Consiglio dell’Unione Europea

[175 rue de loi, b-1048, Bruxelles]
internet: http://ue.eu.int/

Organo decisionale della CE (v.) composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale. Esso provvede anche al coordinamento delle politiche economiche generali degli Stati membri nonché a svolgere funzioni esecutive.
L’attuale denominazione di Consiglio dell’Unione europea è stata adottata l’8 novembre 1993 in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, il quale ha stabilito che tale organo è competente anche in materia di politica estera e di sicurezza comune e di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Nella prassi si usa distinguere un Consiglio Affari generali tenuto a livello dei ministri degli esteri, dai Consigli settoriali che riuniscono i ministri di volta in volta competenti (agricoltura, lavoro ecc.).
Il più noto di tali Consigli, anche per il rilevante ruolo che assume nell’ambito della politica economica e monetaria, è quello che riunisce i Ministri economici e finanziari, noto come Consiglio Ecofin (v.).
Il motivo di questa distinzione è puramente pratico e consiste nel distribuire le sessioni del Consiglio trattando di volta in volta argomenti omogenei.
Al Consiglio spetta un potere decisionale vero e proprio. Questo potere però non è illimitato in quanto è subordinato alle condizioni poste dal trattato: ciò significa che il Consiglio può prendere quei provvedimenti che sono, materia per materia, previsti dai trattati istitutivi.
Il Consiglio, inoltre, ha un potere di controllo sul rispetto dei trattati e degli atti comunitari da parte degli Stati membri o, comunque, dei destinatari di questi atti. Questo potere è però indiretto poiché il Consiglio ha competenza generale a promuovere ricorsi in questo ambito dinanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità europee.
Infine, nel settore dell’unione economica e monetaria (v. UEM) il Consiglio è responsabile, su raccomandazione della Commissione, del coordinamento e della sorveglianza multilaterale delle politiche nazionali di bilancio.
La presidenza del Consiglio è esercitata a turno dagli Stati membri ogni semestre.

Consumo

Utilizzazione di ogni bene o servizio atto a soddisfare un bisogno che ne implica la distruzione.
Il consumo viene generalmente distinto in:
— finale, misurato dal livello degli acquisti. Comporta la distruzione immediata o progressiva dei beni che concorrono a soddisfare i bisogni degli agenti economici, senza contribuire all’accrescimento della produzione;
— intermedio, che rappresenta l’utilizzo integrale di un bene o di un servizio nel processo produttivo.
A differenza del consumo finale, quello intermedio è destinato unicamente alla sfera produttiva e non comporta alcuna soddisfazione diretta di un bisogno.
Nell’analisi keynesiana il consumo assume una funzione fondamentale nella determinazione del reddito di equilibrio. Secondo Keynes (v.), la somma che la collettività spende in consumi dipende in parte dall’ammontare del suo reddito, in parte da altre circostanze oggettive concomitanti, in parte dai bisogni soggettivi e dalle propensioni ed abitudini psicologiche degli individui che la compongono. Tenendo conto di tali elementi, Keynes costruì una funzione del consumo (v.), divenuta fondamentale per lo studio delle interazioni fra consumo e reddito aggregato.
Altri fattori, oggettivi e soggettivi, influenzano il consumo e sono stati messi in luce da diversi autori. Tra i primi ricordiamo:
— il real balance effect (o effetto Pigou), secondo il quale una variazione del livello dei prezzi può stimolare o frenare i consumi. Bisogna, infatti, ricordare che la ricchezza di una persona non è costituita soltanto dal reddito corrente, ma anche dalle scorte monetarie accumulate nel passato (depositi ecc.). Se i prezzi diminuiscono, il valore di queste scorte (cioè la loro capacità d’acquisto) aumenta e i soggetti economici, avendo a disposizione una maggiore ricchezza, consumano di più;
— la redistribuzione del reddito. Poiché la propensione marginale al consumo (v. Propensione al consumo) è diversa tra i vari percettori di reddito è probabile che una redistribuzione della ricchezza provocherà un aumento del consumo. Se, infatti, poniamo che le propensioni marginali al consumo dei lavoratori e degli imprenditori sono rispettivamente 0,9 e 0,5, una redistribuzione di 100 lire di reddito a favore dei primi genererà un aumento dei consumi pari a 40; il minor consumo degli imprenditori (100 x 0,5 = 50) sarà, infatti, compensato dal maggior consumo dei lavoratori (100 x 0,9 = 90);
— credito al consumo. La possibilità di dilazionare il pagamento in un arco di tempo più lungo stimola i consumi; ovviamente, ciò dipenderà dal tasso di interesse (v.) richiesto.
Tra i fattori soggettivi ricordiamo:
— effetto dimostrazione (v.). Questa teoria, enunciata dal Duesenberry (v.) e fondata su dati empirici, afferma che la domanda individuale di beni di consumo non dipende dal livello assoluto del reddito individuale, ma dalla posizione sociale che l’individuo occupa. Ogni individuo, cioè, si ispira alle consuetudini degli individui che lo circondano e tenta di imitare i soggetti che occupano una posizione di reddito immediatamente superiore alla sua;
— effetto aggancio (v.). Questa teoria suppone che la relazione fra consumo e reddito corrente è valido solo nel lungo periodo. Nel breve periodo, infatti, i soggetti non adeguano immediatamente i propri consumi al nuovo reddito, sia che esso aumenti, sia che diminuisca, ma cercano di perpetuare l’abituale standard di vita;
— il reddito permanente. Secondo questa teoria, dovuta all’analisi di M. Friedman (v.), la domanda di beni di consumo è composta di due parti, di cui una, permanente, è stabile, mentre l’altra è fluttuante e dipende dalla congiuntura (v.). Il consumo permanente è una funzione del reddito permanente e cioè del flusso di reddito goduto stabilmente nel passato e che ci si attende per l’avvenire. Ne consegue che se nel lungo periodo il rapporto consumo-reddito è molto stabile, nel breve esso varia;
— il ciclo vitale. Questa ipotesi, sviluppata da Modigliani (v.), afferma che gli individui pianificano le loro decisioni di consumo e di risparmio lungo ampi periodi. Il risparmio è dunque essenzialmente una conseguenza del desiderio degli individui di assicurarsi il consumo nella vecchiaia.

Conto del reddito

In contabilità nazionale (v.), pone in evidenza il modo attraverso il quale si forma il reddito nazionale netto disponibile valutato ai prezzi correnti di mercato.
In particolare, nel conto del reddito si passa dalla grandezza del Prodotto interno lordo (v. PIL) a quella di Prodotto nazionale lordo (v. PNL). Vengono, infatti considerati: i saldi tra redditi da lavoro dipendente prodotti all’estero da residenti nella nazione e quelli prodotti nella nazione da residenti all’estero; i saldi tra redditi da capitale-impresa provenienti dall’estero e quelli pagati all’estero; le imposte indirette versate ad Amministrazioni pubbliche. In questo modo si giunge alla determinazione del Reddito Nazionale Lordo Disponibile (v. Conto della distribuzione del prodotto lordo) che esprime i redditi di cui la nazione dispone per consumi e risparmi. Per ottenere il Reddito Nazionale Netto Disponibile bisognerà sottrarre al RNLD gli ammortamenti (v.), per tener conto della perdita di valore che i beni capitali subiscono per usura o per invecchiamento.

Contribuente

Soggetto nei cui confronti si sia verificato il presupposto d’imposta (v. Imposta) e che, quindi, è tenuto al pagamento della stessa e nel caso di inadempimento subisce l’esecuzione forzata.
In questa accezione il contribuente di diritto viene a coincidere con il soggetto passivo d’imposta.
Il contribuente di fatto, invece, è colui che, sebbene sopporti l’onere tributario, non è obbligato direttamente verso lo Stato. Egli viene definito soggetto inciso e nei suoi confronti, in caso di inadempimento, non verranno applicati i rimedi dell’ordinamento tributario, ma si dovrà ricorrere all’Autorità giudiziaria: è il caso del consumatore finale per l’IVA (v.).
Possono essere contribuenti le persone fisiche, le persone giuridiche e, in generale, tutte le organizzazioni di beni e di persone prive di personalità giuridica di diritto comune nei cui confronti si sia verificato in modo unitario ed autonomo il presupposto d’imposta.