Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sent. n. 981/09

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:

Elvio Antonelli Presidente f.f., relatore

Stefano Mielli Referendario

Marina Perrelli Referendario

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 444/2009, proposto, ex art. 21 bis l. 1034/71, da Boudraa Abdelilah, rappresentato e difeso dall’avv. Caterina Bozzoli, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 R.D. 26 giugno 1924, n. 1054;

CONTRO

Il Ministero dell’Interno, in persona del ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria in Venezia, p.zza S. Marco n. 63;

avverso il silenzio inadempimento serbato dall’Amministrazione sull’istanza di acquisto della cittadinanza italiana, presentata dal ricorrente in data 18.9.2006.

Visto il ricorso, notificato il 2 febbraio 2009 e depositato presso la Segreteria il 6 febbraio 2009, con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno;

Visti gli atti tutti di causa;

Uditi nella camera di consiglio del 25 marzo 2009 – relatore il Presidente f.f. E. Antonelli – l’avv. Tarantello in sostituzione di Bozzoli per la parte ricorrente e l’vv. dello Stato Bonora per la P.A.;

considerato che dagli atti prodotti al giudizio risulta che in data 6.3.2009 è stato adottato a beneficio del ricorrente il decreto di conferimento della cittadinanza;

che pertanto nella fattispecie in esame deve ritenersi cessata la materia del contendere;

che sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Terza Sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, dichiara la cessata materia del contendere in ordine al ricorso.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, addì 25 marzo 2009.

Il Presidente f.f.-Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Terza Sezione

T.A.R. Veneto – III Sezione n.r.g. 444/09

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sent.n.973/09

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti Presidente

Stefano Mielli Primo Referendario

Marina Perrelli Referendario, relatore

ha pronunciato, nella forma semplificata di cui agli artt. 21 e 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la seguente

SENTENZA

nel giudizio introdotto con il ricorso n. 590/2009 proposto da Chen Jianli, rappresentato e difeso dall’avv. Ilenia Tonello con elezione di domicilio presso lo studio dell’avv. Anna Letizia Virgilio, in Venezia Mestre, via Bissolati, 5;

CONTRO

l’Amministrazione dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge;

per l’annullamento del decreto Cat. A.12/2008/Imm. n. 281/2008 il 18.11.2008, notificato l’11.12.2008, con il quale il Questore di Vicenza ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato presenta dal ricorrente il 27.10.2007;

visto il ricorso, notificato il 5 febbraio 2009 e depositato presso la Segreteria il 27 febbraio 2009, con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’interno;

visti gli atti tutti di causa;

uditi all’udienza camerale dell’11 marzo 2009 (relatore il Referendario Marina Perrelli), l’avv. Tonello per la parte ricorrente e l’avv. dello Stato Gasparini per la P.A. resistente;

considerato

che, nel corso dell’udienza camerale fissata nel giudizio in epigrafe, il Presidente del Collegio ha comunicato alle parti come, all’esito, avrebbe potuto essere emessa decisione in forma semplificata, ex artt. 21, XI comma, e 26, IV e V comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e queste non hanno espresso rilievi o riserve;

che sussistono effettivamente i presupposti per pronunciare tale sentenza nei termini come di seguito esposti:

FATTO E DIRITTO

Con il decreto impugnato il Questore di Vicenza ha rigettato l’istanza di rinnovo di permesso di soggiorno per motivi di lavoro presentata dalla cittadina cinese Chen Jianli evidenziando:

– che in data 14 novembre 2007 la Questura di Vicenza – Ufficio misure di prevenzione e sicurezza – emetteva nei confronti della ricorrente un avviso orale con il quale la avvisava che esistevano a suo carico i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione personali di cui all’art. 3 della legge n. 1423/1956;

– che il 14 marzo 2008 la ricorrente è stata condannata con sentenza del Tribunale di Vicenza n. 348 ad anni due e mesi otto di reclusione per i reati di sequestro di persona ex art. 605 c.p. e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ex art. 12, commi 5 e 22, del D.Lgs. n. 286/1998;

– che la condanna per i predetti due reati costituisce causa ostativa all’ingresso e alla permanenza in Italia dello straniero in base al combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/1998.

A sostegno del ricorso Chen Jianli ha dedotto:

1) la violazione dell’art. 2, commi 6 e 7, del D.Lgs. n. 286/1998 e dell’art. 24 Cost. poiché il diniego impugnato non solo non è stato tradotto né nella madrelingua della ricorrente, né in altra lingua conosciuta dalla medesima, ma non consta altresì che l’amministrazione procedente abbia verificato il grado di comprensione della lingua italiana da parte di Chen Jianli con conseguente violazione del diritto di difesa;

2) la violazione degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/1998 giacché la Questura di Vicenza ha omesso di considerare che uno dei capi di imputazione per i quali la ricorrente era stata rinviata a giudizio (art. 600 c.p.) è stato archiviato e che, comunque, la sentenza di condanna non è passata in giudicato, nonché il fatto che manca ogni valutazione in ordine all’attualità della pericolosità sociale della ricorrente, non avendo tenuto nella debita considerazione le circostanze della sua permanenza in Italia da quasi dieci anni, dell’assenza di misure di sicurezza disposte dall’Autorità giudiziaria, dell’attività lavorativa e della situazione familiare;

3) eccesso di potere per difetto di motivazione, per travisamento dei presupposti di fatto, per carenza di istruttoria di cui è indice sintomatico la non menzione dell’archiviazione del capo di imputazione relativo all’art. 600 c.p..

Il Ministero dell’Interno, ritualmente costituitosi in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso in quanto infondato.

Il ricorso è infondato e va, quindi, respinto.

Nella fattispecie in esame trovano applicazione le disposizioni contenute nell’art. 4, 3 comma, del D.Lgs. n. 286/1998, come modificato dall’art. 4, 1 comma, lettera b) della legge n. 189/2002, ai sensi del quale non è ammesso in Italia lo straniero “…che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per i reati previsti dall’art. 380, 1 e 2 comma, c.p.p. ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati (…)”, e dell’art. 5, 5 comma, dello stesso decreto che prevede che “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’art.22, 9 comma, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”.

Nel caso di specie, dunque, l’autorità procedente ha correttamente evidenziato, nelle premesse del decreto impugnato, che la condanna per i reati di sequestro di persona e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è elemento assolutamente ostativo al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno, alla luce del richiamato art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/1998, il quale pone sullo stesso piano l’ipotesi del rilascio e quella del rinnovo del permesso.

Peraltro, merita di essere rammentato che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la condanna, anche non definitiva, per reati previsti come ostativi dall’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998 vincola l’autorità amministrativa a rifiutare il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n.359/2007; Cons. Stato, sez. VI, n. 2866/2006; TAR Veneto, sez. III, n. 1038/2007; n.1220/2007; n.1217/2007; n. 1580/2007). Ne consegue che il provvedimento impugnato è conforme al disposto dell’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002, in relazione all’art. 5, comma 5, del medesimo decreto, a prescindere da ogni valutazione in ordine all’attualità della pericolosità sociale della ricorrente.

Deve, infine, essere disatteso anche il motivo di ricorso con il quale la ricorrente lamenta che il provvedimento impugnato le sarebbe stato comunicato solo in lingua italiana, senza provvedere alla traduzione nella sua madre lingua o in una delle lingue – inglese, francese o spagnolo- previste dalle disposizioni di legge.

L’art. 13, comma 7, del d.lgs. n. 286/1998 stabilisce, infatti, che ogni atto “concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, sono comunicati all’interessato unitamente all’indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola”.

Come già affermato da questo stesso Tribunale in precedenti pronunce concernenti casi analoghi, la predetta previsione non è in alcun modo espressamente sanzionata con la nullità ovvero con l’invalidità del provvedimento emesso in sua violazione, coonestando, in tal modo, la condivisibile soluzione giurisprudenziale, per cui l’omessa traduzione del provvedimento allo straniero in una lingua a lui conosciuta, o, in subordine, nelle tre lingue citate, non ne costituisce vizio di legittimità, “non incidendo in alcun modo sulla correttezza del potere esercitato, ma essendo esclusivamente finalizzata a rendere effettivo il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.” (Cons. Stato, IV, 19 ottobre 2004, n. 6749).

Si tratta, dunque, di una mera irregolarità, la quale può eventualmente giustificare la rimessione in termini, ove il ricorso giurisdizionale avverso tale provvedimento sia stato proposto oltre l’intervallo prescritto. Ne discende che il provvedimento impugnato sicuramente non presenta profili di discrezionalità ed è stato legittimamente emesso per le motivazioni suesposte e, comunque, la mancanza della traduzione non basterebbe da sola a farlo annullare (cfr. TAR Veneto, sez. III, n. 1321/2007; 1324/2007). Nella fattispecie in esame, peraltro, la dedotta censura appare irrilevante anche perché può ragionevolmente presumersi che, dopo quasi dieci anni di soggiorno sul territorio italiano, peraltro passato a svolgere un’attività lavorativa, la ricorrente sia in grado di comprendere adeguatamente il contenuto del provvedimento impugnato, sebbene redatto in italiano.

Sulla scorta delle predette argomentazioni il ricorso deve essere, pertanto, respinto.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione resistente, liquidandole in complessivi € 1.500,00, di cui euro 200,00 per spese, ed il resto per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 11 marzo 2009.

Il Presidente l’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Terza Sezione

T.A.R. per il Veneto – III Sezione n.r.g. 590/09

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sent. n. 1195/09

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione seconda, costituito da:

Giuseppe Di Nunzio Presidente

Italo Franco Consigliere, relatore

Brunella Bruno Referendario

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 229/2009 proposto da ROSSI MARTA, rappresentata e difesa dagli avv.ti Umberto Costa, Fabrizio Pertile e Sergio Pertile, con domicilio presso la segreteria del T.A.R. ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.1924 n. 1054;

CONTRO

il Comune di Venezia in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giulio Gidoni, M.Maddalena Morino, Antonio Iannotta, Maurizio Ballarin, Nicoletta Ongaro e Giuseppe Venezian, con elezione di domicilio presso la Civica Avvocatura nella sede municipale;

PER

l’annullamento del silenzio-rifiuto formatosi in ordine all’adozione del piano di lottizzazione proposto dalla ricorrente in data 23.11.2006.

Visto il ricorso, notificato il 23.1.2009 e depositato presso la segreteria il 23.1.2009, con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia, depositato il 2.2.2009;

Visti gli atti tutti della causa;

Visto l’art. 21 bis della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 introdotto dall’art. 2 della L. 21 luglio 2000 n. 205;

Uditi nella camera di consiglio dell’1 aprile 2009 – relatore il Consigliere Italo Franco – l’avv. F.Pertile per la ricorrente e l’avv. Gidoni per il Comune di Venezia;

Considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO

La sig.ra Rossi, proprietaria di un terreno della superficie di mq. 144.600 in Comune di Venezia – Malcontenta, in zona classificata dalla variante al PRG approvata con DGR n. 3905 del 3.12.2004 “C2RS112” (id est, residenziale di espansione, con una suscettibilità edificatoria pari a circa il 3%, per mq. 5.000), dopo avere ottenuto un parere preliminare positivo dal dirigente responsabile (il 3.11.2005), richiedeva al comune l’approvazione di un PUA (o PdL). Quivi si prevedeva la realizzazione, oltre che di 16 unità abitative bifamiliari a un piano, il recupero di un fabbricato esistente, la creazione di un’area a verde e di una strada ciclo-pedonale, con costi di manutenzione a proprio carico.

Nonostante i pareri favorevoli di vari organi –tra cui il parere di regolarità tecnica del 26.05.2008-, l’amministrazione comunale, rimasta in un primo tempo silente, interpellava, il 5.06.2008, la commissione di salvaguardia di Venezia (d’ora in avanti: CSV), la quale dava parere negativo (il 13.10.2008) ritenendo: che l’assetto urbanistico sarebbe peggiorativo rispetto al PRG; che la campagna circostante il forte deve essere lasciata incolta perché fascia di rispetto dello stesso.

Quindi la Rossi –che già aveva inutilmente diffidato il Comune in precedenza, notificava nuova diffida (al sindaco e agli assessori) il 15.10.2008, nel contesto della quale si afferma non essere dovuto il parere della CSV, per essere il sito esterno alla “conterminazione lagunare”. Ma in due note dell’ufficio legale del Comune (la seconda dell’11.11.2008) si sostiene, al contrario, che trova applicazione l’art. 14 della l. 29.11.84 n. 798.

Quindi, per contrastare la permanente assenza di pronuncia dell’amministrazione, l’interessata ha proposto ricorso contro il silenzio, ai sensi dell’art. 21 bis della l. n. 1034/71.

Con articolato motivo essa sostiene che, mancando tuttora un provvedimento espresso, il Comune è inadempiente, in violazione dell’art. 2 della l. n. 241/90, soggiungendo che è stato violato anche il divieto di aggravare il procedimento, con il richiedere il parere alla CSV.

L’area, che è situata nell’entroterra, al confine con il comune di Mira, è esterna alla conterminazione lagunare (donde l’inesistenza della necessità di sentire la CSV, la quale ha, comunque, lasciato trascorrere invano i 90 giorni –di cui all’art. 20 della l.r. n. 11/2004- dal parere di regolarità tecnica sopra ricordato). E’ stato, altresì, violato, con il comportamento dilatorio e ostruzionistico della P.A., anche il principio di buona fede e di correttezza. Infine, in considerazione della conformità alla destinazione posta dal PRG, l’assenso al piano richiesto si configura come un atto vincolato.

Conclude la ricorrente con la domanda di accertare l’illegittimità del silenzio serbato dalla P.A. e di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa, ordinando al comune di assentire il PdL entro trenta giorni.

Resiste l’Amministrazione comunale, asserendo che è in corso l’emissione del provvedimento, a tale proposito depositando bozza della delibera di G.M., per il che veniva disposto il rinvio della trattazione in attesa della formalizzazione della delibera. In limine alla nuova udienza camerale la P.A. resistente ha, quindi, depositato: richiesta di parere alla municipalità di Marghera; convocazione della V^ commissione edilizia per il 31.3.2009, con all’ordine del giorno la proposta di restituzione del P.d.L..

All’udienza camerale del 1° aprile 2009, in mancanza di assicurazione, da parte del difensore del Comune, circa i tempi di assunzione della delibera, il difensore della ricorrente ha insistito sulle proprie domande, chiedendo che la causa fosse spedita in decisione.

DIRITTO

Dalla narrativa in fatto che precede si evince la fondatezza del ricorso proposto contro il silenzio. In effetti, il procedimento iniziato con la richiesta di approvazione del P.d.L. è stato realizzato per un lungo tratto, ma non è pervenuto alla conclusione con un provvedimento formale, nemmeno in senso sfavorevole (provvedimento che può essere di approvazione, o di restituzione del piano, ai sensi dell’art. 20 del T.U. edilizia).

Anche nelle difese svolte in giudizio, il Comune non ha inteso dare indicazioni affidabili circa la data di formalizzazione della delibera di restituzione.

Tanto premesso e considerato, non resta al Collegio che accogliere il ricorso, ordinando alla P.A. resistente di emettere un provvedimento esplicito sull’istanza di approvazione del P.d.L. di cui è causa, entro trenta giorni dalla data di comunicazione in via amministrativa, o di notificazione a cura di parte, se più tempestiva, della presente sentenza.

Non può, invece, accogliersi la domanda di pronuncia sulla fondatezza della pretesa, sia in considerazione delle peculiarità della fattispecie (con riguardo ai contrastanti pareri espressi nel corso del procedimento), sia del fatto che non ci si trova al cospetto di un provvedimento vincolato (evidente essendo l’esistenza di margini di discrezionalità della P.A. al riguardo).

Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione seconda, definitivamente pronunziando sul ricorso suindicato, lo accoglie. Per l’effetto ordina al Comune di Venezia di emettere un provvedimento esplicito sull’istanza di approvazione del P.d.L. a suo tempo formulata dalla ricorrente, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione, se antecedente, della presente sentenza.

Condanna il Comune di Venezia al pagamento, a favore della ricorrente, delle spese e competenze del giudizio che liquida forfettariamente in € 2.000,00 oltre agli oneri di legge (i.v.a. e c.p.a.)

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, in camera di consiglio, l’1 aprile 2009.

Il Presidente L’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Seconda Sezione

T.A.R. Veneto – II Sezione n.r.g. 229/2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sent 440/09

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Giuseppe Di Nunzio Presidente

Angelo Gabbricci Consigliere, relatore

Domenico Landi Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 62/2009 proposto da Gianluca Pagnin, rappresentato e difeso dall’avv. C. Fenzo, con domicilio eletto presso il suo studio in Venezia, S. Croce 384;

contro

il Comune di Venezia, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. ti Gidoni e Iannotta, con domicilio eletto presso la civica Avvocatura nella sede municipale,

per l’annullamento del provvedimento comunale 23 ottobre 2008, n. 448965/MP, con cui il dirigente comunale dell’area dello sviluppo e pianificazione del sistema di gestione del traffico acqueo del Comune di Venezia, ha revocato la concessione di spazio acqueo a Gianluca Pagnin.

Visto il ricorso, notificato il 24 dicembre 2008 e depositato presso la Segreteria il 12 gennaio 2009, con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia, depositato il 15 gennaio 2009;

Visti gli atti tutti di causa;

Uditi alla camera di consiglio del 4 febbraio 2009, convocata a’ sensi dell’art. 21 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 così come integrato dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000 n. 205 – relatore il consigliere A. Gabbricci – l’avv. Righetti in sostituzione dell’avv. Fenzo per il ricorrente e l’avv. Iannotta per il Comune resistente;

considerato

che, nel corso dell’udienza camerale fissata nel giudizio in epigrafe, il Presidente del Collegio ha comunicato alle parti come, all’esito, avrebbe potuto essere emessa decisione in forma semplificata, ex artt. 21, XI comma, e 26, IV e V comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e queste non hanno espresso rilievi o riserve;

che sussistono effettivamente i presupposti per pronunciare tale sentenza nei termini di seguito esposti.

1. Il Comune di Venezia rilasciò a Gianluca Pagnin la concessione 23 agosto 1999, n. 418/T/99, per l’occupazione permanente di uno spazio acqueo in rio di S. Polo della superficie di m² 10, in aderenza al fabbricato al civico 2101 del sestiere omonimo.

2. Con il provvedimento 23 ottobre 2008, n. 448965/MP, del competente dirigente, l’Ente ha ritirato tale concessione per violazione dell’art. 4, II comma, del regolamento comunale per la circolazione acquea nel Comune di Venezia, nella parte in cui si prevede tale sanzione qualora “la concessione non venga utilizzata per un periodo superiore ai mesi 6”: circostanza che, in specie, è emersa dai molteplici sopralluoghi effettuati dai vigili urbani, previa segnalazione di tale Andrea Bacciolo, cui lo spazio acque è stato quindi assegnato con provvedimento 11 novembre 2008, n. 29124.

3. Il provvedimento è stato impugnato con il ricorso in esame, sostenendo, in estrema sintesi, che il Pagnin, diversamente da quanto affermato dai vigili, avrebbe quasi costantemente occupato lo spazio assegnatogli, e che questo durante il giorno era vuoto, od occupato da altre barche, perché l’interessato utilizzava normalmente la propria imbarcazione per spostarsi in Laguna e raggiungere le proprie sedi di lavoro.

4.1. L’Amministrazione resistente ha sollevato un’eccezione preliminare.

Il ricorrente afferma, invero, che lo spazio acqueo già a lui attribuito è stato riassegnato ad Andrea Bacciolo, “contestualmente alla revoca della concessione”.

Il Comune ne trae la conclusione che il Bacciolo sarebbe controinteressato, anzitutto in senso sostanziale, ma anche in senso formale, visto che lo stesso ricorrente lo individua come portatore di un interesse alla conservazione del provvedimento impugnato: e poiché il ricorso non sarebbe stato notificato a quest’ultimo nel termine stabilito, lo stesso sarebbe inammissibile.

4.2. Invero, nonostante le fuorvianti affermazioni contenute nel ricorso, è da ricordare che il provvedimento di revoca e quello di riassegnazione dello spazio acqueo non sono stati contestuali: tra gli stessi sono in realtà intercorsi ben 19 giorni, e solo dopo il secondo atto (che non è per il Pagnin immediatamente lesivo e non è stato comunque impugnato) il Bacciolo si è trovato in una posizione giuridica di vantaggio.

Ora, la qualità di controinteressato all’annullamento di un provvedimento amministrativo – nel caso, quello di revoca – va accertata con riferimento alla data d’emanazione del provvedimento stesso, a nulla rilevando le situazioni sopravvenute (così C.d.S., V, 18 gennaio 2006, n. 128).

Poiché è stato avvantaggiato da un atto consequenziale a quello pregiudizievole per il ricorrente e da quest’ultimo impugnato, il Bacciolo assume qui la posizione di “controinteressato successivo”: questo ha bensì la facoltà d’intervenire in giudizio o d’impugnare la sentenza sfavorevole (conf. C.d.S., IV, 31 luglio 2007, n. 4248), ma il ricorrente non ha l’onere d’evocarlo in giudizio a pena d’inammissibilità del ricorso.

5.1. Tanto precisato, il ricorso è peraltro infondato.

5.2. Intanto, le circostanze esposte dal Pagnin per giustificare la constatata assenza della sua imbarcazione dallo spazio acqueo assegnatogli in concessione, non sono sorrette da alcun adeguato principio di prova.

Tale non può dirsi, se non altro per il suo contenuto paratestimoniale, la dichiarazione attribuita ad un vicino ed allegata al ricorso sub 7; restano altresì indimostrati anche elementi di fatto essenziali, come le attività professionali asseritamente svolte dal Pagnin, il temporaneo trasferimento dell’imbarcazione presso un cantiere per rimessaggio, e perfino l’attuale disponibilità della stessa imbarcazione.

5.3. Al contrario, l’istruttoria svolta dai vigili, quale compendiata nella nota 5 dicembre 2008, appare adeguata, per numero delle verifiche ed intervallo in cui le stesse si sono svolte: né il ricorso ha introdotto concreti elementi, i quali ragionevolmente consentano di dubitare della veridicità di quanto sostenuto dagli stessi vigili.

5.4. È poi vero che il provvedimento di revoca non contiene l’indicazione del termine e dell’autorità cui è possibile ricorrere, in violazione dell’ art. 3, IV comma, l. 241/90: ma ciò concreta unicamente una mera irregolarità, non incidente sulla legittimità dell’atto, e che dà titolo al destinatario di ottenere, ove necessario, la concessione dell’errore scusabile e la rimessione in termini (ex multis, C.d.S., V, 31 gennaio 2003, n. 501).

6. Il ricorso va, in conclusione, respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 150,00 per spese anticipate, ed in € 1.850,00 per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio addì 4 febbraio 2009.

Il Presidente L’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Seconda Sezione

T.A.R. Veneto – II Sezione n.r.g. 62/2008

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it