Condominio negli edifici

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

La teoria collettivista, considera il condominio quale rapporto unitario motivato dall’interesse collettivo dei partecipanti alle cose comuni.
Vi è pertanto una sola proprietà comune del gruppo, gestita in forma collettivo.
Dal diritto positivo si ricava che il condominio non risulta incluso tra le persone giuridiche private definite dall’art. 12 c.c.. Ergo non prevederne un riconoscimento come personalità giuridica.
La teoria dell’ente di gestione, vede nel condominio, un ente gestorio capace di assumere il carico delle cose comuni.
L’ente non avrebbe autonoma personalità giuridica, limitandosi alla pura amministrazione dei beni comuni per mezzo dell’amministratore.
La teoria individualistica vede l’interesse comune dei comproprietari, giustificandone la gestione in comune, dalle quali sorgono diritti ed obblighi in capo a ciascun comproprietario.
Nessuna di queste teorie può ritenersi priva di problematiche.
La legislazione vigente configura il rapporto tra proprietà esclusiva e proprietà comune come un rapporto di necessaria coesistenza dando ad un soggetto terzo (l’amministratore) la rappresentanza giuridica alla volontà di un organo pluralistico ( l’assemblea ) le cui deliberazioni sono frutto dei singoli condomini votanti.

La costituzione del condominio.
Il codice nulla dice sui modi di costituzione del condominio, ma la forma negoziale, è la maggiormente usata.
La costituzione del condominio può anche nascere da atti mortis causa,a seguito di donazione ad eredi o dallo scioglimento di rapporto di comunione.

Il supercondominio.
Il condominio complesso o supercondominio, si indica il rapporto giuridico derivante dall’utilità comune di più corpi del fabbricato.
Esempi sono: l’unico vano di scala centrale comune; soffitta percorribile in tutta la sua estensione, comune a tutti; comunanza di cortili, giardini, interni, parcheggi; ingressi, viali d’accesso, servizi di riscaldamento.
Talvolta vi è un concorso parziale o totale di comunanze a vantaggio di fabbricati separati.
La giurisprudenza prevede l’applicabilità della stessa normativa del condominio che rinvia all’applicazione delle norme dettate dal codice civile per regolare il rapporto di comunione, poiché qui non vi è proprietà frazionata, ma il generico godimento in comune di determinazioni servizi.

Le parti comuni del condominio di edifici
La definizione di condominio presuppone la presenza di parti comuni.
Il problema dell’individuazione di tali parti comuni è stato risolto con l’art. 1117 c.c., che elenca una serie di parti comuni non rigida, seguita da clausola che ne consentano l’ampliamento per tutte le parti necessarie all’uso comune, per i servizi comuni a tutti i condomini, ed alle opere di qualunque genere destinate all’uso e godimento di beni comuni.
Vengono incluse tra le parti comuni: il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili, i locali per la portineria e per l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi, gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti, le fognature, i canali di scarico, gli impianti per acqua, gas, energia elettrica e riscaldamento.
I suelencati beni sono di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piano, se non risulta il contrario dal titolo.
Per i beni indicati da tale norma, vigerebbe una presunzione juris tantum di comproprietà.

Il titolo contrario che indica la non comunione della res
L’atto costitutivo del condominio o l’atto modificativo se posto in essere con i dovuti requisiti di partecipazione dei condomini sono titoli adeguati a indicare una diversa proprietà e comproprietà.
Possono poi intervenire gli atti di acquisto di singole porzioni immobiliari.
È ammissibile l’atto mortis causa, testamentaria.
Anche l’usucapione rileva nella specie, se si evidenzia il carattere di esclusività soggettiva ed oggettiva nel godimento delle res habilis, idonea all’interversione del possesso.
Nel caso di proprietà esclusiva di un bene il cui uso e godimento siano essenziali anche agli altri condomini, vi è l’obbligo da parte del proprietario individuale di concedere loro la comunione.

Casi.
Il cortile,la colonna d’aria sovrastante sono parti comuni.
Il cortile destinato ad uso e godimento solo di alcuni appartamenti deve essere presunto in comunione solo dai comproprietari di questi.
Le terrazze a livello, poste alla medesima altezza o sullo stesso piano dell’appartamento sono destinate all’uso esclusivo dello stesso., ma per i condomini sottostanti vi è l’onere di contribuzione al mantenimento di detta struttura.
Per il Lastrico solare è previsto la comunione, esso non rappresenta un accessorio del piano cui immediatamente sovrasta.
Qualora l’uso del lastrico è uso esclusivo di alcuni, in tal caso, questi sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa per le riparazioni o ricostruzioni del lastrico, mentre gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo cui il lastrico solare serve (di copertura), in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno (art. 1126, c.c.).
Il suolo su cui sorge l’edificio è oggetto di proprietà comune, se non risulta dal titolo il contrario, intendendo per suolo solo quello equivalente all’area edificata. Il resto è pertinenza o cortile.
Il sottosuolo, e le fondazioni sono parti comuni (l’art. 1117 c.c.). .anche per applicazione della norma generale ex art. 840 c.c.. per cui la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, ergo che è interdetto al condomino-proprietario di vani a piano terra o sotterranei l’abbassare il livello dei pavimenti il ricavare nuovi locali per incorporarli alla sua proprietà-esclusiva e comunque ogni altra forma di utilizzazione esclusiva.
I muri maestri i muri portanti, i muri perimetrali sia esterni sia interni all’edificio sono comuni ( art. 1117 1° co., c.c.).
La proprietà delle scale deve riferirsi all’intero condominio.
Il tetto, è per legge, bene comune, ivi compresi abbaini e lucernari non destinati ad unità abitativa mansardata.
Del sottotetto, e del palco morto richiamata nell’art. 1124 c.c. assegna ad essi proprietà individuale.

Parere legale motivato di diritto civile. Separazione personale, affidamento congiunto- minorenni, trasferimento del coniuge con cui i figli erano residenti, senza accordo dell’altro coniuge.

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

La questione giuridica in esame vede interessatii signori TIZIO e CAIA.
Detti signori sono sposati da otto anni, e a completamento del loro amore hanno avuto un figlio, sette anni fa.
Detto figlio di nome ANDREA è affetto da lieve sindrome di down.
Purtroppo oggi dopo circa 8 anni di matrimonio, interviene una crisi coniugale, che spinge CAIA a chiedere la separazione da TIZIO. Inoltre CAIA chiede l’affidamento esclusivo del figlio ANDREA, motivando la sua scelta (a suo dire), con il fatto che il rapporto tra padre e figlio non è armonioso e a conferma di ciò chiede che ANDREA venga ascoltato dal Giudice.
Orbene la famiglia è una formazione sociale fondata sul matrimonio, con i caratteri della esclusività, della stabilità e della responsabilità.

Tra i coniugi vi sono una serie di diritti e doveri reciproci quali la coabitazione, la fedeltà, l’assistenza, la collaborazione, la contribuzione ai bisogni della famiglia.

La presenza di figli in una famiglia, impone ulteriori obblighi, quali appunto l’educare, l’istruire, il mantenere, e curare i figli.
Si conferma quindi l’importanza della crescita del minore nell’ambito della famiglia, con l’obiettivo di garantire l’equilibrio dei bambini e dei ragazzi, creando o valorizzando, i rapporti della famiglia e del sociale.

La Consulta già nel 1980, aveva già avuto modo di affermare che: "Per il combinato disposto degli artt. 2 e 30 Cost., primo e secondo comma, emerge, quale valore primario per il minore, la promozione della personalità, la sua educazione nel luogo a ciò più idoneo, che è in primissima istanza la famiglia di origine, e solo in caso di incapacità di questa una famiglia sostitutiva, poiché il minore richiede, per la sua crescita normale, affetti individualizzati e continui, ambienti non precari, situazioni non conflittuali. (Corte cost. 10 febbraio 1981, n. 11)".

Detti obblighi da parte dei genitori (assistenza morale e materiale nell’ambito della propria famiglia) sono in realtà un diritto di entrambi i genitori, ma anche un diritto dei figli (il diritto del minore alla bi genitorialità).

La bigenitorialità, altro non è che l’effettiva presenza di entrambi i genitori accanto al figlio, ossia « mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, per ricevere dagli stessi cura, educazione e istruzione» art. 155, comma 1, c.c. novellato nell’art. 1, comma 1, legge n. 54/2006.

Concretamente significa che la figura del minore va tutelata e protetta nella misura più ampia possibile.
Detto principio è già formalizzato a livello costituzionale (art. 30 Cost) prima ancora che ordinario (art. 155 c.c.).

In particolare quindi i figli minori sono soggetti di diritto meritevoli di protezione e protagonisti delle proprie scelte, soggetti dotati di un potere di autodeterminazione, che hanno diritto all’ascolto, e che l’adulto valuti in modo adeguato le dichiarazioni che vengono rese dallo stesso.

Naturalmente parlare di centralità del minore significa considerarlo nel suo essere in formazione, e dunque richiede con riferimento alla dimensione dell’ascolto, l’assunzione di tecniche di tutela particolari (circostanze ambientali, lessico, tono, e quant’altro faciliti l’esposizione del minore).

L’ascolto del minore capace di discernimento (art. 12 Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 2 novembre 1989; art. 3 Convenzione europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 5 gennaio 1996; art. 155 sexies c.c.) è la nuova chiave interpretativa e di tutela, per garantire la crescita del minore, un normale sviluppo della sua personalità, delle sue reali esigenze in modo indipendente e responsabile, tenendo conto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni (art.147 c.c), e ciò si realizza non solo e non tanto per mero effetto del benessere economico, ma attraverso “assistenza personale ed aiuto psico-affettivo” (Cass. civ., 1° febbraio 2005, n. 1996; Cass. civ., 10 agosto 2006, n. 18113) che solo la famiglia e la presenza di entrambi i genitori può garantire.

La Giurisprudenza pronunciandosi nel tempo ha affermato che «Il minore ha diritto alla prestazione di cure idonee a garantirgli uno sviluppo ottimale (vale a dire armonioso ed equilibrato sotto ogni punto di vista) a vivere in un ambiente familiare moralmente sano e materialmente confortevole, che lo sottragga a influenze deleterie, che possano incidere negativamente sul suo processo di maturazione» (Trib. min. Roma, 6 febbraio 1984).

Quindi possiamo affermare che libertà di espressione, salute, educazione, formazione, socializzazione, gioco, ascolto, dignità, riservatezza, sicurezza, sono tutti diritti del minore.
Ma alcune patologie (handicap) aumentando da un lato la sensibilità dell’adulto, e dall’altro la fragilità del minore, impongono all’adulto, un incremento delle attenzioni, per garantire allo stesso i diritti di cui vanta; quando questo accade, vi è perfetta simbiosi tra adulto e minore, tanto da creare una perfetta armonia tra il genitore e il figlio.
Cosa non semplice e non frequente.
Tra i vari handicap dei minori, la sindrome di Down, crea un particolarissimo rapporto tra genitore e figlio.

La sindrome di Down è nota per la presenza di un ritardo mentale, e il futuro di queste persone non è prevedibile e la sua crescita dipenderà da una serie di aspetti costituzionali, famigliari e ambientali insieme.
Queste differenze dipendono soprattutto dalle capacità individuali delle persone con sindrome Down, dagli atteggiamenti educativi della loro famiglia e dalla disponibilità o meno di strutture socio-sanitarie adeguate.
In Italia un bambino su 1000 nasce con la sindrome Down. Il grado di ritardo mentale non è assolutamente prevedibile e varia molto da una persona all’altra.
Quello che è certo è che il bambino sarà in grado di capire, di imparare e di ricordare quello che ha imparato e il grado di autonomia e responsabilità datogli.
Spesso non viene permesso loro di fare delle scelte, né di sfruttare le proprie capacità relazionali, né di inserirsi in un contesto sociale adeguato.
Comunque si può dire che, data una situazione familiare, educativa e sociale adeguata, una persona con sindrome Down può imparare tutto quello che è necessario per avere una vita relativamente autonoma e soddisfacente, esprimendosi con un linguaggio verbale adeguato.
I genitori per aiutare il loro bambino a parlare, devono stimolarlo, conversando con lui, ascoltarlo, fare attenzione a quello che il bambino cerca di dire, rispondergli nel modo giusto, essere pazienti, concedendo al bambino lo spazio e il tempo per agire o per rispondere.
In altre parole bisogna farsi guidare dal bambino, rispettare il suo interesse del momento, mantenendo il passo del bambino, valorizzando il bambino, imparando a pensare come il bambino, considerando il suo punto di vista secondo il suo sviluppo cognitivo e, la sua diversa prospettiva sulle azioni, sul tempo e sullo spazio.

L’accettazione delle persone con ritardo mentale da parte della società è fortemente collegata al loro comportamento sociale, in altre parole un bambino con sindrome Down sarà accettato se si comportano in modo accettabile e adeguato socialmente.

Una persona con sindrome Down potrà quindi avere una vita sociale soddisfacente se i suoi genitori cureranno fin dai primi anni di vita lo sviluppo delle capacità autonome e le regole di un comportamento sociale maturo.
Queste competenze sono indispensabili per un reale inserimento nella scuola e nel mondo del lavoro, ma soprattutto per favorire una sicurezza e una stima di sé e delle proprie capacità senza le quali una vita insieme agli altri può essere difficile e improbabile.

Ecco, quindi, che i genitori devono essere gentili, devono curare al massimo gli aspetti legati all’insegnamento dell’autonomia e delle buone maniere, devono fare gli opportuni complimenti se ha imparato bene qualcosa o se si è comportato bene.

In altre parole il genitore deve creare un rapporto unico, ed armonioso con il figlio affetto da sindrome down, e come già detto cosa non semplice e facile, quando questo non accade, per i casi molto gravi il legislatore ha creato una figura particolare, ovvero l’amministratore di sostegno provvisorio o definitivo.

Il ricorso per la richiesta di detta figura è frutto di una azione coordinata dei servizi sociali e sanitari, del medico psichiatra, e dell’assistente sociale.
Anche in questo caso il Giudice può non ritenere, sufficiente la documentazione fornita, richiedendo solo ove vi siano delle ombre ulteriori informazioni al medico curante, e per le informazioni patrimoniali, interpellando direttamente gli istituti di credito interessati.

L’audizione dei parenti, del PM, non è sempre necessaria, nel senso che se non compaiono dopo la convocazione il giudice provvede ugualmente, ma l’audizione dell’interessato è un passaggio non solo dovuto ex art. 407 c.c. (il giudice sente l’interessato dovunque si trovi) ma anche essenziale per l’acquisizione delle informazioni utili a elaborare il decreto di nomina.

Va sottolineato che l’audizione è diretta a conoscere il beneficiario, a raccogliere i suoi desideri e le sue aspirazioni, a verificare anche le sue relazioni con l’ambiente, con i famigliari, con i parenti, con i vicini, conoscenti, ad accertare il suo grado di abilità, la sua tensione verso l’autonomia, la sua suggestionabilità, i rischi a cui è esposto se lasciato solo, i rapporti di forza presenti nelle dinamiche famigliari, le sue preferenze elettive e affettive, la sua fragilità, le sue abitudini di vita, “i riti” a cui non può rinunciare.
In altre parole l’audizione è sempre diretta a conoscerlo, a raccogliere elementi utili per la scelta dell’amministratore di sostegno da farsi avendo unicamente riguardo all’interesse del beneficiario.

Orbene osservando questo istituto possiamo comprendere quanto importante sia l’audizione allorquando il minore si affetto da handicap, ovvero da sindrome di Down, e in un procedimento di separazione dei coniugi, che il più delle volte avviene dopo un periodo alquanto lungo di crisi famigliare, dove il minore è stato spettatore e vittima di scontri, conflitti, ma soprattutto di disattenzioni da parte dei/del genitori, vedendo modificare, crollare, scomparire, quel particolarissimo rapporto di armonia, che come abbiamo già appreso risulta imprescindibile per la (futura) vita sociale dello stesso.

La Suprema Corte (22238/09), ha cambiato le regole "del gioco" nei processi di separazione e divorzio ove vengano in rilievo provvedimenti destinati ad incidere sulle situazioni giuridiche soggettive dei figli minori, non ultimo, l’affidamento.

Le Sezioni Unite, con la sentenza 22238/09 ha introdotto uno specifico onere motivazionale che non provvede all’audizione del minore.

Il giudicante dovrà espressamente riferire per quale motivo non ha inteso sentire il minore, motivo che può attenere o alla capacità di discernimento del minore stesso o all’eventualità di pregiudizi ai suoi interessi superiori.

Con la sentenza n. 22238/09 viene inoltre asserito l’obbligatorietà dell’audizione dei figli minori nei procedimenti di separazione attinente l’affidamento.

La Cassazione sostiene che non si può ignorare l’opinione del minorenne nel caso in cui si debba decidere a quale genitore dovrà essere affidato, in quanto il minore è parte sostanziale del procedimento e portatore di interessi contrapposti o diversi da quelli dei genitori.

Si asserisce, quindi, che il mancato ascolto dei minori costituisce una violazione dei due principi cardini dell’ordinamento italiano, precisamente il principio del contradditorio e quello del giusto processo.

L’audizione del minore è prevista e riconosciuta dall’art. 12 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, fatta a New York nel 1989, nella quale è previsto che «Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità.

La Suprema corte rileva ulteriormente che l’audizione del minore è divenuta obbligatoria con l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, ratificata con la legge n. 77/2003, in quanto si dispone che «nei procedimenti che riguardano un minore, l’autorità giudiziaria, prima di giungere a qualunque decisione, deve: a) esaminare le informazioni che dispone, al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore e, se necessario, ottenere informazioni supplementari, in particolare da parte dei detentori delle responsabilità genitoriali; b) quando il diritto interno ritiene che il minore abbia una capacità di discernimento sufficiente (assicurandosi che il minore abbia ricevuto tutte le informazioni pertinenti) nei casi che lo richiedono, consultare il minore personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore, permettendo al minore di esprimere la propria opinione; c) tenere in debito conto l’opinione da lui espressa».

Pertanto la Suprema corte deducendo la violazione della Convenzione di Strasburgo, la Convenzione ONU, l’art. 155 sexies del codice civile (che dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici o anche di età inferiore ove capace di discernimento), ritiene necessaria ed obbligatoria l’audizione del minore nel procedimento di separazione.

Quindi, in presenza di una richiesta di audizione avanzata da uno dei genitori o dal Pubblico Ministero, il Giudice della separazione o del divorzio (anche nella fase presidenziale) dovrà procedere all’ascolto dei minori, a meno che, come già detto, non fornisca idonea motivazione in ordine al fatto che a)tale ascolto si ponga in contrasto con gli interessi fondamentali dei figli; b) manchi il necessario discernimento dei minori infradodicenni, che può giustificarne l’omesso ascolto.

L’audizione dei figli minori ha quindi un’indubbia valenza probatoria, quale fonte di preziose informazioni sulla vita familiare, al fine di realizzare l’affidamento più conveniente nel preminente interesse del minore.

La materia dell’affidamento è molto è cambiato rispetto al secolo scorso che stabiliva il principio dell’indissolubilità del matrimonio,e ammetteva la separazione solo in caso di colpa di uno dei coniugi, e disciplinava i provvedimenti riguardanti i figli, stabilendo che i medesimi fossero affidati al coniuge
"senza colpa".
Certamente 898/70, che ha introdotto il divorzio nel nostro ordinamento, per la prima volta ha fissato all’art. 6 un criterio guida per il giudice in tema di affidamento dei figli cioè quello della preminenza del loro interesse morale e materiale.
Detto principio viene introdotto nella successiva legge di riforma del diritto di famiglia (legge 21 maggio 1975 n.151), in materia di separazione.

La separazione non viene più pronunciata solo per colpa di uno dei coniugi, ma viene intesa come rimedio ad una situazione di fallimento della vita coniugale, e il giudice nello scegliere il genitore al quale affidare i figli deve tener presente solo ed esclusivamente la posizione dei figli, il loro interesse, le condizioni migliori per lo sviluppo della loro personalità.

In particolare, oggi il criterio unico che disciplina l’affidamento in caso di separazione è quello del superiore interesse della prole, inteso quale riorganizzazione di un modello di comunità familiare in cui il minore possa venire educato e realizzare il proprio diritto alla formazione ed alla crescita della sua personalità.

La separazione, tanto consensuale quanto giudiziale, determina lo scioglimento dell’eventuale regime di comunione legale dei beni e non solo, creando una rottura emotivo, economica, genitoriale, comunità, psichico.

In caso di separazione consensuale, i coniugi regolamentano i loro rapporti con un accordo che verrà poi omologato dall’autorità giudiziaria.

Il contenuto dell’accordo potrà avere ad oggetto la divisione di beni comuni, l’assegnazione ad uno dei coniugi di beni di proprietà comune o esclusiva dell’altro coniuge, il
riconoscimento di un assegno di mantenimento a favore del coniuge debole.

In ogni caso sono fatti salvi tutti i provvedimenti indispensabili all’interesse della prole, quali ad esempio l’assegnazione della casa coniugale al coniuge affidatario, l’obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento per i figli o per il coniuge economicamente più debole.

Sempre nell’interesse della prole, vi è stato un ripetuto cambiamento di rotta nell’affidamento che ha visto concludere il percorso grazie alla Legge 8 febbraio 2006, n. 54.

In passato frequenti erano la svalutazione dell’altro genitore, manipolazione dei fatti o anche alla costruzione di false denunce di abuso, di violenza e inidoneità genitoriale con il solo scopo di allontanare un genitore escludendolo dalla funzione di genitore condizionando il minore a schierarsi a sua volta contro il genitore allontanato.
I danni che queste forme di comportamento arreca ai figli sono enormi creando nel minore un senso di perdita e di abbandono che potrà influenzarlo per tutta la vita. Questa sintomatologia si chiama Sindrome da alienazione genitoriale o PAS, provocando una regressione, una limitazione, un blocco delle capacità di pensiero. L’esperienza dimostra che, qualora venga meno l’influenzamento dei figli da parte del genitore alienante, i sintomi della PAS svaniscono. Consentire ai figli di maturare esperienze dirette e complete di vita con ciascun genitore separatamente dal genitore alienante è il modo migliore per prevenire la PAS, mitigando l’influenza delle azioni denigratorie.
Inoltre, la convivenza equilibrata con ciascun genitore senza la presenza dell’altro, in modo alternato, favorisce la
creazione di una relazione diretta e autentica.
Prima della legge 54/06, i figli in caso di separazione
legale dovevano essere affidati al padre e solo in casi gravi alla madre, con la L.151/75 i diritti del padre e della madre vengono parificati prevedendo l’affidamento monogenitoriale esclusivo ai sensi del disposto dell’art. 155 c.c. (il modello di affidamento più applicato sino ad oggi in caso di separazione).
Tale modello prevedeva l’affidamento dei minori ad un genitore mentre l’altro conservava un generico diritto di visita, di vigilanza sulla istruzione ed educazione. In ogni caso le decisioni di maggiore interesse dovevano essere adottate di comune accordo tra i genitori.
Mentre con l’affido congiunto come modalità alternativa di custodia dei figli minori previsto dall’art. 6 Legge 878/70 veniva superata il contrasto tra genitori, garantendo al minore, una continuità affettiva e di intervento di
entrambi i genitori.
Ne discende che tale soluzione dovesse essere esclusa laddove uno solo dei coniugi reclamasse l’affidamento per sé, sul presupposto che l’altro genitore non fosse in grado di assumersi il compito educativo con pienezza di poteri, e nei caso di conflittualità della coppia genitoriale.
Oggi con legge 8 febbraio 2006, n. 54, l’art. 155 c.c., così come riformato, prevede che <>.
Ecco quindi sorgere il principio della bi genitorialità.
Qualora il giudice ritenga che i genitori non siano in grado di comporre la loro conflittualità nell’interesse dei figli minori, permane l’alternativa dell’affidamento ad uno soltanto di essi. Un aspetto degno di nota della riforma in oggetto è l’introduzione all’art. 155 sexies c.c. (obbligo di ascolto del minore e l’attivazione dei percorsi di mediazione dei genitori).

L’affido condiviso è dunque oggi l’unica forma di affidamento dei figli includendo l’eccezione dell’affido a un solo genitore quando il comportamento dell’altro genitore nei confronti del figlio sia contrario all’interesse del minore stesso. Solo in tal caso potrà essere limitata la frequentazione ma non la potestà di quel genitore.
A differenza del passato non sono considerati validi motivi per l’affidamento a un solo genitore il conflitto tra i genitori.
L’affido condiviso consente l’esercizio della potestà anche in modo disgiunto (in caso di conflitto) cosicché ciascun genitore è responsabile in toto quando i figli sono con lui mantenendo inalterata la genitorialità di entrambi.
La permanenza del minore presso ciascun genitore viene ripartita in un progetto educativo genitoriale da presentare in allegato all’istanza di separazione, con la ripartizione dei compiti e dei capitoli di spesa assegnati a ciascun genitore.

L’affidamento condiviso costringe i genitori a distinguere la relazione di coppia dalla loro relazione genitoriale.

Le azioni che un genitore dovesse compiere, volte a ostacolare la frequentazione dell’altro genitore o a gettare
discredito sull’altra figura genitoriale, verranno considerate un valido motivo di esclusione.

Resta però la differenza fra amministrazione ordinaria e amministrazione straordinaria.
L’art. 155 c.c., aggiunge che limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.

Concludendo a parere dello scrivente CAIA può si proporre l’affidamento esclusivo, ma questo difficilmente potrà essere accolto, qualora non fossero presenti comportamenti di TIZIO contrari all’interesse di ANDREA.

Anzi ben può il giudice ritenere la sua richiesta volta ad ostacolare la frequentazione dell’altro genitore, escludendogli l’affido.

CAIA può, invece proporre un esercizio separato della potestà.

In merito all’ascolto di ANDREA, il giudice per quanto obbligato all’ascolto, può ritenerlo incapace di discernimento sia a causa della patologia di cui è affetto che per la sua tenera età (non avendo compiuto gli anni dodici).

Parere legale motivato di diritto civile – provvedimenti presi da amministratore di condominio in condizioni di particolare urgenza, senza autorizzazione dell’assemblea condominiale, con responsabilità da cose in custodia

a cura del dott. DOMENICO CIRASOLE

Nel caso in esame l’Amministratore del Condominio "Bella Residenza" da
incarico verbale alla società Parco Blu s.r.l. di sostituire alcuni lucernari di
pertinenza del condominio, siti su un marciapiede pubblico verso un
corrispettivo di Euro 35.000,00.
E’ possibile ipotizzare un grave danneggiamento di alcuni lucernari, tanto
da ipotizzare e temere danni irreversibili all’immobile e a persone in
transito sul marciapiede pubblico adiacente all’immobile.
Ergo che la sostituzione dei lucernari possono considerarsi spese
necessarie alla conservazione della cosa, spese senza le quali il bene
verrebbe a perire o a deteriorarsi, o dal quale possono derivare gravi
danni a persone.

Quindi possiamo ipotizzare che l’Amministratore con adeguato senso di
responsabilità ascrivibile ad una diligenza professionale media, abbia dato
immediato mandato verbale all’impresa di sostituire i detti lucernari.
Considerato il carattere dell’urgenza e del pericolo all’incolumità di cose
e persone, l’Amministratore agendo di propria iniziativa, nel rispetto dei
propri poteri di autonomia che derivano da legge e da eventuale
regolamento condominiale, da incarico verbale alla società senza
convocare l’assemblea condominiale, e trarre relativa delibera
condominiale.

L’amministratore omette anche di incaricare dei tecnici per la
realizzazione di una progettazione, inoltre omette di richiedere adeguata
autorizzazione amministrativa, e ulteriormente omette di richiedere
eventuali altri preventivi da altre società di costruzioni, tanto da poter
optare per un’adeguato risparmio di spese del condominio.
A parere dello scrivente queste sono tutte circostanze che fanno
ipotizzare che l’Amministratore avesse agito con carattere d’urgenza e
in poco tempo.

Completata l’opera, alcuni passanti caduti a causa degli agenti atmosferici,
che hanno reso scivolosi i cristalli usati nella sostituzione dei lucernari,
chiedono al Condominio di risarcire i dani patiti.
Il Condominio, presumibilmente ipotizza esoso l’importo da pagare per le
opere eseguite, e da incarico a un tecnico terzo, che stima il valore
dell’opera in non più di Euro 12.000,00 , non considerando però che
l’impresa possa aver compiuto l’opera in brevissimi tempi, e per questo
abbia concordato con l’amministratore detto prezzo così esoso.
A parere dello scrivente per ben inquadrare la fattispecie e opportuno
affrontare a grandi linee gli elementi di diritto che il caso propone.

1. CONDOMINIO E AMMINISTRATORE.
Il condominio trae origine dall’interesse collettivo dei partecipanti.
Il codice tace sui modi di costituzione del condominio. La forma negoziale
e la maggiormente usata ma può anche discendere da atti mortis causa.
La giurisprudenza prevalente si è orientata verso l’applicabilità della
stessa normativa del condominio nel condominio complesso o
supercondominio per regolare il rapporto di comunione.
La dizione stessa di condominio presuppone l’individuazione di parti
comuni.
L’art. 1117 c.c., elenca una serie di parti comuni seguita da clausola che ne
consente l’ampliamento non essendo tassativa.
Tutte le parti necessarie all’uso comune sono di proprietà comune dei
proprietari dei diversi piani o porzioni di piano, se non risulta il contrario
dal titolo. Vigerebbe una presunzione juris tantum di comproprietà.
Dall’art. 1102 si ricava la norma che consente l’uso del bene in comunione.
Gli interventi di manutenzione straordinaria ed i relativi provvedimenti
sono di competenza dell’assemblea.
Spetta all’amministratore, nei condomini in cui esso è nominato, vegliare
sul corretto uso del bene comune da parte dei contitolari.
Il singolo condomino non può, rinunciando ai diritti in comunione, sottrarsi
al contributo nelle spese per la loro conservazione ( art.1118 c.c.).
Le spese di manutenzione e ricostruzione di cosa comune dell’edificio,
deliberate dalla maggioranza dei condomini, sono sostenute da tutti i
condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno
(art. 1123 c.c.).
L’obbligazione dei condomini di contribuire alle spese per la conservazione
dei beni comuni nasce nel momento in cui nasce l’esigenza di eseguire le
relative opere.
Mentre la delibera dell’assemblea condominiale di approvazione della
spesa, ha la funzione di autorizzarla e rendere liquido il debito.
L’amministratore vincola i sincoli condomini nei limiti delle attribuzioni del
mandato conferitogli.
Quindi ai singoli condomini si imputano le obbligazionia assunte
dall’amministratore nell’interesse del condominio, per la conservazione e
godimento delle cose comuni, solo se deliberate dalla maggioranza (cass.
civ. 9148/08 sez. unite).
Tale principio è derogato solo se vi siano ragioni di particolare urgenza
(Cass. civ 8876/00).
Con riguardo alle spese di manutenzione ordinaria, e straordinaria delle
cose comuni, che l’Amministratore abbia effettuato senza preventiva
approvazione dell’assemblea, può essere approvato successivamente
dall’assemblea che ne dispone la liquidazione ( cass. civ. 6896/92).
L’amministratore deve compiere gli atti conservativi inerenti alle parti
comuni dell’edificio.
La necessità dell’adozione di provvedimenti idonei ad evitare che essa
cagioni danno a terzi, sono a carico dell’amministratore quale custode
delle cose comuni.
Chi si assume (o debba assumersi) in concreto la custodia deve poter
espletare la propria funzione in modo tale che sia garantito che la cosa
non danneggi altri; e per far ciò deve avere i poteri corrispondenti.
Risponderà del danno solo se a lui sarà imputabile una deviazione dal
modello di comportamento tipico del custode, con riferimento a quella
cosa, in quelle determinate condizioni, con i poteri e le possibilit
concrete che egli ha.
La responsabilità di custodire cade sul proprietario della cosa, ma la
responsabilità nasce dal fatto che esse hanno la custodia della cosa che
ha cagionato danno ad altri. Ai fini della responsabilità, quello che è
importante è che esse abbiano il governo, la direzione e il controllo della
cosa. La legge, su questo potere ad esse proprio, fonda la loro
responsabilità.
Se custode della cosa è persona diversa dal proprietario, cessa la
responsabilità del proprietario ex art. 2051, per cadere su colui che è
custode della cosa comune ( amministratore ).
L’amministratore potrà, quale custode disporre gli atti conservativi
senza una preventiva deliberazione assembleare, solo quando rivestano
carattere di urgenza e in tal caso, dovrà riferirne alla prima assemblea
(art. 1135, 2° co.).
L’amministratore può avvalersi del procedimento per ingiunzione per
conseguire dagli inadempienti il pagamento del contributo (art. 63, 1° co.,
disp. att.).

2. OBBLIGO DI CUSTODIRE
L’obbligazione di custodire viene disciplinata dall’art. 1177 c.c..
L’obbligo di custodire consiste nell’impegno di mantenere la cosa,
evitando non solo le azioni od omissioni personali ma anche gli accadimenti
esterni che possano determinarne la perdita, il perimento o il
deterioramento della cosa in custodia.
Il custode adempie a quel dovere di protezione che, in virtù del principio
di buona fede, sè preserva le cose, ed evita così il danno a cose e
persone.
La diligenza richiesta al custode è quella del buon padre di famiglia (C.
10986/96).
Per ovviare alla responsabilità da custodia è necessario provare che il
custode abbia avuto una condotta e uno sforzo diligente nell’impedire
tempestivamente un dato evento.

3. RESPONSABILITÀ DA COSE
La disciplina del danno da cose, è presente nell’art. 2051 c.c., che
prevede la responsabilità del custode della cosa per i danni da questa
cagionati.
Per l’art. 2051, la cosa deve aver assunto un ruolo attivo nella produzione
dell’evento.
La «cosa» è collegata con la sua custodia.
L’attività di custodia è il momento fondamentale della prevenzione del
danno che la cosa può cagionare.
L’errata o insufficiente custodia di una cosa possono essere idonee
determinare una responsabilità del custode.
Le cose di cui il custode deve rispondere, possono essere idonee a
cagionare il danno, a causa di ulteriori fattori o agenti ( agenti
atmosferici ).
Una tale caratteristica non applica l’art. 2051 c.c., infatti sè particolari
condizioni ( agenti atmosferici ) abbiano fatto divenire la cosa fonte di
danno per i terzi ( caso fortuito ), di detto fatto non è responsabile il
custode.
L’art. 2051, prevede a carico del custode l’onere di provare il caso
fortuito, inteso quale evento esterno causalmente idoneo a produrre il
danno.
La mancata prova del fortuito rende responsabile il custode della cosa.
La legge, vuole sia la prova del fatto estraneo che ha cagionato il danno,
sia la prova della assenza di colpa del custode (diligenza nella custodia
nell’aver adottato le misure idonee ad evitare l’evento dannoso).
Sussiste la responsabilità del condominio di un edificio per i danni arrecati
dai beni e servizi comuni, anche se i danni siano imputabili ai vizi
edificatori dello stabile, comportanti la concorrente responsabilità del
costruttore-venditore, non potendosi equiparare i difetti edificatori
dell’immobile al caso fortuito, che costituisce unica causa di esonero del
custode dalla responsabilità. (Cas.civ. 12211/03; C. 6507/86).

4. RESPONSABILITA’ DELL’APPALTATORE.
Nel caso di edifici o altre cose immobili, nel corso di dieci anni dal
compimento, per l’opera viziata o con gravi difetti, l’appaltatore è
responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché
sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta.
L’art. 1669 c.c. disciplina le conseguenze dannose dei vizi a seguito della
realizzazione di opere.
Per gravi difetti si intende alterazioni che attengano a quegli elementi,
che consentono l’impiego cui l’opera è destinata, (C. 11740/03),
pur non comportando rovina, siano produttivi di danni di particolare
rilievo, e necessitano di opere per porvi rimedio, essendo parzialmente
inutilizzabile l’opera (T. Asti 3.11.88).
A parere dello scrivente i comndomini:
· devono contribuire alle spese della conservazione del bene comune
( art.1118 c.c. art. 1133 c.c. ) e quindi risarcire l’impresa Parco Blu
s.r.l. della somma di Euro 35.000,00;
· se ritengono la gestione dell’amministratore irregolare devono
chiederne la revoca ( art. 1129 c.c. );
· se vogliono accertarne la responsabilità per i provvedimenti presi
dall’amministratore possono ricorrere all’assemblea, e all’autorit
giudiziale ( art. 1133 2 comma );
· devono chiedere all’amministratore quale custode delle cose
comuni, di dimostrare l’evento fortuito, e la diligenza nella custodia
dei lucernari per evitare che cada su di esso, Amministratore, la
responsabilità da custodia delle cose ( art. 2051 c.c.), per
l’indennizzo dei passanti;
· devono chiedere all’amministratore di esonerare da ogni
responsabilità il condominio per eventuali sanzioni amministrative, a
seguito della mancata autorizzazione amministrativa;
· devono far accertare la responsabilità della Parco Blu s.r.l., quale
esecutrice dell’opera, per la scelta del materiale usato, e
chiederne la contribuzione nella giusta misura al risarcimento dei
passanti, oltre alla immediata adeguata sistemazione dei lucernari
( art. 1669 c.c. ).

Parere legale motivato di diritto civile -compravendita d’immobile – intermediazione – agenzia immobiliare- annuncio pubblicitario- difetto-irregolarità della licenza di costruire- responsabilità dell’agenzia immobiliare di mediazione.

a cura del dott. DOMENICO CIRASOLE

Tra i contratti di alienazione diretti a realizzare uno scambio di beni, vi è la
compravendita (artt. 1470-1547 c.c.); contratto consensuale, traslativo, a titolo
oneroso, e a prestazioni corrispettive.
Seguendo la terminologia del codice (art. 1376 c.c.), deve dirsi che la vendita è contratto ad effetti reali.
L’effetto traslativo, di norma, è immediato.
L’accordo delle parti, segna il momento in cui, il contratto si perfeziona.
La vendita di cosa giuridicamente irregolare può tradursi in una incommerciabilità del
bene, con conseguente nullità della vendita.
Nelle vendite immobiliari frequenti sono i casi di aliud pro alio.
Con l’introduzione dell’art. 17 e dell’art. 40 della legge n.47/1985, le vendite di fabbricati costruiti senza concessione edilizia sono nulle per incommerciabilità del bene.
Il sistema positivo conosce:
1. vizi della cosa (art. 1490 c.c.);
2. mancanza delle qualità promesse (art. 1497 c.c.);
3. mancanza delle qualità essenziali per l’uso cui la cosa è destinata (art. 1497 c.c);
4. cattivo funzionamento del bene (art. 1512 c.c.).
La protezione del compratore, nella garanzia per vizi, si realizza attraverso una serie
di rimedi che, come emerge dagli artt. 1492, 1493 e 1494 c.c, sono costituiti dalla:
A. risoluzione del contatto (azione c.d. redibitoria),;
B. dalla riduzione del prezzo (azione c.d. estimatoria o quanti minoris);
C. dal risarcimento del danno.
Attraverso l’affermazione di responsabilità si ottiene risultati che si conseguirebbero se il contratto prevedesse una clausola espressa di garanzia. Ricordiamo:
a) Responsabilità durante le trattative per violazione di obblighi di informazione su
circostanze fondamentali per il buon esito della trattativa (culpa in contrahendo);
b) Responsabilità durante l’esecuzione di un contratto per violazione, di doveri di
correttezza (artt. 1175 e 1375 c.c.);
c) Responsabilità extracontrattuale .
La disciplina dell’offerta con messaggi pubblicitari dal punto di vista della comunicazione pubblicitaria si trova nel d. m. 581, artt. 10 e 11, mentre quella dei contratti stipulati a seguito di tali offerte è data del d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50.
Sotto il profilo della loro incidenza sulla formazione del contratto
criterio determinante diviene quello della quantità e qualità di informazioni
trasmesse.
Il fenomeno della pubblicità commerciale come strumento di promozione
del prodotto assolve quindi ad funzione persuasiva ed informativa con annessa
responsabilità nel caso di informazioni non veritiere.
Una distinzione importante è quella fra offerta al pubblico e promessa al pubblico.
Quest’ultima consiste, in quella dichiarazione con la quale un soggetto, «rivolgendosi
al pubblico, promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata
situazione o compia una determinata azione», con la conseguenza che il promittente
«è vincolato dalla promessa non appena questa è resa pubblica» (art. 1989, 1° co., c.c).
Mentre l’offerta al pubblico, «quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta, salvo che risulti diversamente dalle
circostanze o dagli usi» (art. 1336, 1° co., c.c).
Sotto il profilo del contenuto una prima distinzione si impone tra offerta al pubblico
ed invito ad offrire.
In proposito è lo stesso art. 1336 c.c. a richiedere che l’offerta al pubblico contenga «gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta».
Dunque, solo in presenza di tutti gli elementi per la conclusione del contratto si dovr
riscontrare un’offerta, altrimenti si tratterà di un invito ad offrire.
Così, in giurisprudenza si è ritenuto che un annuncio economico su di un giornale,
relativo alla disponibilità di un appartamento, in quanto «mancante di tutti gli elementi
del futuro contratto», non fosse qualificabile come offerta al pubblico dell’appartamento stesso.
La disciplina della mediazione, collocata nel Titolo III del Libro IV, si limita a descrivere i caratteri negoziali dell’istituto, lasciando poi alle leggi speciali il compito di disciplinare la mediazione professionale.
La legge n. 39 del 1989 ha spazzato via le tradizionali categorie del mediatore
occasionale, di quello professionale e di quello iscritto nei ruoli speciali.
L’unica categoria riconosciuta e disciplinata è quella dell’agente di affari in
mediazione che ricomprende gli agenti immobiliari, quelli merceologici e gli agenti
muniti di mandato a titolo oneroso, tra i quali rientrano anche coloro che, in modo
occasionale o discontinuo, svolgono su mandato a titolo oneroso attività per le
conclusioni di affari relativi ad immobili o aziende.
La novità normativa di maggior peso sta dunque nel ritenere inammissibile la figura
del mediatore occasionale.
Sono tenuti tutti all’iscrizione nei ruoli istituiti presso ciascuna Camera di commercio non solo coloro che, quale che sia la specie di mediazione esercitata, svolgono
professionalmente l’attività interpositrice, ma anche coloro che svolgono o intendono
svolgere l’attività di mediazione in modo discontinuo od occasionale.
La mancata iscrizione nei ruoli istituiti presso le Camere di commercio impedisce al
mediatore professionale o occasionale di rivendicare il diritto alla provvigione (art. 6).
Inoltre chiunque eserciti l’attività di mediazione senza essere iscritto nel ruolo è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro e deve
restituire alle parti contraenti le provvigioni eventualmente percepite (art. 8).
La messa in relazione delle parti di cui all’art. 1754 c.c. in tanto si porrà come
elemento costitutivo della fattispecie descritta dalla norma in quanto venga accettata
dalle parti intermediate: il consenso delle parti è dunque l’ingrediente che permette
alla combinazione degli elementi materiali di assumere i connotati della mediazione.
All’art. 5, n. 4 della legge n. 39 del 1989 si obbliga tutti i mediatori a depositare
preventivamente presso la Commissione, istituita ai sensi del successivo art. 7, i
moduli o formulari nei quali sono indicate le condizioni del contratto, ovvero i diritti e
gli obblighi del mediatore e della parte che gli conferisce l’incarico.
Le compravendite di immobili passano in gran parte attraverso agenti immobiliari.
Di loro torna ad occuparsi espressamente la legge n. 39 del 1989 quando prevede una distinta sezione degli agenti di affari in mediazione destinata proprio agli agenti immobiliari (art. 2, n. 2) e quando afferma, come principio generale, che devono essere iscritti nel ruolo tutti coloro che svolgono a qualsiasi titolo l’attività di mediazione per conto di imprese organizzate, anche in forma societaria, per l’esercizio della mediazione (art. 3, n. 5).
Il 1° co. dell’art. 1755 c.c. prevede il diritto del mediatore alla provvigione solo se
l’affare è concluso per effetto del suo intervento.
L’art. 1756 c.c. obbliga le parti intermediate a rimborsare al mediatore le spese
sostenute ed a corrispondergli la provvigione ad affare concluso.
Il mediatore deve svolgere la sua attività osservando i principi della lealtà e della
correttezza.
Ma la regola dell’agire secondo buona fede non può essere disattesa neppure dalle
parti intermediate, che devono pertanto astenersi da tutti quei comportamenti che
potrebbero risultare in contrasto con gli stessi principi della correttezza e della lealtà.
Il principio della buona fede è violato anche quando non è rispettato l’obbligo di
informazione che è a carico delle parti intermediate. Infatti non spetta al solo
mediatore informare compiutamente le parti in relazione all’affare che dovranno
concludere: proprio perché il comportamento dei soggetti intermediati deve
uniformarsi ai principi della correttezza e della lealtà.
Secondo quanto precisa l’art. 1755, comma 1, c.c., perché ciascuna delle parti
intermediate sia obbligata a corrispondere la provvigione non sono dunque sufficienti
l’esercizio dell’attività mediatoria e la messa in relazione delle parti, ma sono necessari altri due presupposti:
A. che l’affare si concluda:
B. che vi sia un nesso causale tra l’attività del mediatore e l’affare intermediato.
La giurisprudenza ha accolto il prevalente convincimento della dottrina sul significato dell’espressione «conclusione dell’affare».
Il mediatore avrebbe diritto di pretendere la provvigione non quando,
consenzienti le parti, sia sorto il vincolo giuridico, ma quando l’interesse voluto dalle
parti sia garantito da «quei presupposti di validità che appagano l’interesse economico
delle parti e rendono il negozio azionabile».
L’art. 1757 c.c. 1° comma si deduce che il mediatore può pretendere la provvigione
solo se si sono effettivamente realizzati gli effetti voluti dalle parti;
Tra gli obblighi espressamente previsti dalla legge per il mediatore rientra quello di
informazione (art. 1759, comma 1, c.c.).
Il mediatore deve comunicare alle parti tutte le circostanze a lui note che possano in
un qualche modo influire sulla conclusione dell’affare al fine di permettere alle parti di poter valutare la convenienza e la sicurezza dell’operazione economica.
All’art. 1759, comma 2, c.c. si dispone che il mediatore risponde dell’autenticità della
sottoscrizione delle scritture e dell’ultima girata dei titoli trasmessi per suo tramite.
Dopo questa breve introduzione di carattere generale nella fattispecie in esame si ricorda che TIZIO leggendo un annuncio pubblicitario della agenzia di mediazione immobiliare, sottoscrive una proposta d’acquisto, accettata dalla parte venditrice, e stipula un atto pubblico di compravendita a rogito del notaio Leggioni.
TIZIO decide di costruire un porticato, predispone il relativo progetto, e ne chiede
autorizzazione alla costruzione.
In quella occasione TIZIO viene a conoscenza di rilevanti irregolarità amministrative
dell’immobile in questione.
Infatti scopre che :
1. La superficie coperta è superiore a quella autorizzata;
2. È stata eliminata una rimessa con il rispettivo accesso;
3. La rimessa era stata accorpata all’abitazione.
Viste la non conformità alla licenza di costruire rilasciata dal comune di Roma chiede
alla agenzia di mediazione immobiliare la restituzione delle provvigioni.
Al momento della stipula della proposta d’acquisto, e dell’atto di compravendita, la
parte acquirente non era ha conoscenza delle vicende amministrative dell’immobile
cadendo in errore su una qualità essenziale dell’oggetto del contratto.
Causa dell’errore sono le seguenti circostanze:
1. La dichiarazione della venditrice nel atto di vendita di possedere regolare licenza di
costruzione;
2. La mancanza del mediatore incaricato durante le trattative, di richiedere al
venditore licenza edilizia di costruire.
All’epoca della trattativa e della stipula dell’atto l’immobile era privo di licenza
edilizia regolare di costruire.
La mediatrice non era conoscenza di tale carenza e non ha accertato la regolarità di
tale certificazione.
D’altronde TIZIO all’atto dell’acquisto non dichiarava di rinunciare alla presenza dei
requisiti giuridici per la legittima utilizzazione del‘immobile, accontentandosi della
sua utilizzabilità in via di fatto.
L’art. 1759 c.c., comma 1, impone al mediatore l’obbligo di comunicare alle parti le
circostanze a lui note circa la valutazione e sicurezza dell’affare che possano influire
sulla sua conclusione .
Il mediatore, pur non essendo tenuto, nell’adempimento della sua prestazione deve
compiere specifiche indagini di natura tecnico – giuridica al fine di individuare
circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell’affare a lui non note.
Il mediatore è tenuto ad un obbligo di corretta informazione secondo il criterio
della media diligenza professionale, il quale comprende, l’obbligo di comunicare le
circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede
al mediatore.
Il mediatore ha divieto di fornire informazioni non veritiere, e informazioni delle
quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato poiché il dovere di
correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle.
In particolare, qualora il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia
consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non
veritiere, ovvero ometta di comunicare circostanze da lui non conosciute ma
conoscibili con l’ordinaria diligenza professionale, è legittimamente configurabile una
sua responsabilità per i danni sofferti, per l’effetto, dal cliente ( Cass. 24 ottobre 2003, n. 16009).
Nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di licenza a costruire
costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto poiché vale a
incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico –
sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità.
La verifica dell’esistenza della licenza di costruire costituisce un accertamento di
ordinaria diligenza ed è la prima verifica cui è tenuto il mediatore, ancora prima di
offrire lo stesso a soggetti interessati all’acquisto di immobili da adibire ad abitazione.
Ergo che l’agenzia di mediazione è gravemente venuta meno ai propri obblighi
Professionali proponendo a TIZIO l’acquisto di un immobile diverso da quello
voluto.
A parere dello scrivente a causa dell’errore essenziale dell’oggetto della compravendita è possibile proporre:
1. Ai sensi dell’art. 1445 c.c., l’annullamento del contratto con effetto retroattivo;
2. Ai sensi dell’art. 1759 c.c., la restituzione della provvigione percepita dalla agenzia
di mediazione immobiliare per la prestata attività di mediazione, ritenendola
responsabile;
3. Ai sensi dell’art. 1460 c.c. per il mancato rilascio della licenza di costruire che
integra inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, Tizio può
pretendere un risarcimento per la ridotta commerciabilità del bene.
Dott. Domenico Cirasole