Parere legale motivato di diritto civile amministratore condominio – ristrutturazione straordinaria, responsabilità dell’amministratore per mancata messa in mora degli inadempienti, obbligazione divisibile e parziaria.

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

La questione giuridica in esame vede interessati TIZIO e CAIO condomini, di un complesso residenziale, sito in Bari, alla via Giove, formato da 10 condomini.
Infatti nei confronti di essi e dell’amministrazione condominiale, la Società Beta s.r.l. otteneva, dal Tribunale di Bari decreto ingiuntivo di pagamento, a causa dell’omesso pagamento del saldo, per i lavori di manutenzione straordinaria dell’intero stabile, così come deciso, approvato, e riportato in giusta delibera condominiale.
TIZIO e CAIO nonostante avessero provveduto al pagamento della propria quota, così come giustamente ripartita secondo la tabella millesimale di proprietà, hanno visto recapitarsi un decreto ingiuntivo di pagamento per l’intero ammontare a saldo del capitale non versato dall’amministratore pro tempore alla società Beta s.r.l. per i lavori suddetti.
Orbene il condominio nell’edificio nasce quando questo è diviso almeno in due proprietà esclusive appartenenti a due distinti proprietari.
Il condominio è una situazione di diritto che nasce ex se, senza alcuna necessità di atti costitutivi, costituita da parti comuni ( suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri e perimetrali, le scale, i tetti e i lastrici, i portoni d’ingresso, i portici, i cortili e in genere tutte le parti necessarie all’uso comune) sulle quali ogni condomino esercita il suo diritto in misura proporzionale al valore della sua proprietà.
Il dovere dei condomini è quello di partecipare alle spese necessarie, sempre in misura proporzionale al valore della sua unità immobiliare.
Il condòmino non può sottrarsi al pagamento di tutte le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni.
Quando i condomini dell’edificio sono superiori a 4, è sempre obbligatorio nominare un amministratore. Questi resta in carica un anno.
Gli obblighi dell’amministratore sono stabiliti dalla legge (dare corso alle delibere dell’assemblea;far osservare a il regolamento di condominio;disciplinare l’uso delle parti comuni; riscuotere le quote condominiali;pagare i fornitori e le imprese;tutelare gli interessi legali del condominio; ecc).
Le attribuzioni dell’assemblea sono stabilite dalla legge. Quando l’assemblea delibera al di fuori delle sue attribuzioni o è affetta da vizi gravi la deliberazione è nulla.
Quando invece la deliberazione è affetta da vizi meno gravi è annullabile entro 30 gg.
L’assemblea delibera sulla divisione scioglimento del condominio;sulle innovazioni;sulla ricostruzione dell’edificio; sui lavori straordinari.
In prima convocazione l’assemblea dei condomini è regolarmente costituita con l’intervento dei 2/3 dei partecipanti al condominio che rappresentino anche i 2/3 del valore millesimale.
In seconda convocazione si considera solo il quorum deliberativo.
Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei condomini presenti in assemblea e che a loro volta rappresentino almeno 500/1000.
In seconda convocazione è possibile deliberare validamente con il voto che rappresenti almeno 1/3 dei partecipanti al condominio e che rappresenti almeno 1/3 del valore millesimale. Tuttavia, sia in prima che in seconda convocazione, le delibere che riguardano la nomina e revoca dell’amministratore, le liti attive o passive che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore, nonché le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell’edificio o i lavori straordinari di notevole entità, devono sempre essere prese con la maggioranza dei condomini presenti in assemblea che rappresenti almeno 500/1000.
Quando in un edificio i condomini sono più di 10, l’assemblea deve approvare un regolamento di condominio. Questo contiene le norme per l’uso delle parti comuni, i criteri per la ripartizione delle spese, i diritti e gli obblighi di ciascun condomino, le norme per la tutela del decoro architettonico e quelle relative all’amministrazione dello stabile.
I lavori di manutenzione straordinaria di un condominio sono tutti quegli interventi onerosi o che eccedono l’ordinaria amministrazione, e per l’approvazione di questi lavori serve una maggioranza qualificata sia in prima che in seconda convocazione (la metà dei millesimi e più della metà degli intervenuti all’assemblea, che devono rappresentare un terzo più uno dei condomini).
Una figura contrattuale che spesso ricorre nei lavori di manutenzione straordinaria di condominio è quella dell’appalto, quel contratto con cui una parte accetta l’incarico di eseguire un’opera verso un corrispettivo, impiegando la propria organizzazione di mezzi e assumendo la gestione a proprio rischio.
Nel contratto sono individuate due precise figure: quella del committente, cioè del condominio che nella persona del suo amministratore conferisce l’incarico e quella dell’appaltatore, dell’impresa che si impegna ad eseguire il lavoro.
L’assemblea valutati i lavori necessari, raccolti i preventivi relativi ai capitolati di lavoro, decide, scegliendo l’impresa che ritiene più opportuna.
Trattandosi di opere di rilevante entità, le relative delibere, sia per l’esecuzione dei lavori e sia per la nomina dell’impresa a cui affidare l’incarico, devono essere assunte con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea ( comunque non inferiori al terzo dei partecipanti al condominio) che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell’edificio.
Benché non richiesto dalla legge, è bene che il contratto d’appalto venga redatto in forma scritta, con particolare attenzione alle clausole relative alle responsabilità previste per entrambe le parti.
L’impresa appaltatrice dei lavori deve eseguire le opere secondo quanto previsto nel contratto e nel capitolato. L’impresa risponde dei vizi dell’opera. Tale garanzia non è dovuta se il
condominio ha accettato l’opera senza nulla eccepire.
L’amministratore in caso contrario deve , a pena di decadenza da ogni diritto, denunciare all’impresa appaltatrice le difformità e i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta.
Una volta tempestivamente fatta la denuncia dei vizi, è sempre possibile far valere la garanzia nel caso in cui sia l’impresa ad agire giudizialmente nei confronti del condominio per ottenere il pagamento di quanto ancora ad essa dovuto.
L’amministratore deve riscuotere le quote di spese condominiali dai singoli condomini approvate dall’assemblea con il consuntivo, e il preventivo spese con la loro ripartizione. L’obbligo a pagare decorre dal momento in cui è approvata la ripartizione delle spese.
Dalla stessa data (e non, per esempio, da quella di approvazione del bilancio condominiale, che può anche essere antecedente) decorre anche il periodo di prescrizione del debito, cioè i cinque anni. Perché ci sia morosità, deve esistere anche una lettera di diffida al pagamento ex. art. 1219 c.c..
Infatti qualora alcuni condomini si rifiutino di pagare a norma dell’articolo 63, primo comma, delle disposizioni di attuazione del Codice civile, egli può"ottenere decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo.
La procedura del decreto ingiuntivo è molto più rapida ed efficace di quella ordinaria.
Ma, se ad ottenere un decreto ingiuntivo, sia l’impresa che ha eseguito regolarmente i lavori di ristrutturazione di un condominio, come da capitolato e da delibera assembleare valida, che ha visto accettare l’opera senza alcuna denuncia di difformità fatta nei tempi previsti da legge, la richiesta di pagamento, ovvero il decreto ingiuntivo di pagamento, va rivolto nei confronti di chi pro-quota risulta essere inadempiente e dell’amministratore.
L’amministratore è responsabile per la mancata messa in mora del condomino inadempiente, che ha causato l’inadempimento contrattuale dello stesso, ovvero di tutto il condominio.
Infatti il contratto, stipulato dall’amministratore rappresentante, in nome e nell’interesse dei condomini rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati, ovvero dei condomini.
Conseguita nel processo la condanna dell’amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all’esecuzione individualmente nei confronti dei singoli inadempienti, nei limiti della quota di ciascuno (Cass. Civ.n. 9148/2008).
I principi di diritto che regolano le obbligazioni contrattuali con pluralita’ di soggetti passivi come nel condominio degli edifici secondo la suprema corte, è il criterio della parziarietà, e non della solidarietà che per la verità, avvantaggerebbe solo il creditore.
Infatti il creditore, può cautelarsi in vari modi, preferendo ovviamente di aggredire il patrimonio dei condomini debitori con maggiore massa, costringendoli ad anticipare somme a volte rilevantissime in seguito ad una scelta operata unilateralmente dal creditore, posticipando la ripartizione del debito tra i condomini al tempo della rivalsa del debitore adempiente, che certamente si sarà concluso dopo alcuni anni di inutile giudizio.
Le Sezioni Unite Civili della Cassazione (Sent. 9148/2008) risolvendo un contrasto giurisprudenziale, ha stabilito che i coinquilini non sono responsabili solidalmente delle spese (art.1294 cod. civ) del condominio ma solo pro quota (art. 1314 c.c.) con la conseguenza che non si può pretendere da ciascun condomino il pagamento dell’intero.
La Corte precisa quindi che "le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ., per le obbligazioni ereditarie, e ha infatti precisato che "la solidarietà passiva scaturisce dalla contestuale presenza di diversi requisiti, in difetto dei quali – e di una precisa disposizione di legge – il criterio non si applica.
Non è sufficiente la comunanza del debito tra la pluralità dei debitori e l’identica causa dell’obbligazione, cosi come il fatto che nessuna specifica disposizione contempli la solidarietà tra i condomini, ad escludere la parziarietà intrinseca della prestazione.
La solidarietà non può ricondursi alla asserita unitarietà del gruppo, in quanto il condominio non raffigura un ‘ente di gestione’, ma una organizzazione pluralistica e l’amministratore rappresenta immediatamente i singoli partecipanti, nei limiti del mandato conferito secondo le quote di ciascuno".
Occorre quindi verificare di volta in volta se vi sia una configurazione ex lege della solidarietà, oppure un’obbligazione comune, divisibile, e quindi parziaria.
Quindi laddove non vi è indivisibilità e non è contemplata legislativamente la solidarietà, viene a prevalere la “struttura parziaria del vincolo”.
Quanto alle obbligazioni del condominio se vi è pluralità dei debitori e unico contratto originario dell’obbligazione, unica prestazione del fornitore, ma non vi è un’unica prestazione dalla parte del debitore (condominio), la prestazione quindi è naturalisticamente divisibile verso tutti i condomini (trattandosi di somme di danaro).
La Corte si preoccupa di dimostrare tale affermazione esaminando l’art. 1115 c.c., il quale non impone che le obbligazioni per la cosa comune debbano essere contratte in solido, ma si limita a regolare quelle che in concreto vengano contratte in solido; a ciò si aggiunge che trattasi di norma dettata in tema di comunione e non di condominio, al fine di regolare la cosa comune soggetta a divisione.
Viene poi analizzato l’art. 1123 c.c. che nei primi due commi disciplina le spese necessarie per la conservazione della cosa comune stabilendo un diverso criterio a seconda che si tratti di parti comuni dell’edificio (1° co.) o cose destinate a servire i condomini in misura diversa.
Né l’una né l’altra ipotesi sembrano configurare una disposizione nel segno della solidarietà dell’obbligazione, perché in entrambe viene in risalto il collegamento con la res, ancorché nel secondo caso l’obbligazione sia influenzata nel quantum dalla diversa misura dell’uso, sicché la struttura parziaria resta confermata da questa caratteristica di obbligazione propter rem che connota le previsioni di cui al 1123 c.c. e le tabelle millesimali aiutano proprio a questo scopo.
Venendo al profilo relativo alla natura del condominio, le S.U. negano risolutamente che si tratti di ente di gestione.
La Corte evidenzia che l’ente di gestione è caratterizzato dall’essere persona giuridica pubblica e dall’avere autonomia patrimoniale.
È perciò molto diverso dal condominio, che non è titolare di patrimonio autonomo, nel quale le obbligazioni vengono assunte nell’interesse dei singoli condomini, ed è retto da un amministratore titolare di “un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza”.
Orbene concludendo, a parere di chi scrive, nella questione giuridica in esame, non sembra intravedersi errori, vizi, difetti, nullità o annullabilità del mandato dell’amministratore, della delibera assembleare, della prestazione contrattuale della società beta srl, delle procedure di messa in mora, del’assoggettamento ad una misura diversa dell’uso della cosa ristrutturata, ma TIZIO e CAIO in virtù della sentenza 9148/2008 delle sezioni unite della cassazione civile, possono proporre opposizione a decreto ingiuntivo eccependo, che le prestazioni condominiali in questione sono divisibili pro quota, e non solidali, dando prova di aver già adempiuto pro-quota (cosi come giustamente ripartito dalle tabelle millesimali) alle obbligazioni assunte nei confronti della società beta srl.

Parere legale motivato di diritto civile. Separazione personale con obbligo di assegno verso moglie e figli. Impossibilità di versare assegno. Denuncia d’omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza.

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

Il caso in esame propone una denuncia fatta da Caia e dai suoi figli nei confronti di Tizio, padre di Sempronio ( maggiorenne ), Mevio ( minorenne ), ed coniuge Caia.
A Tizio il Giudice Civile a seguito di separazione personale aveva obbligato di corrispondere 500 Euro mensile in favore di Caia, 300 Euro in favore di Mevio e 300 Euro in favore di Sempronio.
Tizio adempie inizialmente i suoi obblighi, ma successivamente non paga le somme dovute, a causa della diminuzione degli introiti, derivanti da attività professionale.
Tizio comunque sostiene delle spese in favore dei figli, non qualificate.
Dalla separazione personale ( art. 158 cc ), con sentenza omologata ( art. 711 cpc ) sorgono degli obblighi ( art. 155 cc ) di mantenimento nei confronti dei figli anche se maggiorenni ( art. 155 quinques ), ed obblighi di mantenimento nei confronti del coniuge, cui non sia addebitabile, la separazione, quando quest’ultimo non abbia adeguati redditi propri ( art. 156 cc ).
La sentenza ( art. 324 cpc ) del Giudice civile costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ( art. 2818 cc ).
In caso di inadempienza, il giudice può disporre il sequestro ( art. 156 cc ) dei beni del coniuge obbligato.
Qualora vi siano giustificati motivi il Giudice Civile può modificare, o revocare i provvedimenti emanati ( art. 156 cc; 709 ter cpc; 710 cpc ).
In caso di inadempimento del coniuge avente diritto, il Giudice Civile può ordinare a terzi di corrispondere periodicamente, somme di denaro direttamente al coniuge.
Il coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa, ovvero i figli di età minore, o inabili al lavoro, possono proporre querela, per violazione degli obblighi di assistenza familiare, al pubblico ministero o ad un ufficiale di polizia giudiziale ( art. 333 cpp; art. 336 cpp ).
La querela, in caso di persona minore di 14 anni può essere proposta da chi ne abbia la rappresentanza ( art. 120 cpp ), ovvero dal genitore non in conflitto di interessi.
Mentre i minori che hanno compiuto gli anni 14 possono esercitare il proprio diritto di querela.
L’art. 570 c.p. sanziona colui che viola gli obblighi di assistenza familiare.
Infatti la costituzione obbliga i genitori di mantenere, educare istruire i figli.
Il primo comma tutela la convivenza e l’unità familiare.
Il secondo comma tutela accanto all’unità familiare, anche specifici interessi economici dei singoli, quale in patrimonio del coniuge debole.
Il reato di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza, quando rivolto verso più soggetti beneficiari, rimane unico reato, se i soggetti convivono tutti in famiglia ( Cass. Pen. 42767/03; 3125/98 ).
Se la condotta lesiva colpisce più soggetti della famiglia che non convivono, si integra l’ipotesi di concorso formale di reati di cui all’art. 81 cp ( Cass. Pen. 1629/03 ).
La mancanza di somministrazione dei mezzi di sussistenza e la contemporanea sottrazione degli obblighi derivanti dalla patria potestà integrano un unico reato ( art. 570 cp ); ( Cass. Pen. 283/73 ).
Il reato cessa con adempimenti occasionale e parziali ( 12400/90 Cass. Pen. ) dell’obbligato, dette azioni interrompono, l’illecita condotta.
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare per mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza, occorre distinguere tra assegno stabilito dal giudice civile e mezzi di sussistenza.
Per i mezzi di sussistenza si intende ciò che è necessario per la sopravvivenza.
Il giudice penale deve sempre accertare se la violazione dell’obbligo di somministrazione ha concretamente fatto mancare i mezzi di sussistenza ai beneficiari ( Cass. Pen. 1172/99 ).
Inoltre non vi è interdipendenza tra in reato previsto dall’art. 570 e l’assegno disposto dal giudice civile. ( 3450/98 Cass. Pen.).
Infatti la mancata corresponsione dell’assegno, non è sufficiente a dimostrare la responsabilità penale, che dall’omissione siano venuti meno ai familiari, i mezzi di sussistenza ( Cass. Pen. 8419/97 ).
La indisponibilità di mezzi, dell’obbligato, se accertata e verificata, esclude il reato, valendo come esimente. ( Cass. Pen. 5969/97 ).
La mancata corresponsione dell’assegno divorziale nella misura stabilita dal giudice civile, non configura il reato ex art. 570, 2° co-cp, se il giudice penale accerta che da tale condotta, non siano venuti a mancare in concreto, ai beneficiari, i mezzi si sussistenza. ( Cass. Pen. 40708/06 ).
Inoltre lo stato di assenza dei mezzi si sussistenza di un figlio minore, deve essere accertata.
Infatti la presunzione che il minore sia incapace di produrre reddito, può essere superata, se il minore disponga di redditi patrimoniali. ( Cass. Pen. 26725/03 ).
Nella fattispecie in esame a parre dello scrivente Tizio, libero professionista, ha visto diminuire drasticamente i propri introiti.
Questa circostanza esimente esclude il reato rilevabile in capo a Tizio.
Così come non configura il reato previsto ex art. 570 cp, la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento previsto dal giudice civile, da versare al coniuge e ai figli.
Mentre in reato è configurabile solo quando concretamente manchino i mezzi di sussistenza ai soggetti previsti dalla norma.
Osservando il caso concreto si apprende, anche che Tizio abbia sostenuto occasionali e parziali spese in favore dei figli.
Detto comportamento fa cessare, o interrompe il reato in discussione.
Si osserva ancora che i figli non si trovano nella condizione previste dall’art. 570 ( mancanza dei mezzi di sussistenza ).
Infatti entrambi iscritti all’accademia militare, ricevono, vitto, alloggio e paga giornaliera.
Quindi hanno tutto ciò che necessita per la loro sopravvivenza.
In merito a Caia, anch’essa non veste in stato di necessità, avendo un autonomo reddito.
Detto reddito certamente permette a Caia di vivere discretamente.
Osservando l’elemento psicologico di Tizio, che a causa di fattori esterni, vede ridotto il proprio reddito, ma ha intenzionalmente voluto far mancare i mezzi di sussistenza dei discendenti e del coniuge, ne oggettivamente, detti soggetti si sono concretamente trovati nella condizione prevista ex art. 570 cp.
Quindi Tizio ben può difendersi dalle accuse di Caia e dei suoi figli, non sussistendo la configurabilità del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Parere legale motivato di diritto civile – incidente stradale con più vittime a causa di un malore del conducente, e dell’insicurezza delle strade, per colpa della mancata manutenzione della P.A. (Auto sfonda il guard-rail, e cade nella scarpata)

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

Il caso in esame propone il decesso di più persone a seguito di un incidente stradale.
Tizio mentre conduce la propria auto, attraverso un cavalcavia, a causa di un malore, sbanda, sfonda il guard-rail e cade nella scarpata, nonostante la modesta velocità del veicolo.
Il sig. Tizio trasportato in ospedale, viene sottoposto ad intervento chirurgico, per le fratture esposte riportate, muore a causa di embolia polmonare.
Nel veicolo di Tizio erano presenti anche il coniuge Caia e la nipote Mevia.
Entrambi muoiono sul colpo.
Nulla hanno potuto fare i soccorritori.
Per meglio comprendere il caso in esame, risulta opportuno riflettere su alcuni istituti giuridici, indispensabili per la soluzione del caso.
1) Danno cagionato da cosa in custodia.
La disponibilità di fatto e giuridica sulla cosa è il criterio d’imputazione della responsabilità per i danni cagionati a terzi da cosa in custodia, previsto all’art. 2051 c.c. ( cass. Civ. sez. V. 12019/91 ).
Per l’affermazione di responsabilità del custode, è indispensabile che sia accertata la sussistenza di un nesso di causalità tra la cosa e il danno patito dal terzo.
Il fatto inerente la cosa deve essere antecedente all’evento.
Il custode deve attuare sulla cosa di cui dispone, tutte le precauzioni idonee ad evitare la responsabilità.
L’evento eccezionale e imprevedibile, idonea a provocare l’evento, interrompe il nesso di causalità, producendo effetti liberatori per il custode. ( cass. Civ. 27168/06 ).
La natura oggettiva della custodia, cioè il rapporto di custodia, fonda la responsabilità prevista ex art. 2051.
La presunzione di responsabilità ex art. 2051 non si applica agli enti pubblici, quando non risulta possibile esercitare la custodia a causa dell’estensione del bene.
Nella valutazione dei beni demaniali, alcuni, sono soggetti ad un uso ordinario, diretto, continuo, di ridotte dimensioni, che rendono, facile, possibile, efficace e costante il controllo e la vigilanza da parte dalla P.A.
Detto controllo potrebbe impedire l’insorgenza di cause di pericolo ( cass. Civ. 20827/06 ).
Quindi le strade pubbliche, gli elementi accessori, e le pertinenze inerti, di un “ponte”, cioè la “barriera stradale di sicurezza” di un ponte, avente lo scopo di garantire il contenimento del veicolo tendente alla fuoriuscita, dalla carreggiata stradale, di un veicolo, di proprietà della P.A., è certamente di dimensioni tali, da permetterne un’adeguata vigilanza del custode è valutabile come condotta omissiva, certamente valutata come fonte di responsabilità.
Infatti il custode è chiamato a rispondere della lesione, per non averla impedita, essendo tenuto a compiere attività di protezione ( Cass. Civ. 116/79 ), violando l’obbligo di “neminen laedere”.
La P.A. è chiamata ad una costante manutenzione dei suoi immobili, anche senza specifico obbligo di legge, semplicemente, applicando il principio di non ledere terzi ( Corte cost. 156/99 ).
La P.A. è responsabile per i danni conseguenti a difetto di manutenzione delle strade e delle pertinenza, particolarmente quando l’utente, a causa di particolari circostante ( quale è un ponte- cavalcavia ), fanno ragionevole affidamento sulla loro apparente regolarità ( Cass. Civ. 340/96 ).
2) Caso fortuito è forza maggiore.
In tema di illecito aquilano, il nesso di causalità tra un antecedente e l’evento lesivo, non deve essere interrotto dalla sopravvenienza di un fatto idoneo determinare l’evento ( caso fortuito ).
Quando si concreta un avvenimento “ cui resist non potest ( forza maggiore ), rispetto al quale la forza umana, non è adeguata ad impedire le conseguenze dannose, non vi è responsabilità per condotta colposa del danneggiato ( Cass. Civ. 428/62 ).
Il giudizio di idoneità delle cose ( in custodia ) deve prevedere il fattore esterno ed estraneo.
Quindi la cosa deve essere adeguata alla natura ed alla pericolosità, che intrinsecamente possiede.
Quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile, di essere prevista e superata con adozioni di normali cautele, tanto più deve considerarsi nel dinamismo causale del danno, l’evento fortuito o la causa di forza maggiore, che rende imprevedibile l’evento. ( Cass. Civ. 4279/08 ).
Libera il danneggiato la prova che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con adeguata diligenza, o con sforzo diligente, circostanziato al caso.
Libera il custode il dimostrare in relazione alla cosa, di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
3) Responsabilità del medico e della struttura ospedaliera.
Con riguardo alla sussistenza del nesso di causalità fra lesione personale, e condotta del medico, al fine di accertare eventuali responsabilità risarcitorie, si ricorre al criterio di ragionevole probabilità scientifica, concomitante o sopravvenuta da altri fattori determinanti.
Ne consegue che la probabilità deve essere qualificata. ( Cass. Civ. 22894/05 ).
Il consenso consapevole dato dal paziente, prima di un delicato, quanto urgente e pericoloso intervento, prevede un’adeguata informazione in ordine ai rischi che esso comporta, ed è esteso anche alle operazioni complementari necessarie. ( Cass. Civ. 20832/06 ).
Il professionista prospetta le possibilità di risultato al paziente.
L’inadempimento del professionista, sanitario, o della struttura, sorge qualora vi sia un aggravamento della situazione patologica del paziente, o l’insorgenza di nuove patologie anche per effetto dell’intervento. ( Cass. Civ. 10297/04 ).
La prestazione ha natura contrattuale, e quindi, valgono i principi dell’obbligazione del contratto d’opera, relativamente alla diligenza e alla colpa ( 10297/04 ).
E’ contestabile la colpa al professionista, quando vi è negligenza, imprudenza, imperizia ed mancata conoscenza dell’evoluzione della metodica medica ( Cass. Civ. 9471/04 ).
E’ ravvisabile una corresponsabilità dell’ente tenuto alla prestazione ( art. 2049 c.c. ).
Medico e ente, per andare esenti da responsabilità devono fornire prova che la prestazione è stata eseguita in modo idoneo e che l’aggravamento, o la nuova patologia sono imprevedibili. ( Cass. Civ. 364/97 ).
Ne consegue che rispondono per colpa lieve quando vi è inadeguata preparazione medica ( art. 1218 c.c.; art. 1228 ).
In tema di responsabilità contrattuale, la prevedibilità del danno deve essere valutata, al momento dell’esecuzione della prestazione.
Quindi l’imprevedibilità limita la misura del suo ammontare ( art. 1225 c.c.).
Il criterio della prevedibilità mira a proporzionare la sanzione risarcitoria.
Nel caso venisse giudizialmente accertato la responsabilità del danno in capo al professionista, o all’equipe, o a più persone, e all’ente ( Azienda Ospedaliera ), il giudice deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe.
Comunque tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. ( art. 2055 c.c. )
4) Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile da veicoli.
All’art. 1 della L. 990/69 è prescritto “l’obbligo” per i veicoli a motore di circolare su strada solo se coperti da assicurazione civile verso terzi previsto all’art. 2054 c.c.
L’assicurazione comprende anche la responsabilità per i danni alla persona causati ai terzi trasportati ( art. 1 . comma 2 L. 990/69 ).
La legge prevede che il danneggiato, possa agire direttamente nei confronti dell’assicurazione ( art. 18 ).
Non è considerato terzo e non è risarcibile il solo conducente del veicolo ( art. 4 ).
L’assicuratore è tenuto a risarcire per quanto riguarda i danni alle persone, gli ascendenti, i discendenti, del conducente. ( Corte Cost. 188/91 ).
La responsabilità e quindi il risarcimento, possono essere invocate da qualunque danneggiato e quindi anche dal trasportato. ( Cass. Civ. 24749/07 ).
I prossimi congiunti del danneggiato – defunto, hanno diritto al risarcimento del danno morale da essi subito. ( Cass. Civ. 2503/202 ).
5) Conclusioni:
A parere dello scrivente gli eredi di Tizio, Caia e Mavia quali superstiti aventi diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, biologico, soggettivo, inteso come turbamento dello stato d’animo, da parte di familiare prematuramente scomparso agendo proprio per la morte di Tizio, possono agire:
1) Nei confronti, dell’ente proprietario del cavalcavia per accertare eventuali profili di responsabilità da omessa custodia prevista dall’art. 2051, essendo il tratto di strada in discussione, ricco di pericoli intrinseci e necessitante di adeguati protezioni, tali da evitare danni a persone anche in particolari circostanze quale una forza maggiore.
Quindi la barriera stradale di sicurezza di un ponte – cavalcavia deve essere adeguata alla natura e alla pericolosità che intrinsecamente deve avere, prevedendo ovviamente fattori estranei, ed esterni quali l’urto di un autoveicolo che viaggia con velocità congrua, nei limiti previsti da legge e buon senso.
2) Nei confronti dell’ente ospedaliero e dei medici, che hanno curato Tizio, per non aver previsto ( art. 1225 ) l’insorgere di una patologia correlata in tempo utile e di non aver adoperato tutte le misure terapeutiche opportune al caso, per prevenire, e risolvere tempestivamente la nuova patologia ( ex art. 2049; 1218 c.c. ed art. 1228 c.c. ).
Gli eredi sempre possono agire nei confronti della compagnia assicuratrice, del veicolo per vedere risarcire il danno morale della morte di Mevia. ( art. 4 legge 990/69 ).
Nulla deve l’assicurazione per la morte di Caia.
Posso ancora agire verso l’ente ospedale per i danni subiti da Tizio prima del decesso.

Parere legale motivato di diritto civile – disposizione testamentaria successiva (universale) al altra meno recente (di legato), con la quale si nomina erede universale, che presenta però scritti di mano aliena.

a cura del dott. Domencio CIRASOLE

La questione giuridica in esame, vede interessati TIZIO, MEVIA, e SEMPRONIO, quali destinatari di due testamenti olografi redatti in periodi diversi, da CAIO, fratello del padre degli stessi.
Infatti CAIO inizialmente nel 2006 con testamento olografo istituiva TIZIO e MEVIA come legatari, assegnandogli i propri beni mobili ed immobili, mentre successivamente alla sua morte, SEMPRONIO pubblica un testamento olografo sempre di CAIO, con il quale lo nominava suo unico erede universale.
Quest’ultimo testamento olografo, redatto posteriormente al primo, presenta sullo stesso, parti aggiunte, con grafia differente dal resto del testamento.
Quest’ultimo testamento, alla morte di CAIO che avveniva nel 2009, non essendovi legittimari, viene come detto, regolarmente pubblicato da SEMPRONIO.
Successivamente alla morte di un soggetto vi è il “passaggio” di beni e di diritti dalla persona defunta agli aventi diritto.
La successione può essere legittima (art. 565 c.c.) e/o testamentaria (art. 457, terzo comma, c.c.).
Il testamento è un negozio giuridico unilaterale, non recettizio, revocabile, unipersonale e formale.
Il testamento può essere: Olografo, Pubblico, Segreto (art. 601 c.c.).
Il testamento olografo (previsto dall’art. 602 c.c.), è il testamento scritto di proprio pugno dal testatore, deve quindi essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano dallo stesso (art.602 c.c.).
Le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari denominati anche eredi necessari (coniuge,figli ed genitori del de cuius).
La successione mortis causa può avvenire “a titolo universale” (erede) o a “titolo particolare” (legatario).
Si ha successione a titolo universale quando un soggetto succede indistintamente nell’universalità dei beni.
Si ha successione a titolo particolare quando un soggetto succede in uno o più determinati diritti reali e/o rapporti determinati.
Al momento della morte del testatore il testamento deve essere pubblicato. Vi provvede il notaio al quale viene consegnato, da parte di chi ne è in possesso di un testamento olografo. La pubblicazione avviene tramite la redazione di un verbale alla presenza di due testimoni, nel quale viene riportato il contenuto del testamento con menzione della sua apertura. Il notaio trasmette alla cancelleria del tribunale della zona ove si e’ aperta la successione copia del verbale e del testamento. La pubblicazione del testamento consente la conoscenza del suo contenuto da parte dei chiamati alla successione, dei familiari del defunto, dei creditori ereditari e di quelli dell’erede (art. 620 c.c.). La pubblicazione consiste quindi nel passaggio del testamento dal repertorio degli atti di ultima volontà’ a quello degli atti inter vivos e nella trascrizione del medesimo presso il registro delle successioni tenuto presso la cancelleria del tribunale.
Il testamento può essere revocato espressamente o tacitamente. La revoca espressa è fatta dal testatore con un successivo testamento.
In tale nuovo atto il testatore deve personalmente dichiarare di revocare, in tutto o in parte, la disposizione testamentaria anteriore.
La revoca tacita avviene se nel testamento posteriore ci siano disposizioni incompatibili, con le disposizioni precedenti, o se vi è la distruzione, lacerazione o cancellazione del testamento olografo.
Quindi nella questione in esame a parere di chi scrive, mancando eredi necessari, vi e stata da prima un disposizione testamentaria (legamentaria) di CAIO, a favore di TIZIO e MEVIA, che è stata successivamente revocata (tacitamente), con altra disposizione testamentaria (a titolo universale), successiva alla prima e con questa incompatibile, nei confronti di SEMPRONIO, la quale è stata prontamente pubblicata dallo stesso presso la cancelleria del tribunale competente.
Un breve cenno sull’istituto ex art. 602 c.c., permetterà di affrontare in modo più completo la quaestio iuris del caso di specie.
“Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore” art. 602, comma 1, c.c..
Sottoscrizione del testatore posta alla fine delle disposizioni, apposizione della data indicante il giorno, il mese e l’anno, autografia individuale e abituale ossia attestante la grafia effettiva del testatore, la cui mancanza determina la nullità del testamento ex art.606 c.c., rappresentano i requisiti necessari affinché il testamento possa qualificarsi olografo.
Dopo la sua redazione, il testamento olografo può essere affidato a persone per le quali non è previsto alcuna prescrizione custodiale.
E’ in questa ipotesi, dopo la pubblicazione, che possono verificarsi contestazioni fra gli aventi diritto, così accade nel caso de quo.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che l’alterazione da terzi del testamento olografo quando non sia tale da impedire l’individuazione della originaria, genuina volontà che il testatore intese manifestare nella relativa scheda possa far conservare allo stesso il suo valore, mentre l’annullamento per carenza di olografia è conseguenza di interventi di terzi che avvengano durante la confezione del testamento.
La decisione della sentenza 27.04.2009 n. 9905 della Cass. Civ. si pone assolutamente in linea con altri precedenti (Cassazione civile , sez. II, 07 luglio 2004, n. 12458; Cassazione civile, sez. II, 05 agosto 2002, n. 11733; Cassazione civile, sez. II, 10 luglio 1991, n. 7636), che nel corso dei decenni hanno cercato di mitigare la sanzione della nullità prevista dall’art. 606 c.c. per la mancanza di autografia, soprattutto nei casi in cui la volontà del de cuius è stata rispettata.
Infatti la presenza di piccole aggiunte, posteriori alla redazione del testo, non possono invalidare una scheda testamentaria sotto il profilo dell’assenza dell’olografia, in quanto altrimenti ogni custode di un testamento olografo potrebbe vanificare le volontà testamentarie apponendo segni grafici palesemente apocrifi.
Il testamento è annullabile, per difetti di forma, per incapacità di disporre (l’incapacità naturale del testatore può essere provata con ogni mezzo), per vizi della volontà, per errore, per violenza e per dolo (art. 624 c.c.).
L’azione di annullamento, che spetta a qualunque interessato, si prescrive nel termine di cinque anni, che decorrono, per il caso di incapacità, dalla data di esecuzione del testamento o, nei casi di vizi del volere, da quella della loro scoperta.
Illustrato il panorama normativo che disciplina il negozio giuridico del testamento olografo, verifichiamo le azioni esperibili da TIZIO e MEVIA per porre nel nulla la
scheda testamentaria che pregiudica le loro aspettative successorie.
I nipoti pretermessi, potrebbero contestare la genuinità della scheda testamentaria sostenendo che essa sia stata alterata da una mano diversa da quella del de cuius al fine di manipolarne la volontà testamentaria.
Quale primo motivo di nullità del testamento de quo è possibile richiamare la disposizione di cui all’art.606 c.c. che sancisce espressamente la nullità del testamento olografo nel caso in cui manchi l’autografia o la sottoscrizione, e dovranno, quindi offrire la prova positiva che l’interpolazione presente nel testo della scheda testamentaria appartenga a soggetto diverso dal suo estensore. Ma in recenti sentenze (Cass.Civ. 26406/2008) la Corte di legittimità ha sostenuto come l’interpolazione, da sola, non autorizzi a credere che il responsabile abbia influenzato il contenuto della scheda testamentaria.
Ciò in quanto l’eventuale alterazione non conta quando è comunque possibile individuare la genuina volontà che il testatore ha voluto manifestare nella scheda.
Diversamente opinando ogni custode di testamento olografo potrebbe vanificare le ultime volontà del de cuius con un semplice segno grafico chiaramente apocrifo (Cassazione 2837/76).
Diversamente, una sola parola “spuria” è sufficiente a determinare l’annullamento del documento per carenza di olografia, a condizione però che l’azione del terzo sia stata svolta durante la realizzazione del testamento.
Ma la Cass.Civ. 9905 /2009 ha rilevato anche che " la validità di un testamento olografo non sarebbe inficiata dalle correzioni ad opera di mano aliena, ove resti integra la volontà del testatore, ciò soltanto laddove lo scritto di mano aliena sia inserito in una parte diversa da quella occupata dalla disposizione testamentaria e non allorché l’intervento del terzo avvenga con l’inserzione anche di una sola parola di sua mano nel corpo della disposizione stessa interferendo sulla volontà di disporre del testatore (Cass. 5.8.2002 n. 11733; Cass. 30.10.2008 n. 26258)".
Quindi i nioti, sarà preferibile che non si limitino alla mera indicazione dell’intervenuta alterazione ma offrano la prova della distonia tra l’aggiunta e la volontà del testatore, come risultante dall’intera disposizione testamentaria, dimostrando che l’interpolazione sia intervenuta durante la stesura dell’atto.
Ulteriore strumento a disposizione degli istanti è costituito, indipendentemente dalla bontà ed autenticità del testamento, dalla prova dell’incapacità del testatore al momento della redazione delle disposizioni di ultima volontà (art.591, 2°co., n.3) provando che CAIO sia stato, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace di intendere e di volere nel momento in cui redisse il testamento.
Inoltre i nipoti potrebbero ancora tempestivamente disconoscere la scrittura prodotta da SEMPRONIO, proponendo una CTU, per accertare la genuinità della scheda testamenntaria accertando detta olografia.
Ed in finie TIZIO e MEVIA potrebbero dimostrare la presenza d’inserzione (anche di una sola parola/lettera) di mano aliena nel corpo della disposizione stessa interferendo sulla volontà ultima di disporre del testatore, come affermato nella sentenza 27.04.2009 n. 9905 della Cass. Civ..
Quanto, infine ai termini delle azioni, sia che sia promossa l’azione ex art.606 (tesa a dichiarare la nullità del testamento per mancanza dell’autografia), sia quella ex art.591 c.c. (finalizzata a porre nel nulla l’atto di ultima volontà per incapacità di intendere e di volere del testatore), esse devono essere esperite entro il termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.