Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 72/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 172 del 2008 proposto dal signor Capovilla Giuliano, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Dalla Fior e Andrea Lorenzi ed elettivamente domiciliato presso lo studio degli stessi in Trento, via Paradisi, 15/5

CONTRO

– il Comune di Capriana (Trento), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Daria de Pretis ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa in Trento, via SS. Trinità, 14;

– la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;

– il Dirigente del Servizio espropriazioni e gestioni patrimoniali della Provincia autonoma di Trento, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

* della “determinazione del Dirigente del Servizio espropriazioni e gestioni patrimoniali della Provincia autonoma di Trento, prot. n. 1950/17reg/08-S146, Rep. N. 000439, di data 10.3.2008, n. 168, avente ad oggetto , notificata in data 5.5.2008”;
* di “ogni altro atto con il precedente connesso, presupposto o derivato, ivi compresa la determinazione del Servizio segreteria comunale di Capriana n. 2 di data 4.2.2008 richiamata nella determinazione dirigenziale precedentemente individuata, conosciuta in data 11.6.2008”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 26 febbraio 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – gli avv.ti Marco Dalla Fior e Andrea Lorenzi per il ricorrente e l’avv. Daria de Pretis per l’Amministrazione comunale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. Il signor Capovilla espone in fatto di essere proprietario dell’edificio tavolarmente individuato con la p.ed. 72 in C.C. Capriana acquistato nel 1990, unitamente alla p.f. 27, di mq. 66, area antistante detto edificio catastalmente definita “orto”.

Con provvedimento del 22.8.1991 rilasciato dal Sindaco del Comune di Capriana il ricorrente ha ottenuto la concessione di edificare n. 23/1991 per eseguire sull’immobile i lavori di restauro e di risanamento conservativo. In quell’occasione egli asserisce di aver provveduto a porre un nuovo selciato per l’intera estensione della p.f. 27 e di averne delimitato la proprietà con elementi lapidei di colore chiaro.

2. Con determinazione n. 2 del 4.2.2008 il Segretario comunale di Capriana ha attivato la procedura di regolarizzazione tavolare dell’esistente piazza perché “parzialmente insistente su suolo privato”, allegando che la particella fondiaria 27 sarebbe “opera pubblica esistente da più di venti anni”. Con provvedimento n. 168 del 10.3.2008 il Dirigente del Servizio espropriazioni e gestioni patrimoniali della Provincia autonoma di Trento ha emesso il decreto di esproprio della suddetta particella 27, ai sensi dell’art. 31 della legge provinciale 19.2.1993, n. 6.

3. Con ricorso notificato in data 20 – 23 giugno 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo 1 luglio, il signor Capovilla ha impugnato i menzionati provvedimenti, deducendo i seguenti motivi di diritto:

I – “violazione e falsa applicazione dell’articolo 31 della legge provinciale n. 6 del 1993 – carenza di presupposti, difetto di istruttoria e in ogni caso travisamento della realtà storica ed attuale”. L’istante sostiene che alcuno dei presupposti richiesti dal Legislatore ricorrerebbe nel caso dedotto, in quanto sulla sua proprietà non esisterebbe né un’opera pubblica né un’opera privata di interesse pubblico ma, all’opposto, essa sarebbe stata utilizzata fin dall’acquisto, avvenuto nel 1990, come parcheggio privato di pertinenza dell’abitazione;

II – “carenza assoluta di motivazione”, perché il provvedimento impugnato sarebbe del tutto immotivato limitandosi solamente ad affermare la sussistenza dei requisiti di legge;

III – “insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’articolo 31 della legge provinciale n. 6 del 1993 e conseguente erronea applicazione della legge stessa”, in quanto nel 1991 il deducente avrebbe realizzato a propria cura e spese la pavimentazione in porfido della p.f. 27 che successivamente sarebbe stata utilizzata come parcheggio e per depositarvi materiale;

IV – “ancora violazione di legge (articolo 31 della legge provinciale n. 6 del 1993) insussistenza dei presupposti – carenza di istruttoria – carenza assoluta di motivazione”: censure riferite alla determinazione del Segretario comunale di Capriana che ha attivato il procedimento espropriativo.

4. Nei termini di legge si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata, chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato nel merito.

5. Alla pubblica udienza del 26 febbraio 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

1. Al signor Giuliano Capovilla è stata notificata la determinazione del Dirigente del Servizio espropriazioni e gestioni patrimoniali della Provincia autonoma di Trento n. 168 del 10 marzo 2008 con la quale gli è stata espropriata, su richiesta e a favore del Comune di Capriana, la proprietà della p.f. 27 di mq. 66, in applicazione dell’articolo 31 della legge provinciale sugli espropri 19.2.1993, n. 6.

Detta particella consiste nell’area antistante l’abitazione dello stesso ricorrente, tavolarmente individuata dalla p.ed. 72 situata in Piazza Roma a Capriana, assuntamente come pertinenza dell’edificio fin dall’anno 1990 quando – con atto di compravendita stipulato in data 15.11.1990 davanti al notaio Poti di Cavalese, di repertorio n. 8713, G.N. 121/91 – l’isante acquistò le due realità dal signor Augusto Zanin.

L’anno successivo l’Amministrazione comunale ha rilasciato al ricorrente la concessione di edificare n. 23 di data 9.8.1991, autorizzando lavori di restauro e di risanamento conservativo sull’immobile. In quell’occasione, dopo aver sfruttato la piccola area davanti all’edificio per posizionarvi la gru utilizzata per i lavori di ristrutturazione, il deducente afferma di avervi posizionato un nuovo selciato per l’intera estensione, di averne delimitato la proprietà con elementi lapidei di colore chiaro e di aver successivamente usato l’area in questione come parcheggio a servizio dell’edificio, ma anche come deposito di vario materiale, quale legname.

Con il ricorso in esame egli ha impugnato le determinazioni del Segretario comunale e del Dirigente del Servizio espropriazioni e gestioni patrimoniali della Provincia autonoma di Trento, che hanno rispettivamente attivato e concluso il particolare procedimento espropriativo previsto dal citato articolo 31 della legge provinciale n. 6 del 1993, contestando sia le modalità con le quali si è svolta detta procedura che la sussistenza dei presupposti per potervi dare corso.

2. L’Amministrazione comunale sostiene, all’opposto, che verso la metà degli anni settanta, quando sarebbe stata sistemata Piazza Roma, vale a dire il principale foro del paese, la citata particella sarebbe stata accorpata ad essa e ne sarebbe divenuta parte integrante; che pertanto, dagli anni 1974 – 1975 fino ad oggi, sull’area tavolarmente corrispondente alla nominata particella insisterebbe parte della pubblica Piazza, adibita a parcheggi utilizzati da tutti i cittadini.

3. Entrambe le parti processuali hanno depositato la documentazione ritenuta utile per la decisione del Tribunale ed hanno altresì avanzato istanza che sia ammessa la prova testimoniale su individuate circostanze. Inoltre, nell’odierna discussione, il difensore di parte ricorrente ha chiesto che il Collegio valuti l’opportunità che sia disposta una verificazione dello stato dei luoghi.

4. Così riassunti i prolegomeni della vicenda, il Collegio reputa che, quanto alle suddette domande istruttorie, la documentazione depositata agli atti di causa sia completa e sufficiente ai fini della decisione e che, su tale scorta, il ricorso meriti di essere accolto.

4a. Si osserva in proposito che, dai documenti di causa, emergono i seguenti dati incontroversi:

a) il precedente proprietario della particella di cui si discute e dell’edificio del quale la stessa è tavolarmente classificata come pertinenza, tale signor Augusto Zanin, in data 5.9.1974, in occasione di lavori di ristrutturazione dell’immobile, ebbe a stipulare con il Sindaco pro tempore Ciro Zanel un “compromesso” con il quale, per “soddisfare le esigenze pubbliche di ampliamento della piazza”, manifestava la volontà di cedere “in godimento temporaneo … parte della p.f. 27 … al Comune”. Contestualmente, chiariva che la “proprietà del bene” era “conservata a se medesimo” fino al completamento “dei lavori di sistemazione ed ampliamento dell’immobile sovrastante”, solo a seguito del completamento dei quali, “previo accordo sull’importo da liquidarsi in base alla valutazione del momento … al prezzo commerciale corrente” il Comune avrebbe potuto procedere, “a proprie spese … alla intavolazione del bene”;

b) nello stesso anno 1974 l’Amministrazione comunale appaltò i lavori di sistemazione e di pavimentazione di Piazza Roma. L’approvazione dello stato finale degli stessi, il loro collaudo e la liquidazione furono disposti con la deliberazione del Consiglio comunale n. 56 del 20.10.1978. Dalla documentazione che accompagna tale provvedimento emerge che i lavori erano stati consegnati il 16.8.1974 e ultimati il 14.9.1974, e che la nominata Piazza è stata pavimentata con cordonate e cubetti in porfido. Dal rilievo planimetrico allegato al libretto delle misure risulta che la nuova pavimentazione è giunta fino al muro perimetrale della p.ed 72, ricomprendendo quindi la superficie della p.f. 27;

c) al compromesso sopra citato alla lettera a), stipulato tra il signor Zanin e l’Amministrazione comunale, non ha mai fatto seguito il contratto di compravendita, atto che è invece intervenuto nel 1990 tra lo stesso Zanin e l’odierno ricorrente. Con il documento G.N. 121/91 le parti venditrici Zanin Augusto per la nuda proprietà e Lazzeri don Giuseppe per il diritto di abitazione, e quindi solidalmente per l’intero, hanno, infatti, venduto al ricorrente il diritto di proprietà della p.ed. 72, casa d’abitazione, e della p.f. 27, pertinenza della stessa, garantendo espressamente la libertà da pesi, vincoli, oneri e diritti di terzi (salvo quelli nominati a carico della p.ed 72);

d) il successivo anno 1991 il ricorrente eseguiva importanti lavori per il restauro e risanamento conservativo dell’immobile e sulla piccola area di pertinenza antistante lo stesso installava la gru utilizzata per l’esecuzione delle opere;

e) dal verbale di un agente del Servizio associato di polizia municipale Fiemme risulta che, in occasione di un sopralluogo tenutosi il 21.11.2007, sulla p.f. 27 erano collocato quattro paletti amovibili in plastica color bianco e rosso e che a terra, fra i cubetti, vi erano quattro mattonelle in pietra, riportanti incisa la scritta “P.Privata”, disposte con modalità significativamente intese ad indicare termini di confine;

f) con la determinazione n. 2 del 4.2.2008 il Segretario comunale di Capriana, richiamata la deliberazione n. 56 del 1978 di approvazione dello stato finale dei lavori di pavimentazione di Piazza Roma, e “considerato che la situazione descritta … l’opera pubblica … esiste da oltre 20 anni”, ha chiesto alla Provincia l’emanazione del decreto di esproprio gratuito ai fini della regolarizzazione tavolare;

g) il successivo 10.3.2008, con determinazione n. 168, preso atto che la determinazione del Segretario comunale aveva ribadito la sussistenza dei requisiti di legge, il Dirigente del servizio espropriazione della Provincia ha adottato l’impugnato provvedimento finale.

4b. Quanto alle argomentazioni prospettate dalla difesa dell’Amministrazione comunale a sostegno della propria tesi, il Collegio osserva che la stessa fonda il proprio fondamento in fatto su due presupposti: l’avvenuta pavimentazione in porfido della Piazza, nel 1974, che ha riguardato anche la superficie della p.f. 27 inglobandola in un unico contesto, e la manifestazione di volontà formalizzata nello stesso anno dall’allora proprietario del bene con la quale si era impegnato a cedere in godimento temporaneo al Comune parte della stessa particella per l’ampliamento della Piazza fino alla conclusione di un formale contratto di compravendita, che però non è mai stato stipulato.

Da allora, l’Amministrazione asserisce di aver sempre provveduto alla manutenzione e alla pulizia del luogo che è divenuto parte integrante della Piazza e utilizzato da tutta la collettività per il passaggio con mezzi e a piedi, oltre che per parcheggiare autoveicoli. Afferma anche che il signor Capovilla, dopo la ristrutturazione dell’edificio, avrebbe provveduto al rifacimento della pavimentazione della particella solo dove la stessa si presentava rovinata a causa della temporanea presenza del cantiere.

4c. A parere del Collegio, peraltro, tali affermazioni non possono essere condivise, non essendo associate ad alcuna prova circa l’esistenza dei presupposti richiesti dalla legge per attivare il procedimento di regolarizzazione tavolare, ossia l’esistenza di un’opera pubblica o di un’opera privata di interesse pubblico per più di venti anni.

Va premesso, al riguardo, che l’art. 31 della citata legge provinciale n. 6 del 1993 – il quale disciplina lo speciale procedimento della “regolarizzazione tavolare di vecchie pendenze”, dispone che il decreto di esproprio possa essere emanato a favore di enti pubblici e con oggetto “immobili sui quali insistono opere pubbliche ovvero opere private di interesse pubblico” e sempreché le stesse “esistano da più di venti anni” – si caratterizza per due aspetti: a) l’espressa esclusione delle garanzie procedimentali proprie dell’istituto espropriativo ordinario, b) la mancata previsione del pagamento di qualsiasi indennità. E tale sanatoria di situazioni consolidatesi in via di fatto per il decorso di un lasso temporale ultra ventennale è giustificata dal presupposto espresso nel comma 3 del citato art. 31, ossia dal fatto che la corresponsione di qualsiasi indennizzo si sia già prescritta.

In altri termini, con l’introduzione di tale norma il Legislatore provinciale ha inteso proteggere un valore consolidatosi a favore della collettività dopo la scadenza del precritto periodo ventennale (in termini, T.R.G.A., Trento, 26.2.2009, n. 64), che deve presentare un decorso pacifico, continuo ed ininterrotto.

Questo Tribunale ha già avuto occasione di esprimesi sull’interpretazione di tale normativa, reputando che “in tale contesto … tale particolare istituto, risolvendosi in un trasferimento coattivo senza indennizzo, debba essere applicato in maniera rigorosa e non possa, quindi, trovare utilizzazione in ipotesi che superino i limiti normativamente tracciati, per le quali debbono trovare all’opposto applicazione le procedure espropriative ordinarie” (cfr., sentenze 11.12.2007, n. 192 e 10.11.2008, n. 286).

4d. Tornando ora agli atti di causa, deve essere rilevato che la manifestazione di volontà del signor Zanin datata 1974, e volta a permettere che il Comune utilizzasse la sua proprietà per l’ampliamento della Piazza, riguardava innanzitutto solo una generica e non individuata “parte” della particella 27 e che il permesso di godimento fu espressamente definito “temporaneo”, perché collegato alla previsione di un contratto di compravendita peraltro non stipulato, non avendo l’Amministrazione comunale assunto alcuna iniziativa in tale senso. Il che trova conferma nel fatto che, sedici anni dopo, il signor Zanin ha venduto la stessa particella 27 all’odierno ricorrente, garantendola libera da ogni peso e come pertinenza della casa di abitazione.

Successivamente ai lavori di ristrutturazione dell’acquisito immobile, il signor Capovilla asserisce di aver realizzato a proprie spese una nuova pavimentazione sulla superficie dell’area antistante lo stesso e di averne segnato i confini con pietre di colore chiaro sia sul fronte verso la piazza che sui fianchi. A comprova di tali argomentazioni, egli ha depositato agli atti una serie di fotografie (documenti n. 3 dell’elenco di data 1 luglio 2008), l’attento esame delle quali convince il Collegio che egli affermi il vero. Si evince, infatti, chiaramente da queste ultime che le caratteristiche delle due pavimentazioni sono obiettivamente diverse: mentre sulla superficie della piazza la posizione dei cubetti di porfido ad arco contrastante segue una determinata orditura, all’interno della superficie della pertinenza di cui si discute essi sono posizionati con lo stesso sistema, ma secondo un’orditura che segue un diverso orientamento. Si ricava, altresì, che sul perimetro della particella verso la piazza i cubetti sono posti l’uno accanto all’altro, disegnando un cordolo a raso, parallelo all’edificio, identificando una separazione lineare tra le due diverse orditure (fotografia 3C). Sui tre lati liberi sono poi visibili le quattro mattonelle in pietra, di colore chiaro e di dimensione maggiore rispetto a quella di un cubetto di porfido, collocate per delimitare l’area di proprietà.

La pacifica esistenza di detta differenziata pavimentazione, che per la sua omogeneità non può considerarsi come un reintegro di porzioni danneggiate della precedente, e fondatamente attribuibile all’attività posta in essere dall’istante all’inizio degli anni novanta dopo i lavori di ristrutturazione del contiguo immobile, porta dunque ad escludere che sulla particella insista da più di venti anni “un’opera pubblica”.

Dopo averne acquisito la proprietà, averla ripavimentata e chiaramente delimitata, il signor Capovilla afferma poi di aver utilizzato la zona antistante la sua abitazione come parcheggio di pertinenza, oltre che come deposito occasionale di materiale vario e di legname.

Nulla in contrario è, tuttavia, stato provato dall’Amministrazione, che si limita ad affermare l’esistenza di un uso pubblico. Per giurisprudenza consolidata, però, l’esistenza dell’uso pubblico non può essere meramente affermata, ma esige di essere dimostrata tramite la concreta dimostrazione dell’uso e della pubblica utilità, alla luce di un approfondito esame della condizione effettiva in cui si trova il bene.

Né rileva al proposito il fatto che la zona in questione sia stata utilizzata sporadicamente da terzi per parcheggiare autoveicoli. Tale circostanza, peraltro non disconosciuta dallo stesso ricorrente, non aggiunge alcunché alle tesi delle parti in causa: da un lato è dimostrata solo una civica tolleranza da parte del proprietario del bene che ha consentito un modesto e saltuario godimento del proprio bene e, da altro lato, non è comunque sufficiente per concludere che sulla particella possa insistere “un’opera privata di interesse pubblico”, così come non può nemmeno condurre a ritenere che sul bene privato si sia consolidato un uso pubblico.

4. In conclusione, per tutte le argomentazioni sopra espresse il ricorso è fondato per i dedotti profili di violazione di legge e, previo assorbimento delle questioni non espressamente esaminate, deve essere pertanto accolto con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata nel dispositivo.

P. Q. M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 172 del 2008, lo accoglie.

Condanna l’Amministrazione comunale di Capriana al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 3.800,00 (tremilaottocento) (di cui € 3.000 per onorari ed € 800 per diritti), oltre a I.V.A. e C.P.A. ed al 12,5% sull’importo degli onorari a titolo di spese generali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 26 febbraio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 6 marzo 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 72/2009 Reg. Sent.

N. 172/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 48/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 40 del 2008 proposto dalla signora De Morais Hedy Lamar Aparecida, in proprio e per il figlio minore C. G., rappresentata e difesa dall’avv. Francesco a Beccara ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Trento, Via dei Paradisi, 15/2

CONTRO

l’Amministrazione dell’Interno – Questura di Trento, in persona del Ministro pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento, nei cui uffici in Largo Porta Nuova, n. 9 è, per legge, domiciliata

e nei confronti

del signor Cainelli Gianluca, non costituito in giudizio,

per l’annullamento

– del “decreto di data 27.11.2007, notificato in data 28.11.2007, con il quale il Questore della Provincia di Trento – Ufficio passaporti – ha disposto la cancellazione dell’iscrizione del figlio minore C. G., nato a Trento il 29.4.2000, dal passaporto n. 371908X intestato a De Morais Hedy Lamar Aparecida, nata a Uberabe (BRA) il 9.6.1963, residente in Pergine Valsugana, via Paganella n. 26, e l’apposizione della dicitura nelle modalità di accompagnamento esclusivo dei genitori sul passaporto n. 102912W, intestato a C. G., nonché di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione statale intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 29 gennaio 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avv. Francesco a Beccara per la ricorrente e l’avvocato dello Stato Sarre Pirrone per l’Amministrazione resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. La signora Hedy Lamar Aparecida De Morais, cittadina sia brasiliana che italiana, espone in fatto di essere coniugata dall’anno 1998 con il cittadino italiano signor Gianluca Cainelli, di risiedere a Pergine Valsugana (Trento) e di essere la madre del minore G. C., nato a Trento il 29.4.2000.

2. Con ricorso notificato in data 24 gennaio 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo giorno 15 febbraio, la ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il decreto datato 27.11.2007, n. 14/22.B/PAS/2007, notificatole il giorno successivo, con il quale il Questore di Trento:

* ha disposto la cancellazione dal suo passaporto, n. 371908X, dell’iscrizione del figlio minore, e
* ha apposto la dicitura , quanto alle modalità di accompagnamento esclusivo dei genitori, sul passaporto n. 102912W intestato al figlio G. C.

3. A sostegno del ricorso ha dedotto le seguenti censure in diritto:

I – “violazione di legge (articoli 7, 8 e 10 della legge 7.8.1990, n. 241)”, posto che l’Amministrazione non avrebbe provveduto a comunicare l’avvio del procedimento;

II – “violazione di legge (articoli 1 e 3 della legge 7.8.1990, n. 241) – eccesso di potere per istruttoria carente e/o insufficiente, travisamento dei fatti”, in quanto il provvedimento sarebbe stato assunto in assenza di alcuna istruttoria e sulla base di una semplice istanza dell’altro genitore;

III – “violazione di legge (articolo 3 della legge 7.8.1990, n. 241) – eccesso di potere per motivazione carente e/o insufficiente”, dato che la motivazione espressa non sarebbe sotto alcun profilo idonea a supportare il provvedimento;

IV – “violazione della legge 21.11.1967, n. 1185 – eccesso di potere per sviamento”. Si asserisce che nel caso un genitore revochi l’assenso a che il minore possa recarsi all’estero accompagnato dal solo altro genitore, l’Amministrazione, rilevato il contrasto di posizioni tra i coniugi, avrebbe dovuto richiedere l’autorizzazione del giudice tutelare.

4. Nei termini di legge si è costituita in giudizio l’Amministrazione statale intimata eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e chiedendo comunque la reiezione del ricorso perché infondato nel merito.

5. Alla pubblica udienza del 29 gennaio 2009 la causa è stata trattenuta per la decisione.

D I R I T T O

1. La ricorrente signora Hedy Lamar Aparecida De Morais ha impugnato il provvedimento con il quale il Questore di Trento ha disposto la cancellazione dal suo passaporto, n. 371908X, dell’iscrizione del figlio minore G. C. e l’apposizione – sul passaporto n. 102912W intestato al nominato figlio – della dicitura , quanto alle modalità di accompagnamento esclusivo dei genitori.

Il provvedimento impugnato è conseguente alla lettera che in data 20 novembre 2007 il marito della ricorrente, nonché padre del piccolo G., aveva inviato alla Questura di Trento con la quale informava che era “in fase di separazione”, che nutriva “preoccupazione per la possibilità che la moglie abbia intenzione di espatriare con nostro figlio” e, pertanto, chiedeva che fossero adottate le misure atte ad impedire il possibile espatrio del figlio, quali la cancellazione del suo nominativo dal passaporto della signora e la conseguente nuova modifica sul passaporto del bambino. Pochi giorni prima, e precisamente il 6 novembre, a Gardolo, in via 4 novembre, presso la carrozzeria gestita dal signor Cainelli, si era verificato un violento diverbio tra i due coniugi: era intervenuta la Polizia di Stato che aveva redatto rapporto su quanto dichiarato dagli interessati, i quali, poi, non hanno presentato querela.

2. In via pregiudiziale va esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito opposta dal patrocinio dell’Amministrazione statale resistente.

L’eccezione non è fondata.

Secondo quanto disposto dalla piana lettura dell’art. 11 della legge 21.11.1967, n. 1185, tutte le questioni relative a “provvedimenti definitivi in materia di passaporti” rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, “che decide pronunciandosi anche in merito”.

La detta norma testualmente stabilisce che tali decisioni competano al Consiglio di Stato, ma quest’ultimo ha precisato che essa “non ha carattere di norma speciale e quindi non deroga alla successiva legge 6.12.1971, n. 1034, istitutiva del tribunali amministrativi regionali e del doppio grado di giurisdizione”: di conseguenza, dopo il 1° aprile 1974, data in cui è entrato in vigore il nuovo sistema processuale, la cognizione in primo grado sui ricorsi contro i provvedimenti in materia di passaporti spetta ai tribunali amministrativi regionali, mentre il Consiglio di Stato può essere adito solo in funzione di giudice di appello (cfr. C.d.S., sez. IV, 12.9.2000, n. 4823).

Che “sulle questioni relative al passaporto” sussista la giurisdizione del giudice amministrativo è stato, poi, affermato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza 4.8.2003, n. 293.

3. Acclarata quindi la sussistenza della giurisdizione in capo a questo giudice, occorre disattendere l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa della ricorrente nei confronti della produzione documentale avversaria siccome depositata tardivamente.

È oramai pacifico per la giurisprudenza amministrativa che i termini stabiliti dall’articolo 23, comma 4, della legge n. 1034 del 1971 (le parti possono produrre documenti fino a venti giorni liberi anteriori al giorno fissato per l’udienza e presentare memorie fino a dieci giorni) non siano perentori né che siano stabiliti a pena di decadenza. Com’è noto, nell’ambito del giudizio amministrativo, sono ampie le facoltà istruttorie riconosciute al giudice amministrativo, il quale può ordinare l’acquisizione di qualsiasi documento ritenuto utile che, anche se depositato in ritardo rispetto al termine indicato, può essere dunque sempre valutato dal giudice stesso.

In particolare, con riguardo alla documentazione prodotta dall’Amministrazione, è stato affermato che “purché direttamente connessa con l’oggetto della domanda, non avrebbe alcun senso precluderne l’esibizione dopo lo spirare del termine suddetto (o anche il giorno stesso dell’udienza), dal momento che il deposito di tali documenti costituisce addirittura un obbligo (e non un mero potere difensivo) gravante sul soggetto pubblico … e tenuto conto che di essi può sempre essere disposta dal giudice amministrativo, sia in primo che in secondo grado, la produzione in giudizio, salva restando la facoltà della parte privata di chiedere ed ottenere il rinvio della discussione della causa al fine di apprestare le proprie difese” (cfr. C.d.S., sez. V, 11.9.2007, n. 4789; ma anche, ex multis, C.d.S. sez. VI, 2.10.2007, n. 5065; C.d.S., sez. VI, 13.3.2008, n. 1080).

4. Così definite le questioni preliminari, il Collegio può ora passare all’esame del ricorso nel merito.

A questo proposito il Collegio ritiene opportuno esaminare, in via prioritaria, l’ultimo motivo, con il quale si allega la violazione della richiamata legge 21.11.1967, n. 1185 sul rilievo che, nel caso un genitore revochi l’assenso a che il minore possa recarsi all’estero accompagnato dal solo altro genitore, mentre quest’ultimo confermi la posizione favorevole precedentemente manifestata, l’Amministrazione, rilevato il contrasto tra i coniugi, aventi entrambi la stessa dignità, avrebbe dovuto richiedere l’autorizzazione del giudice tutelare.

Il Collegio osserva innanzitutto che, in base a quanto disposto dall’art. 12, il passaporto può essere ritirato “quando sopravvengono circostanze che ne avrebbero legittimato il diniego”. A tale fattispecie deve essere equiparata l’ipotesi di cancellazione dell’iscrizione del minore sul passaporto di uno dei genitori, nonché il mutamento delle condizioni per il rilascio del passaporto ai minori secondo quanto stabilito dall’art. 14 della stessa legge, equivalendo detta iscrizione ad ogni effetto alla possibilità di espatrio del minore, seppure debitamente accompagnato da uno dei due genitori. Inoltre, l’art. 3, al primo comma, prevede che “non possono ottenere il passaporto … a) coloro che, essendo a norma di legge sottoposti a patria potestà o alla potestà tutoria, siano privi dell’assenso della persona che la esercita … o, in difetto, dell’autorizzazione del giudice tutelare … b) i genitori che, avendo prole minore, non ottengono l’autorizzazione del giudice tutelare; l’autorizzazione non è necessaria quando il richiedente abbia l’assenso dell’altro genitore”.

Dal combinato disposto degli articoli 3, 12 e 14 della normativa sopra riportata, emerge che:

– un genitore con prole minore può ottenere il passaporto solo con l’assenso dell’altro genitore; in mancanza di detto assenso per il rilascio del documento è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare;

– un genitore può iscrivere sul suo passaporto il figlio minore con l’assenso dell’altro esercente la patria potestà; anche in tal caso, in mancanza di detto assenso per l’iscrizione è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare;

– coloro che sono sottoposti a patria potestà possono ottenere il passaporto con l’assenso della persona (o delle persone) che la esercitano; in difetto di tale assenso è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare.

Il Collegio deve peraltro osservare che il rapporto coniugale, nonché quello tra i genitori ed i figli, è soggetto nel tempo a modificarsi, per cui l’assenso a che il figlio minore espatri in compagnia dell’altro genitore può successivamente venir meno.

Ne discende che, se l’Amministrazione in sede di rilascio del passaporto al minore e dell’apposizione del visto per l’estero sul titolo di uno dei coniugi si limita a registrare la volontà conformemente espressa dai genitori, il sopravvenire del disvolere da parte di uno di questi impone all’Amministrazione di prenderne obbligatoriamente atto, effettuando le relative modifiche alle registrazioni iniziali.

Deve quindi affermarsi che l’operato del Questore qui contestato rientra nel novero delle attività strettamente vincolate, non integrando l’esercizio di un potere a spettro discrezionale, ma l’adempimento di un obbligo prescritto direttamente dalla legge in relazione al sopravvenire del menzionato presupposto in fatto a fronte del quale il privato, che l’originaria disponibilità abbia medio tempore mutato, è titolare di un diritto soggettivo, ben conoscibile nella presente sede di giurisdizione esclusiva e di merito.

Come ha correttamente messo in evidenza la difesa dell’Amministrazione, nella fattispecie in esame non vi è stato spazio per l’esercizio di alcuna discrezionalità.

Per quanto concerne l’asserita necessità dell’autorizzazione del giudice tutelare, se è corretto asserire, come fa la ricorrente, che “la regola generale cui si ispira la legge n. 1185 del 1967 in tema di rilascio del passaporto al genitore di prole minore, è quella della necessaria autorizzazione del giudice tutelare a garanzia dell’assolvimento da parte del genitore dei suoi obblighi verso i figli”, la Corte costituzionale ha però affermato che “il legislatore ha derogato a tale regola in presenza dell’assenso dell’altro genitore legittimo, non separato e dunque convivente con il richiedente, sull’evidente presupposto che in questo caso il controllo dell’altro genitore escluda un consistente rischio che il richiedente si sottragga all’adempimento dei suoi doveri nei confronti del figlio, e che dunque risulti ingiustificato l’intervento autorizzativo del giudice tutelare” (cfr. 30.12.1997, n. 464).

In tal senso, giurisprudenza ancora risalente ha chiarito che per ottenere il passaporto il minore deve ottenere il consenso di entrambi i genitori sempreché non siano separati, divorziati, ovvero uno di essi sia decaduto dalla potestà. Solo in difetto di assenso occorre l’autorizzazione del giudice tutelare il quale – in caso di rifiuto di assenso da parte di un genitore – deve adottare i provvedimenti opportuni nel solo interesse del minore.

In definitiva, posto che è incontroverso agli atti del processo che sul piccolo G. C. la patria potestà fosse esercitata da entrambi i genitori i quali, all’epoca dei fatti, non erano separati, deve concludersi che il motivo è infondato e che deve essere respinto.

5a. Con il primo motivo la ricorrente censura il fatto che il provvedimento impugnato sia stato adottato senza rispettare le norme procedimentali di cui agli articoli 7, 8 e 10 della legge 7.8.1990, n. 241, e, precipuamente, l’obbligo dell’invio della comunicazione dell’avvio del procedimento. Al riguardo, sostiene che non vi sarebbe stata alcuna esigenza di “celerità del procedimento”.

Il Collegio sul punto ritiene invece di aderire a quanto già affermato dalla giurisprudenza amministrativa in ordine alla considerazione che “la fattispecie in esame si inserisce tra quelle per le quali l’urgenza di provvedere è nell’ordine delle cose, posto che la volontà – anche eventuale – di trasferire un minore all’estero, al fine di sottrarlo alla possibilità di contatto con il genitore residente in Italia può essere scongiurata solo con l’adozione della revoca immediata dell’autorizzazione all’espatrio. La situazione che si verifica dopo l’impugnata revoca del consenso da parte di uno dei genitori non è poi irreparabile, posto che colui che intende portare con sé il minore all’estero deve solo munirsi del provvedimento del giudice tutelare” (cfr. T.A.R. Liguria, sez. II, 8.6.2007, n. 1067).

Il richiamato orientamento, che fa rettamente applicazione del potere del giudice di conoscere i concetti giuridici a contenuto indeterminato, fra i quali si annovera anche l’urgenza, in difetto di parametri normativi per determinarla in concreto, priva conseguentemente di giuridico pregio l’introdotto motivo.

5b. Infine, con il secondo ed il terzo mezzo si assume la violazione di altri obblighi stabiliti dalla citata legge n. 241 del 1990, e precisamente:

– dell’obbligo di svolgere una compiuta istruttoria, nel caso asseritamente basata solo sulla richiesta di un genitore oltre che su “precedenti attività … che rivelano una situazione turbolenta tra i due coniugi”, che non sarebbero state documentate nemmeno in risposta ad una specifica istanza di accesso presentata dalla ricorrente,

– dell’obbligo di motivare ogni provvedimento amministrativo.

Anche il detto motivo è infondato.

Osserva il Collegio che la già rilevata natura vincolata del provvedimento in esame adottato dal Questore non faceva obbligo a quest’ultimo di ostendere le ragioni di un’inesistente scelta, essendo sufficiente la giustificazione in fatto ed in diritto, ossia dell’esplicitazione dei presupposti sottesi a quella determinazione.

Se si considera che, ad integrare il presupposto previsto dalla legge era sufficiente la menzione della richiesta da parte del padre del minore, occorre dire che, nella specie, vi è stato anche riferimento alle ragioni che hanno determinato la vista richiesta, avendo il Questore richiamato la “situazione turbolenta” tra i coniugi, comprovate non solo dalla produzione documentale dell’Amministrazione, ma anche da quanto esposto dalla stessa ricorrente nell’atto introduttivo del presente giudizio, citando, altresì, la precedente “attività” della Questura (si ricorda che a seguito del vivace litigio avvenuto a Gardolo il 6 novembre era intervenuta la Polizia).

Conclusivamente la determinazione impugnata resiste, dunque, alle dedotte censure.

6. In conclusione, l’infondatezza di tutti i motivi determina la conseguente reiezione del ricorso.

7. Le spese del giudizio, data la natura della lite e la situazione esistente tra i coniugi, si possono compensare tra le parti.

P. Q. M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 40 del 2008, lo respinge.

Spese del giudizio compensate.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 29 gennaio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 17 febbraio 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 48/2009 Reg. Sent.

N. 40/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N. 83/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 233 del 2008 proposto dal Comune di Rabbi, in persona del Sindaco pro tempore, e dalla sig.ra Penasa Franca, quale componente del Comitato di gestione per la Provincia autonoma di Trento del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio, rappresentati e difesi dall’avv. Andrea Maria Valorzi ed elettivamente domiciliati presso lo studio dello stesso in Trento, via Calepina, 65

CONTRO

– il Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento, nei cui uffici in Largo Porta Nuova n. 9 è, per legge, domiciliato

e nei confronti

– del Coordinatore con funzioni di direzione del Parco Nazionale dello Stelvio, egualmente rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento, nei cui uffici in Largo Porta Nuova n. 9 è, per legge, domiciliato;

– del Comitato di gestione per la Provincia autonoma di Trento del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento, nei cui uffici in Largo Porta Nuova n. 9 è, per legge, domiciliato;

– del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del mare, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento, nei cui uffici in Largo Porta Nuova n. 9 è, per legge, domiciliato;

– della dottoressa Augusta Conta, non costituita in giudizio

per l’annullamento

1. degli “atti adottati dal Coordinatore con funzioni di direzione del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio nella procedura avente ad oggetto la copertura mediante mobilità volontaria di un posto di area C del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio (dirigente periferico presso il Comitato di gestione della Provincia autonoma di Trento), e precisamente:

a) della determinazione n. 96 di data 28.5.2008 del Coordinatore con funzioni di direzione, conosciuta in data 17 giugno 2008, di indizione della procedura di mobilità di cui all’articolo 30 del D.Lgs. n. 165 del 2001, nonché del relativo avviso di data 28.5.2008;

b) della determinazione n. 103 di data 18.6.2008 del Coordinatore con funzioni di direzione, di nomina della commissione di valutazione delle istanze di ammissione alla procedura selettiva;

c) della determinazione n. 122 di data 3.7.2008 del Coordinatore con funzioni di direzione, di presa d’atto e recepimento dei lavori svolti dalla commissione di valutazione e approvazione della graduatoria finale, nonché dei non conosciuti verbali della commissione esaminatrice;

d) della determinazione n. 153 di data 6.8.2008 del Coordinatore con funzioni di direzione, di autorizzazione alla stipula del contratto con la prima in graduatoria, dottoressa Augusta Conta, con immissione nei ruoli del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio – Comitato di gestione della Provincia autonoma di Trento, con decorrenza 1.9.2008”;

2. di “ogni altro atto presupposto, infraprocedimentale e ai precedenti connesso, in particolare, ove occorra, della delibera del Consiglio direttivo n. 5 di data 22.4.2008”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 26 febbraio 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avv. Andrea Maria Valorzi per il ricorrente e l’avvocato dello Stato Guido Denicolò per le Amministrazioni resistenti;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. Con ricorso notificato in data 17 settembre 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo 3 ottobre, l’Amministrazione comunale di Rabbi, quale Comune il cui territorio rientra nel Parco Nazionale dello Stelvio, e la signora Franca Penasa, nella veste di componente del Comitato di gestione per la Provincia autonoma di Trento del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio, hanno impugnato la determinazione del Coordinatore con funzioni di direzione del Consorzio del Parco, oltre ai successivi atti attuativi, come specificati in epigrafe, con la quale è stata attivata la procedura di mobilità per la copertura del posto vacante di area C di dirigente dell’ufficio periferico del Comitato di gestione per la Provincia autonoma di Trento.

2. Con l’atto introduttivo sono stati dedotti i seguenti articolati motivi di censura:

I – “incompetenza del Coordinatore all’adozione degli atti impugnati, riservati al Comitato di gestione per la Provincia di Trento e al suo Presidente – violazione e falsa applicazione dell’articolo 7, comma 6, lettera a), della legge provinciale n. 22 del 1983 e dell’articolo 6, comma 6, lettera a), del D.P.C.M. 26.11.1983”. Si allega al riguardo che, nell’indire la contestata procedura di selezione del dirigente dell’ufficio periferico del Comitato di gestione trentino del Parco, il Coordinatore si sarebbe indebitamente sostituito al Comitato di gestione, il quale aveva già deliberato sul punto, ad esso spettando le competenze di gestione ordinaria e straordinaria inerenti al proprio ambito territoriale;

II – “in ogni caso, in relazione al fatto che la procedura selettiva in questione è stata indetta, gestita e approvata dal solo Coordinatore: violazione del principio di incompatibilità tra ruoli nelle funzioni di gestione e nelle funzioni di indirizzo e controllo, difetto di terzietà e rappresentatività dei comuni trentini del Parco da parte della commissione esaminatrice”, atteso che tutta la procedura selettiva sarebbe stata gestita dal solo Coordinatore e che nella Commissione non vi sarebbe stata un’adeguata rappresentatività dei comuni trentini del Parco e del Comitato di gestione.

3. Nei termini di legge si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate, eccependo la tardività e l’inammissibilità del ricorso, il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, il difetto di giurisdizione e chiedendo comunque la reiezione dello stesso nel merito.

4. Alla pubblica udienza del 26 febbraio 2009 la causa è stata trattenuta per la decisione.

D I R I T T O

1. Il Comune di Rabbi e la sig.ra Franca Penasa, Sindaco dello stesso Comune, ma ricorrente in questa sede in qualità di componente del Comitato di gestione per la Provincia autonoma di Trento del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio, hanno impugnato la determinazione del Coordinatore con funzioni di direzione del Consorzio del Parco, ed i successivi atti attuativi, con i quali è stata attivata la procedura di mobilità per la copertura del posto vacante di area C di dirigente dell’ufficio periferico del Comitato di gestione per la Provincia autonoma di Trento.

2. Preliminarmente, il Collegio deve vagliare l’eccezione di irricevibilità del ricorso sollevata dalla difesa delle Amministrazioni intimate sul rilievo della mancata tempestiva impugnazione dell’avviso della procedura di copertura del posto mediante mobilità volontaria. Tale atto risulterebbe essere stato ricevuto dal Comune di Rabbi in data 30 maggio 2008 e registrato al prot. n. 3181, come del resto confermato nella nota inviata al Coordinatore a firma del Sindaco Penasa il successivo 4 giugno. Pertanto, il termine per proporre la presente impugnativa sarebbe iniziato a decorrere dal 30 maggio, venendo di conseguenza a scadere il 29.7.2008.

Pur trovando conferma tale ricostruzione dei fatti dagli atti depositati in giudizio, l’eccezione non è meritevole di positiva valutazione, essendo ben noto che il termine per l’impugnazione decorre dall’effettiva e piena conoscenza del provvedimento, come prudenzialmente e rigorosamente richiesto dalla giurisprudenza amministrativa, la cui dimostrazione resta a carico della parte che l’eccepisce (in termini, cfr., T.A.R. Veneto, sez. I, 7.10.2003, n. 5134).

Infatti, pur concordando con la tesi dell’avvocato dello Stato che la ricezione dell’avviso di copertura del posto di direttore tramite mobilità volontaria abbia permesso ai ricorrenti di avere cognizione dell’avvio della relativa procedura e che dal bando fosse percepibile il contenuto della stessa e quindi anche la potenziale lesività di essa, occorre rilevare che la determinazione n. 96 del Coordinatore, che ha dato avvio a quella procedura, è stata ricevuta dai ricorrenti in copia autentica soltanto con la nota del 17 giugno. È dunque da quest’ultima data che i deducenti hanno avuto la piena cognizione non solo della mera esistenza della detta determinazione, ma anche del suo contenuto e della motivazione che ne erano alla base ed alla stregua dei quali si è costituita quella piena conoscenza capace di far decorrere il termine per la sua impugnazione. Pertanto, tenuto conto della sospensione dei termini dal 1 agosto al 15 settembre di ogni anno, come disposto dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742, e rilevato che l’atto introduttivo del presente giudizio è stato notificato il 17.9.2008, il ricorso è tempestivo.

3. La difesa delle Amministrazioni intimate ha poi eccepito la carenza di legittimazione attiva nei confronti di entrambi i ricorrenti.

3a. L’eccezione è fondata con riferimento alla sig.ra Franca Penasa, che afferma di agire direttamente quale “componente del Comitato di gestione per la Provincia autonoma di Trento del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio”.

Occorre osservare al riguardo che il D.P.C.M. 26.11.1993, che ha costituito il nominato Consorzio, agli artt. 3 e 4 prevede che il Comitato di gestione per la Provincia di Trento è un organo del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio, la cui rappresentanza legale spetta al Presidente del Consorzio. E’ poi prescritto che “all’interno degli ambiti territoriali di rispettiva competenza”, quest’ultimo deleghi la rappresentanza legale “ai presidenti dei comitati di gestione nei modi, forme e limiti stabiliti dallo statuto”.

Lo statuto del Consorzio, adottato il 15.1.1998 con decreto del Ministro dell’ambiente DEC/SCN/544, conferma all’art. 7 che la rappresentanza legale spetta al Presidente del Parco e che, in tal senso, gli spetta stare “in giudizio nei procedimenti giurisdizionali di qualsiasi natura” promuovendo “le azioni e i provvedimenti più opportuni e necessari per la tutela degli interessi del Parco”. Eguale delega è poi stabilita “in relazione all’esercizio – nei rispettivi ambiti territoriali di competenza – delle funzioni demandate ai Comitati e secondo i criteri proposti dal Consiglio direttivo”.

In tale quadro normativo la legittimazione a denunciare la pretesa lesione della sfera di competenza del Comitato trentino di gestione del Parco ad opera del Consiglio direttivo e del Coordinatore del Consorzio non spetta dunque alla sig.ra Penasa, in qualità di componente di detto Comitato, ma in via esclusiva al Presidente del Comitato di gestione.

Ne consegue che l’interessata è priva di legitimatio ad processum (ossia della giuridica possibilità riconosciuta dalla legge o dallo statuto di presentarsi in giudizio), nonché di legitimatio ad causam (ossia della titolarità del rapporto sostanziale controverso) nei confronti delle deliberazioni e delle determinazioni assunte rispettivamente da parte del Consiglio direttivo e del Coordinatore del Consorzio.

Detta conclusione trova conferma nella diversa vicenda concernente la limitata legittimazione riconosciuta ai consiglieri comunali, che per “ius receptum” non possono contestare in giudizio le delibere adottate dal Consiglio comunale di appartenenza, non essendo aperto il giudizio amministrativo alle controversie tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, ma essendo diretto a risolvere liti intersoggettive, quali quelle in cui vengano in rilievo esclusivamente atti incidenti in via diretta sul diritto all’ufficio o su prerogative del singolo (cfr., T.A.R. Veneto, sez. I, 8.11.2006, n. 3749).

Nel caso in esame i provvedimenti impugnati non incidono peraltro sotto alcun profilo in via immediata e diretta né sul diritto all’ufficio di componente il Comitato di gestione in rappresentanza di un comune né su di un diritto spettante alla persona investita di quella carica, per cui, con riferimento alla sig.ra Franca Penasa, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

3b. A diversa conclusione deve invece pervenirsi quanto al Comune di Rabbi, il cui territorio è ricompreso nei confini del Parco e che è chiamato ad esprimere un componente, formalmente designato dalla Provincia autonoma di Trento, nel Comitato di gestione trentino. In detto organo, nella seduta del 20.5.2008, era stato deciso che nella commissione esaminatrice, da nominarsi per la procedura di mobilità per la ricerca del nuovo dirigente, alcuni dei componenti sarebbero stati scelti fra i funzionari dei comuni del parco. Per questo aspetto sussiste dunque l’interesse del Comune di Rabbi alla proposizione del presente ricorso contro un provvedimento che lo ha privato della sua potenziale presenza all’interno della vista commissione.

4. Con il primo motivo di ricorso si rivendica la competenza del Comitato di gestione per la Provincia autonoma di Trento, e del suo Presidente, alla scelta delle modalità per la copertura del posto di dirigente dell’ufficio periferico del Comitato trentino in sostituzione del precedente, dimissionario. Al riguardo si allega che il Comitato di gestione con la deliberazione n. 23, adottata nella seduta del 20 maggio 2008, aveva già avviato il relativo iter procedimentale proponendo altresì, nelle more dello svolgimento della procedura di mobilità, la copertura del posto per un periodo di tre mesi con un contratto di somministrazione di lavoro. Si precisa poi che, di detta procedura, si sarebbe “inopinatamente investito” il Coordinatore, adottando la determinazione n. 96 del 28 maggio 2008 e redigendo il contestuale bando di avviso di mobilità pubblicato all’albo del Comune. Da qui il vizio di incompetenza dedotto nei confronti di tali atti, posto che spetterebbe invece al Comitato di gestione, “per la parte di rispettiva competenza”, provvedere “alla gestione ordinaria e straordinaria, tenendo conto delle realtà locali e delle tradizioni consolidate di ordine economico, sociale e culturale” (cfr., art. 6, comma 6, del D.P.C.M. e art. 7, comma 6, lettera a), della legge provinciale di Trento 30.8.1993, n. 22).

Resiste alla suesposta censura la difesa dell’Amministrazione, rilevando che il Comitato di gestione trentino con la deliberazione n. 23, al primo punto del dispositivo, aveva provveduto ad annullare la precedente deliberazione n. 20 del 6.5.2008 perché viziata da incompetenza, posto che con essa si intendeva procedere, tramite il Presidente, all’assunzione del dirigente, sia pure con la diversa procedura del contratto di somministrazione di lavoro. Con la successiva deliberazione n. 23, all’opposto, il Comitato di gestione si è limitato a “proporre” la procedura di mobilità e, medio tempore, la stipulazione di un contratto di somministrazione, così come ha “proposto” d’individuare i requisiti preferenziali da inserire nel relativo bando. Tale provvedimento, pertanto, si inserirebbe correttamente nel quadro della posizione che compete al Comitato di gestione all’interno della struttura unitaria dell’Ente Parco.

L’ordine argomentativo della resistente Amministrazione è fondato.

4a. Il Collegio osserva, in proposito, che il Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio è stato costituito per assicurare la gestione unitaria dell’omonimo Parco in forma consortile tra lo Stato, le Province autonome di Trento e di Bolzano e la Regione Lombardia. A seguito dell’intesa fra i predetti Enti, di cui all’Accordo di Lucca del 27 marzo 1992, il Consorzio è stato istituito con D.P.C.M. 26.11.1993, con le leggi provinciali di Trento 30.8.1993, n. 22, e di Bolzano 3.11.1993, n. 19, nonché con la legge del Regione Lombardia 10.6.1996, n. 12. Successivamente, con decreto del Ministro dell’ambiente DEC/SCN/544 del 15.1.1998, è stato adottato lo Statuto del Consorzio del Parco “a integrazione e in attuazione” della disciplina posta dallo Stato, dalle Province autonome e dalla Regione.

Dall’esame della citata normativa si evince che il Consorzio ha personalità giuridica di diritto pubblico e che è articolato in organi e uffici aventi competenza su tutto il territorio del Parco ed in organi e uffici aventi competenza territoriale rispettivamente con riferimento al territorio della Provincia di Trento, della Provincia di Bolzano e della Regione Lombardia.

Il comma 9 dell’art. 5 del citato Decreto affida al Consiglio direttivo, organo del Consorzio del quale è componente anche il Presidente di ciascun Comitato di gestione, il compito di “adottare il regolamento del personale e la relativa pianta organica”. Il regolamento determina “il numero, i livelli funzionali, e i profili professionali del personale costituente l’organico degli uffici centrali e periferici del Parco”, come disposto dall’art. 21 dello Statuto.

La figura del Direttore del Parco è disciplinata dall’art. 7 del Decreto, ove gli si affida il compito di dare “attuazione ai provvedimenti adottati dal Consiglio direttivo” al quale “risponde dell’esercizio delle proprie attribuzioni”. Nello stesso senso dispone l’art. 19 dello Statuto.

Infine, occorre anche rilevare che, ad integrazione della disciplina normativa statale, regionale e provinciale, l’art. 6 dello Statuto prescrive che il sistema organizzativo del Consorzio si basi “sul principio della separazione tra i compiti di direzione politica e programmatica e funzioni di gestione”, ai sensi della legge 23.10.1992, n. 421. Nel rispetto della stessa normativa, come disposto dall’art. 18 dello Statuto, è disciplinata l’organizzazione degli uffici ed il rapporto di lavoro e di impiego del personale. Anche il regolamento di organizzazione del Consorzio (doc. n. 12 in atti di parte ricorrente) ha quindi recepito il principio della distinzione delle funzioni di indirizzo politico amministrativo da quelle di gestione (cfr. art. 1).

A tale proposito, nella relazione che ha accompagnato l’adozione dello Statuto, si legge che lo stesso è stato intenzionalmente redatto “tenendo conto dei principi direttivi sanciti dalla legge 23.10.1992, n. 421, e dal decreto legislativo 3.2.1993, n. 29, in materia di razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e di revisione della disciplina del pubblico impiego”.

Da ciò consegue che anche per il Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio vige la netta separazione tra i compiti degli organi del Parco (la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare e la verifica della rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive generali impartite) e quelli dei responsabili degli uffici (la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, compresa l’adozione degli atti che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, fra i quali rientra la firma dei contratti che la legge espressamente non riserva agli organi di governo dell’ente).

4b. Chiarito quanto precede, si rileva che dagli atti di causa emerge che il Consiglio direttivo del Parco con la deliberazione n. 5, adottata nella seduta del 22 aprile 2008, ha approvato la programmazione triennale del fabbisogno del personale a tempo determinato e indeterminato, ivi comprendendo il posto del livello economico e profilo professionale C1, con destinazione l’ufficio periferico della Provincia di Trento. Il Consiglio direttivo ha quindi deliberato di procedere con l’attuazione del programma a tempo indeterminato espletando in via prioritaria le procedure di mobilità previste dagli artt. 30 e 34 bis del D.Lgs. 30.3.2001, n. 165, e, solo in caso di esito negativo delle stesse, le procedure di selezione di cui all’art. 35 dello stesso testo normativo. Infine, ha delegato al Coordinatore con funzioni di direzione “l’adozione di tutti gli atti necessari per l’esecuzione della delibera”.

In attuazione della deliberazione, il giorno 28 maggio 2008, il Coordinatore ha quindi provveduto ad adottare l’impugnato provvedimento n. 96, con il quale ha determinato di procedere alla copertura del posto e di attivare la contestata procedura di mobilità.

4c. Dal combinato disposto delle disposizioni del complessivo disegno normativo sopra riportato, lette alla luce dei principi generali sulla cosiddetta “privatizzazione del rapporto di pubblico impiego” di cui alla citata legge n. 421 del 1992 e al successivo D.Lgs. n. 29 del 1993, la determinazione n. 96 del Coordinatore con funzioni di direzione del Consorzio resiste al dedotto vizio di incompetenza.

Infatti, dalla richiamata soluzione di continuità fra le attribuzioni di natura politica rispetto a quelle di gestione, spettano al Direttore compiti manageriali caratterizzati dalla diretta responsabilità in merito al raggiungimento degli obiettivi dell’Ente, alla correttezza ed efficienza dell’azione amministrativa comprensiva della gestione finanziaria, ivi inclusa l’assunzione di impegni di spesa e degli atti di amministrazione e di gestione del personale, nonché di quelli diretti al conseguimento dei risultati della gestione.

E’ da sottolineare, per questo aspetto, che proprio la gestione delle procedure di assunzione e la firma dei contratti sono attribuzioni tipiche della qualifica dirigenziale in quanto strettamente connesse ai compiti di amministrazione attiva; che le stesse costituiscono una prerogativa tipica dei manager nelle organizzazioni di natura privatistica alle quali la riforma del sistema ha guardato come termine di raffronto (sulla responsabilità della gestione, cfr., C.d.S., sez. V, 16.9.2004, n. 6029 e T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 21.12.2004, n. 6511).

In tal senso, la procedura di mobilità decisa dal Consiglio direttivo è stata dunque correttamente delegata per la sua gestione al Coordinatore (rientrando tra l’altro testualmente tra i suoi compiti quello di dare “attuazione ai provvedimenti adottati dal Consiglio direttivo”), il cui iter si è quindi unitariamente snodato attraverso la nomina e l’azione della Commissione valutatrice, l’approvazione dei relativi lavori e della graduatoria finale di mobilità, ed, infine, la stipulazione del contratto individuale di lavoro.

4d. Infine, prive di giuridico pregio sono le argomentazioni fondate sulla lettura dell’art. 6, comma 6, del menzionato D.P.C.M. e dell’art. 7, comma 6, lettera a), della legge provinciale di Trento 30.8.1993, n. 22, ove si enuncia che al Comitato di gestione, “per la parte di propria competenza territoriale”, spetta la “gestione ordinaria e straordinaria, tenendo conto delle realtà locali e delle tradizioni consolidate di ordine economico, sociale e culturale”.

Seppure le anzidette disposizioni dispongano in tal senso, tali funzioni sono tuttavia attribuite ai Comitati di gestione “in attuazione degli atti di pianificazione territoriale e di programmazione del Parco e delle direttive … generali di coordinamento per assicurare l’unitarietà degli indirizzi di gestione del Parco, … necessarie al raggiungimento degli obiettivi scientifici, educativi e di protezione naturalistica verificandone l’osservanza, … di coordinamento dell’attività di ricerca e di pubbliche relazioni”.

Da altro lato, il disposto che affida al Comitato di gestione l’attività di “gestione ordinaria e straordinaria”, riferita all’attuazione degli atti “di programmazione del Parco”, va coordinata con l’interpretazione sistematica del complesso di tutte le disposizioni sopra richiamate e letta sia alla luce del comma 1 dell’articolo 6 dello Statuto, ove è sancita la regola della separazione delle funzioni quale principio che informa l’attività degli organi del Consorzio, sia alla luce del complessivo assetto delle funzioni e dei compiti che non attribuiscono ai Comitati di gestione alcuna prerogativa in materia di gestione del personale. Se ne deduce, in definitiva, che l’attività di “gestione ordinaria e straordinaria” riferita agli atti di programmazione del Parco necessariamente non potrà che riguardare funzioni diverse da quelle di gestione del personale, fra le quali rivestono un ruolo preminente quelle relative al governo del territorio.

Il primo motivo va, quindi, disatteso.

5. Per quanto concerne il secondo motivo del ricorso, la difesa dello Stato ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, peraltro rilevabile d’ufficio da parte del Tribunale.

L’eccezione è fondata, con la conseguenza che resta precluso l’ulteriore esame del merito.

Invero, il comma 1 dell’art. 63 del D.lgs. 30.3.2001, n. 165, stabilisce che “sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L’impugnazione davanti al giudice amministrativo dell’atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo”. Il comma 4, a sua volta, prevede che “Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi.”

Il giudice amministrativo è, quindi, titolare di giurisdizione esclusiva sulle sole controversie relative alle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti, nonché ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico di cui all’art. 3.

Nella fattispecie in esame si denunciano le modalità di svolgimento della procedura di mobilità attuata dal Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio per la copertura di un posto dell’area C per l’ufficio periferico trentino e, in particolare, la composizione della Commissione e le valutazioni espresse dalla stessa sul percorso curriculare dei partecipanti che non avrebbe tenuto conto delle reali esigenze locali.

Le procedure di mobilità riguardano, peraltro, il trasferimento, su base volontaria, di un dipendente della pubblica Amministrazione dall’ente di appartenenza a quello che ha attivato la procedura medesima e, da un lato, coinvolge solo soggetti già assunti presso una pubblica amministrazione, mentre, dall’altro, si traduce in una mera modificazione soggettiva della titolarità del contratto di lavoro, che passa dall’Amministrazione di provenienza a quella che ha attivato la procedura di mobilità. Ne discende che, poiché l’intera vicenda attiene al rapporto contrattuale già in essere, che non viene estinto, ma solo modificato sul piano soggettivo, la relativa controversia, avendo ad oggetto atti amministrativi che incidono sulla prosecuzione del rapporto di lavoro del ricorrente con un’Amministrazione diversa da quella di provenienza, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 63, comma 1, del citato D.Lgs. n. 165 del 2001. E ciò, in quanto non viene nella specie in considerazione un provvedimento funzionale alla costituzione di un nuovo rapporto di impiego, bensì gli atti di una procedura finalizzata al trasferimento di personale da un ente ad un altro nell’ambito di un rapporto di impiego già costituitosi e destinato a perdurare nel tempo, pur dopo la vista novazione soggettiva concretatasi tramite la cessione del contratto con continuità del suo contenuto, inquadrabile nell’istituto di cui agli artt. 1406 e seguenti c.c. (cfr., in termini, Cassazione civile, Sez. Un., 12.12.2006, n. 26420, ma anche T.R.G.A. Trento, 19.2.2009, n. 56).

In conclusione, per le suesposte ragioni, nella controversia in esame va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, spettando essa al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.

Occorre, a questo punto, dare attuazione al principio della traslatio iudicii, affermato dalla Corte costituzionale con sentenza 12.3.2007, n. 77, secondo cui, quando un giudice declini la propria giurisdizione affermando quella di un altro giudice, il processo può proseguire innanzi al giudice fornito di giurisdizione, restando salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti al giudice giurisdizionalmente incompetente.

Allo scopo, va fissato il termine per la riassunzione del giudizio davanti al g.o. – termine fino alla scadenza del quale sono salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda – in sei mesi decorrenti dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza (cfr., C.d.S., sez. VI, 13.3.2008, n. 1059).

6. Le spese del giudizio, in applicazione del principio della soccombenza, sono poste a carico dei ricorrenti e sono quantificate in dispositivo.

P. Q. M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 233 del 2008, lo dichiara inammissibile nella parte in cui è stato proposto dalla sig.ra Penasa Franca, in parte lo respinge e, in parte, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, spettando essa al Giudice ordinario.

Fissa il termine per la riassunzione del giudizio davanti a quest’ultimo in mesi 6 (sei) decorrenti dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza.

Condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 4.000,00 (quattromila).

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 26 febbraio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 18 marzo 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 83/2009 Reg. Sent.

N. 233/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento N.85/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 241 del 2008 proposto dal signor Zanoni Claudio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Riccardo Ruffo, Giuseppe Gortenuti e Beatrice Tomasoni ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Trento, via Grazioli, 5

CONTRO

il Comune di Riva del Garda (Trento), non costituito in giudizio

E NEI CONFRONTI

– della società Costruzioni Alto Garda S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore signor Azzolini Marino, rappresentata e difesa dall’avv. Giacomo Merlo e elettivamente domiciliata presso il suo studio in Trento, via Grazioli 62;

– della società Costruzioni F.lli Azzolini S.r.l., non costituita in giudizio

per l’annullamento

– dell’“ordinanza per la rimozione dei rifiuti depositati sulla p.ed. 2743 C.C. Riva, in via Grez 78, ai sensi dei combinati disposti articoli 77 e 77 bis del T.U.LL.PP. in materia di tutela dell’ambiente dall’inquinamento e ai sensi dell’articolo 192 del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società controinteressata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 12 marzo 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avv. Giuseppe Gortenuti per il ricorrente e l’avv. Giacomo Merlo per la Società controinteressata;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. Il ricorrente espone in fatto di essere proprietario della p.ed 2743 in C.C. Riva del Garda, via Graz 78, in parte ereditata nel 1988 dal padre e dallo zio, signori Giovanni e Pierino Zanoni, e per la rimanente parte acquistata nel 1992 dai coeredi. La sua famiglia aveva acquistato l’area nel 1975 dalla sig.ra Camilla baronessa Salvadori la quale, a sua volta, ne era divenuta proprietaria nel 1954.

Assume poi di aver ottenuto nel mese di gennaio 2007 dal Comune di Riva del Garda la concessione edilizia per la costruzione di un nuovo edificio da utlizzarsi come cantina vinicola, previa demolizione della struttura agricola, già destinata a stalla, nonchè di aver affidato l’esecuzione delle relative opere alla società Costruzioni Alto Garda S.r.l.

Durante i lavori di scavo sarebbero emersi dal sottosuolo “rifiuti verosimilmente di costruzioni edili, quali: scarti in laterizio, scarti di cemento, scarti di cemento armato, filo di ferro, teli di plastica, nailon, ecc.”, per cui in data 16 aprile 2008 l’impresa di costruzioni ha informato del ritrovamento l’Amministrazione comunale, la quale ha inoltrato la segnalazione all’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente. I tecnici competenti hanno poi effettuato due sopralluoghi, in data 19 maggio e 27 giugno 2008, quest’ultimo in contraddittorio con il ricorrente. A quella data, però, egli asserisce di non aver avuto la disponibilità dell’area in questione.

2. Con l’ordinanza per la rimozione dei rifiuti di data 7 luglio 2008, prot. n. 2008025273, citata in epigrafe, l’Amministrazione comunale ha ordinato al ricorrente, quale detentore dei rifiuti tumulati nel terreno di cui alla p.ed. 2743, la rimozione degli stessi entro 90 giorni, coordinando l’intervento con la ditta Costruzioni Alto Garda.

3. Con ricorso notificato in data 17 ottobre 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo giorno 27, il ricorrente ha impugnato detta ordinanza deducendo i seguenti motivi di diritto:

I – “violazione dell’articolo 7 della legge n. 241 del 1990 – violazione dell’articolo 13 della legge regionale n. 37 del 1993 – eccesso di potere per violazione del principio di partecipazione”, in quanto il provvedimento impugnato non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione dell’avvio del procedimento;

II – “eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria”, posto che il proprietario non sarebbe allo stato detentore del terreno e dei rifiuti ivi tumulati, non essendo in possesso delle chiavi del cancello, cambiate dall’impresa esecutrice dei lavori;

III – “violazione dell’articolo 192 del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152”. Si allega che il soggetto tenuto all’obbligo di rimozione dei rifiuti sarebbe esclusivamente il responsabile dell’inquinamento, mentre l’istante sarebbe divenuto proprietario dell’area successivamente al periodo in cui la stessa Amministrazione avrebbe riconosciuto essere presumibilmente avvenuto il ridetto interramento;

IV – “eccesso di potere per difetto di istruttoria sotto altro profilo”, visto che l’Amministrazione non avrebbe compiuto alcuna istruttoria per individuare il responsabile dell’abusivo tumulo di rifiuti.

4. Con il ricorso è stata presentata istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato.

Alla camera di consiglio del 6 novembre 2008, con ordinanza n. 111, la domanda incidentale di misura cautelare è stata accolta.

5. Nei termini di legge si è costituita in giudizio la società Alto Garda controinteressata, contestando la fondatezza del secondo motivo del ricorso e la ricostruzione dei fatti come esposta dal ricorrente.

6. Alla pubblica udienza del 12 marzo 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

1. Con il ricorso in esame il signor Claudio Zanoni proprietario della p.ed 2743 in via Grez 78 a Riva del Garda, sulla quale stava eseguendo lavori di demolizione della preesistente stalla per costruire un edificio destinato a cantina vinicola, ha impugnato, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza citata in epigrafe, con la quale l’Amministrazione comunale gli ha intimato, in qualità di proprietario e detentore, la rimozione dei rifiuti presenti nel terreno della nominata particella tramite ditta specializzata o, in alternativa, ove ne ricorrano le condizioni, la loro messa in sicurezza all’interno dell’areale complessivo, e ciò nel termine di 90 giorni.

2a. In via preliminare rileva il Collegio che la società Costruzioni Alto Garda S.r.l. ha sostenuto nella propria memoria di costituzione in giudizio che il ricorso le sarebbe stato arbitrariamente notificato, avendo essa ricevuto dal signor Zanoni l’incarico di eseguire i lavori di costruzione del nuovo edificio destinato a cantina vinicola, come da contratto d’appalto sottoscritto in data 3 settembre 2007; che, inoltre, in occasione dei lavori di scavo, sotto il terreno vegetale, ad una profondità tra i 50 e i 100 cm., e per uno spessore di circa 5 metri, in data 26 – 27 novembre 2007 sarebbero stati rinvenuti resti di demolizioni, calcestruzzo, mattoni e nailon; che avrebbe immediatamente sospeso i lavori, informando dell’avvenuto rinvenimento il signor Zanoni, il quale abita nella confinante casa di abitazione; che questi non avrebbe, peraltro, assunto alcuna decisione in merito, per cui la Società si sarebbe risolta a denunciare formalmente il ritrovamento con una lettera in data 11 dicembre, alla quale il Zanoni ha risposto con la nota del successivo 25 gennaio, contenente l’ordine di sospensione dei lavori; che in ogni caso i rifiuti che l’impresa avrebbe asportato dal sito sarebbero esclusivamente quelli costituiti dal materiale di demolizione della preesistente stalla e non quelli rinvenuti nel sottosuolo, rispetto ai quali sarebbe mancato un preciso incarico da parte del committente; che il cantiere sarebbe stato recintato per ragioni di sicurezza e che il signor Zanoni disporrebbe, tuttavia, di un altro ingresso, direttamente dalla sua adiacente abitazione; che, in definitiva, non sussisterebbe l’impossibilità artatamente addotta dal ricorrente di eseguire l’ordinanza, essendo egli il “detentore dei rifiuti”, che ha affidato alla Società Alto Garda l’esecuzione di una nuova costruzione, previa demolizione del preesistente manufatto.

2b. Tale ordine d’idee merita di essere condiviso.

Si osserva in proposito che la giurisprudenza ha chiarito che l’appaltatore debba considerarsi un detentore qualificato in quanto, fino alla consegna dell’opera al committente, egli lo è divenuto in virtù del contratto, quale fonte del relativo rapporto obbligatorio; che, inoltre, tale detenzione persista nel tempo fino alla data di ultimazione dell’opera commissionatagli. Alla luce, peraltro, della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione la presunzione di responsabilità incombente sull’appaltatore nel corso della sua attività può essere vinta mediante la dimostrazione del suo difetto fondato su fatti positivi, precisi e concordanti: e ciò, a maggior ragione, quando si tratti di responsabilità per fatti estranei alle modalità di esecuzione del contratto d’appalto, come è in effetti avvenuto alla stregua di quanto assunto dall’appaltatore, rimasto incontroverso tra le parti, fatta eccezione per la sola questione pertinente l’accesso al fondo da parte del ricorrente.

A quest’ultimo, invece, competono, nel proprio interesse, sia doveri di collaborazione per rendere possibile l’esecuzione dell’opera, tanto che la mancata prestazione in tal senso è valutabile ai fini della possibile risoluzione del contratto, sia poteri di controllo e di verifica, oltre al dovere di impartire istruzioni per la soluzione di ogni problema connesso con l’esecuzione delle opere.

Nella specie l’appaltatore ha, peraltro, debitamente informato il committente del rinvenimento dei rifiuti con la nota datata 11.12.2007, a seguito della quale il committente ha dapprima ordinato la sospensione dei lavori e poi la rimozione dei rifiuti da demolizione per consentire la verifica dell’effettiva esistenza nel sottosuolo di ulteriori e diversi rifiuti.

Ne consegue che la controinteressata non poteva che andare esente da ogni responsabilità, per cui la notifica anche nei suoi confronti dell’impugnata ordinanza non può sotto alcun profilo essere interpretata quale addebito di esclusiva, ovvero anche concorrente, responsabilità nei suoi confronti.

3. Il prodotto ricorso è fondato.

3a. Si osserva, in proposito, che dai documenti di causa emergono i seguenti incontroversi elementi in fatto:

– la p.ed. 2743, al di sotto del sedime della quale sono stati rinvenuti i menzionati rifiuti, è stata acquisita dalla famiglia Zanoni, e più specificatamente dal padre e dallo zio dell’odierno ricorrente, con atto di compravendita del 9 dicembre 1975;

– successivamente, con licenza di fabbrica n. 43 del 5.4.1976, è stata eretta la stalla la cui demolizione è stata autorizzata con la concessione edilizia rilasciata all’odierno ricorrente;

– nell’ordinanza sindacale impugnata si legge che nel sottosuolo risultano “interrati i rifiuti costituiti da materiali similmente configurabili quali rifiuti da demolizione”;

– dalla stessa ordinanza emerge che la situazione relativa ai rifiuti tumulati sarebbe “verosimilmente databile agli anni settanta”, perché “dall’ingrandimento del fotogramma del 1973, la situazione evidenziata pare identificare dei cumuli di materiale”;

– detta ordinanza menziona sia il primo sopralluogo accertativo compiuto dal personale ispettivo della Provincia in data 19 maggio 2008 sia le conclusione dell’accertamento integrativo eseguito in occasione del sopralluogo svoltosi in data 27 giugno 2008 in contraddittorio tra le parti;

– dal provvedimento non risulta essere stata svolta alcuna diversa istruttoria da parte dell’Amministrazione comunale di Riva del Garda, né nello stesso è riscontrabile alcuna motivazione in merito al contestato illecito.

3b. Chiarito in fatto quanto precede, va osservato che l’art. 90 del D.P.G.P. 26.1.1987, n. 1-41/Legisl, riportante il testo unico delle leggi provinciali in materia di tutela dell’ambiente dagli inquinamenti, prevede che “chiunque detenga rifiuti è tenuto a smaltirli”, mentre l’art. 77 impone all’Amministrazione competente la chiusura con ordinanza delle discariche non controllate o abusive e l’esecuzione delle necessarie bonifiche in capo ai trasgressori.

L’art. 192 del decreto legislativo 3.4.2006, n. 152, concernente norme in materia ambientale, dispone, più analiticamente, che chiunque violi “i divieti di cui ai commi 1 (abbandono e deposito incontrollato) e 2 (immissione di rifiuti) è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi”.

La giurisprudenza amministrativa ha già avuto occasione di statuire che il proprietario dell’area è tenuto a provvedere allo smaltimento solo a condizione che ne sia dimostrata la responsabilità, o almeno la corresponsabilità con gli autori dell’illecito abbandono di rifiuti (quale esemplificativamente ricorre per aver posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo), ed ha conseguentemente escluso che le norme riportate configurino un’ipotesi legale di responsabilità oggettiva, anche in applicazione del principio generale secondo il quale soltanto il “polluter pays”.

In particolare, è stata “affermata l’illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell’amministrazione procedente, sulla base di un’istruttoria completa e di un’esauriente motivazione (quand’anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d’esperienza), dell’imputabilità soggettiva della condotta”. I suddetti principi si attagliano “a fortiori al disposto dell’art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006, dal momento che tale articolo … precisa che l’ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente ” (cfr., C.d.S., sez. V, 25.8.2008, n. 4061).

4. Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’ordinanza impugnata appare dunque illegittima, non essendo stata preceduta dai prescritti accertamenti istruttori in contraddittorio con i soggetti interessati, per cui deve conclusivamente ritenersi:

– che il Comune di Riva del Garda abbia illegittimamente omesso di comunicare al ricorrente l’avvio del procedimento amministrativo, che è indispensabile al fine dell’instaurazione del contraddittorio procedimentale con l’interessato, fatta espressa esclusione dell’ipotesi dell’urgenza in concreto, tuttavia, insussistente;

– che non sia stata svolta, in contraddittorio, alcuna istruttoria diretta all’accertamento della responsabilità del ricorrente in ordine all’illecito;

– che in difetto degli estremi di quest’ultima non avrebbe potuto essere posta a suo carico la disposta misura di rimozione.

5. Giova, tuttavia, precisare al riguardo che, dal disposto dell’art. 77 del testo unico delle leggi provinciali in materia di tutela dell’ambiente dagli inquinamenti, letto in coerenza con i principi che la giurisprudenza amministrativa ha tratto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, emerge che, in primis, l’Amministrazione è tenuta ad imporre gli interventi di rimozione dei rifiuti – o, in alternativa, quando non ricorrano le condizioni di contaminazione del sito, gli interventi di messa in sicurezza all’interno dell’areale complessivo – in capo al responsabile dell’inquinamento, ossia “al trasgressore”, che l’Ente civico ha l’onere di ricercare svolgendo “gli accertamenti necessari per la sua individuazione” (cfr. art. 77, comma 2); che in caso di mancata individuazione del responsabile, ma anche in assenza di eventuali interventi volontari, le opere di bonifica debbano essere eseguite d’ufficio dall’Amministrazione competente, alla quale la legge riconosce il “diritto di rivalsa” per il recupero delle relative spese secondo la procedura di cui al R.D. 14.4.1919, n. 639, che riconosce all’Ente creditore il privilegio di cui all’articolo 2770 del c.c.

Corollario di quanto sopra esposto è dunque che l’ordine di dar corso alla bonifica di una discarica abusiva debba essere sempre notificato al proprietario dell’area al fine di renderlo edotto della facoltà di provvedervi direttamente, ma che lo stesso non può essere ritenuto tout court responsabile del fatto, e dunque obbligato all’esecuzione del ridetto ordine, ove non sia stato previamente effettuato un adeguato accertamento della sua responsabilità o della sua corresponsabilità o comunque del suo apporto causale all’azione inquinante.

6. In conclusione, previo assorbimento delle censure non espressamente definite, il ricorso deve essere accolto nei termini di cui in motivazione con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Per quanto riguarda le spese del giudizio, stante la novità della questione esaminata, sussistono giustificati motivi per compensarle integralmente tra le parti.

P. Q. M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 241 del 2008, lo accoglie.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 12 marzo 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 20 marzo 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N.85/2009 Reg. Sent.

N. 241/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it