse stata materialmente realizzata da altro soggetto, non risultando provata unicamente la riferibilità alla stessa delle ulteriori opere realizzate nel sottotetto;

che nessuna censura è stata dedotta in relazione al mutamento dei prospetti;

Ritenuto:

che conseguentemente il provvedimento sia legittimo, laddove alla ricorrente ordina il ripristino dell’altezza, nonché dei prospetti così come assentiti;

che, per quanto evidenziato, il ricorso sia infondato e debba essere rigettato;

che le spese, i diritti e gli onorari seguano la soccombenza, ponendosi a carico della parte ricorrente, e debbano liquidarsi come in dispositivo;

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – sezione I quater, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in epigrafe.

Condanna la ricorrente alle spese di giudizio, in favore del Comune resistente, forfetariamente quantificate in Euro 1.000,00 (mille/00), oltre oneri di legge.

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